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Autore: whiteblankpage    25/12/2014    9 recensioni
E c’era stato un tempo in cui Ellie stava bene e credeva davvero che la vita andasse bene così, come le capitava. Un tempo in cui poteva andare in discoteca, mettere il rossetto bordeax, la gonna a vita altra verde scuro, e ballare abbracciata ad Asia. Ridere, bere qualche drink alla frutta e prendere in giro Zack quando andava in bianco, andare al liceo e fumare una canna con Sonya e Liam di nascosto, sotto le scale antincendio della scuola. Un tempo in cui le mani e gli occhi di Harry sembravano davvero la cosa migliore per lei.
C’era stato un tempo in cui le adolescenti incinte se ne stavano su mtv e lei le ignorava semplicemente cambiando canale, annoiata.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Weak and powerless'
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Desperate and Ravenous.
I'm so weak and powerless over you.
 
 


Il reparto dolci era proprio accanto al reparto dei prodotti in scatola, dei sughi pronti e dei sottaceti. Ellie aveva i lunghi capelli color miele raccolti in uno chignon frettoloso e disordinato, il cappotto bianco di sua madre, risalente agli anni ottanta, ed i jeans neri un po’ lunghi che le ricadevano sulle converse bianche, nuove. Spinse il carrello fino ai pelati e alle scatole di pomodoro, odiava fare spesa e tutta quella varietà, tutte quelle marche la confondevano. Non sempre il libero arbitrio era una cosa buona. Alla fine prese la prima bottiglia di polpa di pomodoro che le capitò a tiro e la fece scivolare distrattamente nel carrello, stringendo nella mano sinistra la lista della spesa.
Adesso i limoni si ricordò, spingendo il carrello verso il reparto frutta e verdura. Si sentiva come se non dormisse da una vita, era fin troppo conscia delle occhiaie sotto gli occhi azzurri che le invecchiavano il viso e delle labbra screpolate dai troppi morsi e dal gelo londinese.
I limoni furono una seconda, piccola tragedia per la sua mente stanca. Si stava rigirando tra le dita un sacchetto contenente otto limoni –in cerca di frutti marci o poco maturi-, quando si sentì picchiettare la spalla.
Si voltò agitata e già sul piede di guerra, trovandosi davanti il sorriso luminoso di un fantasma. Niall Horan.
«Ellie!» il ragazzo le sorrise un po’ impacciato e la intrappolò in un abbraccio che sapeva di quattro anni prima, di ricordi e di cose che non dovrebbero mai tornare.
«E-ehy Niall…» ricambiò l’abbraccio, un po’ per affetto e un po’ per non cadere.
I capelli biondi del ragazzo erano cresciuti, ma gli occhi azzurri erano gli stessi: luminosi e vispi, gli occhi di un bambino intrappolati in un corpo di venticinque anni. Non sembrava cambiato affatto, indossava una felpa pesante nera con il cappuccio rosso, al cui collo erano appuntati gli occhiali da sole neri. Le gambe magre erano fasciate da jeans chiari, strappati sulle cosce e sulle ginocchia e ai piedi indossava un paio di scarpe da basket nere.
«Come stai?» l’inevitabile domanda, dopo anni di assenza ed un buco che non si chiude. Come avrebbe potuto, Ellie Morgan, riassumere quattro anni in una frase?
«Bene» mentendo. «Tu?» Lui?
Niall annuì, come soddisfatto da quella risposta sbrigativa ed assolutamente falsa.
«Tiro avanti. Ho una ragazza, in Irlanda».
Ellie gli sorrise, avrebbe voluto chiedergli e dirgli tante, tantissime cose, ma le cose erano cambiate e lei e Niall erano…estranei? Faceva male anche solo supporlo.
«Oh, beh…cioè è fantastico. Quindi non vivi più ad Oxford».
Niall scosse la testa, passandosi una mano sulla nuca. Strinse le labbra, umettandosele con la lingua. «Sono cambiate un po’ di cose. Mi sposto qui» spiegò, con il tono di chi sta omettendo la maggior parte delle informazioni importanti. Ma l’unica cosa che avrebbe voluto chiedere, urlare ed implorare Ellie rimaneva silenziosa, nel bruciore della gola di lei e negli occhi improvvisamente bassi di lui. L’imbarazzo di tutto quello che era successo e che non sarebbe mai tornato sembrò travolgerli proprio in quell’istante, nell’instante in cui un nome rimase sospeso nell’aria, pesante come un vuoto.
Quando Ellie senti la sua voce proprio dietro di lei non poté pensare ad altro che ad uno scherzo dei suoi sensi stanchi, provati dai ricordi improvvisi e dolorosi.
«Ellie» una voce roca, una preghiera, lo stupore di un bambino di venticinque anni e mezzo. Harry. No. Ti prego, no.
Si voltò tremante, il sacchetto di limoni stretto tra le mani come uno scudo o un’arma.
Harry Styles era immobile esattamente di fronte ad Ellie Morgan, e tutto ciò sembrava il più crudele degli scherzi del destino, la più brutale delle coincidenze. Il cuore di Ellie non perse semplicemente un battito. Si contorse, si strinse, si accartocciò su se stesso come un foglio di carta in fiamme.
«Hai visto chi ho incontrato?» chiese Niall all’amico, improvvisando un tono forzatamente allegro per stemperare il gelo, l’imbarazzo e quel senso di sbaglio che si era eretto tra lui ed Ellie.
Anche Harry aveva lasciato crescere i capelli, che ora gli arrivavano quasi alle spalle, ricci disordinati che alle ragazze erano sempre piaciuti da impazzire, ricci che erano stati tra le dita di Ellie così tante volte che il ricordo era tabù. Indossava un cappotto nero aperto su una camicia bianca a pois neri, pantaloni marroni stretti sulle gambe toniche e stivali marroni rovinati dal tempo e dai passi che lo avevano portato il più lontano possibile da lei.
Harry annuì lentamente, senza staccarle gli occhi verdi di dosso. Ellie alzò la testa, fiera, testarda e ferita, e si voltò nuovamente verso Niall.
«Dovrei proprio andare, sono con mia madre e…»
«Mamma!» la voce squillante di Eliot ed il rumore della corsa scomposta del bambino furono come una secchiata d’acqua gelata addosso ad Ellie.
Si voltò verso il bambino biondo che le stava correndo incontro, sbucando dagli espositori di cavoli, zucchine ed insalata.
Non guardò né Niall né, tantomeno, Harry mentre lasciava che il bambino le stringesse la mano aggrappandosi al suo cappotto. Il cuore le batteva veloce come le ali di un colibrì e le luci al neon iniziavano a farle girare la testa. Era tutto troppo sbagliato, doloroso ed improvviso. Non era pronta, non così, non lì. Mai. Pregò che nessuno lo riconoscesse.
Prima che qualcuno potesse parlare e spezzare la tensione che intossicava l’aria come un gas, sua madre Isabell li raggiunse con quel suo passo veloce e sempre ansioso.
«Scusa El, è scappato via come suo solito!» lanciò ad Ellie uno sguardo di scuse ed al piccolo un’occhiata di puro rimprovero. Solo allora si accorse di Harry e Niall, irrigidendosi mentre forzava un sorriso: «Harry, caro! Niall quanto sei dimagrito…beh, Ellie dobbiamo proprio andare. Tuo padre ci aspetta.» pessima scusa, ma pur sempre una via d’uscita da quella situazione.
Ellie annuì, troppo sconvolta per fingere un sorriso.
«Tranquilla mamma. Ho preso tutto» poi si rivolse nuovamente a Niall e, suo malgrado, ad Harry, troppo a disagio per proferire parola. «Scusate ma devo andare, è tardi».
Prese Eliot in braccio ed affondò la testa nella spalla minuta del bambino mentre si allontanava il più velocemente possibile dai due ragazzi, con sua madre che la seguiva spingendo il carrello cigolante.
«Ho fame» si lamentò lui una volta tra le braccia della madre.
«Adesso andiamo a c-casa» balbettò. Cercò di ricacciare indietro le lacrime e si strinse Eliot contro come se ne andasse della sua vita, come se fosse l’unico modo rimastogli per non andare in pezzi.
 
«Harry…»
«Oh porca puttana».
«Quanti…» l’amico non trovò il coraggio di terminare la frase.
«Quanti anni può…può avere?» suggerì amaramente Harry, stringendo i pugni fino a far sbiancare le nocche.
Niall annuì.
«Non saprei. Forse tre. O quattro, cinque no, impossibile.»
L’altro rimase in silenzio, trattenendo il respiro.
 
 
 
Ellie era stesa sul letto, ma nella sua testa era il 2010 ed è tutto più semplice e lontano.
 
