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Autore: Only Lisa    24/12/2014    0 recensioni
7 fratelli (Dimitri, Brandon, Jeremy, Gabriel, Alexis, Kyle e Emy) che diventano 7 sconosciuti, ma tra dolore e sofferenza sono pronti a ricominciare ad amarsi.
Dal testo:
«Questa è una sistemazione temporanea.»
Ai bambini non era ben chiaro il significato di quella frase, credevano che sarebbero tornati a casa loro o nel peggiore dei casi avrebbero cambiato orfanotrofio, ma così non fu, ben presto lo capirono a loro spese.
***
Alexis era rimasta sola, tutti gli altri se l'erano portati via.
Prima di essere trasferito Dimitri le promise che quando sarebbe stato maggiorenne sarebbe andato a prenderla e allora avrebbero cercato insieme i loro fratelli
Da allora passarono 10 anni ma di suo fratello Dimitri nessuna traccia...
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Correvano gli anni novanta, il suoi primi sei decenni erano passati da ormai otto anni.
Nieuw Amsterdam, sotto il dominio Inglese da quattro anni, era stata ribattezzata New York.

New York 10 Agosto 1968.

I bambini giocano allegri per le strade di New York, il sole è alto in cielo e i genitori li osservano il lontananza.
Un gruppetto di bambini che fa il girotondo poco più distante dagli altri si differenzia dalla massa; non indossano abiti nuovi e profumati, non hanno i capelli i ordine, né la faccia pulita, anzi, è esattamente l’opposto, ma hanno un sorriso che gli altri bambini non possiedono, il sorriso dovuto alla fratellanza e all’amore che provano l’uno per gli altri.
Sono cinque ragazzini e due bambine, la maggiore tra le due tiene in braccio la più piccola di soli pochi mesi.
Sette bambini che non si somigliano per niente, eppure, tutti sanno che quelli sono i fratelli Tresor, figli di due mendicanti e membri della famiglia più povera dell’intero quartiere. Alcuni passanti si voltano dall’altra parte oltrepassando i volti sporchi di fuliggine dei piccoli, un po’ per dispiacere, un po’ per omertà, mentre altri, i signori di alto rango, gli scansano come se avessero la lebbra ed altri, i più gentili d’animo, li guardano impietositi e desolati per poi di tanto in tanto qualcuno va lanciandogli qualche spiccio.
L’elemosina, ecco cosa mandano a fare i figli per strada i ‘signori’ Tresor.
Mentre tutti gli altri genitori vestono i figli tutti impettiti e gli danno un cestino con tante squisitezze da mangiare durante la merenda per poi mandargli a scuola per avere un po’ di cultura, loro vestono i figli di soli stracci, sporchi di fango e di polvere che hanno acquisito il giorno prima vagabondando per le strade.
La bambina dai capelli rossi, porge l’ultimo pezzo di pane, rubato la sera prima dalla cesta dei genitori, ai suoi fratelli, restando così a mani vuote e bocca asciutta, ma questo poco le importava, lei si cibava della felicità dei suoi fratelli, quando vedeva loro stare bene il suo cuore era sazio.
Nel frattempo, in lontananza si odono dei passi pesanti avanzare in contemporanea per poi scorgere delle ombre nere farsi spazio tra la polvere che si innalza nelle strade.
Uno squadrone di uomini vestiti di grigio si avvicinava al gruppo dei sette bambini, uno di loro prese per un braccio il maggiore tra i sette, lui puntò i piedi a terra e si oppose, ma il grande omone in divisa lo trascino ugualmente in un furgoncino poco distante da loro, gli altri presero i quattro maschi rimasti e gli strattonarono fino a destinazione, mentre il più vivace tra i quattro, nonché il più giovane tra i ragazzi, che di seguirli proprio non ne voleva sapere, venne caricato in spalla da uno di quegli omoni e gettato di peso nello stesso mezzo in cui precedentemente avevano rinchiuso con la forza i suoi fratelli, allora gli uomini si avvicinarono all’unica bambina rimasta ancora fuori, che in braccio teneva stretta sua sorella, ma una donna, l’unica nel gruppo, si fece spazio tra quegli uomini per poi piegarsi con il busto in avanti verso le bambine.
Era vestita distintamente, non indossava una divisa come gli altri, ma un semplice completo beige che le dava un aria più sofisticata e la rendeva più snella.
«Tu e la tua sorellina dovreste venire con noi, non vi faremo del male, lo prometto.» disse alla maggiore con un sorriso rassicurante.
La bambina si guardò intorno disorientata cercando una via di fuga che però non trovò, così strinse salda al petto il fagotto con sua sorella e annui debolmente.
La donna, si diresse verso il veicolo con le due piccole al suo seguito ed uno squadrone a coprirgli le spalle.
La ragazzina era contrariata nel seguirla, ma non poteva farne a meno, le si leggeva in volto la preoccupazione e la paura per quello che avrebbero potuto fare ai suoi fratelli e ancor più, per il modo in cui l’avrebbero presa con la forza rischiando di far del male alla sua piccola sorellina se non avrebbe fatto il loro volere, così, aveva scelto la via più facile, quella di acconsentire alla loro richiesta e seguirli obbediente con il capo chino.
Uno di quegli uomini l’aiutò a salire nel furgone dove i suoi fratelli l’attendevano con il volto rigato dalle lacrime, ma lei non si fece scoraggiare dalla situazione e gli sorrise amorevolmente.
Il più dolce tra i tre gemelli estrasse dalla tasca dei suoi pantaloni stracciati e sporchi un foglietto stropicciato e con ancora le guance piene di lacrime lo porse a sua sorella.
«Che cos'è?» chiese lei curiosa mentre il 'carro' era già in movimento
Lo aprì e vide ciò che era ritratto al suo interno, erano sei bambini, mano nella mano e l'unica femmina tra i sei ne teneva tra le braccia una più piccola, erano loro.
«Auguri.» disse il piccolino ricordandogli che quello era il giorno del suo compleanno
Lei non resse più la pressione e molteplici singhiozzi abbandonarono le sue labbra.
L'altro dei gemelli, quello che mangiava più di tutti, le tolse la piccola dalle braccia e nel frattempo l'ultimo dei tre gemellini, quello più silenzioso, l'abbracciò stringendosela forte al petto.
Il viaggio proseguì così, per nessuno sa quanto tempo, tra buche, curve e imprevisti vari finché i piccoli non si trovarono davanti ad una villa enorme, ma mal andata, era una casa a due piani, con un enorme recinto di ferro intorno e un cancello altrettanto grande che ne consentiva l'entrata.
Le porte del cancellano si aprirono e il furgone si diresse proprio al suo interno, dopo aver percorso il viale d'entrata, l'autista si fermò di colpo, facendo sì che i bambini facessero un piccolo balzo in avanti.
Non avevano fatto caso alle quattro guardie che erano dietro insieme a loro finché la donna con l'abito beige non aprì la portiera del furgone per far scendere i piccoli e gli omoni scesero dietro di loro, impedendogli qualsiasi via di fuga.
Quegli omoni robusti cominciarono a spintonarli in avanti per farli camminare, arrivarono davanti alla porta dove ne uscì un uomo parecchio buffo, o almeno così pensava quella peste del fratello maggiore; aveva un completo nero, con una camicia bianca e una cravatta dello stesso colore del completo ad incorniciare il tutto, riguardo l'aspetto era parecchio basso e cicciottello, con due baffi neri e i 'capelli' (se così si possono chiamare) del medesimo colore, ma coprivano solo i lati della testa, lasciandone scoperto il centro che lui appositamente copriva con un cappello altrettanto ridicolo, era a forma di cilindro, ma gli si era spostato su un lato della testa, lasciando così, libera visuale verso la sua testa lucida e senza capelli.

