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Autore: Smaugslayer    23/12/2014    2 recensioni
Perché tutti guardano Sherlock come se fosse un idiota? Perché Geff-- voglio dire, Greg Lestrade sghignazza come se non ci fosse un domani? E cos'ha questo a che fare con un ombrello e una caffettiera scomparsi nel giorno di Natale?
Genere: Comico, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Lestrade, Sally Donovan, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                     L’AVVENTURA DEL FIOCCO AZZURRO
 
 
 
 
 
 
 
 
Era il giorno di Natale.
 
Il 221B di Baker Street era immerso nello spirito delle feste –principalmente perché né Sherlock Holmes né il suo coinquilino, John Watson, avevano la minima voglia di ripulire i resti della cena della vigilia. A terra giacevano ancora le carte lucide dei regali e i salatini caduti dai piatti, che invece erano stati impilati sopra il lavello e dimenticati. La padrona di casa, la signora Hudson, stava trascorrendo le vacanze da un’amica e non sarebbe tornata prima di qualche giorno… pronta a rimproverare i due per il disordine e la sporcizia che regnavano sovrani nel suo appartamento.
 
Quel mattino John si era svegliato presto: Sherlock lo trovò stravaccato sulla sua poltrona preferita a leggere il giornale.
 
“’Giorno” borbottò, con la voce ancora impastata dal sonno.
 
“Buon Natale!” esclamò l’altro con un sorrisetto.
 
“Perché lo specchio del bagno è rotto?”
 
“Oh, sì, colpa mia.” John ripose il giornale e si voltò a guardare l’amico, che sembrava ancora mezzo addormentato e stava ciondolando a vuoto in giro per la cucina. “Per sbaglio ci ho tirato una gomitata e l’ho mandato in pezzi. Ma lo ricompro, tranquillo.”
 
Ah, la mia testa” si lamentò Sherlock in tono sofferente.
 
John sentì il rumore di una pastiglia effervescente che si scioglieva in un bicchiere d’acqua e sorrise nuovamente: decisamente Sherlock non era abituato a smaltire le sbornie…
 
“Ti risulta che Molly Hooper mi abbia fatto bere qualcosa con alta gradazione alcolica?” chiese Sherlock di punto in bianco dopo aver mandato giù un sorso.
 
“No”, rispose John, che la sera prima aveva distintamente visto Greg Lestrade versare del rum in una bottiglia di vino con aria furtiva.
 
I due si reimmersero in silenzio nelle proprie attività (leggere il giornale e sopravvivere al dopo sbornia), finché qualcuno non suonò al citofono.
 
“Vado io” disse John.
 
“Oh, no. Oh, no no no, non un caso non adesso…” Sherlock sospirò, arreso. “Forza, vai ad aprire la porta.”
 
Lanciandogli un’occhiata divertita, John si alzò. “Come fai a sapere che è un cliente?” domandò.
 
“La signora Hudson è fuori città, Molly e Graham li abbiamo visti ieri, e mio fratello il giorno di Natale mi evita più o meno come eviterebbe un crollo in borsa. Quindi, è un cliente.”
 
“Si chiama Greg.”
 
“Chi?”
 
“Nessuno…”
 
In effetti, era un cliente: una giovane donna dall’aria gioviale, leggermente in carne, con i capelli tinti di arancio. Qualcuno con le abilità di Sherlock (qualcuno a caso, insomma) avrebbe potuto dedurre (sempre nel caso che avesse quelle abilità) che era un’infermiera di Camden con un fratello fumatore e tre gatti, uno dei quali aveva sicuramente nome Fuffi.
 
“Buon Natale” disse John, cordiale. “Prego, si accomodi.”
 
La ragazza aveva pianto, e aveva anche il raffreddore (oppure la sua voce era tremendamente nasale, una delle due). “Bi disbiage” gemette, entrando. “So ghe non è il momendo giusdo, ba ho bisogno di vedere Sherlock Holbes. È urgende.”
 
“Sono io” disse Sherlock, raggiungendoli in ingresso e sfoderando il suo sorriso più affascinante.
 
La donna raggelò. “I-io…” balbettò. “Lei… è il signor Sherlock Holbes?”
 