Londra era tempestata da uno dei diluvi peggiori visti negli ultimi mesi. Era come se un qualche Dio si stesse scatenando, e stesse cercando di annegare la città. Non che ad Ellie Morgan dispiacesse l’idea. Stava scaldando l’acqua per un tè con il bollitore elettrico quando sentì il campanello suonare ripetutamente, un trrrriiinn stridulo ed insistente dopo l’altro. Corse ad aprire allarmata dall’insistenza e dal videocitofono scorse la figura di Niall, incappucciato e tremante sotto la pioggia fitta. Dietro Niall c’era un secondo ragazzo, che Ellie era certa di non conoscere ma che non ebbe il tempo di osservare attentamente.
«Ellie ti scongiuro apri!» urlò lui. Solo allora Ellie notò che stringeva tra le braccia la custodia della chitarra.
Fece scattare il portoncino ed andò ad aprire la porta principale, appiattendosi immediatamente contro il muro per permettere ai due ragazzi di lanciarsi dentro, finalmente al riparo. Entrarono correndo e schizzando acqua e fango sul finto parquet dell’atrio e si fermarono stanchi, con il fiatone e gocciolanti davanti a lei. Ellie chiuse il portone chiedendosi quanto avessero corso sotto quel tempo infernale.
Fu Niall il primo a parlare: i capelli completamente fradici erano attaccati alla fronte e alla nuca, tremante per il freddo. «Ti dobbiamo la nostra vita, ma non ti abbraccio che è meglio» ridacchiò, guardò in basso e solo allora notò il disastro che avevano fatto con il loro tumultuoso arrivo. «Cazzo. Scusa El» la guardò con quei suoi occhi azzurri limpidi e le sorrise imbarazzato, arrossendo.
Ellie scosse la testa e ricambiò il sorriso, lanciando un’occhiata curiosa all’altro ragazzo. Occhiata che, naturalmente, Niall notò.
«Ah, beh lui è Harry» li presentò. «Stavamo suonando a Covent quando è venuto giù il diluvio universale e casa tua era il posto più vicino».
Harry aveva dei capelli ricci, leggermente lunghi, che ricadevano pesanti gocciolandogli sulle spalle ampie. Era alto, troppo alto, e quando le sorrise scoprendo dei denti perfetti, mostrò due fossette ai lati delle labbra morbide e rosee che la fecero quasi arrossire. Perché Ellie aveva sempre avuto un debole per i ragazzi ricci e le fossette, e gli occhi verdi del ragazzo fradicio ed imbarazzato in piedi davanti a lei non rendevano affatto più semplice digerire quell’accoppiata.
«Piacere, Harry. Scusa per l’irruzione» le porse la mano ed Ellie la strinse con la sua, minuta, da bambina.
«Tranquillo, non potevo lasciarvi affogare» scherzò. «Stavo facendo del té» disse poi, rivolta ad entrambi. «Vi passo qualcosa di mio padre così potete mettere i vestiti in asciugatrice, quaranta minuti e saranno pronti».
«Non c’è bisogno che ti disturbi, davvero El…»
Ellie lanciò a Niall un’occhiata truce, mettendolo a tacere con un gesto sbrigativo della mano. «Ma per favore, siete due stracci, non posso lasciarvi così. Inoltre mi gocciolereste per tutta casa, e mia madre vorrebbe le vostre teste a quel punto».
L’amico le sorrise con gratitudine, appoggiando la custodia della chitarra a terra.
Lei tornò due minuti dopo, stringendo tra le braccia due pantaloni della tuta di suo padre e due felpe che ormai la pancia prominente non gli permettevano più di indossare. Li guidò verso il bagno del piano terra e si fece consegnare i vestiti bagnati da mettere in asciugatrice.
Pochi minuti dopo erano seduti in cucina, ognuno con una tazza di tè verde fumante tra le mani. I ricci di Harry erano vaporosi e disordinati per via del phon, mentre i capelli biondi di Niall erano piatti e gli ricadevano flosci sugli occhi.
«Liam?»
Niall storse il naso alla domanda. Lui e Liam erano soliti esibirsi insieme a Covent garden, Niall suonava la chitarra e Liam cantava. Ellie aveva conosciuto Niall proprio grazie all’altro, con cui frequentava il liceo. «Mi ha dato buca».
Ellie annuì e con un sorriso si rivolse ad Harry, tremendamente silenzioso. «Tu canti o suoni?»
«Canto, più o meno».
«Più o meno?»
«Lascialo stare» s’intromise Niall, ridendo. «Fa il finto modesto, ma gli piace cantare in strada. Gli si legge negli occhi».
Harry rivolse un sorriso pieno di disagio all’amico e si passò una mano tra i capelli.
«La settimana prossima vieni a vederci» le propose l’amico. «Dicono che pioverà tutta la settimana, quindi per qualche giorno dobbiamo stare buoni».
Ellie annuì, sovrappensiero. «Con piacere».
Harry non disse nulla ma le sorrise, guardandola di sottecchi.
 
Rivide Harry e Niall cinque giorni dopo, a Covent garden. Erano le 15.20 di una soleggiata giornata primaverile, e la piazza era affollata dai ragazzi appena usciti da scuola e dai passanti che si godevano i timidi raggi di quel sole tanto atteso. Niall era in piedi, la chitarra tra le braccia, i Rayban neri ed un sorriso allegro. Aveva una maglia a maniche corte dei Rolling stones e dei jeans grigi che gli andavano larghi, le vans nere e la custodia della chitarra aperta ai suoi piedi. Harry era al suo fianco, stringeva in mano il microfono attaccato ad un amplificatore portatile ed un po’ malandato. I capelli ricci erano tirati indietro da una fascia nera, indossava una semplice t-shrt bianca e dei pantaloni neri, stretti, il tutto completato da dei consunti stivali di cuoio marroni.
Ellie si fece strada tra i ragazzi fermi ad ascoltare i due artisti di strada che davano le spalle al Covent garden market. Le faceva uno strano effetto vedere Niall suonare per qualcuno che non fosse Liam.
La voce di Harry era più bassa dell’altro, roca e graffiata. Stavano cantando Darkness degli Imagine dragons. Ellie si soffermò ad osservare i gesti involontari di Harry, il modo in cui socchiudeva gli occhi sulle note più acute e sembrava rilassarsi alla fine di una strofa.
«Nothing is forgiven unless you want it to be. And if it’s too late for deciding, oh just leave it to me.»
Niall la notò e la salutò con un cenno della testa senza perdere la concentrazione. Ellie sorrise al ragazzo, Harry neanche la vide. Sembrava incapace di vedere, di sentire o percepire qualsiasi cosa andasse oltre la chitarra di Niall, oltre la sua voce roca.
«Stay with me, stay with me, stay with me please. Cause I’m living, living, living in the darkness.»
Ogni “stay with me” fu un pugno allo stomaco di Ellie, uno strattone al nodo sempre più stretto delle sue viscere. “Stay with me, stay with me, stay with me please”.
La canzone finì ed Harry finalmente la notò. Le sorrise e la salutò agitando velocemente la mano. Ellie ricambiò il saluto e capì cosa doveva fare.
 
«Niall?» si rigirò una ciocca di capelli tra le dita nervosa, seduta a gambe incrociate sul suo letto.
«El!» sentì una risata vicino a Niall, probabilmente Louis Tomlinson.
«Harry sta con qualcuno?» dritta al punto per una volta, uno strappo per non pensarci troppo.
«Mmm…no, non che io sappia.»
Ellie sorrise soddisfatta.
«Ti piace?»
«Forse.»
Poté quasi vedere il sorriso complice dell’amico.
«È uno un po’ incasinato. Ma posso lavorarci, se vuoi.»
«Mi piacciono i casini.»
«Allora te ne innamorerai» ridacchiò l’altro.
Ellie sorrise ancora, ripensò alle mani di Harry e alla sua voce e sentì lo stomaco stringersi un po’.
 
Niall non ci mise molto, in realtà. Ma quando hai i crampi allo stomaco e le parole di una canzone in testa “poco” tempo è comunque un’eternità. La chiamò due giorni dopo, alle 13.02.  
«Questa sera vieni da me e Liam, è il compleanno di Zayn Malik e facciamo una specie di festa. Porta anche Asia, naturalmente.» Asia era la sua migliore amica, nonché ex-ragazza di Liam Payne.
Ellie annuì anche se l’amico non poteva vederla, e si permise un sorriso da ragazzina pur cercando di tenere basse pretese, aspettative, e tutti quei pensieri che non portano mai a nulla di buono.
«A che ora?»
«Dopo cena, quando vi pare.»
Niall non accennò ad Harry ed Ellie non trovò il coraggio di fare domande.
 
