Le dita di Jane si muovevano con fare incerto sulle corde
della chitarra, lo sguardo basso fisso sulle dita della mano destra,
concentrata sulla sequenza giusta di accordi da seguire, non si fermava nemmeno
quando le ciocche dei suoi capelli neri e ribelli sfuggivano dalla crocchia che
aveva improvvisato sopra la sua testa. Fece una smorfia quando si accorse di
aver sbagliato e staccò la mano dallo strumento scuotendola e stirando le dita
indolenzite.
Proprio mentre stava riprendendo a suonare sentì dei rumori
provenire dall’ingresso della sua stanza, non si mosse dal letto su cui era
seduta, si limitò a incrociare le braccia sopra lo strumento e guardare la
porta che si apriva.
«Jane! Lo sapevo che ti avrei trovata qui.» La ragazza
bionda e snella che aveva appena fatto la sua comparsa incrociò le braccia al
petto sbuffando.
«Probabilmente perché è la nostra stanza?» Rispose Jane
ritornando a fare qualche accordo.
«Non fare l’asociale. Vieni in spiaggia con me e le ragazze.»
Insistette la nuova arrivata.
«No, grazie May.» Jane sorrise
sollevando leggermente il volto. «Sto bene qui, vi raggiungo più tardi.»
Aggiunse al broncio dell’amica. «Promesso.»
May
mugolò, ma alla fine cedette lasciando da sole Jane e la sua chitarra. Dopo
pochi istanti la ragazza riprese a suonare e a canticchiare.
La verità è che una parte di lei, quella che la stava
spingendo a rimanere chiusa in quella stanza d’albergo, voleva tremendamente
festeggiare le feste nella sua amata e fredda Londra, non nella soleggiata
Australia. Quando aveva prenotato il viaggio era sembrata un’idea geniale,
adesso non si sentiva affatto a suo agio. Continuava a dare la colpa al fatto
che non era abituata al sole, già era raro d’estate, figuriamoci in pieno
Dicembre, ma la verità che cercava di nascondere anche a se stessa è che le
mancava.
Le mancava Aaron da morire.
Le mancava i riccioli ribelli e scuri che le solleticavano
il volto tutte le volte che la baciava. Le mancavano i suoi occhi chiari e
profondi. Le mancava il suo sorriso e la sua voce.
Perché
era partita lo stesso?!
Continuava a domandarselo ed ogni volta la risposta era che
era partita perché era una stupida. Perché avrebbe dovuto evitare di annuire
alle parole che lui aveva pronunciato con un sorriso.
Una
sola settimana, non succederà niente e ci rivedremo.
La verità era che aveva voluto credergli con tutto il cuore,
ma in realtà sentiva la sua mancanza al livello della bocca dello stomaco.
Sentiva tutti i chilometri di distanza che li dividevano e
le pesavano. Tantissimo.
Continuava a pensare a lui, a quanto le mancava e se anche
lui sentisse o meno la sua assenza, perché comunque era una relazione appena
sbocciata e lui era stato anche troppo comprensivo nel lasciarla andare.
E questo secondo pensiero la tormentava con la paura che lei
non valesse tanto quanto lui valeva per lei, che il passaggio da amicizia ad
amore fosse stato avventato e rischioso e magari anche controproducente.
Mosse la mano destra suonando le corde con fermezza come a
cercare di scacciare quei pensieri, cercando di pensare ad una melodia da
cantare, un qualcosa che la distraesse dai suoi pensieri tormentati.
Come a rispondere ai suoi desideri, bussarono alla porta
della sua stanza.
Si fermò a contemplare il silenzio e posò la chitarra con
cura dentro la sua custodia, poggiata ai piedi del letto, strascicò i piedi
scalzi sulla moquette della camera, raggiungendo la porta con lo stesso
entusiasmo di un condannato che si dirige al patibolo.
L'ultima cosa che le ci voleva in quel momento era sentirsi
dire che stava disturbando gli occupanti della stanza accanto alla sua con la
musica, quindi si avvicinò all’ingresso con il suo miglior sguardo scocciato e
uno sbuffo.
«Sì?» Chiese contrariata aprendo la porta e sollevando solo
dopo lo sguardo verso il suo interlocutore.
«Wow.» Il ragazzo davanti a lei si portò la mano destra alla
testa con fare imbarazzato. «Non credevo che ti avrei disturbata, diciamo che
nella mia testa non era questa la reazione che mi ero aspettato.»
