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Autore: Hermione Weasley    12/11/2008    0 recensioni
"La Compagnia ti ritiene pericolosa. Sanno del tuo potere, ti rinchiuderanno se non collaborerai," tentò di spiegarle, controllando quasi maniacalmente il tono della propria voce. [Sylar/Maya] [Spoilers per il Vol. III]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sylar
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Note.
Allura, questa fic tiene conto di quello che è successo a Maya nella 3x07 Eris Quod Sum [QUINDI SPOILERS, MI PARE OVVIO], ma tralascia allegramente il fatto che Sylar sia tornato da Arthur e la Pinehearst, ma lo vede ancora come partner di Noah in giro per l'universo alla ricerca dei villains fuggiti dal Livello 5. Siccome se penso al piccolo particolare (che è l'intera storyline sia di Sylar che di Maya nella seconda serie) che questi due hanno avuto una specie di pseudo-storia, sono delusa dal fatto che non se ne faccia più parola nemmeno per finta nella serie. Quindi senza perdere la speranza (come dice Eli, di almeno un vaffanculo xD Va bene pure quello!) questo è ciò che mi piacerebbe/mi aspetto di vedere.


After All You Put Me Through.

After all of the stealing and cheating you probably think that
I hold resentment for you
But uh uh, oh no, you're wrong
'Cause if it wasn't for all that you tried to do, I wouldn't know
Just how capable I am to pull through
So I wanna say thank you
'Cause it
Makes me that much stronger
Makes me work a little bit harder
Makes me that much wiser
So thanks for making me a fighter


"Fighter" - Christina Aguilera

*


Quando aveva incontrato il suo sguardo, l'idea di averlo già visto le sembrò la cosa più sensata del mondo.
Soltanto un bagliore familiare nel fondo dei suoi occhi, che sparì rapidamente, così come era arrivato, e niente più.

E poi c'era stato il panico, e la consapevolezza di non potersi muovere.
Le sue mani sulle sue spalle, e ancora la sensazione di venir strappata a metà.

Ci volle solo qualche secondo per farle capire che ne era valsa la pena, che non sentiva più quell'enorme peso al centro del petto, che la paura di poter perdere il controllo da un momento all'altro era semplicemente scomparsa. Dissolta nell'aria, assieme a tutto il male che aveva imparato a portarsi dentro.

Era libera.
Il modo in cui le accarezzò i capelli, aiutandola a rimettersi in piedi, la fece sentire stupidamente ancora più felice.

Perché le ricordava qualcosa.

Eppure Arthur Petrelli, così come suo figlio, la guardava sì, ma già non la vedeva più.

Ma Maya sembrò non farci caso.

*

"Non collaborerà," sentenziò Gabriel, voltandosi leggermente verso Noah Bennet, seduto al posto di guida.
"E' per questo che siamo qui," rispose inespressivamente l'altro, spegnendo il motore dell'auto.
"Non collaborerà comunque."
"Tu dovrai farla collaborare, non è poi così difficile, Gabriel, mi pare, anzi, che tu l'abbia già fatto, no?"

Fece schioccare la lingua, costringendolo ad ignorare il brivido che gli attraversò impietosamente la schiena.

Guardò fuori dal finestrino mezzo abbassato, senza riuscire a togliersi dalla testa che una cosa simile non era affatto prevista.
Si era disinteressato a lei subito dopo aver riacquistato i suoi poteri, e non aveva alcuna intenzione di rivangare il passato.

Non ora che era diverso.

"Non è pericolosa, non costituirà un problema," riprese Gabriel, sperando di convincere Noah a non insistere, "è meglio se ne resta fuori, credimi."

Bennet gli rivolse un'occhiata tutt'altro che conciliante, increspando le labbra in un sorrisetto di scherno.

"A me non interessa se devi fare i conti con la tua coscienza di disadattato," mise in chiaro, scrutandolo attentamente attraverso le lenti dei suoi occhiali, "alza il culo e va' la dentro."

