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Autore: IamNotPrinceHamlet    26/12/2014    0 recensioni
Eddie torna a San Diego esattamente un anno dopo i fatti raccontati in "Happy Birthday" e ritrova un'amica. Lui è un po' cambiato, ma lei? Sarà sempre la stessa? Avranno modo di recuperare il tempo perduto? Una nuova one-shot scritta e pubblicata, ovviamente in ritardo, per il cinquantesimo compleanno di Eddie Vedder
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lasciarmi San Diego alle spalle il giorno del mio compleanno sta ormai diventando una cazzo di tradizione, una di cui avrei fatto volentieri a meno, ancora di più dopo quello che è successo. Mi do un'occhiata veloce nello specchietto retrovisore del mio pick-up, per poi tornare subito a guardare fisso di fronte a me, non solo per concentrarmi sulla strada e sulla guida, ma soprattutto per evitare di vedere la mia faccia. Sembra quella di un vecchio, mi pare di avere cinquant'anni, o cento, anziché diciotto. Chissà che faccia avrò a cinquant'anni, chissà dove sarò, cosa farò per vivere. Chissà se ci arriverò e come ci arriverò. Sarò solo? Avrò una moglie? Un'ex moglie? Dei figli? Sarò un padre decente? Mio figlio mi odierà? Saprà chi sono? Tutte domande senza risposta e senza logica, utili solo a distogliere i pensieri dalla settimana appena trascorsa, da tutto quello che mi sto lasciando alle spalle, di nuovo, e da lei.

Giovedì scorso, quindi esattamente una settimana fa, ora più ora meno, percorrevo questo stesso tragitto nel senso opposto, in fuga dalla, nonostante tutto, amata Chicago verso l'ancora più amata San Diego. Il viso che di tanto in tanto mi salutava dallo specchietto era raggiante e le uniche smorfie che lo turbavano erano quelle che producevo cantando a squarciagola con Joe Strummer, che mi accompagnava durante il viaggio per gentile concessione del mangianastri assieme all'album secondo me più bello uscito quest'anno, e non solo: Combat Rock. Ero al settimo cielo all'idea di poter trascorrere le vacanze di fine anno da Grant. Quando me ne sono andato, più o meno un anno fa, pensavo di non avere più nessun amico, a parte lei ovviamente... Invece, Grant e gli altri miei compari di pasticci musicali e di surfate mattutine non hanno mai smesso di farsi sentire. Riuscire a liberarmi dal lavoro al cantiere per tre settimane non è stato una passeggiata, ma mai difficile quanto lasciare mia madre. Non sono mai stato il tipo che se ne sta in casa con le mani in mano a farsi servire e riverire, mi sono sempre reso utile, ma ormai le sono diventato indispensabile, soprattutto nello stare dietro ai miei fratelli. Quando le ho comunicato i miei progetti non ha fatto nessuna obiezione, si è limitata al suo solito atteggiamento passivo-aggressivo volto a farmi sentire in colpa, una tecnica che stavolta non ha sortito alcun effetto. Ero talmente in fibrillazione che appena arrivato a Encinitas, ancora prima di andare a casa del mio amico, anche perché era l'alba, mi sono precipitato in spiaggia, parcheggiando a cazzo di cane, acchiappando al volo la tavola dal cassone della Toyota e correndo verso le onde mentre mi chiedevo, con pochissimo interesse reale, se avessi chiuso la macchina o no. Mi sono rimesso in viaggio con ancora la sabbia tra le dita dei piedi e il sale nei capelli, girando senza meta per la città finché non si sono asciugati perfettamente. Beh, in qualche maniera. La madre di Lena avrà pensato di trovarsi di fronte una specie di Medusa al maschile, un barbone o semplicemente un imbecille, quando mi sono presentato a casa sua nel primo pomeriggio. Ciononostante, mi ha invitato a entrare, offrendomi un té con biscotti che mi ha fatto istantaneamente ricordare che non mangiavo da più o meno ventiquattro ore. Quando le ho chiesto dov'era sua figlia, ha iniziato a raccontarmi della borsa di studio che aveva permesso a Theresa di andare all'Università di Los Angeles.

“Sono ehm, felice per lei, però... io parlavo dell'altra sua figlia” avevo balbettato prendendo poi un bel sorso di tè per mandare giù parte di un biscotto che aveva deciso di incollarmisi al palato.

Devo averla presa in contropiede, almeno a giudicare da come mi ha guardato e dai secondi di silenzio che ha lasciato passare prima di dirmi che Lena era a scuola fino alle quattro. E certo, dove altro poteva essere? Finito il té e salutata la signora, mi sono reso conto che avevo ancora un'ora di tempo e mi sono deciso ad andare da Grant per mollare armi, bagagli e tavola da surf e farmi una doccia. Alle quattro meno un quarto ero già lì, fuori dal cancello della San Dieguito High School, col culo appoggiato prima al cofano, poi alla portiera del pick-up, prima a braccia conserte, poi con le mani in tasca, in moto perpetuo alla ricerca della posizione più consona in cui farmi trovare da lei, qualcosa che non lasciasse intendere che me la facevo sotto e che non vedevo l'ora di rivederla, ma che allo stesso tempo non sembrasse troppo strafottente. Mi ero appena appoggiato all'indietro coi gomiti sul cassone quando l'ho finalmente vista uscire dalla scuola, tra i primi, dopo il suono della campanella. Era sempre la stessa. Camminava con un quaderno sotto braccio e il suo zaino sulle spalle e sopra ai jeans indossava una maglia che ricordavo molto bene, nera, con le maniche bianche, leggermente più aderente di quelle che metteva di solito, e anche per questo tra le mie preferite.

