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Autore: LaraPink777    24/12/2014    7 recensioni
“Aveva sentito quel bisogno, irrazionale ed infantile, di vedere le luci, per compensare il buio della casa che, quest’anno, di luci non ne aveva. Per riempire l’assenza.”
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Donatello Hamato, Michelangelo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sarò a casa per Natale

 

N/A Buon Natale, gente ^_^

Siete sommersi da panettoni lucine fiocchi canzoncine? Sì? Ad allora eccovi pure una tartastoria di Natale!

Soli due capitoli, universo 2k12 alcuni anni dopo, con spunti del film 2k7. Humor risate ed allegria… seee, ed io sono Belen. Angst, drama e fluff. A bidonate!

Come mia “letterina di auguri”, dedico questa storiella a tutti voi, autori e lettori di EFP. La dedico a quella ragazza fantastica di Cartoonpeeker, cara duellante di penna, ed a tutti gli amici vecchi e nuovi di questo piccolo grande fandom.

Tanti auguri, di cuore, da LaraPink <3

 

 

 

La sfera di metallo infranse una buona porzione del muro di cemento in un’esplosione di minuscole particelle. Il ragazzo si fermò di colpo, indietreggiò rapido, rischiando di scivolare sul marciapiede ghiacciato, colpito in pieno viso dai detriti del muro; alcuni gli erano sicuramente entrati negli occhi. La sfera lo aveva mancato di quanto, una decina di pollici? Il ragazzo poté sentire chiaramente la paura adesso strisciare sotto il suo giubbotto, sotto la sua camicia, sotto la sua stessa pelle.

Voltò freneticamente gli occhi, per cercare di scorgere nell’ombra del vicolo la forma che per un istante si era materializzata, nel bagliore di luce, riflesso metallico del lampione, da cui era partita la catena. Il rumore martellante del battito del suo cuore nelle orecchie era quasi assordante, il suo respiro si condensava in ansimanti sbuffi; niente, nel buio del vicolo non vedeva niente, non c’era nulla… eppure no, eccolo, un movimento veloce, troppo veloce: un altro bagliore.

La catena questa volta venne direttamente contro di lui. Contro le sue gambe. Però, adesso l’angolazione era diversa, la letale sfera ferrea seguì un movimento a parabola in modo che solo la catena arrivasse a colpire le gambe, abbastanza forte da fargli un po’ male, certo, da farlo sbilanciare e cadere a terra; ma mentre il ragazzo cercava di porre le mani in avanti per frenare il suo impatto col suolo, il suo cervello, pur nell’asfissia del panico, fece in tempo a valutare che se anche questo colpo fosse stato ben centrato come quello che aveva appena sbriciolato il muro, delle sue amate gambe che lo avevano portato in giro per quasi tredici anni adesso non sarebbe rimasta che una poltiglia.

Da terra, alzò gli occhi e lo vide.

L’ombra uscì dalle tenebre; la catena tintinnava nelle sue mani.

Il terrore adesso avvinghiò completamente il ragazzo.

La figura fece alcuni passi verso di lui, portandosi sotto la luce del lampione. Una specie di armatura grigio-nera rivestiva la forma massiccia; protezioni di metallo avvolgevano stinchi, avambracci ed articolazioni, cinghie corvine si incrociavano in vita e sul petto, sopra una piccola cotta di maglia di ferro, come a sorreggere una sorta di grande zaino di metallo sulla schiena. Una sottile visiera a specchio, dalla vaga forma ad ala di gabbiano, brillava su di un casco che come un elmo nascondeva completamente il volto della figura.

Le mani, guantate di nero, avvolsero lentamente la catena; la sfera di metallo strisciò sull’asfalto. Il ragazzo chiuse gli occhi, aspettando ormai l’inevitabile: il prossimo lancio l’avrebbe centrato. Il cuore batteva talmente forte che forse, pensò, sarebbe morto per questo, prima del colpo. Curioso che l’ultima cosa che avrebbe visto sarebbero state quelle mani. Avevano i guanti solo tre dita?

“Lascia stare mio fratello!”