L'incarico era uno, e doveva essere portato a termine. Non gli importava di tutte le complicazioni emotive del caso: nel Livello 5 erano state rinchiuse persone potenzialmente pericolose, e Maya aveva esattamente tutte le caratteristiche per essere una di quelle. A meno che, ovviamente, Gabriel non fosse stato in grado di convincerla a collaborare.

Lo vide sbuffare e scoccargli un'occhiata tutt'altro che felice.

"Ti dico che sarà perfettamente inutile," ribadì senza demordere, sganciando la cintura di sicurezza con un sonoro schiocco, "non mi darà ascolto."
"Usa i tuoi metodi di persuasione, allora. A quanto pare eccelli in materia," insinuò Noah, che aveva già ripreso a guardare nello specchietto retrovisore, rivolgendogli a malapena la sua attenzione.

Gabriel era perfettamente certo che insistere sarebbe stato inutile.
Aprì la portiera, richiudendola con un tonfo, ormai arreso alla prospettiva di doverla vedere.

Le aveva mostrato la parte peggiore di sé per ottenere ciò che voleva. L'aveva manipolata e usata a suo piacimento, sfruttando quell'assurda inclinazione e spassionata gratitudine e fiducia che aveva riposto nelle sue mani, e Sylar se n'era approfittato senza pensarci due volte.

Non se ne pentiva, ed era perfettamente consapevole del fatto che, se fosse tornato indietro, avrebbe agito esattamente nello stesso modo.
Senza ripensamenti.

Sua madre si sbagliava: forse era vero che non era altro che un assassino.

Di tutte le sue vittime, Maya era quella che gli era costata più impegno, più attenzione, più devozione e più crudeltà di tutte.

Era stata il suo più grande errore.

*

"Okay Cady, aspettami qua, torno subito," disse alla bambina, dandole un buffetto sulla testa e uscendo dalla stanza dopo essersi assicurata che non si sarebbe mossa, troppo presa com'era dalla sua nuova bambola.

Si richiuse la porta alle spalle, ritrovandosi nel desolato corridoio dell'orfanotrofio che ormai frequentava quotidianamente.

Aveva lasciato New York con il passaporto che le avevano procurato alla Pinehearst. Non si era fatta molte domande sul perché la stessero aiutando: aveva il modo di andarsene, di rifarsi una vita, di espiare tutti i peccati commessi. Un nuovo inizio, si era detta.
Tutto sarebbe ripartito da un fetido appartamento della East Coast, un lavoro malpagato in una tavola calda e l'impegno ad aiutare chi più ne aveva bisogno - chi, come lei, non aveva nessuno su cui contare.

Per il momento, assistere bambini senza una famiglia era una delle poche cose in grado di farla stare, se non bene, almeno un po' meglio.

Si legò i capelli, annodandoli con l'elestico che teneva al polso.
Le ci vollero solo un paio di secondi, il tempo di alzare lo sguardo, per realizzare che, alla fine di quel corridoio, c'era l'ultima persona al mondo che avrebbe voluto vedere.

Altrettanto rapidamente aveva fatto dietrofront, e si era messa a correre nella direzione dalla quale era venuta.

Doveva fare qualcosa, mettere i bambini in salvo (nonostante una parte di lei sapesse benissimo che era lì per lei, e per nessun altro), farlo sparire dalla sua vista perché le faceva ancora troppo male.

Aveva ucciso Alejandro, aveva tentato di farlo anche con lei, e l'aveva ingannata e manipolata a suo piacimento. Si era sentita come un burattino un po' troppo vecchio: quando hai smesso di divertirti, lo getti via e basta.

Era stato il suo più grande errore.

*

"Maya!" Le urlò dietro, per niente sorpreso di vederla correre via.
Aumentò il passo, tentando inutilmente di fermarla senza dover ricorrere ai suoi poteri.

Era perfettamente ridicolo: l'aveva detto a Noah che sarebbe stato tutto inutile, che non ce l'avrebbe mai fatta a convincerla. Sapeva anche che lo stava facendo per una sorta di sadica vendetta nei suoi confronti: poteva convincere Claire della malafede di suo padre, ma non Maya della sua disponibilità ad aiutarla.
Nemmeno tra un milione di anni.