Ok, solo per questo.

Ok, era la mia preferita.

Non era cambiata di una virgola: il suo passo leggero e veloce, la frangetta bionda, gli occhi furbetti di smeraldo, la fossetta sul mento... eppure c'era qualcosa di diverso, di nuovo, che non riuscivo a cogliere. Non ci sono arrivato finché non è arrivata a pochi metri da me. La novità era che non era sola: usciva dalla scuola assieme a due ragazze e un ragazzo. Delle due non so il nome, anche se le ricordo dagli anni passati, di lui invece sì: Novak, Julian. Il tipo che mi aveva dato una bella lezione e in cui avevo in seguito scoperto una persona interessante e simpatica con cui trascorrere il tempo. Julian aveva il braccio attorno alle spalle di Lena e dal suo non smettere di sorridere nemmeno per un secondo mentre parlava con lei, ho facilmente intuito che l'apparecchio ai denti doveva aver portato a termine il suo compito perché non c'era più. Non avevo mai visto Lena con degli amici, a parte me, e nel mio caso la definizione di amico era decisamente stiracchiata, me ne rendo conto. E se lui non fosse stato solo un amico? D'un tratto mi sentivo un coglione e volevo andarmene, sarei potuto sparire a tutta velocità sulla Toyota, tanto lei non mi aveva ancora visto e...

“Eddie?” la voce di Julian ha fatto irruzione nella mia fantasia di fuga e quando ho alzato la testa ci ha pensato lo sguardo di Lena a inchiodarmi al marciapiede.

“Hey, ciao ragazzi!” non so da dove cazzo mi è uscito quel saluto euforico, forse avevo bevuto troppo té.

“Mueller?” ha domandato una delle due ragazze, rimasta ferma a qualche metro da me, mentre gli altri si avvicinavano lentamente alla mia macchina.

“Sei tornato” Lena ha accennato un sorriso mentre sottolineava l'ovvio e l'incurvatura delle sue labbra non poteva fare altro che riportarmi alla mente quella mattina sul dondolo fuori da casa sua... lei così indifesa, il sapore delle sue labbra, la pelle d'oca dietro il mio collo, la sensazione che si trattasse del mio primo bacio anziché del suo, la fatica nel trattenermi dal dargliene un secondo e un terzo e così via... perché non era possibile, non potevo dare il via a una cosa che moriva prima ancora di cominciare, non potevo perdermi definitivamente in quella ragazza proprio nel momento in cui mi costringevo a rinunciare a lei. Se non ci fossero state altre persone, lì fuori dalla scuola in quel momento, non so se avrei resistito con altrettanto successo.

“Già... per un po'” ho subito aggiunto e mi è parso di scorgere una piccola smorfia di delusione, subito rimpiazzata da un sorriso smorzato.

“Un po' quanto? Sei in vacanza?” ha chiesto Julian, mollando finalmente la presa su Lena.

“Tre settimane, avevo voglia di fare un po' di surf, sto da un amico”

“Sei diverso” ha sentenziato la seconda ragazza, che non aveva ancora parlato.

“Sembri più grande” si è subito accodata l'altra amica.

“Beh, lo sono, di un anno”

“Hai i capelli più corti” Lena ha prodotto un sorriso un po' più convincente mentre mi squadrava da capo a piedi.

“Sono più comodi” è stata la mia risposta del tutto priva di senso.

“Ragazzi, io vado se no perdo l'autobus!” Julian si è avvicinato a me, per poi darmi un paio di pacche sulle spalle “Mi ha fatto piacere rivederti, magari facciamo qualcosa uno di questi giorni, che dici?”

“Posso darti un passaggio se vuoi. Insomma, posso dare uno strappo a tutti se-”

“Nah, non ti preoccupare, e poi non è di strada” ha riposto il ragazzo, che abitava esattamente a due isolati da Grant, anche se non poteva saperlo.

“Sei gentile, ma... devo... devo andare a fare delle commissioni prima di tornare a casa” ha detto l'altra ragazza seguendo Julian a ruota.

A quel punto i due si sono voltati verso Lena e l'altra amica, che stava zitta.

“E Linda viene con me” ha continuato la ragazza numero uno, che mi ha così svelato il nome delle ragazza numero due.

“Cosa? Io? Ma dove?” Linda aggrottava le sopracciglia incredula.

“Come, non ti ricordi? Dobbiamo fare quella cosa...” l'amica cercava di farle capire che dovevano sloggiare, ma ci è voluto un po' prima che Linda mangiasse la foglia.

“Aaaaaah sì, certo... quella cosa!”

Ancora non ho capito se mi hanno voluto lasciare solo con lei perché sapevano, perché l'avevano intuito o magari perché non gli andava di farsi vedere in giro con me; sta di fatto che il risultato comunque non cambiava e la cosa non poteva che rendermi felice.

“Tu non devi fare quella cosa?” le ho chiesto mentre il terzetto dei suoi amici si allontanava verso la fermata dell'autobus.

“No, almeno non credo, visto che non ho idea di cosa stiano parlando”

“Ah, Lena, comunque... per il ballo... pensaci, ok?” Julian si è voltato di scatto verso di lei, continuando ad allontanarsi camminando all'indietro mentre le parlava.

Lena ha sbuffato rivolgendo lo sguardo al cielo, per poi arrendersi con un “E va bene, ci penserò, ma non prometto niente!” allargando le braccia.

 

“Come va la scuola?” le ho chiesto mentre lasciavamo il parcheggio dell'istituto e ci immettevamo nella strada principale.

