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Autore: verystrange_pennylane    26/12/2014    6 recensioni
John aveva il fiatone, non sapeva con esattezza da quanto tempo stesse correndo. Quel pranzo per lui era stato asfissiante ed era uscito, senza giacca e senza meta, per scappare via da tutto e da tutti.
Che andassero al diavolo, lui voleva solo andare da…
Da chi voleva andare?
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon, Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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It's Christmas, Baby please come home



25 dicembre 1957

John aveva il fiatone, non sapeva con esattezza da quanto tempo stesse correndo. Quel pranzo per lui era stato asfissiante ed era uscito, senza giacca e senza meta, per scappare via da tutto e da tutti.
Non che avesse molti parenti al mondo, i pranzi di famiglia normalmente erano molto tranquilli; ma per questo Natale erano stati benedetti dalla visita di alcuni lontani cugini di zia Mimi. Già alla prima portata, John aveva avuto l’impulso di avvelenargli il piatto.
“Ma guardalo, che capelli sono mai quelli?”
“E sua madre?”
“Non mi sorprende che suo padre sia scappato!”
“Elizabeth, come è stato educato questo ragazzo?”
Questi e altri commenti gli rimbombavano nelle orecchie e gli facevano pulsare la testa dalla rabbia. Così si era trovato a correre via prima del dolce, lasciando tutti neanche troppo sorpresi.
“Da uno del genere ti aspetti solo un comportamento simile.” Era stato l’ultimo commento che gli era arrivato alle orecchie.
Che andassero al diavolo, lui voleva solo andare da…
Da chi voleva andare?
Da Julia non se ne parlava, non voleva trovarsi di nuovo come incomodo nel nuovo quadretto famigliare della madre. C’erano Pete, o Ivan, ma nessuno dei due poteva essere felice di vederlo anche a Natale.
Intanto correva, e non riusciva a fermarsi.
Non sapeva che giro stesse facendo, razionalizzare il percorso era difficile, per lui. Il cielo intanto imbruniva velocemente, e l’aria si faceva sempre più fredda. D’un tratto si fermò, e riconobbe la casa che aveva davanti.
Era il 20 di Forthlin Road.
Il sudore in quei pochi secondi si gelò e gli provocò dei brividi violenti, e neanche il calore che gli provocava la visione di quella casa riuscì a farlo star meglio.
Cercò di prendere fiato, si fece forza, e bussò. Ad aprirgli fu Mike, seguito subito da un Jim visibilmente concitato.
“Paul?!” esclamarono entrambi in coro, mentre spalancavano la porta.
John sussultò a quella domanda. Che diavolo stava succedendo?
“Ah, sei tu. Sei venuto qua per niente, amico.” Commentò tristemente Mike, facendolo entrare in casa.
Jim, al contrario, non fu così pacato.
“Paul non c’è, lo stavamo aspettando. E’ corso via un’ora fa, e non sappiamo nemmeno dove sia andato!” gridò, dando un pugno alla parete. Doveva essere preoccupatissimo.
“Credevamo fosse a Mendips, da te.”
John scosse il capo. Il fiatone non gli permetteva ancora di parlare bene, ma provò lo stesso ad informarsi sull’accaduto, indagando su cosa avesse fatto fuggire via l’amico.
A rispondere alle sue domande fu una voce dal salotto. Non aveva mai visto quella donna, ma doveva essere una vecchia parente, spaventosamente simile a quella che aveva fatto scappare via lui.
“Avevo solo detto che forse, per James, è stato meglio che Mary sia morta.” Commentò l’anziana, stringendosi le spalle.
Per John fu quasi spontaneo fiondarsi su quella signora, al diavolo la cavalleria. Come osava dire una cosa simile ad una famiglia che ancora non aveva ancora superato il lutto? Come si permetteva di parlare in quel modo di una madre amorevole? Paul era stato troppo buono, a correre via.
Alla fine Jim, aiutato da Mike, riuscì a porre fine a quello scontro, ma John fu immediatamente cacciato di casa senza troppe cerimonie. E chissà quando avrebbe potuto rimetterci piede, dannato pure lui e la sua impulsività.