«Dunque, dunque, dunque. -iniziò il buffo uomo con il cappello dirigendosi verso i sette bambini- Voi dovete essere i fratelli Tresor?» annunciò, ciò sembrava più un'affermazione che una domanda ma loro annuirono lo stesso.

«Io sono il signor Pierroth, -si presentò- e sono il proprietario di questo collegio.» concluse

I piccoli si guardarono disorientati, non capendo il motivo della loro presenza in quel posto, che però gli venne subito spiegata.

«Io invece sono Janine, faccio l'assistente sociale, -gli sorrise la donna dal completo beige- sono stata informata delle pessime condizioni in cui vi trovavate da alcuni testimoni del vostro malessere, così sono venuta a controllare io stessa e non appena ho visto in che condizioni eravate non ho potuto fare a meno di intervenire e il signor Pierroth, si è gentilmente offerto di ospitarvi nel suo orfanotrofio fino a che non vi troveremo un'adeguata famiglia affidataria.» li informò

«Voi siete... fatemi indovinare un po'. –disse l’uomo paffuto col cappello arricciandosi un baffo- Dimitri, 10 anni - affermò indicando il maggiore tra i fratelli mentre lui annuì energicamente- Jeremy di 8...» indicò poi il più paffuto tra i gemelli ma lui scosse la testa.

«Io sono Gabriel, Jeremy è lui.» rispose imbronciato il piccolo indicando l'altro gemello, il più dolce.

«Quindi in ordine di esclusione tu devi essere Brandon, l'ultimo dei gemelli. -annunciò il signor Pierroth indicando il più silenzioso tra i sette, mentre lui annuì debolmente- e questa peste è sicuramente Kyle di soli 4 anni, giusto?» chiese al più piccolo tra i ragazzi scompigliandogli i capelli e guadagnandosi così un'occhiataccia in segno di disapprovazione da quest’ultimo.

«Mentre voi signorinelle, dovete essere…-stringe gli occhi per ricordarsi qualcosa che forse aveva letto in precedenza- Alexis di 6 anni e Emy di pochi mesi, giusto?» domanda e la piccola annuisce con sguardo basso.

«Dai su, entrate pure, non vorrete attendere tutto il tempo qui fuori spero.» dice sorridente il proprietario di quella struttura per poi poggiare la sua mano paffuta sulla schiena della bambina e pian piano dirigerla verso l’entrata mentre gli altri lo seguono in silenzio.