Non me ne fregava un cazzo del suo rendimento scolastico, l'unica cosa che mi frullava per la testa in quel momento era la parola ballo. Un ballo? Che ballo? Ma certo, il Ballo d'Inverno della scuola, sicuramente, quello che mi ero perso anche l'anno scorso. Julian doveva aver chiesto a Lena di andarci con lui. Male. Però lei non sembrava molto propensa. Bene. Ma lui le teneva un braccio al collo. Male, malissimo. Quello è rimasto l'unico contatto tra loro, comunque, non si sono visti né baci né altro. Molto bene.

“Tutto ok, me la cavo. E tu? Non la scuola, intendo. Ma anche la scuola, cioè, se ci stai andando... non so, se vuoi... insomma, se hai qualche novità in merito, ecco... Va beh, come va in generale?” Lena sembrava imbarazzata, una parte di me sperava che fosse perché le piacevo ancora, ma forse era solo perché non sapeva se avevo continuato gli studi o no e non voleva mettermi in difficoltà.

“Mi sono diplomato da poco” l'ho subito tolta dall'imbarazzo.

“Oh davvero? E' fantastico!” si è voltata verso di me e mi è bastata la coda dell'occhio per vedere il suo sorriso disarmante.

“E' un diploma da scuola serale, niente di speciale. Per lo meno potrò permettermi di cercare lavori migliori”

“E ti sembra poco? Che stai facendo ora?”

“Ora come ora il muratore. Non è male, è un lavoro molto fisico, ti permette di... liberare l'energia. Però non è il massimo per le mani...” mentre spiegavo ho sollevato prima una mano e poi l'altra dal volante, aprendole e chiudendole alternativamente “Specialmente se sei un musi... cista”

Sono inciampato sull'ultima parola nel momento in cui Lena mi ha preso la mano destra, sfregandone il dorso col suo pollice.

“Hai delle belle mani, Ed”

“Ehm grazie”

“Non trascurarle”

“Devi andare subito a casa?”

“Sì” ha risposto lei, lasciando andare di colpo la mia mano come se fosse rovente.

“Wow, non ti perdi certo in giri di parole quando dai un due di picche, eh?” al primo semaforo rosso mi sono voltato a guardarla, scorgendo un'espressione corrucciata, che si è addolcita subito non appena ha visto che sorridevo. Anche se...

“Mi hai mai sentita fare giri di parole per mandarti a quel paese?”

“Eheh no, appunto. Non sei cambiata, vedo”

Per fortuna.

“Comunque devo essere a casa perché, sai, stasera torna la tua fidanzata” mentre spiegava le sue sopracciglia devono aver fatto su e giù ritmicamente per tre o quattro volte, non sono riuscito a contarle perché nel frattempo è scattato il verde.

“Eh?”

“Theresa, mia sorella...”

“Ah”

“So che ci terresti molto a rivederla, ma te lo sconsiglio: ci porta a casa un fallito che ha conosciuto al college”

“Ha un ragazzo allora”

“Mi dispiace di averti spezzato il cuore, ma lo sai che non sono brava con i giri di parole”

“Pfff non hai spezzato un bel niente!”

“... disse Eddie la volpe, guardando l'uva ormai lontana”

“Non mi interessa tua sorella”

“Ma ti piaceva”

“Perché ti assomigliava” ho risposto senza pensarci e ci ho messo un po' a realizzare che il silenzio successivo a questa mia rivelazione stava diventando troppo lungo.

“Questa è la cosa più disgustosa che io abbia mai sentito” mi ha freddato lei nel momento in cui ho incrociato il suo sguardo.

“Infatti... eheh, infatti era una battuta, Lena! Stavo scherzando! Figurati, dai...”

Non stavo affatto scherzando. Theresa era bella, dolce e sicuramente più intelligente e meno oca di quanto volesse far credere lei stessa. Era solo un tipo facilmente influenzabile, che avrebbe fatto di tutto per farsi accettare dagli altri, terrorizzata com'era dall'idea di solitudine. In fondo, non eravamo molto diversi, anche se io, diversamente da lei, stavo lentamente imparando a non far dipendere la mia esistenza dal consenso di chi mi stava attorno. Anche Lena, tutto sommato, era simile alla sorella, semplicemente lei aveva scelto di chiudersi agli altri a priori per evitare le delusioni e per abituarsi a una solitudine che forse riteneva inevitabile. Le due sorelle erano molto simili anche nell'aspetto, però Lena aveva qualcosa di più intrigante, misterioso, sfuggente. O forse, mi sembrava così solo perché continuava a sfuggire a me. Però no, non ho usato Theresa per arrivare a Lena... beh, forse un po'. A sedici anni ero proprio un cretino: partivo da casa mia con la mia chitarra per le lezioni e speravo fosse Lena ad aprirmi la porta; quando Theresa si allontanava dalla sua stanza per andare in bagno o per attaccarsi al telefono con qualche sua amica noiosa, io mi mettevo ad esplorare l'abitazione in attesa di trovarmela davanti per una piccola schermaglia delle nostre; a volte... cazzo, me ne vergogno pure... a volte ero impegnato a pomiciare con Theresa in camera sua e immaginavo ci fosse la sorella al suo posto. Ero proprio un coglione. Tutto quel tempo perso con Therry senza alcun motivo, quando invece avrei potuto avvicinarmi da subito a Lena. Magari mi avrebbe visto sotto un'altra luce e avrebbe ceduto prima al suo interesse per me. Perché io sapevo di piacerle, ne ero praticamente certo, ma sapevo anche di avere un guscio bello spesso da rompere prima di arrivare alla parte tenera. Theresa mi piaceva e mi piacevano molto anche le cosine che faceva con me, ma Lena era Lena. Per chissà quale bizzarro motivo, farla ingelosire spassandomela con la sorella mi sembrava un'ottima idea sul momento, ma quando ho capito che non avrebbe mai funzionato era troppo tardi. La vita vera si era messa in mezzo e aveva mandato tutto a puttane.