Asia aveva i corti capelli neri tagliati in un caschetto asimmetrico che le risaltava il viso leggermente rotondo, un rossetto color prugna alle labbra sottili ed una pesante ma perfettamente delineata linea di eye-liner nero ad ingrandirle gli occhi piccoli e scuri, quasi neri. Aveva un vestito nero di h&m con lo scollo a cuore, un maglioncino nero e gli anfibi, anch’essi neri, con i lacci infilati all’interno. Precedette Ellie nell’appartamento di Niall e Liam, salutando entrambi con due baci sulle guance. Ellie fece lo stesso. Aveva impiegato quaranta minuti per prepararsi, solo per scegliere i suoi soliti jeans grigi stretti, strappati sul ginocchio destro, la camicetta nera aperta su un body nero che le faceva sembrare il seno più grande e la sua inseparabile giacca di pelle nera. Ai piedi aveva delle converse bianche con il plateau ed i capelli lisci erano sciolti, il trucco leggero.
Nel salotto, oltre a Zayn Malik –il neo-ventenne-, Louis Tomlinson con la sua ragazza Eleanor e Cody Hill, biondissimo e bassissimo, c’erano quattro ragazzi che non aveva mai visto. Harry era seduto a terra con le gambe incrociate e sembrava impegnato con un grinder di ferro. Davanti a lui, a terra, c’erano una cartina lunga ed il biglietto da visita di chissà quale impresa pronto ad essere sacrificato come filtro. Ellie riconobbe la musica dei Pink Floyd, forse stavano ascoltando The Wall ma non poteva giurarci. Sembrava una festa tranquilla.
«Sedetevi» le invitò Liam, da bravo padrone di casa.
Ellie prese posto a terra, vicino a Niall –a sua volta seduto al fianco di Harry-, mentre Asia ne approfittò per rubare il posto di Louis sul divano, proprio vicino a Zayn.
Harry si affacciò dalla spalla di Niall e le sorrise mentre leccava la cartina e chiudeva la canna, senza staccarle gli occhi verdi e luminosi di dosso. Ellie arrossì e si portò le ginocchia al petto per tenere tutti i pezzi vicini e non crollare sotto quegli occhi.
 
Dovevano essere le 2.00 del mattino, o forse era ancora più tardi, Ellie non ne aveva idea. Aveva shottato due bicchieri di tequila con Niall, bevuto una birra e gin e tè freddo alla pesca su consiglio di Louis Tomlinson. Quel ragazzo non le andava molto a genio, chiacchierava troppo, si prendeva troppe confidenze e rideva troppo forte, ma almeno dava buoni consigli. Non era ubriaca, non reggeva male l’alcool come Asia –stravaccata sul divano con la testa ciondolante che continuava a cadere sulla spalla di Zayn-, ma aveva decisamente bisogno d’aria. La finestra del salotto dava su una scala di emergenza che Ellie aveva sempre adorato. Faceva tanto film adolescenziale americano, anche se Liam la odiava perché offriva un ottimo appoggio ad eventuali ladri e scassinatori. Prese una seconda birra, andò verso la finestra, la aprì cercando di non buttare a terra Jerry, il vaso di basilico di Liam –che aveva il vizio di dare un nome alle piante e di affezionarvisi- ed uscì nell’aria fredda di un Aprile inglese.  Andò a sedersi sul primo gradino della scala e guardò in basso, verso la strada male illuminata da un lampione e deserta. Abbandonò la testa contro la ringhiera della scala e chiuse gli occhi. Dall’interno dell’appartamento adesso arrivavano le note di una canzone che non conosceva di quelli che le sembrarono i Gorrilaz. Rabbrividì e rimase in ascolto delle risate di Liam ed uno dei tre ragazzi di cui non riusciva a ricordare i nomi. Ci doveva essere un Thomas, di questo era sicura. Magari quello con il piercing al sopracciglio. O forse quello un po’ grassottello? Ellie non aveva mai avuto una buona memoria per i nomi, ed era troppo brilla per continuare a pensare.
Sentì un’imprecazione provenire dalla sua sinistra ed il rumore di un vaso di terracotta che si frantuma a terra, seguito da un: «Porca troia Harry!»
Si voltò. Harry aveva una gamba a penzoloni fuori dalla finestra ed il resto del corpo ancora in casa. «Scusa amico!» ridacchiò, uscendo completamente dalla finestra. Si pulì i jeans scuri e portò una canna alle labbra, facendo un sorriso obliquo in direzione di Ellie prima di sederle accanto.
Lo spazio era stretto e le loro cosce si sfioravano, le ginocchia cozzavano l’una contro l’altra. Ellie lo guardò rabbrividire nella sua t-shirt a maniche corte e pensò che non erano mai stati così vicini, e che gli occhi di Harry al buio sembravano grigi.
«Credo di aver ammazzato Jerry» le confessò, per spezzare il silenzio. Sembrava un po’ fatto ed euforico.
Accese la canna con un clipper bianco e lei fu investita da una vampata d’erba.
«Liam tende a mettere le sue piante nei posti meno opportuni» prese la birra che tenevo postava sul secondo gradino, tra i suoi piedi, e ne mando giù un sorso.
Harry ridacchiò e si passò una mano tra la matassa di ricci, aspirando un tiro di canna.
«Allora, ti siamo piaciuti l’altro giorno?» solo una fossetta spunta, dalla guancia destra, ed Ellie dovette concentrarsi per elaborare una risposta, per l’alcool e per quella vicinanza che non faceva respirare.
Annuì e si morse il labbro inferiore, in difficoltà. «Sì, anche se fa strano vedere Niall senza Liam.»
«Gli ha dato buca troppe volte. Niall a ‘sta cosa ci tiene troppo.» la guardò e socchiuse gli occhi trattenendo una risata. «E stai insinuando che io non so cantare?»
Lei rise e scosse la testa sempre più leggera. «Ma che! Ma se sei bravissimo!»
«Bravissimo?» Harry alzò un sopracciglio, fece un ultimo tiro di canna e la offrì ad Ellie che gli sorrise in un muto ringraziamento.
Annuì, fece un tiro e si sforzò di non tossire. La canna era decisamente carica.
Lui si allungò per rubarle la birra, addossandosi completamente ad Ellie con il busto nel perdere l’equilibrio. Scoppiò a ridere ed avvicinò il viso al suo approfittando del contatto.
«Lo sai che sei proprio bella?»
Ellie avvampò e rimase immobile, senza dire nulla. Riuscì a metter su’ un sorriso imbarazzato mentre Harry le posava una mano sul ginocchio e si sporgeva, sempre più vicino, troppo vicino ma non abbastanza. E tutto ciò faceva davvero molto filmetto adolescenziale americano, ma andava benissimo così. Ad entrambi. La baciò senza dire nulla, senza prefazioni o attese infinite per aumentare il desiderio di toccarsi, la baciò con una ruvida dolcezza che la fece impazzire mentre la canna nella sua mano si spegneva e le risate in casa continuavano. Continuarono a baciarsi, mentre la musica cambiava, passando dai Gorrilaz ad Eminem, a qualche gruppo che nessuno tranne Louis aveva mai sentito nominare.
 
Tornò a Covent il giorno dopo, febbricitante all’idea di rivederlo. Trovò Harry e Niall nel loro solito spiazzo, davanti al Covent garden market. Stavano suonando Baby it’s you dei Beatles e Niall sfoggiava un sorriso soddisfatto mentre suonava una delle sue canzoni preferite.
«But how many many many nights go by, I sit alone at home and cry over you. What can I do
can’t help myself, ‘cause baby it’s you, baby it’s you!»