«Wa!» Jane saltò sul posto e portò
le braccia al collo di lui, stringendo forte e ridendo.
«Ecco, così va meglio.» Disse lui prima di stringere le
braccia intorno alla sua schiena e sollevandola da terra, mentre si spostava
verso l’interno della stanza.
«Come stai piccola?» Jane mugolò senza staccare la presa dal
corpo di lui, impaurita che se lo avesse lasciato andare sarebbe scomparso
dalla sua vista. «Jane...» Aaron sghignazzò. «Ti prego lasciami, sono qui.»
«Perché?» Cedette alla fine osservandolo dal basso verso
l’alto. «Cioè sono contentissima, ma cosa diavolo ci fai qui?» Aaron si andò a
sedere sul letto con un sorriso stampato in volto che non lo abbandonava.
«Secondo te?» Inarcò un sopracciglio, dando un paio di
colpetti al bordo del letto vuoto accanto a lui.
«Volevi vedere com’è il Natale d’estate?» Domandò titubante
Jane andando a sedersi dove le era stato indicato, facendolo ridere.
«Quasi.» Aaron le afferrò le mani e la guardò negli occhi. «Non
sono bravo con le parole, ma…» Infilò una mano in tasca e ne estrasse un
lettore mp3.
«Non è vero che non sei bravo con le parole.» Protestò Jane,
mentre lui premeva i tasti del lettore a testa bassa.
«C’è chi è più bravo di me e che apprezzi.» Affermò
risollevando il volto verso di lei.
«Dove sono le tue cuffie giganti?» Chiese guardandosi
intorno, Jane scosse la testa alzandosi e andando a prenderle all’interno di
uno zaino abbandonato sulla scrivania della stanza.
«Non mi dirai di più, vero?» Domandò retoricamente mentre
gli porgeva le cuffie, lui scosse la testa divertito mettendole gli auricolari
alle orecchie e dando il via al lettore.
La voce di Michael Bublé invase la
sua mente, calda e rincuorante come sempre, Jane sorrise ad Aaron mentre lui la
guardava.
I suoi occhi non abbandonarono mai quelli di lei, mentre
Michael le cantava parole di una dolcezza infinita, sentiva le lacrime lottare
per uscire, mentre le dita di Aaron si intrecciavano e strecciavano dalle sue.
Jane si avvicinò al petto di lui nascondendo il volto, permettendosi di
chiudere gli occhi, sentendo le ciglia bagnarsi con le sue lacrime salate
quando sentì le labbra del suo ragazzo posarsi sulla sua testa, mentre con una
mano la stringeva e con l’altra le carezzava i capelli.
«Quindi…» Iniziò incerta con la voce rotta e decisamente più
alta del necessario.
Aaron la fece rialzare e le calò le cuffie sul collo,
sorridendo dolcemente.
«Quindi hai quello che serve per farmi volare da Londra a
Melbourne solo per passare il Natale con te, perché serve più forza di quel che
pensavo per starti lontano e ci vuole qualcuno di speciale per farmi dire che…»
Jane si avvicinò a lui con slancio lasciando che le loro labbra si
incontrassero.
«Ti amo anche io.» Disse quando si allontanò leggermente per
riprendere fiato. «Ed il fatto che tu sia qui è il regalo più bello che potessi
farmi.»
«Quindi posso tenere per me il lettore ed il cd digitale?»
Domandò Aaron sorridendo divertito, mentre continuava a muovere il naso contro
quello di lei.
«Non pensarci nemmeno.» Rise Jane prendendo il lettore dalle
mani di lui.
***
No, non mi bastava un Daydreamer solo quest’anno. Ù_Ù
In realtà è arrivata prima questa idea dell’altra, ma poi era corta, era solo un estratto di una storia più grande e sinceramente non sentivo l’atmosfera di Natale, un po’ come Jane. Quindi l’ho messa da parte, ma poi mi dispiaceva non pubblicarla, anche perché anche questa era per una persona a cui voglio un mare di bene. Quindi vi prendete anche questa shot, scusate.
All’inizio Aaron doveva essere il signor Aaron Taylor-Johnson, ma poi ho visto che non c’era nemmeno un riferimento, quindi l’ho pubblicata fra le originali. La ff è ambientata nel 2009 e la canzone di Michael Bublè che Aaron dedica a Jane è Baby (You’ve got what it takes) [https://www.youtube.com/watch?v=4toIlFUcvrQ]
Buone Feste a tutti
Un abbraccio, specialmente a te, Anna.
Cos