Non appena entrati, la prima cosa che per prima risaltò ai loro occhi furono le pareti con la tappezzeria a fiori, subito dopo notarono una moquette rossa con ad un angolo della stanza, poco distante da un piccolo tavolo in legno, una macchia molto evidente, nascosta o quasi da un divano di stoffa beige.
Il resto della casa era arredata più o meno nello stesso modo; tappezzeria a fiori, moquette rossa e arredamento di legno mogano con uno strano simbolo intagliato sopra, come tre gocce messe una accanto all’altra con la punta verso il basso, fino ad arrivare ad un enorme scalinata con all’inizio due colonne con due sfere anch’essa in legno del medesimo colore di tutto l’arredamento.
Sarebbe stata una villa davvero bella se non fosse stato per le macchie di umidità agli angoli delle pareti che le rendevano di un colore grigiastro e per il soffitto che evidentemente sgocciolava date le pentoline disposte sotto ognuna di esse. Per non parlare del pavimento che scricchiolava ad ogni movimento e le travi di legno mancanti in alcuni punti del piano superiore dove la moquette veniva sostituita da un parquet in legno di ciliegio. E infine la paura nel salire le scale dopo aver notato che il passamano dove avrebbero dovuto reggersi non era saldo e rischiavano di cadere di sotto se non fossero stati attenti.
Ma evidentemente loro sette erano gli unici ad essersi accorti di questi ‘piccoli’ particolari, infatti, Janine procedeva serenamente al seguito di Pierroth, senza far caso agli inconvenienti che si presentavano lungo il loro cammino o evidentemente fingeva di non vederli.
Il giro turistico che avevano fatto insieme ai due, per conoscere meglio la casa, terminò davanti ad una porta che si trovava alla fine del lungo corridoio in cima alle scale. «Ecco la vostra nuova camera.» annunciò il signore dal buffo cappello conosciuto come Pierroth, spalancando la porta per poi presentare davanti ai volti sorpresi dei bambini una lunga camera con sei lettini disposti uno difronte all’altro.

«Manca un lettino.» precisò Dimitri, non appena ebbero messo piede nella stanza
«Noi siamo 7 ed i letti sono 6.» mormorò Brandon che ancora non aveva proferito parola sin da quando erano stati gettati nel furgoncino.
«Questo è perché la piccola Emy dormirà con vostra sorella per un po', tanto questa è una sistemazione temporanea.» annunciò Pierroth
Ai bambini non era ben chiaro il significato di quella frase, credevano che sarebbero tornati a casa loro o nel peggiore dei casi avrebbero cambiato alloggio, ma così non fu, ben presto lo capirono a loro spese.
All’ora di pranzo i bambini vennero richiamati al piano di sotto da una delle domestiche che non avevano fatto caso abitare in quella casa.
Non appena scesi si ritrovarono davanti una tavola bandita e piena zeppa di cibarie di ogni tipo, cosa che pensavano loro avrebbero potuto solo sognare, ma invece era vero, c’era una tavola piana di mille squisitezze che attendeva solo loro.
Fino a quel momento non avevano fatto caso che intorno alla tavola c’erano altri bambini, anche loro avevano più o meno dai 2 ai 12 anni.
«Venite, accomodatevi pure.» li richiamò il signor Pierroth dal vertice di quell’enorme tavolo.
«Sedetevi qui, vi ho conservato dei posti accanto a me.» li avvertì
Così si diressero da lui e stettero in piedi ad aspettare un suo cenno che non tardò ad arrivare.
Il pinguino, (così l’aveva soprannominato quella peste di Dimitri, per via del suo buffo abbigliamento e del suo ancora più buffo modo di camminare che effettivamente ricordava un pinguino) scostò la sedia alla sua sinistra e Alexis vi ci si accomodò, così facendo tutti gli altri fratelli seguirono il suo esempio prendendo anch’essi posto, chi al suo fianco, chi difronte e chi poco distante da lei ma pur sempre accanto ad un altro dei suoi fratelli.
Nonostante alla sua destra, proprio tra lei e il signor Pierroth ci fosse una piccola seggiola, messa lì appositamente per la sua sorellina, lei non ve la introdusse dentro, preferì tenerla in braccio e malgrado in quella posizione fosse scomodo mangiare, di abbandonare sua sorella proprio non ne aveva voglia, era come se avesse paura che qualcuno potesse portargliela via, fu forse il suo istinto a suggerglielo, ma fatto sta che per nessun motivo lasciò sua sorella.
Gabriel infilzò una patata che la cameriera stava riponendo sul tavolo e lei le diede uno schiaffo sulla mano guardandolo torvo.
«Prima di mangiare dobbiamo ringraziare il signore per ciò che ci ha dato oggi. Quindi abbassate il capo e ripetete ciò che dico io.» gli avvisò il signor Pierroth che sedeva a capo della tavola

“Grazie o Dio, per il pane che ci hai dato.
Ti prego affinché non manchi mai sulla mia tavola e su quella delle persone che amo.
E ti chiedo di aiutare chi non è fortunato come me.
Amen.”