Cosa stava succedendo in quel Natale?
Doveva essere impazzito. Aveva quasi picchiato una signora anziana sconosciuta, ed era corso via da zia Mimi senza nemmeno aver fatto scoppiare un cracker con lei.
Era la loro tradizione, quella.
Alla fine, senza neanche accorgersene, ricominciò a correre. Sarebbe tornato a casa, si sarebbe scusato e sarebbe stato un nipote modello, per zia Mimi e per quei parenti rompiscatole.
Stava per sgattaiolare nel campo da Golf di Allerton quando riconobbe la figura ansimante davanti a sé, che attraversava di corsa la strada.
All’inizio aveva pensato ad un tizio losco, ma una volta avvicinatosi, pensò che avrebbe riconosciuto quei capelli e quel viso ovunque, nonostante l’oscurità e la miopia.
“Paul McCartney.” Disse alla fine, facendo spaventare l’altro.
“John?”
“In persona.”
Entrambi avevano il fiatone, e nessuno dei due sembrava aver pensato a mettere una giacca, o una sciarpa. Si fermarono sotto il piccolo lampione all’ingresso del campo, e scoppiarono a ridere.
Erano una visione buffa: i nasi arrossati e gocciolanti, le guance rosse, le mani infreddolite e bloccate, il respiro pesante e affaticato. Alla fine fu John a parlare per primo, ancora piegato in due dallo sforzo e dalle risate.
“Dove diavolo stavi andando, Macca?”
Paul si strinse nelle spalle, asciugandosi le lacrime provocate dal freddo.
“Indovina. E tu, Lennon?”
“Indovina.”
Alla fine si diressero verso il parco di Calderstone, per fumarsi una sigaretta e per prendersi qualche ultimo minuto di pace dai parenti.
Non ebbero bisogno di dire alcunché: stavano in silenzio, inspirando lunghe boccate di fumo, e questa pace gli bastava. Potevano immaginare perfettamente cosa fosse successo, perché avessero avuto bisogno di scappare ognuno dalla propria casa. Non c’era bisogno di ripeterlo ad alta voce, i dettagli non interessavano, ciò che importava è che ora stessero meglio e fossero insieme. Persino il freddo si faceva sentire di meno, ora che erano uno accanto all’altro.
Alla fine John si alzò, gettò il mozzicone lontano, e si avvicinò a Paul per aiutarlo ad alzarsi. Ma la visione dell’amico, illuminato dal lampione, con il naso rosso e gli occhi lucidi, lo spiazzò. Era così fragile e bello.
Di una bellezza da togliere il fiato, da far cadere John sull’erba gelata e farlo restare immobile e impotente. Eppure, allo stesso tempo, quella visione gli provocava un formicolio che gli faceva venir voglia di arrampicarsi sugli alberi, di correre come un pazzo per tutta Liverpool e gridare che sì, Paul McCartney era la persona più bella del mondo intero.
John si svegliò da quei pensieri senza troppa coerenza quando ormai era a pochi centimetri dal viso dell’amico.
“C- cosa stai facendo?” gli chiese Paul, deglutendo rumorosamente. Le sue guance si erano imporporate ancora di più, se possibile, e il suo respiro formava una condensa che li avvolgeva, tanto erano vicini. Le mani gelate di John erano appoggiate delicatamente sulla nuca di Paul, e poteva sentire i brividi che provocava quel contatto.
“Io… non lo so.” Sussurrò di risposta, mettendo della distanza tra loro due, come se avesse paura di se stesso e delle sue azioni.
“Ma…” si interruppe Paul, mordendosi il labbro.
“Che sciocco, mi sembrava di aver visto un rametto di vischio tra i tuoi capelli, e invece era solo un po’ di pino.” E ridendo, gli spettinò i capelli. Stupido che non era altro, in un solo colpo aveva rovinato l’atmosfera. Cosa avrebbe pensato Paul di lui? Che era una checca, ecco cosa.
Invece l’amico si alzò, si sistemò il ciuffo con fare scocciato e lo guardò fisso negli occhi per qualche istante.
“Prossima volta, allora. Buon Natale, Lennon.” Disse, prima di correre via, in preda a chissà quali pensieri.
E John rimase lì, bocca aperta come un pesce lesso, mani in tasca.
“Buon Natale, McCartney.” Sussurrò al vento.



