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Autore: Shu    11/11/2008    2 recensioni
Portami con te, mia signora, in questo viaggio.
In una cavalcata immaginaria per le strade dell'Impero, un'altrettanto immaginaria riflessione di Suleyman.
Songfic molto sui generis ispirata a musica e testo di "Night Ride Across the Caucasus", Loreena McKennitt. (Spoiler fino al vol.8 del manga)
Genere: Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Seth Nightroad, Suleyman
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ride on through the night

Ride on through the night, ride on…

 

There are visions, there are memories

There are echoes of thundering hooves

There are fires, there is laughter

There's the sound of a thousand doves

 

In the velvet of the darkness

By the silhouette of silent trees

They are watching, they are waiting

They are witnessing life's mysteries

 

Cascading stars on the slumbering hills

They are dancing as far as the sea

Riding over land you can feel its gentle hand

Leading on to its destiny

 

Take me with you on this journey

Where the boundaries of time are now tossed

In cathedrals of the forest

In the words of the tongues now lost

 

Find the answers, ask the questions

Find the roots of an ancient tree

Take me dancing, take me singing

I'll ride on 'til the moon meets the sea

 

Ride on through the night, ride on…

 

 

[“Night Ride Across The Caucasus”, Loreena McKennitt]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Portami con te, mia Imperatrice, in questo viaggio.

Io mai ti ho vista dietro le tue cortine, sotto ai veli che ti nascondono il volto, ma conosco tutti i movimenti eleganti eppure vivaci delle tue dita, delle tue mani, con esattezza rivedo nello specchio della mente il tuo modo di accavallare le gambe, quelle gambe troppo magre da bambina che sai muovere nel passo di una donna di potere.

Coperta di gioielli e di trine, io eppure t’immagino liberarti in un fruscio infinito, con una risata, di tutti i tuoi drappi, mostrarmi un volto che non so figurarmi, e montare a cavallo, i veli che si disperdono dietro alla tua corsa come la spuma del mare.

Chiedimi di venire con te, ed io ti seguirò. Non importa il luogo, non te lo chiedo, mi basterà vedere sempre, sempre di fronte a me la polvere della strada che aprirai, il turbinare delle tue vesti.

Attraverseremo in un’unica linea diritta e fiera i deserti gelidi a nord del mare, dove né gli uomini dalla lunga vita né i mortali da secoli posano più il piede. Vedremo paesaggi dimenticati, città fantasma che si sgretolano nella polvere, i templi di coloro che credevano negli dèi sprofondare in piscine di sabbia.

Ma anche se farai scartare il cavallo e t’inerpicherai su per le montagne, non mi tirerò indietro. Lascia pure che la nebbia si porti via il rumore degli zoccoli del tuo destriero, che le tue tuniche si confondano con il verde delle foreste: io non ti perderò di vista. Tra gli alberi antichi quanto noi, dove il tempo non conta più nulla, io raccoglierò i veli che lascerai sul sentiero, impigliati fra i rami, e ne aspirerò il profumo, e allora forse qualcuno dei tuoi misteri sarà sciolto. Ma già mi vedo che tu continui a ridere, per un istante ti volti verso di me, ma non basta a cogliere i tratti del tuo viso; sei già fuggita, già corsa di nuovo avanti.

Raccoglierò la sfida, non temere. Spronerò il mio cavallo e ancora ti seguirò.

Quando in mezzo alle fronde il tramonto sfumerà nella notte, mi guiderà il sentore del tuo immenso potere, quello che tu sempre lasci su ogni cosa che tocchi. Il ricordo della tua risata mi sarà sentiero, la certezza con cui calchi il suolo illuminerà anche il mio cammino.

Perché vedi, Augusta Imperatrice, la terra che tu sfiori reca sempre impressa la traccia del tuo passaggio. Se l’accarezzi con le tue vesti color dei prati, essa torna verde, in mezzo ai voli degli uccelli sboccia davanti ai tuoi passi di nuovo in giardino; se lasci abbattere su di lei la tempesta della tua potenza, mai tornerà a fiorire. Tu stessa sei il destino della tua terra, e se su essa cammino, cavalco nella notte, io questo lo sento.

Corri, continua a correre davanti a me, a eludermi per quanto sfianchi il mio destriero, tu, splendida, minuta e inafferrabile come una farfalla. Coglierò i tuoi colori fra gli alberi, li distinguerò dalla danza delle stelle, mai li perderò d’occhio. Per te, sono capace di cavalcare fino alla fine della notte, fino ad incontrare un altro mare, e distruggermi nella luce del giorno nuovo.