Dopo che tutti i presenti ebbero ripetuto questa cantilena, lui diede a tutti il permesso per mangiare.
Inutile dire che persino dopo che i fratelli ebbero mangiato a sazietà come non mai in vita loro e che molto probabilmente non avrebbero toccato cibo per giorni dopo quella grande scorpacciata, il piccolo Gabriel si ingozzava ancora e ripuliva tutto ciò che i fratelli, ormai sazi, non avevano consumato.
Dopo che anche lui ebbe finito di pranzare, il che accadde solo quando le cameriere ebbero rassettato l’intera tavolata togliendogli ogni piatto da sotto il muso, i piccoli si concessero educatamente e se ne risalirono i quella che ormai era la loro stanza.
Durante l’arco della giornata chiacchierarono tutto il tempo interrogandosi sul perché si trovassero il quel posto e di tanto in tanto fecero qualche spuntino, o meglio, gli altri mangiarono solo un biscotto per uno e bevvero una tazza di succo a mezza giornata mentre Gabriel, che era un pozzo senza fondo, mangiò anche ciò che i vassoi dei suoi fratelli contenevano.
La cena fu molto diversa dal pranzo, fecero la solita preghiera ma al contrario di quest’ultimo mangiarono solo qualcosa di leggero, perché non dovevano dormire pesanti, o così gli aveva raccomandato la cuoca che era uscita dalla cucina appositamente per consegnare personalmente il cibo ai nuovi arrivati.

«Perché mamma e papà non sono venuti a prenderci?» questa fu la frase che interruppe i pensieri di Alexis mentre alla sera cercava di addormentarsi.
«Cosa?» chiese al suo piccolo fratellino facendo finta di non aver capito
«Perché non vengono a prenderci? Non ci vogliono bene? Io qui non ci voglio stare, voglio tornare a casa mia.» piagnucolò Jeremy
Istintivamente scese dal suo letto e si avvicinò a quello piccolo che singhiozzava sotto le coperte nel letto accanto al suo.
«Shh…dai su, non dire così, sono certa che domani verranno a prenderci e torneremo a casa.» lo consolò neanche lei tanto sicura delle sue parole.
Gli accarezzò la testa finché lui non si addormentò, poi si alzò e dopo aver realizzato che ormai dormire era impossibile dati i mille pensieri che gli martellavano la testa, si diresse alla finestra che si trovava alla sinistra del suo letto e si sedette sul suo davanzale intenta a guardare la luna che quella sera le sembrava meno brillante del solito.
Quella sera la luna non le sembrava un viso sorridente e non le dava tranquillità come era solito, ma le dava angoscia e le sembrava un viso cupo e triste.
«Non riesci a dormire eh?» la fece sobbalzare Brandon sbucandogli dietro le spalle.
Lei scosse la testa.
«Neanche io ci riesco, non credo che quei due verranno mai a prenderci e seppure lo facessero è quasi impossibile che ci lascino andare via con due sbandati del genere. –confessò- E sono certo che nonostante ciò che hai detto a Jeremy lo pensi anche tu, non dire il contrario, ti conosco bene sorellina.» sorrise amaramente per poi sedersi sul pavimento appena sotto il davanzale dove si trovava Alexis, che ricambiò il sorriso e annuì per poi rivolgere il suo sguardo al celo scuro e inquietante di quella notte, o forse era lei a vederlo così brutto a causa del suo pessimo umore.
«Ho sempre saputo che sei un ottimo osservatore e che a te non si può nascondere nulla.» ammise
«Secondo te ci separeranno?» chiese diretto e senza giri di parole
«E’ quello che temo…» confessò lei per poi nascondere il viso tra le ginocchia
Nonostante la piccola età, quei bambini ragionavano come adulti ed erano persino più intelligenti di alcuni di loro.
Chiacchierarono sino all’alba e anche oltre, finché a causa della brezza fredda mattutina decisero di rintanarsi nei loro letti e provare se non a dormire, per lo meno a riposarsi per il giorno dopo, il quale sospettavano essere persino più stancante del trascorso.

La mattina vennero svegliati a causa delle urla proveniente dal piano inferiore e con cautela, senza fare alcun rumore Alexis si appostò in cima alle scale, cercando di capire da dove provenissero quelle urla e non appena notò due volti familiari difronte al signor Pierroth sobbalzò, per poi accovacciarsi dietro il muro e stare lì ferma ad origliare quello che i tre avevano da dirsi.

«Non potete toglierci i nostri bambini!» rinfaccio la signora dai lunghi capelli neri al signor Pierroth

«Quei sette ci servono!» continuò urlando l’uomo con la carnagione scura

«Vi spiegherò con calma, seguitemi nel mio ufficio.» gli rispose tranquillamente il signor P.

Loro lo seguirono per poi entrare in una porta a destra dell’ingresso e sparirvi lì.

La piccola stette ancora nella sua posizione finché non si sentì toccare la spalla e ciò la fece sussultare.

«Che stai facendo?» le chiese con fare indagatorio Dimitri

«Niente…» rispose frettolosamente ma ciò non convinse suo fratello

«Dai dimmi.» le ordinò quasi

«I nostri ‘genitori’, se così si possono chiamare sono giù e stanno discutendo con il signor Pierroth.» confessa infine

«Che hanno detto?» domanda il fratello curioso

«Nulla di importante, solo che non possono portarci via da loro perché noi gli serviamo.» dice la piccola per poi rattristarsi
«Neanche un accenno al fatto che ci vogliono bene.» mormora ancora triste

«Bhè che ti aspettavi? Loro non ci vogliono bene.» le ricorda il maggiore.