La voce di Harry sembrava accarezzare ogni parola, le sue labbra erano aperte in un lieve sorriso e gli occhi verdi brillavano, sembrava terribilmente allegro, quasi quanto Niall intendo a sculettare a ritmo.
«You should hear what they say about you. They say, they say you never never ever been true…»
C’erano due ragazzine ferme davanti a loro, intente a vociferare lanciando sguardi perdutamente innamorati ai ragazzi. Un signore anziano diede qualche moneta alla nipotina che andò a lasciarla nella custodia della chitarra di Niall, due turisti giapponesi li stavano filmando con un i-pad.
«Oh, it doesn’t matter what they say. I know I’m gonna love you any old way. What can I do, then it’s true don’t want nobody, nobody, cause baby it’s you. Baby it’s you…»
Quando la vide Harry le sorrise, inchiodandole gli occhi addosso come se ci fossero solo loro in quella piazza, come a volerle dire qualcosa di incredibilmente importante, a lei, solo a lei.
«Oh, it doesn’t matter what they say. I know I’m gonna love you any old way. What can I do, then it’s true, don’t want nobody, nobody cause baby it’s you, baby it’s you. Don’t leave me all alone
La canzone finì. Ellie era paonazza in viso e gli occhi di Harry le stavano ancora addosso.
Partì un applauso dallo scarno pubblico e Niall rise per qualcosa che Harry gli sussurrò all’orecchio. Salutò Ellie con la mano, bevve un sorso d’acqua e si preparò un una nuova canzone.
«Sono un po’ in fissa con i Beatles» si giustificò, prima di dare inizio alle prime note di Please, please me.
Harry scosse la testa divertito ed afferrò il microfono, lo sguardo puntato sulla punta dei suoi stivali
«Last night I said these words to my girl: I know you never even try, girl. Come on, come on, come on, come on, please, please me, wo yeah, like I please you…»
Ellie sorrideva senza neanche accorgersene mentre Harry e Niall accennavano goffi passi di danza, il primo cercando di non ridere per non rovinare la canzone, il secondo suonando quasi senza farci caso, come se fosse naturale e la chitarra non fosse altro che un prolungamento delle sue braccia e delle sue dita.
Quando anche Please, please me finì il piccolo pubblico applaudì di nuovo, due ragazzi di circa dodici anni iniziarono a fischiare entusiasti, e Niall posò la chitarra a terra asciugandosi il sudore che gli imperlava la fronte con un lembo della t-shirt, facendo così impazzire le ragazzine alla destra di Ellie.
«Per oggi abbiamo finito» annunciò con un sorriso. In breve il pubblico si disperse, mentre Ellie rimaneva lì ad osservare Harry spegnere l’amplificatore e Niall raccogliere i soldi dalla cassa. «Con questi non ci mangiamo neanche da Mc donald’s.» si lamentò quando Ellie gli fu vicino.
«Come sei venale Horan» lo sfotté lei.
Gli occhi azzurri di Niall la incenerirono mentre Harry lo affiancava. Ellie alzò gli occhi, e si scambiarono uno di quegli strani sguardi, un po’ complici e un po’ circospetti, di chi ha paura che i baci di una notte siano stati solo baci, solo uno sbaglio da poco.
«Quindi siamo bravi» sorrise Harry, stringendo tra le braccia il piccolo amplificatore.
Lei si morse le labbra e vide gli occhi di Harry concentrarsi su quel gesto, quel piccolo tic involontario. Arrossì. «Sì, siete bravi».
«Porto questa in macchina intanto.»
«Due minuti e arrivo» rispose Harry.
Niall mi abbracciò velocemente e mi salutò con la mano allontanandosi.
«Ti chiamo dopo!» urlò pochi metri dopo.
Annuii e lo salutai sorridendo, poi mi voltai verso Harry con le mani che già tremavano d’aspettativa e paura.
«Che fai ‘stasera?» dritto al punto. Aveva sempre invidiato questa capacità. Lei intorno alle cose ci girava sempre, giri enormi che spesso le facevano perdere il filo e le occasioni. Inclinò leggermente la testa di lato stringendo con più forza del necessario la borsa di finta pelle marrone che le pendeva dalla spalla.
«Idee?»
Harry sorrise e si leccò le labbra scuotendo la testa per togliersi un riccio dall’occhio sinistro. Con pochi involontari gesti era riuscito a far fermare il cuore di Ellie almeno sei volte.
«Andiamo a bere da qualche parte, è sabato» fece spallucce. «Vieni con noi?»
Riuscì persino a fingere di ponderare l’idea, prima di annuire nervosa.
«Ti…ti lascio il numero?»
«Tranquilla» Harry le fece l’occhiolino ed iniziò ad allontanarsi di qualche passo. «Ce l’ho già il tuo numero».
 
Non era mai uscita con il gruppo di Niall e gli altri, nonostante conoscesse lui e Liam da anni. Il Bar Music Hall si trovava a Shoreditch. Ad Ellie non piaceva molto l’arredamento, ma non sembrava male come posto ed il sabato sera, a detta di Zayn, era sempre pieno. Inoltre offriva una gran varietà di birre belghe importate. Il pavimento di legno chiaro era leggermente graffiato, al centro del locale principale c’era il bar, con una fila di sgabelli su un lato. Il soffitto di travi di legno era sostenuto da alcune colonne nere e su una parete, dietro un piccolo palco e dei divani rossi, spiccava la scritta “Bar music hall” composta da foto in bianco e nero di artisti musicali. Qua e là c’erano dei poggiapiedi neri in finta pelle, tavolini e poltrone. Entrarono alle 23.15, dopo aver aspettato Niall e Liam, in ritardo come al solito.
Harry le stava a fianco e sembrava avere sempre una scusa per sfiorarla: offrirle una sigaretta, spostarsi per lasciar entrare dei ragazzi, la folla al bar. Ellie aveva bisogno del contatto, la faceva sentire sicura sfiorargli una spalla, toccargli il gomito per sussurrargli qualcosa e guadagnarsi un sorriso ed una stretta allo stomaco, un po’ di quell’incertezza adolescenziale che finirai per ricordare anche a quaranta, cinquant’anni.
Si sedettero sui divanetti e, a distanza di sei anni, quel ricordo bruciava ancora dentro Ellie vivido come una macchia solare. Le labbra di Harry sul suo collo mentre rideva per una battuta di Zayn, il suo braccio intorno alle spalle alla terza birra, coscia contro coscia, stretti perché non c’era posto ed era bello stare così vicini. Non si baciarono per tutta la sera ma lui non la lasciò un attimo.
«Ti accompagno a casa» le sussurrò alle 2.00. Il locale stava per chiudere e Louis era ubriaco marcio, sostenuto a stento da Liam e dalla ragazza, Eleanor.
 
«Ho avuto voglia di baciarti tutta la sera» sussurrò contro le sue labbra. Erano fermi in macchina e tutto andava troppo velocemente mentre nella sua testa la voce di Harry a Covent garden continuava ad offuscare qualsiasi pensiero coerente.
Si avvicinarono lentamente, come fosse il primo bacio, come se la notte prima sulle scale antincendio non fosse successo nulla. Harry si slacciò la cintura, le sorrise ormai a pochi centimetri dalle sue labbra e le afferrò saldamente il viso con le mani, nonostante lei non avesse la benché minima intenzione o anche solo la forza di muoversi. Le schiuse le labbra con le sue e lei si ritrovò a chiudere gli occhi mentre la lingua di Harry trovava dolcemente la sua. Strinse i pugni in cerca di appiglio e quando lui interruppe il bacio non poté trattenere una mezza risata stanca, con gli occhi che istintivamente cercavano le labbra di Harry.
«Che ti ridi?» Harry rise a sua volta guardandola negli occhi.
«Cazzo, mi piaci».
 