Il ragazzo aprì un occhio. Pensava che morire proprio questa notte, proprio la notte di Natale, solo per aver rubato in un negozio, fosse già abbastanza brutto. Ma quando vide suo fratello in piedi davanti a lui, che piazzato tra sé e la figura in armatura brandiva il suo inutile coltellino, capì di essersi sbagliato. C’era di peggio.

Con la forza della disperazione, scattò in piedi, avvolgendo suo fratello di undici anni col proprio corpo. Avrebbe voluto rimproverarlo, prenderlo a calci, perché doveva solo scappare quando lui glielo aveva ordinato, doveva solo mettersi in salvo quando quella specie di mostro si era materializzato davanti a loro, nel vicolo sull’uscita posteriore del negozio di generi alimentari che avevano scassinato. Invece fece in tempo solo a buttarlo a terra, coprendolo, con l’estremo ed istintivo e probabilmente inutile tentativo di proteggerlo. Chinò la propria testa su quella del fratello.

Un secondo passò, poi due, poi cinque.

Il ragazzo alzò la testa.

Il colpo non arrivò mai. L’individuo in armatura li stava fissando. Poi, si voltò a guardare il sacco con la refurtiva che giaceva abbandonato a pochi passi. Aperto, riversava il suo contenuto sull’asfalto del vicolo: una lattina di conserve stava ancora rotolando.

La figura chinò leggermente la testa di lato, le sue spalle sembrarono abbassarsi, la sua postura farsi più incerta; si passò una mano sull’elmo, lentamente, e fece un passo indietro. Quindi, si voltò e scomparve nuovamente tra le ombre, rapido, silenzioso come la notte stessa.

Il ragazzo sentì il cuore nel petto rallentare un po’ la sua folle corsa. Incontrò lo sguardo del fratellino sotto di sé. I primi fiocchi di neve toccarono il suolo.

Sul tetto, in alto, le mani a tre dita sfilarono il casco.

L’aria gelida della notte arrivò a ghiacciare il lieve velo di sudore che copriva la pelle verde. Raffaello gettò il casco ai suoi piedi e si sedette, con il guscio contro una torretta della compagnia telefonica. Alzò il viso al cielo, incurante della neve, che si scioglieva subito al contatto con la sua faccia accaldata; anche se il cielo non fosse stato coperto, inutile desiderare le stelle. Non che gliene fregasse niente, delle stelle. Le lasciava a quel sognatore di Mikey ed a quella testa fina di Donnie.

Si premette i palmi delle mani sugli occhi, ripensando ai due fratelli nel vicolo. Sentì un senso di feroce impotenza stringergli lo stomaco. Due ragazzini, maledizione. Improvvisamente, ebbe voglia di tornare a casa. Così, subito, con la ronda appena iniziata. Ebbe voglia di tornare, solo per controllare Mikey e Donnie, per entrare di nascosto nelle loro camere e guardarli dormire.

Accertarsi che fossero ancora lì, almeno loro.

(Un anno prima)

È l’albero più bello che abbiamo mai fatto!”

Michelangelo fissò compiaciuto, con le mani sui fianchi ed un sorriso soddisfatto, il grande abete addobbato.

“Lo dici ogni anno.” Donatello sorseggiava una tazza di caffè, seduto sul divano. Accanto a lui, Raffaello con una mano cambiava annoiato i canali della televisione, mentre con l’altra faceva esercizi con un manubrio.

“Ma questa volta è davvero il più bello!” Saltellando come un ragazzino, la tartaruga mutante più giovane tirò fuori dalla sua cintura il T-phone ed iniziò a scattare alcune foto all’abete.

“Gli fai addirittura le foto?” Il viola corrugò la fronte, divertito dall’infantile esuberanza del fratello. Diciotto anni suonati, ma ancora bastava un albero di Natale a farlo eccitare come un bambino. Donatello a volte invidiava questo suo aspetto, questa sua capacità di sapersi sempre emozionare, nonostante tutto.

“Certo! Così le faremo vedere a Leo quando torna.” Il mutante in arancio si bloccò, impensierito da ciò che aveva appena detto, abbassò il viso, poi si voltò verso il divano e guardò un attimo i fratelli.