“Va beh” ha bofonchiato guardando fuori dal finestrino.

“Col tuo di ragazzo, invece? Come va?” ho buttato lì, in maniera fintamente distratta.

“Io non ho il ragazzo” ha ribattuto lei senza distogliere l'attenzione dal finestrino.

“Sì, invece”

“No che non ce l'ho”

“E quello cos'era?”

“Quello cosa? Chi?”

“Julian...”

“Ahahahah che? Julian non è il mio ragazzo!”

“A me sembrava di sì”

“Ti dico di no”

“Allora, vorrebbe esserlo”

“Ma smettila!”

“Voglio dire, ti ha anche invitato al ballo”

“Che c'entra il ballo?”

“Beh, quando qualcuno vuole portare una ragazza al ballo della scuola in genere-”

“Julian al ballo ci va con Sara”

“Sara... Sara chi?”

“La tipa coi capelli rossi che hai salutato dieci minuti fa”

“Ah” ecco come si chiamava l'altra.

“Che, tra parentesi, è la sua ragazza” ha aggiunto girandosi verso di me.

“Ma... scusa... allora perché... non ha mica detto che...” farfugliavo cose a caso e, allo stesso tempo, non potevo in alcun modo nascondere il mio sorriso compiaciuto all'idea che Julian fosse occupato e innocuo.

“Perché tutti i miei amici stanno cercando di convincermi ad andare al ballo con loro, ma non ci penso neanche” ha risposto lei sbuffando.

“Ma come?”

“Io odio i balli, sono stupidi”

“No, intendevo dire: ma come? Hai altri amici?” ho chiesto con la faccia da schiaffi migliore di cui disponevo.

“Ah-ah, divertente”

“Non hai mai avuto amici, adesso ne hai addirittura più di tre... il mio discorsetto dell'anno scorso ha avuto un bell'impatto su di te, eh?” ho continuato accennando una piccola gomitata al suo fianco sinistro.

“Pensi davvero sia stato merito tuo?” la sua faccia allibita era tutto un programma.

“Non lo penso, lo so” il mio occhiolino è stata la cigliegina sulla torta.

“Modesto”

“Sempre”

“Mettiti sulla destra”

“Prego?”

“Mettiti nella corsia di destra, devi girare a destra al prossimo semaforo, così arrivi prima”

“Io veramente speravo di arrivare dopo, allungando la strada” una volta che inizio a flirtare non mi fermo più, anzi, si crea un effetto valanga, sono fatto così.

“Per tormentarmi più del dovuto?”

“Ovvio. Quindi, niente ragazzo?”

“No”

“Allora non è perché sei fidanzata che mi dai buca stasera”

“No, ti ho spiegato il perché!”

“Che ne so, magari era una scusa”

“Non lo era. E comunque, ehm, se tu... ecco, se mi chiedessi di uscire un'altra volta, io... io ti direi di sì”

“Davvero?”

“Certo, perché no?”

“Ok... wow, beh, questo mi facilita di molto le cose. E mi rende meno nervoso”

“Perché? Sei nervoso?”

“Un po', ma molto meno, ora che so mi dirai di sì mi sento molto più tranquillo”

“Bene”

“Bene... Allora, esci con me domani sera?”

A quel punto Lena si è voltata di scatto a fissare la strada di fronte a noi, per poi darsi una sonora manata sulla fronte.

“Cazzo, non posso!”

“Ecco, se c'è una cosa che mi piace di te è che sei imprevedibile”

“Sono a dormire da Linda, l'altra ragazza che hai visto...”

“Un pigiama party! Posso autoinvitarmi?”

“No”

“Ok”

Facevo spallucce e pensavo che non sarebbe mai uscita con me, a costo di inventarsi una scusa diversa ogni giorno per tutti i venti giorni della mia permanenza.

“Però possiamo fare qualcosa domani pomeriggio, se ti va” ha aggiunto e se non ho inchiodato è stato solo perché ero già fermo, davanti a casa sua.

“Certo che mi va”

“Allora, ok... Ci vediamo domani pomeriggio”

“Perfetto!” esclamavo stringendo il volante con tutta la forza che avevo per impedirmi di saltare giù dal pick-up e girare in tondo come un demente a cui hanno appena urlato Chinese fire nelle orecchie.

“Mi passi a prendere a scuola? Finisco alle tre”

“Perfetto!” ho ripetuto nella stessa identica maniera, con la medesima intonazione.

“Si è incantato il disco?”

“Perfetto!” stavolta lo avevo fatto con cognizione di causa, accompagnando il tutto con una linguaccia.

“Ci vediamo domani, ciao”

“Perfetto!” ho urlato attraverso il finestrino dopo averlo tirato giù per metà, mentre lei saliva le scale di casa sua scuotendo la testa e probabilmente maledicendo il momento in cui mi aveva detto di sì.