Solo di una cosa ti prego. Non ti fermare.

Non esitare mai nel cammino da prendere, non scendere da cavallo per abbeverarti ad una fonte.

Non aspettarmi.

Perché allora potrebbe venirmi il desiderio di superarti.

Se mai ti troverò là, che mi sbarri la strada, che immobile e silenziosa ti poni davanti a me guardandomi negli occhi…

…se mi guarderai con quegli occhi che non so immaginare, e chiederai a me quale strada prendere, se vorrai cambiare tutto del nostro viaggio e domanderai a me il coraggio di scegliere con te un cammino nuovo e inconcepibile…

…io so che il terrore scioglierà le briglie del mio destriero, e correrò davanti a te.

Perché sono certo che tu lo sai, Imperatrice, anche se io stesso non me ne rendo conto, che sono ancora il bambino che s’incantò su una spiaggia a vedere una farfalla e una ragazzina con gli occhi color della giada. Il mio galoppo in questo viaggio somiglia ancora alla confusione e allo sconosciuto turbamento che quel giorno mi fecero scappare via, sulla groppa del mio piccolo corsiero, sgomento che una bambina del popolo e una farfalla potessero essere più belli, rubarmi il cuore più di tutte le infinite stanze dei palazzi.

Vedi, mia signora, io ho paura. Ho paura di te come avevo paura di quella ragazzina, perché non vi capisco. Non capivo dove mi avrebbero portato gli occhi di lei, se solo vi avessi indugiato dentro ancora un istante, e non comprendo dove mi voglia portare tu, per quale impossibile strada tu voglia trascinare il nostro impero. Perché tu lo sai che io ti seguirei per tutta la vuota vastità dei deserti, per te attraverserei le selve, mi lascerei sferzare dalle correnti sulle vette degli altopiani: ma a patto, Maestà, che cavalchiamo sempre in avanti, verso la gloria della luna, dove essa si fonde col mare.

Non abbiamo forse sempre corso verso Oriente, noi, percorrendo al contrario il viaggio di quel sole che ci odia? Verso i luoghi dove è sempre stata la bellezza, con i suoi profumi, le spezie e la seta, i palazzi antichi come il mondo dove ci si stendeva sui cuscini e sui tappeti, ad ammirare il tramonto? Non sono nate qui, nella nostra terra, le città, non sono nati qui l’incanto e lo splendore, il sottile mistero che tu incarni così perfettamente?

Perché, Maestà, rivolgi il tuo sguardo all’Occidente?

Sulla Roma sterminata e corrotta, tutta rivestita di marmi e della bella facciata del suo Dio, dove sempre si sono consumati e ancora si perpetrano tutti gli orrori, le miserie della razza dalla breve vita?

Io non capisco perché, mia signora. Io non ti capisco.

E mentre ti amo, e ti vorrei seguire fino all’ultimo confine del mondo, nello stesso istante il destriero della mia fierezza, della mia intelligenza s’impenna, schiuma, morde il freno. E allora ti odio, perché voglio, voglio, pretendo di comprendere, e io uomo lascio te bambina nella polvere, ti corro avanti e avanti, nella smania di riuscire a dimenticarti.

Giacché tu sei troppo grande e riempi ogni cosa, io senza annullarmi non posso esistere dove ci sei anche tu.

E sprono ancora di più il mio cavallo, e ancora accelero il mio volo, spero di trovare davanti a me terra sconosciuta e vuota ove non ci sia traccia di te, dove possa mettere radici la dimenticanza.

Ma in fondo, so che ovunque andrò, gli ultimi bagliori del sole mi ricorderanno sempre i tuoi gioielli, la bruma le impalpabili cortine del tuo trono. Perché io non posso vivere dove non ci sia la vita stessa, nella mia nuova terra ci devono essere acqua, e piante, ma il mormorio dei ruscelli mi suonerà identico alle tue risate, il verde degli alberi occuperà ovunque il mio sguardo, come da sempre i tuoi drappi e le tue vesti.

Non posso fuggire da te senza fuggire dalla vita.

Nel rosso scarlatto del tramonto, nel verde delle cattedrali delle foreste io correrò via, me ne andrò da te. E in quegli stessi colori, inevitabilmente, so che tornerò da te, a te che sei tutto mi ricongiungerò, rubino e giada, il mio sangue e la tua maestà.

Il cerchio si chiude sempre.

   
 
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