Tornò a fissare le foto nel telefono tra le sue mani, allontanandosi dall’albero.

“È il primo Natale che non passiamo tutti insieme” mormorò, con l’euforia di pochi secondi prima subito raffreddata. “Chissà che cosa sta facendo…”

Donatello sentì l’alone di tristezza del fratello minore colpirlo come la corrente di aria fredda di una porta che si apre; cercò a sua volta gli occhi verdi di Raffaello, che alla menzione del fratello lontano aveva perso ogni interesse alle sguaiate urla dello show in tv.

Il mutante in rosso cercò gli occhi nocciola e poi quelli azzurri. Adesso, tra di loro, come tra tutti i fratelli, vi erano sempre state due forme di comunicazione, diverse e complementari. Una era più evidente, fatta di parole, dove si poteva dire o non dire, dove tutto era sempre giocato sul filo della presa in giro, dell’ironia, che smorzava ogni tono più grave, che frenava ogni forma di retorica. Vi era poi la comunicazione meno appariscente, fatta di velocissimi scambi d’occhiate, di piccole espressioni del viso, di semplice postura del corpo: questa non aveva limiti, né filtri, non celava niente, era immediata e dolorosamente sincera.

Quando Michelangelo sbatté un paio di volte le palpebre, Raffaello si alzò in piedi.

“Che cosa sta facendo? Tiene il suo guscio al caldo mentre noi stiamo qui a congelare, ecco che cosa sta facendo. Altro che addestramento, Sensei l’ha mandato a svernare come vacanza premio, questa è la verità! Maledizione, Donnie, ma funziona bene l’impianto?” disse strofinandosi le mani per enfatizzare le sue parole. In verità, non sentiva affatto freddo.

Gli occhi di Michelangelo si riaccesero del loro consueto sorriso.

“Giusto! Da lui non fa freddo, vero Donnie?”

“No Mikey, in una delle ultime lettere ci ha detto che la temperatura è mite, ricordi? Quella in cui ci ha raccontato dell’incidente col serpente.”

Il mutante in arancione annuì rasserenato e tornò a fotografare l’albero, canticchiando a bocca chiusa una melodia natalizia.

Raffaello si avvicinò di qualche passo. L’abete che gli aveva portato April era alto e ben proporzionato, così lontano dagli alberelli storti e rachitici che riuscivano a procurarsi da bambini. Le decorazioni con cui lo avevano addobbato, o meglio, con cui lo aveva addobbato praticamente solo Michelangelo, formavano una creativa ed originale accozzaglia di forme, stili e colori che davano nel complesso un risultato allegro e piacevole seppur nella sua dissonante confusione.

Il mutante con le lentiggini ripose un attimo il T-phone per sistemare una pallina blu, spostandola da un ramo all’altro, e poi fece nuovamente un passo indietro per verificare l’effetto finale, continuando a mormorare la canzone natalizia.

I'll be home for Christmas.

Quando Michelangelo collegò la spina alla presa, una miriade di luci fiorirono tra i rami. Raffaello incrociò le braccia, fissando l’ipnotica alternanza luminosa.

Il primo Natale che non li vedeva tutti insieme.

La tartaruga mascherata di rosso sospirò piano senza accorgersene. Leonardo era via da appena un paio di mesi, e già sembrava una vita. La rabbia furiosa dei primi giorni, contro il fratello che era partito di nascosto, senza salutare, e soprattutto contro Splinter che lo aveva mandato in quell’assurda prova di allenamento, si era nelle settimane condensata in una sorta di amaro malumore, che si nutriva della mancanza e del senso sottile di tradimento.

In primavera, quando sarebbe tornato, per prima cosa l’avrebbe preso a pugni. E poi gli avrebbe fatto promettere di non lasciarli mai più.

Ma Leonardo non tornò né quella primavera, né nei mesi successivi. Le lettere improvvisamente cessarono di arrivare.

Adesso, era il secondo Natale che suo fratello mancava.