 

Nonostante le maledizioni, è proprio così che sono stati i giorni successivi: perfetti. E' stato come se in quell'arco di tempo avessimo recuperato tutto quello che non avevamo potuto fare l'anno scorso, un po' per la sua cocciutaggine e un po' per i vari casini che ci avevano messo i bastoni tra le ruote. Il giorno seguente, dopo la scuola, l'ho portata in un negozio di dischi niente male, dove avevo sempre desiderato andare assieme a lei. Lena non si era comprata niente, io avevo preso il live al Central Park di Simon&Garfunkel, un disco che non avrei mai potuto acquistare in presenza di Grant o degli altri, che mi avrebbero preso per il culo senza pietà. Avevo anche provveduto a far scivolare in cassa, senza farmi vedere da lei, Leave home dei Ramones, l'unico disco che le mancava della trilogia. Almeno, sapevo che fino all'anno scorso non ce l'aveva. Ho avuto la conferma del fatto che non possedeva quell'album nel momento in cui l'ho tirato fuori dal sacchetto mentre mangiavamo un gelato da Happy Joe e ha capito che glielo stavo regalando. Se avessi saputo che bastava così poco per farmi buttare le braccia al collo e ricevere un bacio l'avrei fatto molto prima. Avrei perso molto meno tempo.

“Sei migliorata” le ho detto dopo che si era staccata da me e aveva preso una bella cucchiaiata di gelato alla nocciola sorridendo.

“Come?”

“Nei baci, sei migliorata. Devi aver fatto molta pratica in questi mesi, malandrina” ho spiegato ammiccando.

“Che?? Io... io non ho fatto niente” si è difesa, cercando di non arrossire e fissando lo sguardo sulla copertina del disco.

“Bugiarda”

“Con chi avrei potuto allenarmi? Col cuscino? O col dorso della mano?” ha aggiunto ridacchiando stentatamente.

“Allora resto il primo e l'unico?” le ho chiesto scivolando di poco verso di lei sulla panca.

“Che ne sai che sei il primo e unico?” ha ironizzato lei, stringendo gli occhi su di me e puntando il naso all'insù.

“Era abbastanza evidente, un manichino di FedMart avrebbe reagito con più partecipazione a quel bacio sul portico” ho spiegato con una risata, che lei ha spento dandomi un non troppo leggero schiaffo sulla bocca.

“Stronzo”

“Invece adesso la partecipazione c'era, eccome”

“Ah sì?”

“Sì”

“Magari avresti dovuto darmi un altro bacio sul portico, si vede che miglioro ad ogni tentativo”

“Non sai quanto avrei voluto, Lena, ma-” mi ero fatto serio di colpo. Fosse stato per me avrei passato tutta quella mattina a baciarla, poi me la sarei portata dietro a Chicago, sempre con le labbra incollate alle sue durante tutto il viaggio, e non l'avrei più lasciata andare.

“Non c'era tempo, lo so” mi ha interrotto lei, sorridendo e accarezzandomi il labbro inferiore con le dita.

“Adesso ne abbiamo un sacco, invece” le avevo catturato l'indice e avevo preso a mordicchiarlo.

“Ma finirà, a un certo punto. Tu tornerai in Illinois, io resterò qui, fino al diploma. Poi ci sarà il college, potrei avere culo ed essere presa ad Harvard e-”

“Shhhhh”

“Eddie...”

“Lo so, ma... non possiamo fare finta di avere tutto il tempo? Ti prego, giusto il tempo di regalarci qualche giorno da adolescenti normali, da, ehm, coppia normale. Sì, beh, coppia in divenire, coppia di amici che forse-” mi stavo incartando da solo sul concetto di coppia, quando Lena mi ha zittito con un altro bacio, stavolta a labbra dischiuse.

“Ci sto, affare fatto” ha stretto la mia mano, rimasta molle, mentre cercavo di riprendermi dal bacio e ricordarmi come mi chiamavo.

“Mmh?”

“Viviamo il presente e facciamo finta di avere tutto il tempo del mondo”

“O-ok... però il gelato tutto questo tempo non ce l'ha. Finiscilo che si sta sciogliendo” le ho intimato facendo tintinnare il mio cucchiaio sulla sua coppetta di vetro e lei si è limitata ad annuire con un sorriso e a seguire il mio suggerimento, intrecciando le dita della mano sinistra con le mie sotto al tavolo mentre finiva il suo gelato.

Il sabato l'abbiamo trascorso in camera sua, mentre sua madre e Theresa erano uscite a far visita a una zia o qualcuno del genere. Non lo so, ho smesso di seguire il filo del suo discorso nel momento in cui abbiamo varcato la soglia della sua stanza e lei ha messo su Hard promises di Tom Petty. Ci siamo schiodati dal letto, dove però non è successo nulla di più di quanto non fosse già successo da Happy Joe ma in orizzontale, solo verso le nove di sera, poco prima del previsto rientro di madre e sorella.

La domenica, non so come, sono riuscito a trascinarla in spiaggia con me. L'ho portata a La Jolla, dove le onde sono abbastanza tranquille anche d'inverno, e le ho fatto mettere una muta e le ho dato, o meglio, ho cercato di darle qualche lezione di surf. Dopo tre ore riusciva a malapena a stare in piedi sulla tavola per due secondi, ma non aveva alcuna intenzione di arrendersi e continuava a provare e riprovare. La mia testona! A metà pomeriggio è riuscita a cavalcare la sua prima onda, dopodiché ha deciso di ritirarsi, preferendo uscire di scena nel punto più alto della sua carriera da surfista. Il resto del pomeriggio l'ho passato a congratularmi con lei a modo mio, mentre la sera sono addirittura riuscito a convincerla a venire a una festa coi miei amici a casa di Grant. La sua indole asociale non era certo scomparsa del tutto, ma oserei dire che si è divertita e ha scambiato qualche parola con tutti.

Il lunedì l'ho aspettata fuori dalla scuola, per poi sentirmi dire che doveva studiare per i test di fine anno e non potevamo stare insieme. L'ho lasciata tranquilla tutto il giorno, ma dopo una breve telefonata in serata non ce l'ho fatta: mi sono fiondato sotto casa sua e, dopo aver parcheggiato il pick-up poco lontano, mi sono lanciato in una scalata silenziosa dell'olmo in giardino, fino ad arrivare a bussare alla sua finestra. Credo di averle fatto rischiare l'infarto, ma le coccole di cui l'ho ricoperta finché non si è addormentata dovrebbero averla fatta calmare.