Potrà anche essere una cosa cattiva da dire, ma è la pura verità.

«Non permettetevi più a tornare qui o vi faremo arrestare, vi abbiamo già denunciato per sfruttamento minorile e con le aggravanti che mi si presentano d’avanti non esiteranno a sbattervi in prigione. –urla il signor Pierroth da dietro la porta del suo studio- Siete solo due delinquenti e se volete il mio consiglio vi conviene abbandonare New York.» sbraita infine per poi sbattere quei due sfaticati fuori la porta del suo studio e infine fuori dalla villa.

Nessuno aveva mai visto il direttore del collegio così arrabbiato, ne chi come i 7 piccoli lo conosceva da poco, ne chi, come tutte le inservienti lo conosceva da una vita ormai.
Chissà che cosa grave era successa per farlo arrabbiare così tanto e scatenare la sa furia... ma una cosa era certa, c’entravano quei due.
La cosa non sembrava tanto strana agli occhi dei due piccolini in cima alle scale, ormai era quotidianità che ogni volta che qualcuno incontrata i loro genitori finiva per sbraitare e maledirli.

13 Agosto 1968. Sono passati solo tre giorni da quando i sette piccoli hanno messo piede in quella casa eppure, i nemici non tardano ad arrivare.
Alexis scende le scale per dirigersi al piano di sotto ed è così immersa nei suoi pensieri da non accorgersi di un ragazzo che si trova difronte a lei andandogli a sbattere contro.
«Ehi piccoletta! Bada a dove metti i piedi.» non ha neanche il tempo di scusarsi che lui gli da' contro
«Scusami non ti ho visto.» si giustifica desolata la ragazzina
«Cosa sei una talpa che non mi hai visto? Non sono mica una formica.» l'aggredisce irritato un ragazzo sui 10 anni.
«Mi dispiace non l'ho fatto apposta, non volevo.» prova ancora a discolparsi
«Se tu non hai visto me, io farò in modo che nessuno veda te quando ti schiaccerò come un insetto.» la intimorisce il ragazzo con un ghigno maligno in volta
«Stalle lontano.» lo avverte Dimitri mettendosi tra i due
«E tu chi sei?!» domanda infastidito
«Suo fratello.» risponde secco serrando la mascella
«Oh, che paura! Hai chiamato il tuo fratellino, non sai neanche difenderti da sola bamboccia.» dice con una vocina stridula imitandola per deriderla
«Attento a te ragazzino, non avvicinarti più a mia sorella altrimenti, fa si che io ti vedo anche solo una volta nei paraggi quando c'è lei e me la pagherai cara.» annuncia puntandoli contro un dito con fare minaccioso
Il ragazzo salta sul posto spaventato per poi irrigidirsi e un attimo dopo riprendersi.
«Ci si vede in giro.» dice e dopo aver lanciato un'occhiataccia, sparire.

22 Agosto 1968

I raggi del sole filtrano tra le tapparelle della stanza dei piccoli, un silenzio rassicurante regna in quella camera. Tutti dormono, c'è chi è a pancia in giù, abbracciato all'orsacchiotto, a pancia in su o rannicchiato, ma una cosa è chiara tutti sonnecchiano beati finché qualcosa o meglio qualcuno non li sveglia. E' il lamentarsi di un bambino a far balzare i piccoli fuori dai loro sogni e schizzare giù dai letti, la piccola Emy piagnucola disperatamente nella sua culla e i suoi fratelli non ne comprendono il motivo, si impegnano per cercare di farla smettere ma con scarsi risultati, per poi ipotizzare che abbia fatto solo un brutto sogno facendola svegliare in malo modo.

Ma non ne sono tanto certi, hanno tutti una strana sensazione addosso che gli provoca la pelle d'oca e un senso di malinconia, c'è qualcosa nell'aria, qualcosa di brutto sta per accadere, il loro istinto non sbaglia mai.

Un picchiettare interrompe i loro pensieri, qualcuno bussa alla loro porta, per poi chiedere se possono entrare e loro educatamente danno il permesso alle misteriose persone che non appena hanno finito la frase varcano la porta sorridenti.

Non sembrano di lì, né tanto meno sembrano il tipo di persona che vive in un orfanotrofio. Erano ben vestiti, tutti addobbati, persino più del lampadario che una volta Jeremy aveva visto passando davanti casa di alcuni ricchi signorotti e c'erano più animali addosso loro che nello zoo in cui una volta Kyle si era intrufolato.

«Salve noi siamo i signori Blanc, il mio nome è Odette.» disse la donna con la volpe intorno al collo con uno strano accento molto simile a quello del signor Pierroth.

«Io invece, sono François, suo marito.» si presentò sorridente

«Allora, dov'è la nostra piccolina?» domandò la signora Blanc con voce stridula incrociando le mani davanti al viso

«Seguitemi.» disse il signor Pierroth sbucando da dietro la porta con il fiatone.

Era sempre così, spesso capitava che i piccoli erano saliti da una dozzina di minuti prima che lui arrivasse.

Si diresse verso la culla della piccola per poi prenderla in braccio e consegnarla alla signora dai capelli castani dalla pelle candida e gli occhi neri.