Aprendo la porta di casa, Raffaello si aspettava caldo, silenzio e buio. Effettivamente, di caldo era caldo, grazie all’efficiente impianto costruito da Donnie: il più ben climatizzato dei rifugi che avevano avuto fino a quel momento, e sicuramente molto più caldo di quello nella vecchia stazione della metropolitana che li aveva visti crescere.

Ma non era né silenzioso né del tutto buio, questa notte. Nella sua postazione, in un'estremità dell’ambiente centrale, tra monitor e strumentazione varia, Donatello era ancora a lavoro. Gli schermi accesi ed una lampada da tavolo irradiavano la zona di una luce fredda e traballante, lasciando in penombra il resto della sala. L’angolo dove l’anno scorso Michelangelo aveva addobbato l’albero, quest’anno era buio e vuoto.

“Signore, ha controllato che la porta sia quella corretta e corrisponda all'IP… Allora, provi a fare un ping all'indirizzo di rete della stampante e veda se la raggiunge… Sì, signore, mi trova qui tutta la notte, richiami quando vuole. Chieda di Donatello. Grazie signore, buona notte e buon Natale.”

La tartaruga mascherata in viola si tolse le cuffie e girò la sedia da ufficio per guardare il fratello che aveva sentito rientrare.

“Sei già a casa? Non è neanche mezzanotte!” lo apostrofò ironico aggrottando la fronte. Raffaello grugnì una risposta incomprensibile senza neanche guardarlo, ed andò in cucina. Donatello si strofinò stanco gli occhi arrossati ed allungò la mano verso la tazza di caffè: sospirò, trascinò la tazza vuota e si alzò dalla sedia, recandosi anche lui in cucina.

Raffaello gli voltava la schiena, rovistando nel frigo. Donatello lo scansò e si avvicinò alla macchinetta per l’ennesimo caffè. Versò l’acqua nel serbatoio, inserì il filtro di carta, vi mise dentro due cucchiai di caffè macinato, richiuse il cassetto ed azionò la macchinetta, nei soliti gesti che le grossa dita verdi ripetevano giorno dopo giorno da anni. Mentre aspettava che il caldo liquido sgorgasse nel bricco, si voltò verso Raffaello, che adesso seduto al tavolo addentava voracemente gli avanzi della cena e beveva la birra direttamente dalla bottiglia. Raffaello continuava a non guardarlo, e Donatello ormai, dopo tanti mesi, non aveva voglia di iniziare le solite inutili discussioni.

Suo fratello non l’ascoltava, non l’aveva mai ascoltato. Ma la colpa, lo sapeva, era anche propria: lui, che ancora si chiedeva perché fosse stato nominato leader dal padre pur essendo sempre stato considerato più giovane di Raph, in questo ruolo non era neanche lontanamente paragonabile e Leonardo, e senza il fratello in blu la loro famiglia era solo la pallida ombra dell’affiatato team che era stato negli anni passati. A che valeva ripetere per la centesima volta il suo disappunto per il fatto che  Raph uscisse da solo quasi tutte le notti, che non apportasse il minimo contributo per far andare avanti la casa, che stesse diventando sempre più scostante ed insopportabile, che bevesse troppe birre, che non rispettasse gli ordini di Splinter?

Ormai, tutto era cambiato. La loro squadra non esisteva più. Bisognava iniziare ad accettare che niente sarebbe stato più come una volta. I tempi dei loro gloriosi scontri contro il Piede, i Dragoni Purpurei ed i Kraang erano ormai finiti. Le loro pattuglie come difensori della città erano ormai solo un ricordo.

Leonardo se n’era andato. Ed a questo punto, Donatello l’aveva razionalmente e dolorosamente capito, era molto probabile che se ne fosse andato per sempre. Poiché non aveva più fatto avere sue notizie le spiegazioni più logiche alla fine si erano ridotte ad un paio. Certo, vi erano sempre una molteplicità di variabili che avrebbe potuto non conoscere, ma analizzando tutto sul piano delle probabilità statistiche, le motivazioni più plausibili erano sempre e soltanto due. La prima ipotesi, la meno verosimile, poiché avrebbe presupposto una mancanza di empatia nei confronti dei fratelli poco consona con il carattere di Leonardo, era che egli non avesse più intenzione di tornare: aveva trovato la sua strada, la sua libertà, aveva iniziato una nuova vita che non coinvolgeva più i suoi fratelli. Alla fine non sarebbe stato del tutto inconcepibile. Erano adulti, ormai. Va bene, l’avrebbe pure potuto perdonare, forse, un giorno… Ma era la seconda ipotesi, la più attendibile, che faceva male, soprattutto la notte.