“Quando sarebbe questo ballo?” le ho chiesto martedì sera, in macchina, tra un bacio e l'altro.

“Giovedì” ha risposto col fiato corto.

“Il 23?”

“Sì, l'ultimo giorno di scuola”

“Nonchè il mio compleanno”

“Motivo in più per fare tutt'altro... con te” si era incollata di nuovo alle mie labbra e tutta la pratica di quei giorni dava indubbiamente i suoi frutti.

“Oppure, motivo in più per andarci... con me” l'idea mi frullava in testa dalla prima volta in cui ho sentito nominare questo cazzo di ballo.

“Prego?”

“Io... io non ho avuto balli, Lena. Niente ballo d'inverno, niente ballo del diploma... sai, alla scuola serale non sono previsti balli, né cerimonie, niente di niente. Ti danno un pezzo di carta e stop”

Mi sono perso delle grandissime stronzate, lo so, ma assieme a quelle mi sono perso anche un pezzo di adolescenza, di innocenza, nonché la possibilità di vivere liberamente e naturalmente la storia con questa ragazza un po' suonata, ma splendida.

“Stai dicendo che vuoi farmi da cavaliere al ballo?”

“Sempre che non te l'abbia già chiesto qualcun altro...”

“Non me l'ha chiesto nessuno, Eddie, è per quello che non ci volevo andare... Lo so che per gli altri non è un problema, ma me la meno a essere l'unica del gruppo che va al ballo da sola o, peggio, ci va con qualcuno rimediato apposta dai suoi amici per pietà”

“Beh, ora invece te lo sto chiedendo io? Ci vieni?”

“Ma... ormai mancano due giorni... e non ho nemmeno il vestito”

“Ti prego” insistevo stringendole le mani nelle mie, senza staccare gli occhi dai suoi.

“Ci penserò, va bene?”

“Grazie”

Ieri, mercoledì, davanti al cancello della scuola non ho avuto bisogno di sentirle dire cosa aveva deciso, mi è bastato vederla sorridere imbarazzata in mezzo ai suoi amici che, dopo averla scortata fino alla mia macchina, la salutavano con dei “Ci vediamo domani sera!” e mi rivolgevano occhiatine ammiccanti. Abbiamo festeggiato la buona riuscita dei test (ma non avevo alcun dubbio in proposito) a casa sua, mangiando schifezze e suonando assieme per la prima volta; e se non fossi stato già irrimediabilmente innamorato di lei, sentirla riproporre Jello Biafra e Glenn Danzig in acustico a quella maniera mi avrebbe fatto capitolare definitivamente.

“Lo sapevo che cantavi bene, hai una bella voce” mi sono limitato a complimentarmi con lei, appoggiando la chitarra a terra ai piedi del letto su cui eravamo seduti, quando in realtà avrei voluto saltare addosso a lei e al suo basso e fare l'amore con entrambi.

“Sì, beh... anche tu te la cavi... niente male per un muratore” ha risposto lei con una delle sue solite facce sceme.

“Allora l'hai trovato il vestito?”

“Beh, tu che dici?” si è subito rabbuiata lei.

“Non lo so”

“Se vengo al ballo vuol dire che qualcosa ho rimediato”

“Qualcosa tipo cosa? Fammi vedere”

“Scordatelo”

“Non è mica un abito da sposa, non credo porti male se lo vedo prima” mi sono alzato e ho fatto per andare verso il suo armadio, ma lei gli si era già piazzata davanti, con tanto di basso ancora tracolla.

“NO!”

In realtà non è che me ne fregasse granché del vestito, almeno finché non glielo vedevo addosso, però mi piaceva stuzzicarla. Mi piaceva scherzare con lei, giocare. E' quello che fanno i fidanzati, è quello che avrei fatto se Lena fosse stata la mia ragazza e fino a oggi mi piaceva pensare che lo fosse davvero.

Oggi, al termine dell'ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Natale, sono andato con Lena e i suoi amici a mangiare la pizza in un posto non molto lontano da casa di Grant. La compagnia era molto piacevole, ma la cosa che mi piaceva di più era vederla interagire con altre persone, in maniera rilassata e divertita, vederla a suo agio con loro, finalmente tra amici. Per un attimo ho pensato a quando avrei dovuto lasciare di nuovo San Diego e sapere che comunque non l'avrei lasciata sola, come quella volta dopo l'addio sul portico, mi faceva stare un po' meglio. Inoltre, anche se l'uscita non era stata pensata per me, mi dava la sensazione di essere fuori a festeggiare il mio compleanno e la cosa non mi dispiaceva affatto.

Quando sono tornato da Grant oggi pomeriggio, non prima di esser passato a ritirare lo smoking che ho preso in affitto per l'occasione, il pensiero della mia futura partenza era già di nuovo lontano. Non sapevo che di lì a pochissimo si sarebbe riproposto in maniera improvvisa e crudele.

“Ah, guarda che ha chiamato tua madre” mi ha riferito il mio amico arrivando dalla cucina con un post-it giallo in mano.

La mamma doveva avergli fatto prendere nota del nostro numero di casa, sapendo che me lo scordo sempre. E' più forte di me, non riesco a cacciarmelo in testa, e forse questo era proprio uno di quei casi in cui sarebbe stato meglio non ricordarselo.