Fecero l’amore per la prima volta esattamente due settimane dopo. Quel ricordo faceva sorridere Ellie nonostante fosse uno dei più dolorosi della memoria interna del suo cuore. L’odore di Harry stava svanendo, così come la sensazione delle sue mani calde sulla pelle, i suoi respiri tra i seni, ma le immagini erano così vive da tormentarla in sogno a distanza di anni e tanti, troppi chilometri. Si svegliava piangendo sulle ceneri di quei diciott’anni bruciati troppo velocemente.
Erano a casa di Harry, un sabato sera senza prospettive o progetti. La camera di Harry le piaceva, aveva il suo odore ed un poster di Mick Jagger che lei trovava segretamente sexy. Era seduta sul letto ed Harry stava parlando al telefono con Zayn, nervoso.
«A che ora?»
Camminava per la stanza, la fronte corrugata ed una mano tra i ricci.
«Ok, ok, vi chiamo quando usciamo» ridacchiò teso e scosse la testa «A dopo.»
«Che si fa?» chiese lei, mentre Harry posava il cellulare sul comodino e si sporgeva verso di lei, le mani poggiate sul materasso.
«Film da Liam e Niall. Ti va?»
Ellie annuì e gli circondò il collo con le braccia. In due settimane aveva scoperto un’infinità di cose su Harry. Scriveva canzoni, aveva diciannove anni, una sorella di cinque di nome Gemma, era allergico al pelo dei gatti e l’unico libro che era riuscito a finire era Donne di Bukoski e, aveva scherzato, gli aveva davvero fatto capire molte cose. Ellie parlava poco, parlava poco in generale. Preferiva ascoltarlo e toccargli le mani, la spalla, preferiva i gesti, le carezze o i pugni che lo facevano solo ridere. Non era mai stata una ragazza coincisa, al nocciolo di qualsiasi questione preferiva arrivare per vie traverse, senza correre rischi. Troppe parole la innervosivano e la mandavano sulla difensiva. Harry le piaceva, e questo era già un rischio, uno svantaggio. E aveva voglia di fare l’amore con lui, senza troppe complicazioni, senza come e perché, senza mettere di mezzo l’adolescenza o l’amore. Voleva solo fare l’amore e sentirsi un pezzo meno sola. Quando si sporse per baciarla Ellie chiuse gli occhi, e sparirono svantaggi e parole, svanirono il poster di Jagger ed i racconti sulle peggiori sbronze di Niall. Ellie gli accarezzò le spalle muscolose, infilò le mani piccole nel collo del maglione e gli toccò la pelle con le dita sempre fredde. Harry si irrigidì un istante, le diede una spinta e la fece cadere con la schiena sul materasso ridendo. Sembrava tutto così facile, allora. C’era stato un tempo in cui le mani di Harry sulle cosce erano state per lei la cosa giusta, un tempo in cui i suoi baci sulle scapole avevano racchiuso il mondo e cancellato i pensieri, almeno per un po’. Bastò uno sguardo ed un mezzo sorriso di Harry a far perdere l’equilibrio al suo cuore. Le baciò il mento, la gola, scese fino alla scollatura del maglioncino ed iniziò a sollevarlo, baciando ogni centimetro di pelle scoperta. Ellie, sotto di lui, cercava solo di non tremare. Gli infilò le mani tra i capelli e sussultò quando sentì i denti di Harry mordicchiare la pelle intorno all’ombelico. E sembrava davvero l’unica cosa giusta in quel momento. Harry si inginocchiò sul letto, si sfilò la felpa grigia della nike e la t-shirt blu notte che indossava sotto. Si fermò un istante a guardarla, mezza nuda e con il fiato corto, imbarazzata e completamente rossa in viso sotto di lui. «Te l’ho già detto, che sei proprio bella?»
Ellie si morse le labbra, arrossendo ancora di più sotto lo sguardo eccitato di Harry. Nessuno osava muoversi ed ognuno pregava affinché l’altro si decidesse. Finalmente lui tornò ad abbassarsi verso di lei, fino a posare la fronte contro la sua. Chiuse gli occhi, lo sguardo di Harry aveva su di lei lo stesso effetto degli eccessi di parole e della Sambuca. Le affondò il viso nell’incavo del collo e la baciò facendole il solletico sulla guancia con i ricci. Lei passò una mano tremante sui tatuaggi del suo braccio mentre la mano di Harry le sganciava il bottone dei jeans dall’asola. Non disse nulla, tremò soltanto mentre lui continuava a spogliarla e a baciarla. Non c’era fretta. C’era solo lui.
 
Sei mesi dopo Harry aveva scritto tre canzoni ed Ellie si era diplomata ed aveva trovato lavoro nel ristorante di sua zia Laureen. Stavano insieme, anche se stare insieme era un po’ riduttivo e vincolante. Ellie teneva ancora stretta la sua fobia per le parole, ma Harry aveva imparato a capire i suoi gesti nervosi e la frequenza con cui si mordeva le labbra, a stringersela al petto quando piangeva e non voleva essere vista in quello stato, a baciarle la tempia, accarezzarle il punto dietro le ginocchia con le dita e a mantenere il contatto visivo per comunicarle che c’era e non se ne andava. Lei andava due volte a settimana a sentire Harry e Niall suonare a Covent, a volte gli lasciava il segno dei morsi sul collo e quando erano insieme rideva un po’ più forte del solito. Aveva capito la meteoropatia di Harry ed era riuscita a leggere qualche sua canzone con il tempo. Erano una cosa solida, loro due. Si erano detti ‘ti amo’ solo una volta, alle 3.00 del mattino. Erano accoccolati sul divano del salotto di Niall e Liam. C’era stata una cena per festeggiare i ventuno anni di Liam la sera prima, ed Harry aveva bevuto troppo per guidare. Lo spazio era poco e la stanza puzzava di fumo e di erba, ma nessuno riusciva ad alzarsi per andare ad aprire la finestra. Harry aveva il viso sul petto di Ellie e gli occhi chiusi mentre lei gli accarezzava i ricci. Era uno di quei momenti in cui finisci con il chiederti: “Ma come è successo? Come ci siamo finiti, così?”, ma poi smetti di pensarci sei stanco e ti va bene così.
«El?»
«Mh?»
«Ti amo. Te lo volevo dire da un po’ ma…beh, in vino veritas. Ti amo.»
Ellie sorrise ad occhi chiusi senza smettere di accarezzargli la matassa di ricci.
«Anche io, ma ci metto sempre tanto con ‘ste cose.»
«Con me puoi metterci tutto il tempo che vuoi.»                   
Con il tempo ne arrivarono anche altri di ‘ti amo’, sempre sputati di fretta e casuali. Harry scrisse altre canzoni ed Ellie lo presentò ai suoi genitori. Sua madre lo adorava, suo padre era un po’ geloso ma non lo dava a vedere. Asia e Zayn si erano baciati un paio di volte ma lei era piuttosto confusa. Liam avrebbe iniziato a studiare medicina. Louis stava ancora con Eleanor e sembravano una coppia di ferro, tipo Barbie e Ken.
Un giorno Harry le chiese perché aveva paura delle parole. Avevano fumato ed Ellie sentiva la bocca impastata e gli occhi stanchi.
«Pensa alle canzoni.» le aveva detto lui. «Tipo Wish you were here dei Pink, le parole sono bellissime!»
«Non lo so.» Ellie aveva alzato le spalle, accoccolata contro di lui sul divano di casa. «C’è sempre troppo nelle parole.»
Harry le aveva baciato una tempia ed aveva iniziato a canticchiare piano.
 
Se aveva sempre avuto paura delle parole un motivo c’era. Le parole riuscivano sempre a demolirla, a radere al suolo quel che di buono, o anche solo di accettabile, c’era in lei.
Arrivarono il sei dicembre 2012, quelle parole.
«Ho qualcosa da parte, Niall ha lavorato e…»
Ellie non riusciva a respirare ed Harry continuava a torcersi le mani e a non guardarla. «Inizialmente qualcosa in Inghilterra, magari a Kent, Oxford, Bradford…»
Erano seduti a tavola, come due adulti. Avevano venti e ventuno anni, avrebbero affrontato la cosa in modo maturo. Lei non avrebbe pianto, lui non avrebbe supplicato, e nessuno avrebbe proposto all’altro di rimanere amici perché sarebbe stato semplicemente ridicolo.
«Poi magari in Irlanda, la famiglia di Niall ci ospiterebbe per un paio di mesi.» La guardò negli occhi, sembrava fosse alla disperata ricerca di un appoggio e di una consolazione che Ellie non era in grado di dargli. La stava lasciando. La stava lasciando a casa, come un bagaglio troppo ingombrante, una felpa che potrebbe anche non servire, un mobilio che nella nuova casa stonerebbe. I suoi occhi si riempirono di lacrime ed Harry divenne un’immagine sfocata. Un estraneo. «Ok.»
Ok. Solamente…ok. Perché di tutte quelle parole che aveva pensato, non sarebbe mai riuscita a sputarne neanche una. Perché di parole Harry ne aveva già dette abbastanza per entrambi. Sarebbe partito con Niall, volevano suonare in qualche città dell’Inghilterra e dell’Irlanda, provare a farsi conoscere, a fare serate, a stringere le giuste amicizie. Ellie capiva, capiva davvero. Non gli serviva. Harry non avrebbe avuto bisogno di lei in quel nuovo capitolo di vita. Non era necessaria. E lo capiva, lo capiva davvero.
«Vieni con noi» sussurrò con voce roca, cercando la mano di Ellie con le sue.
Lei si ritrasse, incrociò le braccia al petto e scosse debolmente la testa. Non riusciva a parlare.
«Ti amo.»
Iniziò a tremare, cercò con tutta se stessa di trattenere le lacrime.
«Ellie…»
E lei capiva, lo capiva veramente.
Ma se la amava, perché la stava lasciando?
 