Quella che suggeriva che Leonardo non potesse tornare perché prigioniero, o morto.

Leo altrimenti non li avrebbe abbandonati, non li avrebbe fatti stare in pensiero così. Leo sarebbe stato a casa con loro, per Natale.

Versò il caffè nella sua tazza, e si sedette al tavolo. Aveva bisogno di cinque minuti di pausa, prima di tornare a lavoro. Soffiò contro il liquido aromatico, e ne bevve un piccolo sorso bollente.

Fu Raffaello a rompere l’imbarazzante silenzio.

“Lavori pure la notte di Natale?”

“Uh?” Donatello alzò gli occhi dal caffè, ed annuì prima di prenderne un altro sorso, poi fece un sorriso stanco, svelando la caratteristica fessura tra i denti. “Questa notte il servizio è pagato doppio.”

Il rosso annuì di rimando, bevendo la birra. La sua espressione s’incupì. Come se la sua rabbia non avesse abbastanza con cui saziarsi negli ultimi mesi, si era unito anche il senso di colpa quando ricordava che i suoi fratelli minori avevano entrambi trovato un lavoro per portare avanti la baracca, e comprare le medicine per Splinter.

“Sensei come sta?”

“Un po’ meglio. L’ho controllato poco fa. Ormai il peggio è passato.”

Raffaello continuava a tenere gli occhi sul piatto, mangiando. La voce burbera non riusciva a celare del tutto la preoccupazione. “Ha ancora la febbre?”

Donatello sospirò, e si stiracchiò sullo sgabello.“Non so. Dice di no.”

“Dice di no? E tu non hai controllato di persona?”ringhiò, alzando gli occhi dal piatto.

“Raph, Splinter non è un bambino. Pretendi che metta in discussione quello che mi dice?”

“No, ma pretendo che controlli se sta veramente meglio! Ci ha tenuto nascosta la sua malattia per settimane!”

“Lo so! Non c’è bisogno che tu mi dica cosa fare.”Sbatté la tazza sul tavolo un po’ troppo forte, ed alcune gocce scure saltarono sulla superficie.

“Certo, sei tu quello che deve dirci cosa fare” bofonchiò il rosso con lo sguardo perso nella bottiglia che teneva in mano, stringendola troppo forte.

“Ancora con questa storia, Raph? Finiscila.”

Raffaello si alzò strisciando la sedia.

“Guarda, meglio se me ne vado a letto. Buonanotte.”

Donatello si passò una mano sul viso. “Sì, Raph. Buonanotte” mormorò piano quando il fratello era già uscito dalla cucina.

Non riusciva a ricordare quando era stata l’ultima volta che aveva parlato con lui senza essersi scontrato. Scosse la testa, avvolse la tazza calda con entrambe le mani e bevve un altro sorso. Ancora un minuto, e poi sarebbe tornato a lavoro. Anche se aveva una gran voglia di buttare tutto in aria, di mandare tutto al diavolo. Ogni cosa nella sua vita sembrava andare per il verso storto, negli ultimi tempi. Il lavoro frustrante. April lontana. Raph che gli stava sui nervi. Mikey che col suo lavoro da pagliaccio gli portava più preoccupazione che altro, con quel suo andarsene tra gli umani in pieno giorno. E per finire, ultimamente, lui stesso non riusciva a trovare a volte il tempo e la concentrazione per allenarsi: non toccava il suo bo da quanto, stavolta, tre giorni? Sì, tutto stava andando a rotoli da parecchi mesi. Anzi da più di un anno.

Da quando se n’era andato Leo.