 

“Che diavolo è?” mi ha chiesto quando, uscendo da casa sua, l'ho accompagnata fino alla Pontiac Astre del '76 parcheggiata dall'altro lato della strada.

Si era truccata, indossava gli orecchini e aveva i capelli pettinati tutti da una parte.

“E' la macchina di Grant, me l'ha prestata. Non potevo mica portarti al ballo con il mio pick-up scassato”

“A me piace il tuo pick-up scassato” ha commentato salendo a bordo, mentre le tenevo aperta la portiera.

“Ti piacerà anche questa” l'ho rassicurata mettendo in moto, cercando di non far trasparire l'amarezza per quanto sarebbe successo di lì a breve.

“Tu ti sei messo in tiro invece” ha aggiunto squadrandomi da capo a piedi.

“Già, non potevo mandare Grant al mio posto. O forse l'avresti preferito?” ho provato a scherzare.

“No, preferisco te” ha detto appoggiando la testa sulla mia spalla mentre guidavo.

“Cos'è, sei già stanca? Guarda che la serata è lunga!” ho esclamato scrollando la spalla per rianimarla e dandole poi un bacio sulla fronte, anche se sapevo che non sarebbe stata lunga abbastanza.

L'ingresso nella palestra della scuola sembrava la scena di un film per teenager. Lei si è tolta il cappotto, mostrandosi in tutta la sua bellezza in un abito azzurro con le spalline sottili, mi ha preso a braccetto e ci siamo messi in fila per farci la foto di rito, mentre in pista le danze erano già iniziate sulle note di Don't you want me degli Human League. Chissà se la vedrò mai quella foto. La serata è stata semplicemente fantastica, proprio perché semplice. Abbiamo bevuto punch corretto, abbiamo fatto gli idioti improvvisando coreografie sceme sulle canzoni più stupide, ci siamo stretti forte e baciati sui lenti, arrivando addirittura al punto di farci riprendere da quel fascista del preside, abbiamo diviso una canna con Julian, Sara e la professoressa Connors, la mia preferita, sul tetto della palestra, mi ha dato il mio regalo di compleanno, un libro di Bukowski, e un bacio al chiaro di luna. Insomma, abbiamo rispettato ogni possibile cliché legato ai balli scolastici e nella mia vita assurda e incasinata un po' di normalità non ci stava affatto male. E poi ero con lei. Quando però, una volta finito il ballo, la festa, almeno la nostra, si è spostata a casa di Darryl, un altro dei compagni di scuola di Lena, mi sono scontrato con un altro genere di cliché. Anche lei voleva cose normali, tra queste anche le cose che si possono fare sgattaiolando al piano superiore in casa di un amico e chiudendosi in una camera da letto a caso.

“Lena, che vuoi fare...?” le ho chiesto, mentre mi spingeva contro la porta appena chiusa a chiave.

“Non ci arrivi? Voglio un po' di intimità... con te...” mi ha risposto prendendomi il viso tra le mani e tirandolo verso il suo in un ennesimo bacio.

“Di quanta intimità stiamo parlando?” le ho domandato ancora, prendendo fiato.

La sua risposta è stata chiarissima, seppur muta: dopo aver fatto qualche passo all'indietro, verso il letto, dall'arredamento presumo di una delle sorelle del suo amico, ha abbassato lo sguardo e ha fatto cadere una delle spalline del suo vestito “Ok, molta intimità...” mi sono avvicinato a lei inebetito, mentre un'altra spallina cadeva e le sue mani sparivano dietro la schiena, per tirare giù la zip del vestito.

“Eddie...”

“Troppa intimità” mi sono risvegliato di soprassalto da quello stato di semi-incoscienza e, una alla volta, le ho ritirato su le spalline.

“Ma che fai?”

“Non possiamo” ho ribadito assicurandomi di tirare su anche la zip del suo abito che era già scesa per metà.

“Perché? Non vuoi?” ha chiesto guardandomi con i suoi occhi enormi e lucidi, tanto da brillare anche nel buio.

“Io... cazzo... certo, che lo voglio... ma non è possibile” ho passato tutta la serata pensando a questo momento, all'istante in cui avrei dovuto dirle tutto, ma non immaginavo che mi sarei trovato a doverglielo dire mentre mi offriva... beh.

“Senti... io lo so che è un casino, ma i nostri problemi non cambiano quello che proviamo” ha continuato, sedendosi sul letto e lasciando un po' di posto accanto a lei perché la seguissi.

“Lena, io devo tornare a casa” le ho detto restando in piedi.

“Lo so, che a gennaio devi tornare, ma-”

“No, devo tornare adesso

“Cosa? Come adesso?” ha sbottato alzandosi di scatto.

“Subito, Lena, il prima possibile”

“Ma... perché? Che è successo?” ha chiesto incredula.

Allora le ho raccontato della telefonata con mia madre, di come, dopo gli auguri di compleanno, mi aveva parlato dei problemi con Chris, il più piccolo dei miei fratelli, della causa con Mueller per l'affidamento e di quanto sarebbe stata dura anche questo Natale, di come era riuscita a farmi capire che mi rivoleva a casa perché aveva bisogno di me anche senza dirlo esplicitamente.

“Pensavo di partire stanotte, dopo il ballo” avrei lasciato la macchina sotto casa di Grant, per poi saltare sul mio pickup, su cui avevo già sistemato il mio zaino, che avevo a malapena disfatto, e la mia tavola, e ripartire alla volta di Chicago.

“E perché non mi hai detto un cazzo?!” era arrabbiata, molto arrabbiata.