Non dormì bene per settimane. Il giorno era difficile non tremare cadendo in pezzi per strada, scoppiare a piangere nel bel mezzo del ristorante di sua zia o rimanere semplicemente a casa a farsi male, ma erano le notti a tormentarla, a stritolarla nei ricordi e nei rimpianti, a stritolarla con tutte quelle parole che Ellie alla fine non era riuscita a capire. Non riusciva a staccarsi da lui. Rimaneva sveglia, accoccolata tra le coperte a scartabellare ricordi che ben presto l’avrebbero divorata, ascoltando il battito sordo del suo cuore. C’era quel pomeriggio passato a fare l’amore per terra, in casa di Harry, perché Anne era di sotto in cucina e quel letto cigolava troppo. C’erano gli occhi di Harry la domenica mattina di chissà quanti secoli prima, quando le aveva cantato Love her madly dei Doors a Covent garden senza smettere di fissarla neanche un istante, i messaggi dolci e sgrammaticati che le scriveva da ubriaco e i borbottii sconnessi che aveva sempre sostituito alle scuse, troppo orgoglioso, testardo e maschio per ammettere un errore. Erano rimasti insieme due anni. In due anni si possono creare e distruggere innumerevoli cose. In due anni Asia era andata a studiare scienze politiche in Francia e Zayn l’aveva seguita, perché alla fine era venuto fuori che s’era innamorato da fare schifo. In due anni Louis aveva fatto crescere i capelli e lasciato Eleanor per motivi che nessuno aveva mai scoperto. In due anni Ellie aveva plasmato se stessa su Harry, si era adattata a camminare a sinistra perché lui preferiva camminare a destra, aveva smesso di usare il rossetto perché non durava mai a lungo, si era abituata a cercare la sua mano tra la folla ed i suoi occhi a Covent anche quando non c’era, ai suoi “buonanotte El” senza emoticon e alla sua pelle. Andandosene Harry la privò della sicurezza di tutte quelle piccole abitudini, che per Ellie erano sempre state fondamentali, altro che parole e discorsi. Ma adesso era finita, e come sarebbe riuscita a farsi toccare da altre mani senza trovarla una cosa semplicemente sbagliata? Quali occhi avrebbe cercato tra la gente, adesso?
Liam aveva cercato con una goffa dolcezza di rimanerle accanto, andavano al cinema e la faceva ridere quando i silenzi di Ellie diventavano insostenibili. Le era rimasto solo lui, e la solitudine che di notte la demoliva pezzo per pezzo era impossibile da gestire, perché di notte Harry tornava ad essere vivo e lontano e lei…sola. Aveva modellato se stessa su Harry e quando se ne era andato lei era semplicemente crollata.
E c’era stato un tempo in cui Ellie stava bene e credeva davvero che la vita andasse bene così, come le capitava. Un tempo in cui poteva andare in discoteca, mettere il rossetto bordeax, la gonna a vita altra verde scuro, e ballare abbracciata ad Asia. Ridere, bere qualche drink alla frutta e prendere in giro Zack quando andava in bianco, andare al liceo e fumare una canna con Sonya e Liam di nascosto, sotto le scale antincendio della scuola. Un tempo in cui le mani e gli occhi di Harry sembravano davvero la cosa migliore per lei. C’era stato un tempo in cui le adolescenti incinte se ne stavano su mtv e lei le ignorava semplicemente cambiando canale, annoiata.
Quando aveva smesso anche di mangiare sua madre aveva proposto degli incontri con uno psicologo, Liam invece una cena da Mc donald’s piena di grassi sconosciuti e condimenti portatori malattie probabilmente terminali.
Quando aveva cercato su google, google aveva suggerito una forma di depressione.
Quando, un mese e mezzo dopo, aveva trovato il coraggio di fare il test aveva urlato.
Harry, in fin dei conti, non era riuscito a lasciarla.  
 
 
Quella notte dormì due ore, sopraffatta dai ricordi di un’adolescenza morta giovane, di una spensieratezza a cui ora riusciva solo a dare il nome di stupidità. Era stata giovane ed era stata stupida, ed (era)stata innamorata, ma era finito tutto. Eppure rivederlo aveva riaperto ogni sua ferita, scucito i punti di sutura e gettato sale su ogni squarcio. Non ricordava di essersi addormentata né come si fosse svegliata, ma bastarono pochi secondi di coscienza e l’immagine di un Harry adulto che non sembrava più il suo a scatenare la tempesta che i suoi occhi si portavano dietro da troppo tempo ormai. Si rannicchiò tra le coperte e soffocò i singhiozzi contro il cuscino, concedendosi il primo vero momento di debolezza dalla nascita di Eliot. Harry. Le mancava da far male, la uccideva, le aveva strappato un pezzo di corpo e d’anima così grosso che Ellie a stento riusciva a respirare. L’aveva semplicemente lasciata indietro, ritenuta troppo d’impiccio per la sua idea di vita. Era sempre stato pieno di idee Harry, di sogni, viaggi da fare, cose da provare, sensazioni da assaggiare. Aveva sempre inglobato anche lei nei suoi progetti, illudendola con “Andremo, faremo, ti piacerà vedrai, faremo l’amore qui e vedremo l’alba lì”, ma poi il noi si era sfaldato, era diventato un io in cui Ellie non aveva trovato spazio. Pianse e ricordò fino a che non sentì il campanello suonare ripetutamente, quasi con furia. Era giovedì e lei avrebbe iniziato il suo turno al ristorante alle 19.00. Sua madre doveva essere uscita, suo padre era all’università per una lezione di Criminologia ed aveva portato Eliot all’asilo. Si alzò barcollando, instabile come i palazzi a cui crollano le colonne portanti, accese la luce e guardò l’immagine di una donna distrutta allo specchio appeso sopra la cassettiera bianca della sua stanza. Sembrava tre anni più vecchia, con gli occhi gonfi e rossi e pesanti occhiaie a rimarcare una notte di patetica sofferenza.
Sentì di nuovo il campanello, insistente ed affilato come una lama nella sua testa pesante.
Infilò un maglione per nascondere l’assenza del reggiseno ed andò ad aprire, con i pantaloni grigi del pigiama ed i soli calzini ai piedi. Non controllò l’occhiello della porta prima di aprire.
Se lo ritrovò davanti come un uragano, come la prima volta che era entrato in casa sua per ripararsi da un diluvio. Non ebbe neanche il tempo di realizzare cosa stesse succedendo, sentì solo la porta sbattere violentemente mentre lui torreggiava su di lei e le afferrava bruscamente il polso. Il tocco di quelle dita sulla sua pelle dopo quattro anni di lontananza bruciò come acido, mentre gli occhi furiosi di Harry cercavano i suoi.
«Dimmi che quello non è mio figlio» ringhiò. Aveva la faccia stravolta, i capelli lunghi che gli ricadevano disordinati davanti al viso, il volto pallido e le stesse occhiaie di Ellie. Le fu inevitabile chiedersi quali ricordi avessero tenuto sveglio lui.
Non riuscì a rispondere, non riuscì neanche a schiudere le labbra. Gli erano crollati addosso anni di muri, silenzi e distanze, schiacciandola miseramente. Cercò di prendere un profondo respiro ignorando la stretta troppo forte di Harry sul suo polso. Non erano pelle a pelle da così tanto tempo che avrebbe sopportato qualsiasi dolore pur di sentirlo ancora un po’.
«Ellie» sembrava che stesse per mettersi a piangere e ad urlare contemporaneamente.
Lei sentì gli occhi riempirsi di lacrime e capì che ad Harry non sarebbe servita altra conferma.
«Ellie cosa cazzo hai fatto» gemette. Fece un passo avanti ed Ellie indietreggiò automaticamente, trovandosi con le spalle al muro. Boccheggiò in cerca d’aria, ma rimase a fissarlo, immobile.
Harry iniziò a tremare ed abbassò lo sguardo. Non seppe quanto tempo passò, fu lui a spezzare il silenzio con un grugnito, tirando un pugno contro il muro così vicino al suo viso da farla sobbalzare spaventata. Harry non era mai stato un tipo violento.
«È mio» sibilò alzando nuovamente lo sguardo. «E tu non mi hai mai detto un cazzo!» glie lo urlò dritto in faccia, guardandola con disperazione nelle pupille, puntando dritto all’anima. Non lo aveva mai visto così fuori di sé, e la cosa peggiore era che non riusciva a fare nulla, a muoversi, a parlare, a giustificarsi o ad incolparlo. Gli occhi di Harry erano ormai pieni di lacrime, specchio dei suoi. Due scaglie di giada che un tempo l’avevano sempre fatta sorridere. Ed Ellie avrebbe voluto dirglielo, che alla fine non c’era riuscito a lasciarla del tutto, che ormai erano una cosa sola e che il legame che lui aveva cercato di strappare era diventato concreto, di carne, con due occhi verdi e i capelli biondi, e delle espressioni così simili a quelle del padre che innumerevoli volte Ellie era stata costretta a distogliere lo sguardo per non piangere. Ma la gola bruciava troppo e lui non c’era stato per quattro anni. Ormai era tardi. Erano polvere.
Lasciò andare lentamente la stretta sul suo polso e lei sentì il sangue tornare a circolargli nelle dita intorpidite. Se lo massaggiò distrattamente mentre le lacrime le accarezzavano le guance.
«Si chiama Eliot» sputò infine, con un filo di voce.
«Eliot» Harry ripeté quel nome lentamente, cercando forse di indovinare che tipo potesse essere un bambino di nome ‘Eliot’. Timido, impacciato, vivace, maleducato forse? Tirò su con il naso e forse per la prima volta da quattro anni si videro. Un immaturo venticinquenne che era corso dietro ad un sogno con il suo migliore amico, e chissà se aveva fatto strada o era rimasto indietro mentre la vita vera lo superava. Una distrutta ventiquattrenne intrappolata in un lavoro insapore e in ricordi che lentamente l’avevano consumata, che si era costretta a crescere per non aggiungere suo figlio alla sua lista di rimpianti e progetti andati a male. Si videro e videro ognuno negli occhi dell’altro una solitudine ed un cambiamento che non riconobbero. Non erano più Ellie ed Harry, erano due estranei che si incontravano ad una fermata delle loro vita chiedendosi cosa era successo ai due adolescenti che si erano amati come bambini, un tempo.
«Perché lo hai fatto?»
«Perché sarebbe stato un peso. Non eri pronto. N-non mi amavi abbastanza.» l’ultima frase fu la più difficile da buttare fuori, le raschiò la gola e le provocò un singhiozzo silenzioso.
«Ma io ti amavo» lo disse come un bambino ferito.
Ellie scosse la testa, abbozzò un sorriso che faceva più male delle lacrime. «Lo so. Ma non abbastanza, ero…eravamo di troppo.»
Harry si passò una mano sul viso, ma ormai era in lacrime, a pezzi quanto lei. Non se ne esce mai integri da queste storie. «Ma che cazzo dici…non provare a darmi la colpa adesso. Non devi provarci, non me lo merito.»
«Mi hai lasciata, Harry.»
«Non mi hai mai detto di mio figlio!» gridò esasperato.
Harry era ormai una figura sfocata per Ellie. Cercò di asciugarsi le lacrime con la manica del maglione. Parole, ancora parole. Dopo tutto quel tempo.
«Non sapevo che fare» piagnucolò, lo sguardo fisso sui propri piedi.
«Ho perso quattro anni della vita di mio figlio perché tu-» calcò quel ‘tu’ con asprezza, come a voler sottolineare che il ‘noi’ non sarebbe mai più potuto tornare «-non sapevi che fare?» alzò nuovamente la voce e strinse con forza le nocche schiudendo le labbra nel tentativo di tornare a respirare regolarmente.
«Non volevo che tornassi da me perché eri costretto.»
“Non ti ho mai detto niente perché speravo che tornassi con le tue gambe, ma hai semplicemente continuato ad allontanarti”. Ma quelle parole erano troppe e troppo vere perché Ellie trovasse il coraggio di dirle.
«Ma io ti amavo» ripeté tra i singhiozzi. E lei capì che quelle lacrime erano i sensi di colpa perché non l’aveva amata abbastanza da restare.
 