Era impallidita, e lui tentò in qualche modo di rassicurarla: “Non si preoccupi, è normale essere imbarazzati in momenti del genere, ma le assicuro che da noi avrà la massima discrezione.”
 
Baba io non… è uno sgherzo, vero?” Irritata, e un filino indignata, si voltò verso John per cercare conferma. “È uno sgherzo? Lei don può ezzere Sherlock Holbes il dedegdive.”
 
 “Cosa?” chiese John con aria innocente, un filino perplesso.
 
“Bi hanno faddo uno sgherzo.” Era arrossita violentemente, e il suo viso aveva perso ogni traccia di giovialità; persino il colore dei suoi capelli sembrava più malsano. “Bi avevano deddo ghe era una bersona seria… ghe bodeva aiudarmi… e invege…” Detto questo, scoppiò in lacrime e se ne andò di corsa trascinandosi dietro la porta.
 
John e Sherlock si scambiarono un’occhiata esderrecioè, esterrefatta.
 
“Devo essere ancora addormentato” farfugliò Sherlock.
 
“Ti assicuro che sei sveglio… ma perché è scappata?”
 
“E secondo te lo so? Sembrava che avesse visto un fantasma!”
 
“Magari si è accorta che avevi i postumi di una sbronza e l’ha ritenuto poco professionale.” John annuì in modo consapevole, lasciando intendere che considerava chiuso l’argomento. “Meglio, tanto il caso non lo volevi.”
 
“Sì che lo volevo!” protestò Sherlock in tono infantile. “Le sono scomparsi la sorella, l’ombrello e la caffettiera!”
 
John sorrise e roteò gli occhi a quello sfoggio di sagacia; lo tranquillizzò assicurandolo che sicuramente presto sarebbe arrivato un nuovo caso su cui lavorare.
 
 
 
 
Il pronostico si rivelò corretto: verso le dieci ricevettero una chiamata da Greg Lestrade, che si scusava per il pessimo tempismo ma pregava di raggiungerlo subito nella zona di Southbank, a sud del Tamigi.
 
Il 221B di Baker Street entrò istantaneamente in quella fase frenetica in cui tutti si allacciano le scarpe, infilano il cappotto e scendono di corsa in strada, dove c’è immancabilmente un taxi che arriva proprio in quel momento.
 
Sherlock era molto eccitato. Come si suol dire, per lui era arrivato il Natale. Casualmente, quel giorno era arrivato anche per il resto del mondo… John gli aveva riferito che Lestrade sembrava molto preoccupato, e questo poteva solo significare un rompicapo intrigante alle porte.
 
Al momento di pagare, il tassista gli scoccò una strana occhiata che non riuscì ad interpretare: possibile che i postumi dell’ubriachezza fossero così evidenti? Aveva ingollato ben tre pasticche, quella mattina.
 
Sherlock si fece strada tra le barricate della polizia con Watson alle calcagna.
 
Lestrade li attendeva al primo piano, in un appartamentino curato e minimalista, insieme a Sally Donovan. Non appena lo videro, entrambi spalancarono gli occhi, affrettandosi subito a riassumere un’espressione normale. Sherlock, perplesso, si voltò verso John, che però era tutto intento ad osservare un quadro appeso al muro.
 
Lestrade si schiarì la gola. “Omicidio natalizio.” Indicò con il pollice il divano di pelle bianca in soggiorno, su cui era seduto un tizio dai capelli biondi… con la gola tagliata.
 
“Porta chiusa dall’interno. Spiegami questo, fenomeno” disse Donovan, che quel giorno aveva un buffo tic alla bocca e continuava a fare smorfie.
 
“Sherlock, guarda.” John gli indicò il portaombrelli sull’uscio: era vuoto, eppure attorno ad esso si era formata una piccola pozza d’acqua, segno che un ombrello doveva esserci stato.
 
Sherlock scattò verso la cucina, iniziando a rovistare tra i cassetti. C’erano quattro tazzine da caffè, e anche un alone piuttosto evidente sul bancone che indicava il punto dove venivano posate di solito, ma non c’era traccia di caffettiere.
 