La vide esitare tra due porte, prima di rinchiudersi in una delle due stanze.

Gabriel rallentò, fino a fermarsi nel bel mezzo del corridoio deserto. Forse poteva tornare indietro e dire a Noah che non c'era stato niente da fare. E che l'aveva uccisa, sì. L'aveva uccisa e non era più un problema.
Sarebbe stato convincente, se non con Maya, almeno con lui.

"Va' via. Va' via e non sarò costretta ad ucciderti."

La voce della donna lo riportò bruscamente alla realtà.
Avanzò ancora di un paio di passi, avvicinandosi alla porta dietro la quale si era rifugiata.

"Non voglio farti del male," disse dopo un attimo, non troppo sicuro del comportamento da adottare.
"Ah no? Non prendermi in giro," la sua voce gli arrivava attutita e appena udibile.
"Devo solo pro -"
"Vattene, Sylar."
"Gabriel," specificò lui, indispettito e quasi deluso dal sentirle pronunciare quel nome.
"Non importa come diavolo ti fai chiamare. Sei un pazzo psicotico, va' via."
"Maya, -"
"No. No, va' via. Ti prego, va' via."

Rimasero entrambi in silenzio per un lungo attimo.

"La Compagnia ti ritiene pericolosa. Sanno del tuo potere, ti rinchiuderanno se non collaborerai," tentò di spiegarle, controllando quasi maniacalmente il tono della propria voce.

Ringraziò di non poterla né vedere, né toccare o guardare negli occhi. Era già successo con Claire: le aveva stretto la mano, impedendole di finire in quel vortice oscuro che l'avrebbe portata via per sempre, e aveva sentito tutto. Tutto il dolore che le aveva causato, che le aveva impietosamente inflitto - concentrato com'era nell'ottenere quel potere, l'indistruttibilità, un biglietto di sola andata per l'eternità che gli era costato un altro brandello d'anima - gli si era riversato addosso, come un fiume in piena, quasi fosse stato suo e di nessun altro.

Non era pronto a provare di nuovo quella sensazione. Non era pronto a farlo con Maya, perché sapeva benissimo che quello che aveva fatto a Claire non aveva niente a che fare con ciò che aveva inflitto a lei e alla sua famiglia. Le aveva strappato Alejandro, l'unica persona al mondo disposta a prendersi realmente cura di lei, si era finto il suo angelo custode e l'aveva tradita proprio quando meno se l'aspettava: ad un passo dal successo, l'aveva spinta nel baratro, dimenticandola.

Perché non aveva tempo, perché non gli interessava, perché era semplicemente troppo tardi.

Non disse niente, infastidito dal battito del suo cuore innaturalmente amplificato nelle sue orecchie. Un tum-tum cadenzato che scandiva sadicamente i suoi pensieri, come quel tic-tac che aveva sentito per anni nel negozio di suo padre.

"Del mio potere?"

La sentì domandare, circospetta, ma improvvisamente più calma e rilassata.

"Non ti faranno del male, Maya," riprese lui, approfittando di quell'inaspettata occasione di potersi spiegare, "ti aiuteranno.
Hanno aiutato anche me, poss -," si bloccò di scatto, sgranando gli occhi quando un cigolio accompagnò la porta, mentre la donna compariva sulla soglia, perplessa e impaurita al tempo stesso.

"Non ho più quel potere," mormorò fissandolo, mentre un fremito di rabbia le fece tremare le labbra, "sono libera adesso."

Gabriel indietreggiò di un passo, agitato dalla vicinanza. Realizzò di essersi dimenticato i contorni del suo viso, il colore dei suoi occhi e quello delle sue labbra, il modo in cui le ciocche di capelli si arricciavano in fondo e le ricadevano morbidamente sulle spalle.

"Non sono più speciale," aggiunse freddamente, scoccandogli un'occhiata di profondo disgusto, scostandolo bruscamente per poterlo superare e andarsene.