Fu la settimana peggiore della sua vita. Lei ed Harry continuavano semplicemente ad urlarsi addosso e piangere e ad incolparsi di tutto quello che era potuto e sarebbe andato storto nelle loro vite. Lui e Niall avevano avuto poca fortuna in Inghilterra, e avevano finito con il lavorare in alcuni pub di Dublino, avevano composto numerose canzoni nuove ma non erano andati da nessuna parte. Ellie quando lui se ne era andato aveva attraversato una breve forma di depressione, era dimagrita troppo e per un po’ di tempo aveva dovuto prendere dei sonniferi. Tutto questo Harry però lo aveva scoperto da Liam, perché lei non lo avrebbe mai ammesso. Perché lei non avrebbe interpretato il ruolo della vittima. Aveva metabolizzato l’abbandono, aveva capito e superato, anche se non lo avrebbe mai potuto perdonare. Come Harry non avrebbe mai perdonato lei.
Eliot conobbe suo padre una settimana e mezzo dopo il ritorno di Niall ed Harry a Londra.
«È tornato dal suo viaggio e non vede l’ora di conoscerti» gli aveva garantito Ellie, ed era stata una mezza verità. Continuava a chiedersi cosa avrebbe pensato di lei suo figlio quando avrebbe scoperto quello che aveva fatto, quando sarebbe stato abbastanza grande da capire. “Non odiarmi. Almeno tu” continuava a supplicare con la mente, guardando Eliot seduto sul seggiolino, nel posto del passeggero della vecchia auto della madre di Ellie.
Arrivarono a casa di Anne e Gemma alle 15.00. Fu Harry ad aprire. Rimase immobile a fissare Eliot con uno sguardo che lei non riuscì a leggere e scoppiò a piangere quando si chinò per abbracciarlo. Eliot guardò la madre spaesato e lei gli sorrise incoraggiante, con gli occhi lucidi. Il bambino si fece abbracciare, si fece stringere da Harry per interi minuti senza che nessuno dicesse niente. Solo il vento tra le fronde degli alberi ed il debole pianto di Harry erano udibili. Il cuore di Ellie si sarebbe spezzato, se avesse potuto farlo di nuovo. Si asciugò frettolosamente le lacrime e sentii i brividi arrampicarsi lungo la colonna vertebrale.
«Ciao Eliot» sussurrò Harry con voce roca, interrompendo l’abbraccio.
Eliot gli sorrise, non aveva le fossette del padre ma gli occhi erano gli stessi, stesso taglio, stesso colore.
«Ciao» si mise una mani in bocca ed iniziò a mordicchiarsi il pollice.
Solo allora Harry alzò lo sguardo verso di lei. «Abbiamo un figlio.»
Ellie annuì e tirò su con il naso, mentre Harry scoppiava di nuovo a piangere ed Eliot lo abbracciava. Non riuscì a sorridere.
«Non piangere papà».
Papà. Ellie guardò quella che, in un’altra vita, avrebbe potuto essere la sua famiglia e si sentì morire ancora un po’.
 
Conosceva Anne abbastanza da aspettarsi qualsiasi cosa da lei, tranne la comprensione. Era certa che non l’avrebbe mai perdonata per averla tenuta lontana da suo nipote, per aver fatto del male ad Harry ed avergli nascosto una cosa simile. Ma, contro ogni previsione, Anne sembrò capire. Quando entrarono in cucina l’abbracciò e, non appena Ellie aprì bocca, la interruppe: «Non fa niente». Harry fulminò sua madre con lo sguardo ma non disse nulla. Non parlavano, a meno che non fosse strettamente necessario.
Ellie si strinse nel suo maglione, Eliot stava raccontando ad Harry cosa aveva fatto il giorno prima all’asilo. Anne le si avvicinò, guardando suo figlio e suo nipote che cercavano di conoscersi. Per Eliot sembrava un gioco, era così contento di avere un papà. Lo aveva già raccontato a tutti i suoi compagni. Liam aveva scoperto dal diretto interessato del ritorno di Harry, tre giorni prima. Aveva chiamato Ellie chiedendole come stesse. Lei aveva sorriso al muro, stanca di piangere: “Come staresti tu?” gli aveva chiesto amaramente.
«Sai, non importa quanto ci ha messo. È tornato da te.» era una bella donna Anne, dai folti capelli mossi e neri, i lineamenti così simili a quelli del figlio, gli occhi sempre sorridenti.
Ellie non capì, si mosse a disagio sperando che Harry non avesse sentito.
«Credo sia innamorato di te da una vita, e che tu abbia sofferto moltissimo a causa sua. Si vede da come lo guardi.» continuò rispondendo alla sua muta domanda «Con una dolcezza struggente, quasi disperata. È come se volessi comunicargli qualcosa con lo sguardo e lui continuasse a non capire. Ho sperato tutta la vita che qualcuna guardasse mio figlio come fai tu, e credo di capire perché non gli hai detto nulla. Avete fatto degli errori, tutti e due. Ma c’è sempre quella possibilità. Non finisce niente così, all’improvviso.»
Ellie guardò Harry. Non era più il suo Harry, non era più il ragazzo che cantava a Covent garden e si faceva le canne per dormire meglio. Era cambiato qualcosa. Erano cresciuti e adesso faceva tutto più male.
 