«Uh, com'è carina.» esclamò la donna non appena la ebbe tra le braccia

«Ciao piccola.» si avvicinò l'uomo passandogli un dito sulla fronte

«Ti chiameremo Evangeline, perché sembri quasi un angelo.» annunciò la donna sollevandola in aria mentre la piccola inizio a frignare.

7 Settembre 1968

Nell'oscurità della notte si sentono dei flebili singhiozzi spezzati riecheggiare nell'aria, sono della piccola Alexis che come ogni notte da ormai due settimane si sveglia di soprassalto nella notte nascondendosi sotto le coperte ed iniziando a singhiozzare, credendo che quest'ultime possano fargli da scudo e camuffare i suoi singhiozzi. Deve essere forte, per i suoi fratelli. Questo è ciò che si ripete ogni mattina appena sveglia ed ogni sera prima di addormentarsi, ma non è abbastanza. Da quando quei due gli hanno portato via la sua dolce sorellina la sua vita non è più la stessa, lei non è più la stessa, non ha più il sorriso negli occhi, perché si, quella bambina non sorrideva con la bocca ma con gli occhi e quando lo faceva era uno spettacolo unico. Adesso continua a sorridere, lo fa per i suoi fratelli, perché si sente la responsabilità di badare a loro, un po' come una mamma, li consola e li conforta, dicendo che tutto passerà, che ogni cosa andrà al suo posto ed ogni problema si risolverà, ma quando lo dice i suoi occhi sono spenti, non hanno più quella scintilla di felicità che la caratterizzava.

1 Ottobre 1968

Ormai è passato un mese da quando la piccola Emy era stata portata via dai suoi fratelli. La cicatrice resta ma non fa più così tanto male, credono che il peggio sia passato, che si abitueranno a questa situazione, ma ciò che ancora non sanno è che qualcun'altro gli sarà portato via in questo giorno che sembrava uno come gli altri. Questa volta sarebbe toccato a Kyle, la piccola peste. Due giovani sposini in cerca di un bambino piccolo si erano recati nell'orfanotrofio fino a che vedendo Kyle con la sua vivacità non se n'erano innamorati. Non parlavano la loro lingua, avevano un modo insolito di parlare quando portarono via con loro il piccolo, ma nonostante la rabbia e il dolore per la prima volta Alexis era sicura che quei due si sarebbero presi cura del suo fratellino, perché avevano gli occhi buoni.

16 Luglio 1969

I mesi passavano, i bambini crescevano e nel frattempo anche Gabriel era stato addottato da una coppia straniera di sposi con i capelli biondi che vedendo quel bambino pafutello non avevano potuto fare a meno che adottarlo, o come credevano i ragazzi di 'rubarlo a loro'. Gabriel poteva sembrare realmente loro figlio, se solo non fosse stato per il semplice fatto che era il loro fratellino. Il Natale per loro era stato un giorno come un altro e l'anno nuovo era arrivato, un anno diverso dagli altri, perché questa volta si era portato via qualcosa di ancor più importante di un regalo di Natale, si era portato via ciò che Alexis amava di più, i suoi fratelli.

03 Agosto 1969

Mancavano pochi gioni al compleanno di Alexis e come regalo anticipato il fato gli fece il più brutto che si potesse mai fare ad una bambina che ama i suoi fratelli con tutta se stessa. Alexis si era accorta che c'era di nuovo qualcuno che la teneva d'occhio, così decise di mettere in atto il suo piano, l'ultima volta aveva funzionato facendo scappare via una coppia che era intenzionata a portarla via e credeva che questa volta non sarebbe stato da meno. Si avvicinò al signor Pierroth che nel frattempo parlottava con i due signori che si era accorta osservarla, la piccola iniziò a piagnucolare e confesso al signor Pierroth anche se con frasi incomprensibili di essersi di nuovo fatta sotto. Iniziò a fare facce buffe e dir frasi senza senso cosicché essi la presero per stolta e prendendo da parte il signor Pierroth decisero che non volevano quella bambina perché aveva problemi. Allora il signor Pierroth insisté per far si che loro vedessero qualche altro bambino ma essi si rifiutarono, sconcertati e infastiditi dal comportamento che la bambina aveva precedentemente assunto e dal fatto che secondo il loro parere il signor Pierroth aveva cercato di rifilargli una bambina non sana. Prima che potessero andarsene però arrivò tra i loro piedi una palla e successivamente un ragazzino dagli occhi grandi gli chiese con una vocina dolcissima se potevano restituirgliela, i due furono così sorpresi dalla dolcezza di quel bambino che decisero di dare una seconda possibilità all'orfanotrofio ed adottare quest'ultimo. Alexis era soddisfatta di ciò che aveva fatto, avrebbe passato dell'altro tempo con i suoi fratelli, era convinta che i due fossero scappati fino a che non si avicinarono di nuovo al seguito del signor Pierroth da lei e i suoi fratelli, lei si mise sulla difensiva pronta a farli scappare una volta per tutte, ma loro la ignorarono completamente, la donna si inginocchiò di fronte Jeremy e gli disse che sarebbe andato via con loro. Ad Alexis le si fermò il cuore in gola, perse un battito, le ginocchia le tremavano così tanto che essa cadde a terra. Le aveva consegnato suo fratello, glielo aveva consegnato su un piatto d'argento. Si sentiva così in colpa per quello che aveva fatto che si attaccò alla gamba dell'uomo per impedirgli di camminare e inizio a singhiozzare urlando che non l'avrebbe fatto più, chiese scusa, disse che voleva solo giocare. I due rimasero sorpresi dal modo in cui la bambina parlava perfettamente e lo furono ancora di più quando quest'ultima si ingiocchiò ai loro piedi e li pregò di prendere lei e non il suo fratellino. Lei non vedeva l'essere adottati come un pregio, qualcosa di bello, ma come una separazione dai suoi fratelli, si sentiva in colpa perché a causa sua quei due avrebbero separato Jeremy dagli altri e non voleva affatto che succedesse, così si sarebbe sacrificata lei, sarebbe stata lei a rimanere da sola, ad essere separata da loro e non Jeremy. Ma per la seconda volta il suo piano fallì, i due dissero parlando in modo strano, con una 's' molto accentata qualcosa al signor Pierroth, che poi gli riferì ciò che loro avevano detto. Non potevano farlo, non potevano portare via lei invece che suo fratello perché avevano già svolto le pratiche necessarie per l'adozione di suo fratello, era già tutto pronto. Suo fratello sarebbe stato portato via a causa sua, è così fu.