Stava per farsi da parte, e sgombrarle la strada, ma l'istinto fu più forte di qualsiasi altra cosa: l'afferrò per entrambe le spalle, impedendole di muoversi.

Una fitta di gelido disappunto si impossessò di lui, facendo scivolare lo sguardo nel suo. Gli sembrò di non poter respirare: i polmoni presero a bruciare e qualcosa parve essere sul punto di squarciargli il petto a metà.

Solo. Si sentiva dannatamente solo in un mondo fatto di estranei.

E poi provò sollievo, e la consapevolezza di aver trovato un appiglio, un aiuto, un amico. Un profondo moto di gratitudine lo animò di colpo, e quasi si sentiva in dovere di ringraziare. Non sapeva chi, non sapeva cosa, ma doveva farlo.

Di nuovo il vuoto e il freddo subentrarono rapidamente, togliendogli nuovamente il fiato, facendogli pizzicare gli occhi, spingendo lacrime di rabbia ad uscire e solcargli penosamente il viso.

Eppure sentiva ancora quella piacevole sensazione di calore e speranza che restava sopita sotto tutta quell'indifferenza. La sentiva ancora.

"Lasciami," Maya lo spinse ferocemente indietro, senza preoccuparsi di nascondere l'odio che provava nei suoi confronti.

Lasciò ricadere le mani, rendendosi conto di essersi impadronito - anche se solo per un attimo - delle sensazioni di Maya, del suo dolore, di quello che lui stesso aveva causato.

"Mi dispiace," disse quasi meccanicamente, lo sguardo annegato nel senso di colpa.

Maya sembrava sul punto di mettersi a ridere, sbuffò un paio di parole incomprensibili, prima di intrecciare le braccia al petto.

"Per cosa? Per aver ucciso mio fratello? O per aver ucciso me? O -" "Per tutto. P-Per tutto quello che ho fatto," alzò il capo verso di lei solo in quel momento, costringendosi a guardarla negli occhi.

Avrebbe giurato che fosse sul punto di dirgli qualcosa, ma come aveva aperto la bocca, si era limitata a richiuderla, evidentemente a corto di parole.

L'uomo che più l'aveva fatta soffrire le stava chiedendo perdono. Perdono.

"Che vuoi che ti dica?" Mormorò infine. La nuova versione di quello che aveva considerato, senza mezzi termini, il suo incubo la preoccupava più della precedente. Perché, si rese conto, non lo conosceva affatto.

"Che mi perdoni," sussurrò in risposta, facendo un enorme sforzo per non distogliere lo sguardo.

"Perdonarti?"
"Puoi farlo?"
"Tu non vuoi il mio perdono, Gabriel," replicò, affatto convinta della proprio constatazione.
"Lo voglio," si limitò a risponderle, sperando irrazionalmente che fosse in grado di riconoscere la sincerità solo guardandolo negli occhi.

L'aveva sorpresa. L'aveva decisamente presa in contropiede.

"Un minuto fa avrei voluto ucciderti," sussurrò, senza smettere di fissarlo.

Non le rispose. Pensò soltanto che aveva tutto il diritto di avercela con lui, perché era successo - in passato - che si fosse trovato nella sua stessa situazione. E già aveva tentato di ammazzare chi l'aveva ingiustamente fatto soffrire in quel modo. Che differenza avrebbe fatto?

"Mi hai... ferita, ingannata, distrutta... mi hai uccisa," bisbigliò senza distogliere lo sguardo, "e la cosa più assurda è che... dovrei ringraziarti."

Stavolta era Gabriel a non capire.

"Ringraziarti perché mi hai resa più forte. Perché ho avuto il coraggio di andarmene e di ricominciare da capo. Mi hai fatto così male, Gabriel, che credevo di non poter sopravvivere.
Eppure... ero anche così arrabbiata. Volevo fartela pagare. Per tutto quello che mi hai fatto. Mi sento diversa, più capace, più... resistente," continuò, facendo fatica, ogni tanto, a trovare le parole adatte, cadendo su qualche accento, senza però preoccuparsene.