Riuscirono a guardarsi in faccia per più di dieci secondi di seguito solo tre mesi dopo. Eliot era all’asilo, Harry era passato a prendere le sue cose. Lo avrebbe tenuto per il weekend e portato al Luna park. Aveva trovato un lavoro provvisorio alle poste ed era tornato a vivere con Anne e Gemma abbandonando per un po’ la musica. Camminava nervosamente per la camera da letto di Ellie mentre lei infilava in un borsone le ultime cose importanti: il peluche di Tigro con cui ancora ogni tanto si addormentava ed una felpa pulita che era finita per sbaglio nel suo armadio. Sentiva i passi di Harry, immaginava le sue spalle contratte e la mascella tesa, l’espressione fredda che aveva ogni volta che Eliot non c’era e non dovevano fingere. Anche Ellie era fredda, aveva ormai imparato a vivere senza di lui e a scacciare i ricordi come mosche fastidiose.
Sentì i passi di Harry interrompersi ma non ci fece caso. Sistemò la maglietta a maniche corte di Eliot vicino ai jeans e chiuse la lampo del borsone in silenzio.
«Ce l’hai ancora» sussurrò Harry.
Lei si voltò confusa e lo trovò che si rigirava tra le mani un vecchio cd, la cui copertina consisteva in un foglio bianco stropicciato su cui spiccava la sgraziata calligrafia di Harry: “Ellie”. Si immobilizzò e trattenne il respiro mentre gli occhi di Harry raggiungevano i suoi. Stava sorridendo.
Ellie annuì meccanicamente.
«La roba di Eliot è pronta» cercò di cambiare argomento.
Harry continuava a fissarla, stringendo in mano il cd. Lo posò nuovamente sulla scrivania in disordine e fece un passo incerto verso di lei.
«Pensavo l’avessi buttato.»
Gli occhi di Ellie si riempirono di lacrime. Debole. Annuì lentamente. «Erano le nostre canzoni» sussurrò piano. In quel cd c’erano loro. C’era Love her madly, Darkness, Stand by me, Free falling, insieme a due canzoni scritte da Harry che non avevano mai trovato un titolo, c’erano le loro canzoni, la voce roca di Harry e la chitarra di Niall, c’era il loro primo anniversario e quel regalo che l’aveva fatta piangere contro il suo petto. Ma tutto ciò era di una vita prima, un’altra storia. Altre persone.
Harry le sorrise, aveva gli occhi stanchi e lucidi.
«Ho fatto la cazzata più grande della mia vita El.» El. Non la chiamava El da quattro anni e sembrava che stesse nuovamente per crollare. Fece un nuovo passo verso di lei, pietrificata sul posto.
«Ti amavo veramente tanto» sussurrò cercando di non piangere.
«Siamo diventati un verbo al passo, quindi?» con un altro passo la raggiunse. Ellie sentì un vuoto tremendo al cuore.
«Non farmelo dire. Ti prego.»
Harry posò la fronte contro la sua e lei dovette chiudere gli occhi per sopportare tutte quelle sensazioni, quelle parole e quei pensieri, il fiume di vita che le si rovesciò addosso. Le sfuggì un singhiozzo dalle labbra. Si sentì totalmente inerme quando Harry le spazzò via le lacrime dalle guance con i pollici. Il cuore le batteva forte come a diciotto anni, troppo forte, troppo veloce.
«Ho passato gli ultimi quattro anni a chiedermi perché non fossi venuta con me» confessò con voce roca, baciandole delicatamente le labbra.
Lei non reagì, non ne era in grado. Disse solo: «Ed io a chiedermi perché non fossi rimasto.»
E il problema era sempre quello, le domande erano le stesse ed i dubbi non erano cambiati. Perché nessuno aveva scelto di rinunciare a se stesso per l’altro?
Quando la baciò di nuovo lei non riuscì a respingerlo. Era Harry in fondo, era sempre stato la cosa giusta. Sentì le lacrime calde continuare a solcarle le guance mentre schiudeva le labbra e ricambiava il bacio, con timore, delicatamente. Dovevano riavvicinarsi piano o si sarebbero mandati in frantumi l’un l’altro.
Sentì il respiro di Harry spezzarsi sulle sue labbra mentre le infilava le mani sotto il maglione, eludendo anche la canottiera. Erano passati quattro anni, ma i gesti non erano cambiati, il modo tutto loro di toccarsi e studiarsi. Infilò le mani sotto la coppa del reggiseno e le afferrò il seno sinistro senza smettere di baciarla. Ellie sussultò e si aggrappò alle sue spalle per avere una prova tangibile di quello che stava per succedere, per essere certa che Harry fosse tornato davvero e che non era uno dei suoi tanti incubi. Quando lui cercò di sollevarle canottiera e maglione lo fermò, bloccandogli le mani con le sue.
«Ho…ho le smagliature.» balbettò ancora in lacrime.
Harry le sorrise con tenerezza, gli occhi lucidi erano diventati dighe sul punto di rottura. Riprese a sfilarle i vestiti, le abbassò i pantaloni blu della tuta che indossava e le accarezzò le cosce. Guardò le smagliature sui glutei, sottili venature di un rosa pallido, e sorrise. «Quindi?»
Riprese a baciarla, questa volta spinto da un disperato bisogno. Si sfilò la felpa e la t-shirt a sua volta e spinse Ellie verso il letto. Sul petto e sulle braccia di Harry erano andati ad aggiungersi nuovi tatuaggi, alcuni orribili. Si sfilò i jeans ed i boxer e si stese sopra di lei, impaziente. Ellie gli accarezzò quei nuovi tatuaggi, lo baciò e sussultò quando Harry le abbassò gli slip e la penetrò. Era di nuovo dentro di lei, erano di nuovo quella meravigliosa cosa sola di cui aveva bisogno di far parte. Avevano di nuovo diciotto e diciannove anni ed erano innamorati un casino.
 
L’odore di Harry era sempre lo stesso. Ellie non riusciva a muoversi, aveva realizzato solo dopo l’orgasmo cosa fosse realmente successo, troppo tardi.
Si sedette tremante e si chinò verso il pavimento, prese il maglione e lo infilò velocemente.
«Parlami.» una supplica.
Ellie lo ignorò, si sistemò gli slip e recuperò anche i pantaloni dal pavimento.
«El.»
Ellie lo guardò e vide uno spettro. Vide il suo Harry completamente nudo dopo aver fatto l’amore, ma il suo Harry se ne era andato e davanti aveva semplicemente l’uomo che non l’aveva scelta quattro anni prima. 
«È stato uno sbaglio.» si alzò ancora completamente nudo e la guardò, passandosi una mano tra i capelli. «E’ stato l’ennesimo sbaglio ma porca puttana guardami!» urlò.
Erano tornati alle liti.
«Non dobbiamo parlarne per forza» dovette sforzare la voce per lasciar uscire quelle parole.
Ti amo. Le aveva detto di amarla.
Sentì delle dita gelate accarezzarle la schiena, brividi al solo pensiero. Le aveva detto “ti amo” mentre raggiungevano entrambi l’orgasmo, non poteva aver sentito male.
«Non dobbiamo parlarne? Bene!» iniziò a rivestirsi furiosamente, prima i boxer, poi i jeans, con gesti distratti e confusi.
«Anche io ti amo!» lo gridò così forte e così improvvisamente da rimanerne stupita. Lo guardò negli occhi, furiosa e così piena di dolore, cicatrici e pezzi così poco funzionanti da reggersi a stento in piedi.
Harry finalmente perse le parole.
«Io ti amo ancora Harry.» quanto potevano far male delle semplici parole? Quanto forte potevano graffiare la gola e le pareti del cuore? «Sono sei anni che ti amo, senza riserve e in modo patetico. Ti amo, ma non ce la faccio proprio.»
«Non ci stai neanche provando.»
Ellie scosse la testa.
«Nessuno dei due ci ha mai provato.»
 
Non servirono gli avvocati, per fortuna. Ne discussero seduti ad un tavolo, come quel pomeriggio di tanti anni prima in cui si erano lasciati da adulti, da stupidi. Harry poteva vedere Eliot quando voleva, lo stesso valeva per Anne. Avrebbe contribuito alle spese per i vestiti e l’asilo e lo avrebbe tenuto con lui tre weekend al mese. Finirono con il parlare solo di lui, e solo se indispensabile. Non si vedevano quasi mai e quando si incontravano tenevano gli occhi bassi, lontani.
Ellie piangeva quando nessuno poteva vederla, Harry chissà.
Forse era meglio così. Senza neanche provarci, come gli adulti.
 
 
 

Spazio autrice:
Sono tantissime parole, 16 pagine, ma quando hai da dire così tanto se ti contiueni scoppi. 
L'avevo tolta da efp, ma la mia bambina non può ammuffire nel pc, la amo troppo. Vi consiglio di ascoltare le canzoni citate nel capitolo, le ho usate tutte per scriverlo mentre il mio piccolo cuore si spezzava. 
E niente, Buon Natale, godetevi le nonne e la famiglia e mangiate come lupi. Vi adoro tutte.

 
  
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