30 Agosto 1969

Alexis si era ritrovata a festeggiare per la prima volta un compleanno senza quattro dei suoi fratelli. Dopo l'adozione di Jeremy smise di mangiare per una settimana, era straziata, piangeva ogni notte, non aveva più neanche un finto sorriso, il senso di colpa la divorava, non avrebbe mai voluto perdere nessuno di loro, ma perderlo così, esserne la causa, l'aveva devastata. Erano rimasti solo in tre, tutti gli altri se l'erano portati via, è così sarebbe stato fino a che non sarebbero rimasti tutti soli. Se c'era una cosa di cui ormai era convinta era proprio questa, glieli avrebbero portati via tutti. Perciò la seconda settimana si rimise in piedi, stette sempre con i suoi fratelli, li abbracciava ad ogni occasione, cosicché quando loro gli sarebbero stati portati via non avrebbero mai avuto alcun dubbio, avrebbero saputo che lei gli amava più di qualsiasi altra cosa al mondo.

23 Ottobre 1970

Un altro anno era passato ed anche Brandon gli era stato portato via, era successo poco dopo inizio anno. Erano arrivati due signori con gli occhi a mandorla e uno strano modo di parlare, senza contare il loro abbigliamento, che se l'erano preso. Lui era seduto sotto un albero a leggere un libro, ormai aveva dieci anni e di giocare con lei non ne voleva sapere più, stava sempre per conto suo, con l'aspetto da duro. Ma ogni volta che lei gli saltava al collo abbracciandolo lui si scioglieva, anche se poi fingeva di essere infastidito e la scostava via. L'ultimo giorno quando lui la salutò non la guardò nemmeno negli occhi, ma lei sapeva che l'aveva fatto solo per evitare di piangere. Se n'era andato solo dopo aver sussurrato qualcosa nell'orecchio di Dimitri e quest'ultimo nonostante Alexis avesse tentato qualsiasi cosa per estorcerglielo non gli aveva mai confessato cosa gli aveva sussurrato.

18 Gennaio 1971

Quel giorno Dimitri avrebbe compiuto 13 anni, Alexis, per l'occasione gli aveva fatto un regalo. Era già da un po' di tempo che girava per la casa in cerca di qualcosa da regalargli, poi la trovò, non capiva come aveva fatto a non vederla per tutto questo tempo, ma era felice di averla ritrovata. Era una collana che un passante aveva regalato a Dimitri quando erano ancora tutti uniti ed elemosinavano per la strada, sopra il medaglione vi era incisa la scritta 'Hope' che stava a significare 'speranza' quando quel vecchio glielo regalò gli disse di non perdere mai la speranza, perché nei momenti bui essa sarà la sola ad illuminare la strada. Alexis corse giù per le scale pronta a dare a suo fratello il regalo che aveva trovato per lui, ma quando arrivò lo trovò intendo ad entrare in un auto e allontanarsi da lei. Alla piccola le se spense il sorriso, non aveva più alcun motivo di far finta di stare bene, nessun motivo per sorridere, nessun motivo per andare avanti. Non fece neanche in tempo a salutarlo, figuriamoci a darli il regalo, l'unica cosa che lei non scorderà mai fu la frase che Dimitri gli urlò dal finestrino. Le promise che quando avrebbe compiuto 18 anni e sarebbe uscito da lì, sarebbe andato a prenderla e allora avrebbero cercato i loro fratelli. Successivamente l'auto con a bordo il suo amato fratello sparì, portandosi dietro una lunga scia di dolore e tristezza. Ma le bastò quella frase per ritrovare il sorriso, nonostante il dolore e le lacrime l'accenno di un sorriso si faceva spazio sul suo volto, un nuovo sorriso era dietro la porta. Dopodiché con voce autoritaria, non adatta a una ragazzina della sua età e che non la rispecchiavano affatto, andò da signor Pierroth a chiedergli spiegazioni. Lui gli disse solo che superata una certa soglia, una certa età, i bambini non potevano più essere adottati, così li trasferivano in delle case famiglie. Attese impaziente il momento in cui anche lei sarebbe stata trasferita, il momento in cui avrebbe rivisto suo fratello Dimitri.