“Sono scomparsi l’ombrello e la caffettiera… omicidi in serie!” esclamò, entusiasta. “John, i giochi sono aperti! Andiamo dal portinaio.”
 
“Perché?”
 
“Devo interrogarlo!” Si lanciò giù dalle scale, con il collega che lo seguiva a ruota.
 
“Guarda e impara” gli disse, dopodiché assunse un’espressione contrita ed entrò in portineria. “Salve” gracchiò con voce rotta.
 
Il portiere levò lo sguardo dalle carte che aveva in mano e fu preso da un violento attacco di tosse. “Che vuole?” chiese rudemente una volta calmatosi.
 
“Io… io non so… cioè, ovviamente avrà sentito cos’è successo… io… io…” Sherlock interruppe il proprio farfugliamento per asciugarsi una lacrimuccia immaginaria. “Io non posso credere che lui… il mio migliore amico…”
 
“Ma sta scherzando? Il suo migliore amico? Lei?” ribatté il portiere con aria minacciosa. “Mi faccia un favore, se ne vada! Non ho tempo per le cazzate.”
 
“Ma no, lui era…”
 
“Se ne vada!”
 
Sembrava che potesse davvero sbatterlo fuori a calci, perciò Sherlock non si fece pregare una terza volta.
 
“Com’è andata?” chiese John, che lo aspettava fuori dalla porta con un sorrisetto sghembo stampato in viso.
 
“Non capisco” grugnì Sherlock. “Di solito funziona.”
 
“Magari era solo un po’ irritato per la faccenda” ipotizzò allegramente John.
 
“Ma io ci dovevo parlare!” piagnucolò Sherlock. “Come faccio a risolvere un caso se non posso parlare con le persone?”
 
John gli diede una rapida pacca sulla spalla. “Be’, magari non è il tuo caso.”
 
“Mica ci devo fare una firma sopra, ai casi… Fumare. Ho bisogno-di-fumare.”
 
“Sherlock…”
 
“Ok, niente fumo. Caffè. Andiamo a bere un caffè.”
 
La strada era quasi deserta, ad eccezione di un paio di ragazzi che camminavano sull’altro lato del marciapiede. Uno indicò Sherlock e John, e l’altro proruppe in una risatina.
 
“Ma come siamo carini oggi!” urlò il secondo.
 
“Chi è, l’amante segreto di Elton John?” sghignazzò il primo, dopodiché i due iniziarono a prendersi in giro a vicenda per aver citato Elton John e “aver fatto una voce troppo gay”.
 
Sherlock si voltò verso John alla ricerca di spiegazioni, e lui alzò le spalle commentando: “Ragazzini.”
 
Il cameriere del bar in cui si imbucarono fu molto gentile. Non batté ciglio mentre trascriveva le ordinazioni, e sembrò quasi non notare l’occhiata di ammonimento che John gli lanciava. Sfortunatamente, Sherlock se ne accorse.
 
“Perché l’hai guardato in quel modo?” chiese non appena il cameriere se ne fu andato.
 
“In che modo?” replicò John con aria ingenua.
 
“Con gli occhi spalancati e le labbra tirate.”
 
“È la mia faccia.”
 
“No che non lo è. Perché l’hai fatto?”
 
“Ma io non ho fatto niente!”
 
Sherlock si chiuse in un silenzio imbronciato fino all’arrivo delle ordinazioni, che furono posate sul tavolo insieme ad un discreto fascicoletto con il conto.
 
Fissando il caffè, il detective esclamò: “Ma certo!” e si alzò bruscamente, rovesciando la sedia e correndo fuori senza neanche rimettere in ordine. Con un sospiro esasperato, John estrasse il portafoglio, lasciò una banconota da dieci sterline e lo raggiunse in strada.
 
Mentre zigzagavano per Southbank, diverse persone li additarono ridendo.
 
Un grasso Babbo Natale con un costume di pessima fattura si sbarrò loro la strada per chiedere un’offerta, ma si ritrasse quasi subito, diventando rosso come la sua casacca; aveva le lacrime agli occhi e sembrava sul punto di avere un colpo apoplettico.
 