“Perché volevo che avessimo una serata normale, almeno una fottuta sera, qualcosa che potessimo portare con noi, ricordare per sempre. Non volevo rovinare tutto”

“Ok, allora mi hai fatta venire a questo dannato ballo solo per avere un aneddoto in più da mettere nell'album dei ricordi di San Diego? Beh, grazie tante!” stava praticamente urlando, incamminandosi verso la porta.

“Lena...”

“Sai cosa potevi fare per non rovinare tutto? Restare a Chicago e non tornare!” mi ha gridato in faccia prima di uscire e sbattere la porta dietro di sé.

Non sapevo se inseguirla o meno, o meglio, sapevo cosa avrei voluto fare e allo stesso tempo sapevo come sarebbe stato più giusto comportarsi. Finora avevo sempre ragionato con lei, avevo sempre agito con cautela cercando di evitare sofferenze inutili e limitare i danni. Ma a questo punto che senso aveva?

Mi sono precipitato giù dalle scale e poi fuori dalla porta, raggiungendola in strada, tirandola per un braccio e stringendola a me, indifferente agli schiaffi e ai calci che mi tirava, finché non ha smesso e ha cominciato a singhiozzare.

“Non odiarmi, per favore” le ho sussurrato nell'orecchio, mentre la cullavo dondolando avanti e indietro.

“Non ti odio, sono solo dispiaciuta per te... e per me”

“Lo so”

“E' la tua famiglia, Eddie, ma non puoi portarne tutto il peso, devi vivere la tua vita”

“Già... e tu devi vivere la tua” ho aggiunto sollevandole il mento con due dita.

“Potrei fare domanda all'Università dell'Illinois” ha detto con un candore e una dolcezza che mi hanno fatto sorridere e allo stesso tempo mi hanno stritolato il cuore.

“Al posto di Harvard? Mmm... non mi sembra uno scambio equo”

“Chi lo dice che mi prendono ad Harvard? E poi devo anche vincere la borsa di studio, se no col cazzo che riesco ad andarci! L'Università dell'Illinois è un ottimo ateneo” ha continuato sfregandosi gli occhi col dorso della mano, trasformandoli in un pasticcio di mascara e ombretto.

“Non mi pare che Indiana Jones insegnasse a Chicago” ho osservato prendendo il fazzolettino dalla tasca del mio vestito e provando a rimediare al disastro sulle sue palpebre.

“Lui insegna al Marshall College, che è un'università fittizia” mi aveva preso il fazzoletto dalle mani e cercava di pulirsi da sola.

“Cavolo, peccato! Allora mi sa che ti tocca Harvard” ho scherzato, prima di beccarmi una fazzolettata in faccia.

“Piantala”

“Non devi programmare il tuo futuro pensando a me, devi fare le tue scelte per te stessa. Se è destino, ci incontreremo”

“Il destino non esiste, il destino ce lo facciamo noi”

“Appunto, cerca di costruirtelo bene e io farò altrettanto. Se tutto va come deve andare ci incontreremo a metà strada”

“Quando? Tra un altro anno? O dieci? O quando avremo cinquant'anni e saremo troppo vecchi?”

“Io a cinquant'anni non sarò vecchio, sarò un figo” ho ribattuto, strappandole un piccolo sorriso.

“Magari sarai un figo sposato... io invece sarò brutta, grassa e zitella”

“O magari avrai una vita bellissima, sarai un'archeologa con le palle quadrate che gira il mondo con cappello e frusta a caccia di tesori scomparsi”

“E quindi, sempre zitella”

“Lo dubito fortemente. Brillerai per un uomo molto fortunato, che per comodità preferisco definire brutto stronzo

“Ahahah brillerò?”

“Sì, lo sapevi che il tuo nome vuol dire luce?”

Luce guida, ma può voler dire anche altre cose... Tu come lo sai?”

“Mi piace cercarti in giro, anche nelle enciclopedie. Sei un faro, una stella che indica la strada... indicherai la via al brutto stronzo”

“Vorrei che il brutto stronzo fossi tu”

“Anch'io, non sai quanto” l'ho baciata, poi l'ho baciata ancora e ancora, finché un colpo di clacson alle nostre spalle ci ha fatto ricordare che eravamo ancora in mezzo alla carreggiata.

 

L'ultimo ricordo che ho di lei è il bacio fuori da casa sua e il suo augurio di buon compleanno, sul portico, di nuovo. Un saluto più dolce e allo stesso tempo più amaro dell'addio dell'anno scorso, perché allora rinunciavo a qualcosa che sarebbe potuto nascere, ma che ancora non conoscevo, mentre adesso so benissimo cosa mi sto lasciando alle spalle e cazzo se fa male. Ho ancora indosso lo smoking e solo adesso, dopo un paio d'ore di viaggio, mi viene in mente che l'avevo affittato e che avrei dovuto riportarlo al negozio. Sorrido tra me e me pensando che sarebbe un pretesto perfetto per prendere la prima uscita e tornare indietro, verso la mia stella, per riportarla nel mio cielo. Peccato non sia così semplice. Forse ci rincontreremo a cinquant'anni, nel mio bar, dove di tanto in tanto, tra un bicchiere di vino e due tiri a biliardo, mi divertirò a suonare ed esibirmi per gli amici. Lei si troverà lì per caso, io la riconoscerò subito e appena la vedrò attaccherò una canzone che avrò scritto per lei e che mi riporterà nel calore delle sue braccia, per pochi minuti, ogni volta che la canterò, scaldandomi e torturandomi allo stesso tempo. Lei ascolterà in silenzio, fino alla fine, senza staccarmi gli occhi di dosso, per poi andarsene senza dire niente, se non poche parole che distinguo dal labiale, in lontananza, nel locale fumoso:

“Buon viaggio, Eddie. E buon compleanno”

  
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