10 Agosto 1975

Alexis era molto felice quel giorno, avrebbe compituto 13 anni e così anche lei sarebbe stata trasferita nella casa famiglia ed avrebbe rincontrato Dimitri. Quando salì in auto era molto impazinete di rivederlo, prese anche un aereo poiché il posto dove sarebbe andata si trovava in Russia, ma non appena giunta lì ebbe un'amara delusione. Suo fratello era stato lì sono una settimana, poi per un eccessivo numero di bambini, superiore a quanti l'istituto ne poteva contenere fu traferito insieme ad altri bambini. Ora ecco che l'istituto aveva ancora qualche posto libero per cui Alexis era stata mandata lì. L'aveva perso, un'altra volta. Proprio quando era ad un passo da rivederlo il destino aveva mischiato le carte ed aveva fatto sì che tra quei 10 bambini trasferiti ci fosse proprio suo fratello Dimitri.

San Pietroburgo 10 Agosto 1978.
10 anni dopo...

«In questi ultimi 6 anni non hai fatto altro che combinare guai, ma mai nessun'altra bambina ho amato quanto te. Ci mancherai Alexis.» piagnucola una signora bassina e paffutella mentre abbraccia una ragazza dai lunghi capelli rossi

«Anche tu Lara, di certo però non mi mancherà la signorina Marilyn, quella vipera.» sdrammatizza Alexis

«Ahaha, se ti sentisse...» ride di gusto la cuoca Lara

«Non potrebbe più fare nulla, non sono più sotto il suo controllo e tu perché non lasci questo lavoro? Non ti sei stancata di essere la sua serva?» domanda speranzosa l'ormai non più piccola Alexis

«Se lascio questo lavoro non potrei mai aiutate i bambini come te, se non ci fossi io a difenderli chissà cosa ne sarebbe di loro in mano a quella vecchia strega. Mi piacerebbe molto vivere la mia vita altrove, ma purtroppo non posso, è mio dovere portare un po' di gioia nella vita di questi poveri ragazzi.» confessa con un sorriso triste

La giovane abbassa il capo rassegnata e consapevole che la donna ha centrato il punto. Senza di lei Alexis non avrebbe fatto una bella fine.
Abbraccia un ultima volta la sua unica amica e inizia il suo cammino verso una nuova vita.

«Ti vorrò sempre bene piccola mia...ah e non dimenticare! L'istituto dove è stato mandato tuo fratello si trova a Mosca.» le urla sventolando un braccio in aria Lara.

«Anche io te ne voglio balia! Mi mancheranno i tuoi pasti. -la saluta anche lei sorridente- Ciao, ciao a tutti, ciao vecchia vita. Da oggi in poi anche io sarò felice!» urla entusiasmata girando su se stessa con le lacrime agli occhi, lo sguardo rivolto verso il cielo e sulle labbra un sorriso a trentadue denti.

Quella ragazza sprizzava felicità da tutti i pori.
Durante la sua permanenza in quell'istituto ne aveva dovute passare di tutti i colori.

A partire dalla direttrice severa e senza cuore che non tollerava la felicità altrui. In quell'istituto la musica non era permessa, così come non era permesso canticchiare, giocare, ballare, ridere e qualsiasi altra forma di felicità, ma neanche lei come l'ingiusta vita nei confronti della piccola è mai riuscita a spegnere il sorriso che padroneggiava incontastato anche tra le spesso presenti lacrime, sul viso della dolce Alexis.

Anche le bambine erano invidiose della luce che lei emanava, la luce della speranza che non si è mai spenta, la speranza di ritrovare i suoi fratelli, la speranza di una vita migliore, la speranza della felicità, positività che non riusciva a contenere e che sprizzava da tutti i pori e contornata da un sorriso ingenuo su una pelle candida e pura, uno sguardo sincero senza malizia che rispecchiava la sua anima gentile e il suo grande cuore senza odio e ne rancore. Quella gioia di vivere che emanava in un mondo depresso la rendeva così bella agli occhi altrui che essi non potevano fare a meno che invidiare la sua vitalità e far di tutto per toglierle quella forza d'animo che solo lei possedeva. Lei era una fenice capitata in un mondo di uccelli feriti che non riuscivano a volare. Ma ciò che quest'ultimi non sapevano è che tutti loro avevano una possibilità di poter volare, come ella faceva, dovevano solo saper trovare la forza per tornare ad utilizzare le loro ali, le ali della speranza ed iniziare a sognare, perché proprio come i saggi di allora dicevano "solo chi sogna impara a volare", ma questo loro non lo capivano, non capivano che spesso la vita era come guardarsi ad uno specchio, se le sorridi lei ricambia.

La piccola si era ritrovata in una terra sconosciuta, tra persone sconosciute ed aveva dovuto imparare una nuova lingua fino ad allora a lei sconosciuta.

Ma ce l'aveva fatta, non aveva mollato, tutto ciò per quella promessa che suo fratello Dimitri le fece prima di sparire all'orizzonte, promessa che purtroppo poi, non è mai stata mantenuta.
 

  

  
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