Di malavoglia, si alzò lentamente e tornò a lavoro. Poggiò nuovamente la tazza sul piano, tra decine di cerchi marroni sui fogli di carta, si rimise le cuffie, riallacciò la linea. Rispose ad un’altra telefonata, sforzandosi di mantenere la voce allegra e cordiale. Intanto, sentiva Raffaello uscire dal bagno, aprire delle porte della zona notte e richiuderle, passare nuovamente nell’ambiente centrale, poi ancora nelle stanze. I suoi passi concitati lo distrassero e dovette scusarsi col cliente e farsi ripetere il problema. Alla fine, la tartaruga mascherata in rosso si piazzò accanto a lui, e Donatello, continuando a parlare, alzò un dito facendogli segno di non essere disturbato.

Per tutta risposta Raffaello allungò una mano e gli chiuse la telefonata.

Il mutante in viola si voltò verso di lui, inviperito.

“Ma che cavolo fai?” gli urlò in faccia. Vedeva rosso. Va bene essere strafottenti, ma arrivare ad interferire col suo lavoro! Avrebbe dovuto richiamare lui il cliente, e scusarsi e…

“Dov’è Mikey?”

Donatello sbatté le palpebre. “Cosa?”

“Mikey. Non è a casa. Dov’è?”

Il viola si alzò in piedi, guardò inebetito verso le camere da letto e poi gli occhi verdi che lo fissavano fiammeggianti.

“Ma… non è a letto?”

“Mi senti? Ho detto che non è a casa! Dove diavolo è?”

“Non lo so, Raph, non so!” Fece due passi verso le camere, poi si fermò e tornò alla postazione di lavoro, prese il T-phone poggiato sul piano tra la confusione di libri e fogli. “Adesso lo chiamo. Credevo fosse in camera sua…”mormorò iniziando a selezionare il nome sullo schermo. Perché era uscito senza avvisarlo? Doveva essere sgattaiolato fuori mentre lui parlava al telefono. Ma perché? Dov’era andato?

Mentre aspettava la risposta, non era preoccupato, no, ancora no. Stava solo telefonando a suo fratello per sapere dove fosse e raccomandargli di non rientrare troppo tardi. A voler analizzare bene, avrebbe potuto avvertire al massimo solo un leggero senso di, diciamo, preallarme. Al segnale di mancanza di linea, un piccolo campanello iniziò a risuonare nella testa. Certo, Mikey era un adulto, un forte mutante ed un ninja esperto. Ma perché il telefono non prendeva?

Quando impostò sullo schermo la funzione per rintracciare la sua posizione, mentre Raph in piedi accanto a lui lo incalzava in silenzio, e scoprì che il T-phone del fratello minore non solo non prendeva ma era come se fosse scomparso dalla faccia della terra, adesso sì che si sarebbe potuto definire allarmato.

Dov’era Mikey?

I fiocchi di neve scendevano ondeggiando piano. Se sulla pelle non avessero dato l’impressione di essere piccole spine di ghiaccio, sarebbero anche stati belli. Così come le luci di quella luminaria lontana laggiù, che si accendevano e spegnevano, accendevano e spegnevano.

Dai, tentiamo ancora.

Poggiò le mano tremanti per terra, accanto alle sue gambe. I palmi scivolavano sul terreno ghiacciato, ricoperto di liquido caldo.

Prese un profondo respiro. L’aria gelata graffiava il palato. Strinse gli occhi, ed i denti.

Fece forza sulle mani, e sulla gamba sinistra.

Il bacino si alzò da terra appena un paio di pollici. La carne lacerata stridette contro il ferro.

Urlò di dolore; pregò che nessuno l’avesse sentito. Ma non vi era nessuno, nella fredda notte intorno a lui. Era solo.

Gettò la testa all’indietro, ansimando e sibilando tra i denti, con la mascella stretta fino a scricchiolare, in attesa che lo strazio si placasse almeno un po’ adesso che era tornato immobile, sdraiato sul gelo. Due lacrime sfuggirono dagli occhi stretti, scivolando sul tessuto ghiacciato della maschera, e scorsero calde sulla pelle lentigginosa del viso congestionato.

La neve cadeva letale e meravigliosa, nella notte di Natale.

 

  
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