"Mi hai insegnato tanto. Certo, avrei preferito imparare la lezione senza dover perdere mio fratello, ma... sono contenta di non aver dimenticato come si fa ad avere fiducia in chi ti sta attorno."

"Maya -," non andò oltre perché gli fece cenno di non aggiungere altro.

"Spero che tu possa trovare ciò che cerchi, Gabriel," riprese poi, "te stesso prima di ogni altra cosa."

"Credi... c-credi che possa cambiare? L-Lo credi sul serio?" Si ritrovò a chiederle, fissandole ossessivamente le labbra, pronto a farsi distruggere o consolare dalle parole che gli avrebbe rivolto.

"Certo. Tutti possono cambiare, Gabriel," mormorò infine, lasciando ricadere le braccia lungo il corpo, senza sapere esattamente come comportarsi.

Tutta la sua rabbia era svanita nel nulla nel momento esatto in cui le aveva chiesto di perdonarlo. Perché era quello che stava tentando di fare anche lei: chiedere scusa per tutto il male che aveva inflitto alle sue vittime. E se lei poteva ottenere l'assoluzione, perché dovrebbe essere stato diverso per lui? Tutti si meritano una seconda occasione, pensò. Tutti, senza alcuna esclusione di sorta e, per la prima volta, le sembrò di vedere una persona sincera.

Solo Gabriel. Ed era abbastanza.

"Devo tornare," disse poi, indicando la fine del corridoio, "c'è qualcuno che mi aspetta."

Gabriel si limitò ad annuire, decisamente troppo sconvolto, sorpreso, scombussolato per poter dire qualcosa di sensato.

Maya, come sua madre, gli stava dando un'altra possibilità. E se anche Angela avesse avuto un doppio fine, un interesse nel vederlo diverso, era perfettamente consapevole che Maya non aveva alcun motivo per mentirgli. Era sempre stata sincera con lui e adesso, gli aveva accordato il suo perdono. Forse non in quel momento, ma sapeva che ci avrebbe lavorato seriamente, che un giorno vicino o lontano, non avrebbe avuto alcun problema a rivolgergli la parola o stringergli la mano.

"Grazie," si limitò a dire, riabbassando lo sguardo quasi imbarazzato.

"Ciao Gabriel," sussurrò lei, dopo un lunghissimo attimo di silenzio.

Sapeva che non se lo sarebbe mai dimenticato, che non avrebbe scordato il giorno in cui l'avevano trovato riverso su una polverosa strada del Messico, o il modo in cui si era sentita quando aveva capito che sarebbe stato lui a portarla alla salvezza.

E forse l'aveva fatto. Nel suo personalissimo modo, ma l'aveva fatto. Perché si sentiva di poter affrontare qualunque cosa in quel momento. Ce l'avrebbe fatta anche da sola, ed era solo a causa sua. O grazie a lui.

Sospirò impercettibilmente, decidendosi a dargli le spalle, senza aspettarsi alcun saluto in risposta. Percorse silenziosamente il corridoio.

Gabriel la sentì ridere e si chiese come era possibile che non avesse mai fatto caso alla luce che le illuminava il viso quando le sue labbra si tendevano in uno di quei sorrisi infantili che aveva solo tentato di infrangere, infastidito dalla sua smania di liberarsi di ciò che lui disperatamente voleva riavere.

Solo quando la porta si fu chiusa, realizzò che il suo più grande errore era stato lasciarla andare. Perché Maya era tutto ciò che Gabriel Gray aveva sempre cercato, chiuso in quella ticchettante prigione che era il Gray & Son's.

Rimase immobile per una quantità indefinita di tempo, tentando di imprimersi il suo sorriso nella testa, e le sue parole in quell'ammasso straziato di carne e sangue che ancora si azzardava a chiamare cuore, perché sapeva che gli sarebbero tornate utili.

Doveva solo trovare il modo di dire a Noah che la missione era fallita.

  
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