25 dicembre 1962

John aveva il fiatone, non sapeva con esattezza da quanto tempo stesse correndo. Quel pranzo per lui era stato asfissiante, ed era uscito, di nuovo, per scappare via da tutto e da tutti.
Era stato il suo primo pranzo con Cynthia, i Powell e zia Mimi. Ogni secondo era stato occasione preziosa per dirgli che ora erano una famiglia e stavano aspettando un bambino. John ora doveva fare la persona adulta e responsabile, per prendersi cura del piccolo Lennon e della moglie.
“Tocca il pancione di Cyn!”
“Pensi che i guadagni del gruppo basteranno per sfamare per sempre la tua famiglia?”
“Forse non sarebbe il caso che facessi un lavoro più serio?”
“Faresti meglio a mettere la testa a posto!”
Al diavolo, lui era un Beatle! Quell’anno per loro era stato meraviglioso, avevano finalmente sfondato! Il sogno di una vita si era realizzato, e il mondo fuori da quella casa lo idolatrava e amava. E loro si perdevano ancora in chiacchere così stupide, come se fosse ancora stato quel ragazzino di 18 anni senza arte né parte.
Era finalmente una rockstar, cosa poteva volere di più dalla vita? Una rockstar che correva come un adolescente per le strade di Liverpool, spaventato dai demoni di una vita adulta, va bene. Ma insomma, non si respirava in quella dannata casa. Cosa poteva fare se non scappare via?
Non aveva nemmeno aspettato di mangiare il tacchino, stavolta. Però aveva ancora fisso negli occhi lo sguardo di Cynthia, carico di lacrime e di delusione.
Dio, quella donna non se lo meritava.
L’avrebbe fatta soffrire, lo sapeva. Ma quello che provava per lei era amore, ne era certo. Non da batticuore, da mani sudate, bocca impastata e gambe molli, ma era comunque amore.
Che poi, c’era mai stato qualcuno capace di farlo sentire così invincibile, così folle, così innamorato? Forse, ma non aveva voglia di rispondere a quella domanda, non a Natale. Era un pensiero che lo tormentava abbastanza negli altri giorni, da sei anni a quella parte.
Non ebbe nemmeno bisogno di correre troppo, questa volta, perché sapeva perfettamente dove doveva andare. E, seduto su quella panchina di Calderstone, si accese una sigaretta.
Il cielo si imbrunì velocemente, e il pacchetto si svuotò in fretta. Si sfregò le mani congelate e si strinse nel cappotto pesante. Almeno stavolta aveva avuto la buona idea di portarsi via la giacca!
Sapeva perfettamente chi stava aspettando, e, per sua fortuna, non ci mise troppo ad arrivare.
Gli piombò in testa una sciarpa pesante, e questa cosa lo fece spaventare a morte.
“Paul McCartney.” Disse, liberandosi dalla stoffa e pettinandosi nervosamente i capelli.
“John.” Stavolta non era una domanda, era un’affermazione.
“In persona.” Ripeté, sorridendogli in modo sfacciato.
Non ci furono risate, nasi che colavano e lacrime infreddolite. Solo guance arrossate e freddo. Paul aveva il respiro affannato, forse per la corsa, forse per l’apprensione.
“Mi ha chiamato Cynthia, preoccupatissima, perché sei scappato via dal pranzo di Natale.”
“Così pare.”
Paul si sedette accanto a John, e rabbrividì al contatto con la panchina gelata.
“Sono scappato via anche io. Come quell’anno, sai?”
John scoppiò a ridere, e appoggiò la testa alla spalla dell’amico. Anche stavolta non ci fu bisogno di aggiungere altro, non necessitavano di giustificazioni, avevano solo bisogno di pace, di stare un po’ da soli. Quella era la soluzione a tutti i loro problemi.
Alla fine Paul cominciò a armeggiare con qualcosa nella tasca del proprio cappotto, costringendo John ad alzare la propria testa dal comodo appoggio che si era creata sulla spalla dell’altro.
“Cosa-?” iniziò a dire, infastidito da quei movimenti, ma si interruppe subito, mordendosi il labbro.
L’amico stringeva tra le proprie mani un piccolo ramo di vischio.
John alzò lo sguardo e incrociò quegli occhi nocciola, lucidi a causa dell’emozione.
Era una visione che lo spiazzava ogni volta. Ed eccola lì, di nuovo, l’impotenza davanti ad un sentimento così grande, così forte da non farlo nemmeno respirare. Il sentirsi piccolo rispetto ad un amore troppo grande.
Avrebbe voluto dire qualcosa, ma non ci riusciva, perché sentiva che tutto sarebbe stato banale davanti ad un qualcosa di così straordinario. Mantenne lo sguardo fisso sull’amico, e aspettò che parlasse.
“Sai, ogni anno, da quel Natale, tengo un piccolo ciuffetto come questo in tasca. Perché non si sa mai.”
disse Paul in un sussurro, giocando con il rametto di vischio. Alla fine, dopo averlo fatto roteare nell’aria un paio di volte, glielo appoggiò in testa, tra quella massa sconclusionata di capelli ramati.
Le sue mani gelate si erano ferite al contatto con quella pianta, e d’istinto John le prese nelle sue e le riempì di piccoli baci.
Profumavano di pudding e di arance.
Paul arrossì davanti a quel gesto così dolce, ma non ritirò le mani.
“Buon Natale, Lennon.” Disse alla fine, avvicinandosi al viso dell’amico. Le loro bocche erano sempre più vicine, i nasi gelati si sfioravano dolcemente.
“Buon Natale, McCartney.”
E incapace di smettere di sorridere, in preda ad una felicità stupefacente e contagiosa, John lo baciò.




Angolo dell'autrice:

Buonasera, miei adorati lettori!
Innanzitutto, buon Natale e un buon Santo Stefano a tutti voi. Spero che non abbiate mangiato troppo, che non abbiate bevuto troppo e che abbiate ricevuto dei bei regali, magari beatlesiani.
Questo è un presente da parte mia per tutti voi, in ritardo di un giorno, ma chiudete un occhio! Ho fatto parecchia fatica a scrivere questa semplice OS di Natale, sono partita da tre idee diverse, che alla fine si sono fuse e sono diventata questa. Spero vi piaccia!
Un grazie di cuore a chi ha letto e recensito la mia AU e la mia altra OS, ma una dedica speciale alle persone che ho conosciuto in questo fandom, e che mi sopportano anche in privato! Eccole qua, dunque: Paulmccartneyismylove, perché è adorabile e sta diventando una scrittrice coi fiocchi; workingclassheroine perché è bravissima, e ha patito la stessa tortura mia al pranzo di Natale. Ultima, ma non ultima, un grazie speciale a Kia85 che mi sopporta ogni giorno anche su facebook XD SANTE DONNE!
Ci si legge domenica con Mr.Moonlight!
Un abbraccio a tutti, e buone feste,
Anya
   
 
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