Un tizio ubriaco che barcollava in mezzo alla strada tese una mano verso di loro, rischiando di essere investito da un autobus che sbandò contro il marciapiede, e latrò: “Ehi, sci sciono i regagli di Nataglie!”
 
Una signora dall’aria distinta cambiò lato della strada quando li vide venirle incontro sul marciapiede.
 
Tornati sul luogo del delitto, pareva che nessuno avesse molta voglia di guardarli. Sally Donovan si coprì la bocca con una mano e scappò via gemendo.
 
“Ho capito!” esclamò Sherlock con quel suo solito fare plateale. “Devo solo… ma si può sapere perché mi guardate tutti così?”
 
Il ghigno sul volto di Lestrade era impressionante; i tentativi di Sherlock di spegnerlo con le sue solite deduzioni (“Noto che tua moglie ti tradisce ancora” o “Gavin, dovresti seriamente pensare a metterti in dieta, hai preso almeno tre chili dall’ultima volta che ti ho visto”) furono vani: l’ispettore cominciò a sghignazzare senza ritegno, farfugliando uno “scusa” in direzione di John, che sbuffò e scoppiò a ridere a crepapelle a sua volta. Lestrade tirò fuori lo smartphone dalla tasca dei pantaloni e lo puntò verso Sherlock, iniziando a scattargli foto da tutte le angolazioni.
 
“Che diavolo…” Sherlock era nel panico più totale. Per motivi a lui sconosciuti, la gente quel giorno si stava comportando in modo assurdo con lui: prima la cliente con il naso tappato che scappava via, poi le persone che lo guardavano e ridevano, John che lanciava strani segnali, e ora Gavin… no… Gary… no… oh, insomma, Lestrade, che lo immortalava come un animale da circo.
 
Aveva avuto per ben due volte un caso fantastico tra le mani e non aveva potuto indagare su nulla, perché… oh, chi lo sapeva il perché?
 
Ma… oh, ma certo! Chiaramente era uno stratagemma dell’assassino per non essere scoperto! Quel serial killer esperto e maniacale doveva aver escogitato un piano geniale per impedirgli di proseguire le sue indagini. Già, ma qual era il piano? Rifletti, Sherlock, rifletti. La gente ti guarda e ride, ormai questo l’hai capito. Quindi devi avere qualcosa di ridicolo addosso, probabilmente sulla faccia.
 
Colto da un pensiero improvviso, Sherlock si sfregò la porzione di pelle tra la bocca e il naso, temendo che qualcuno (tipo l’assassino) ci avesse disegnato dei baffi con il pennarello… con il risultato di far ridere John e Lestrade ancora di più.
 
“Bagno” ordinò John, indicando il corridoio.
 
 
 
 
 
 
Sherlock ritornò qualche minuto dopo con un’espressione talmente indignata che fu impossibile non ridere di nuovo.
 
“Da prima che ti svegliassi” disse John, precedendo la sua domanda. “Dormivi come un ghiro, non ho resistito.”
 
“Era il mio regalo” sghignazzò Lestrade. “Be’, sono felice che sia servito a qualcosa.” Santo cielo, ci mancava solo che si dessero il cinque. “Scusate, vado a dire a Sally che il gioco è finito.” Lanciandogli un’ultima occhiata divertita, l’ispettore di Scotland Yard uscì dalla stanza.
 
“Be’, non lo togli?” chiese John.
 
“No, non credo. Mi sta sorprendentemente bene. E comunque, l’assassino è il collega con l’unghia incarnita, dirò a Lestrade di cercarlo. Vogliamo andare?”
 
Sherlock sorrise, si abbottonò il cappotto e sollevò il colletto. Al posto di spettinarsi i capelli come al solito, però, strinse il nodo del fiocco azzurro che aveva portato in testa per tutta la mattina.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Spazio autrice
Buonsalve gente! Devo dire solo due parole. Innanzitutto, questa stupidaggine è nata da una recensione che avevo fatto a “John and the Beast” di Inathia Len, che vi consiglio di leggere perché è una fanfic fantastica. Naturalmente le recensioni a questa storia sono molto ben accette… in ogni caso, spero di avervi almeno strappato un sorriso, e buon Natale a tutti!
  
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