Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Segui la storia  |       
Autore: ___Ace    27/12/2014    5 recensioni
Nella Francia del XVIII secolo, più precisamente durante il corso del 1789, ogni tipo di potere immaginabile era riposto unicamente nelle mani della monarchia assoluta, a detta dei nobili e del sovrano, per diritto divino. I cittadini avevano sopportato tanto per molto tempo, senza mai lamentarsi e continuando a seppellire vittime di quelle ingiustizie. L'avversione dei sudditi francesi non aveva fatto altro che crescere e inasprirsi di giorno in giorno.
C'era, però, qualcuno pronto a combattere: un gruppo di persone che agivano nell'ombra e che lottavano per i loro ideali di giustizia ed uguaglianza. C'erano i Rivoluzionari, desiderosi di cambiare le cose e di liberare la Francia una volta per tutte.
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Ace/Marco, Ciurma di Barbabianca, Rivoluzionari, Sabo/Koala, Un po' tutti | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law, Rufy/Nami, Sanji/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Liberté, Égalité, Fraternité.
Un.
 
Nella Francia del XVIII secolo, più precisamente durante il corso del 1789, ogni tipo di potere immaginabile era riposto unicamente nelle mani della Monarchia assoluta, a detta dei nobili e del sovrano, per diritto divino. Tutta la società era divisa in tre determinati ceti, o classi sociali, quali: Nobiltà, ovvero coloro che più di ogni altro spadroneggiavano senza limite e giustizia; Clero, quindi le anime sante che avevano intrapreso la via del sacrificio, della fede, della devozione e, in teoria, ma non in pratica, della povertà; infine, proprio nel gradino più basso della scala sociale, e anche della catena alimentare, in poche parole il degrado, si trovava il Terzo Stato, comprendente i poveracci che non sapevano mai se avrebbero visto o no il giorno a venire.
Quella classe sociale costituiva la maggioranza degli abitanti presenti a Parigi, la bellezza del novant’otto per cento della popolazione, ed era, inoltre, la classe maggiormente tassata, in quanto l’antica e ingiusta tradizione monarchica francese prevedeva dei consistenti ed infiniti privilegi per i primi due ceti.
I cittadini avevano sopportato tanto per molto tempo, senza mai lamentarsi e continuando a seppellire vittime di quelle ingiustizie, fino a quando una serie di problemi economici non risolti, causa le enormi spese fatte dalla Corona e i fondi inviati per la Guerra d’America, avevano provocato un malcontento generale e disordini nella popolazione. Dopo la caduta dei prezzi e della produzione industriale, una violenta siccità aveva pure provocato la morte del bestiame. Infine, un pessimo raccolto aveva decretato un’ulteriore grande crisi, quella del pane, così il suo prezzo era aumentato a dismisura e continuamente, mandando i lavoratori nella miseria per potersi guadagnare da mangiare.
Per risolvere la gravissima crisi in cui la Francia era precipitata e aumentare le entrate fiscali, la monarchia aveva imposto tasse ad ogni ceto sociale, ma nobiltà e clero ne erano state interessate solo in minima parte. Le nuove imposte avevano, invece, continuato a pesare solamente sul Terzo Stato e non furono quindi in grado di contrastare la perdita del Paese, facendo aumentare all’inverosimile il debito pubblico.
L'avversione dei sudditi francesi, quindi, non aveva fatto altro che crescere e inasprirsi di giorno in giorno e ad ogni fallimento.
Fu in quel periodo che si sviluppò una nuova cultura chiamata Illuminismo, la cui filosofia si diffuse fino ai ceti più alti della società. La monarchia assoluta francese venne contrapposta a quella inglese, limitata da un parlamento e da vari organi politici interni. Da ciò si diffuse a macchia d’olio l’idea che il potere risiedeva non in un’unica persona, ma nell’intera Nazione.
A conferma di quella corrente rivoluzionaria e a sfavore delle più alte classi sociali, quello che era accaduto qualche anno prima al di là dell’oceano, ovvero nelle Americhe, aveva contribuito ad accendere la scintilla negli animi dei cittadini francesi, arrabbiati e stanchi della miseria, facendo crescere in loro il desiderio sempre più grande di cambiare le cose una volta per tutte.
 
*
 
Paris, 1789.
 
-Sabo!-
-Portatelo via.-
-Lasciatemi! Sabo!-
-Maledetti! Vi ucciderò tutti!-
-Legate anche l’altro, poi portateli in prigione e rinchiudeteli.-
Era una fredda e nebbiosa mattinata di inizio primavera; l’inverno stava lentamente abbandonando quelle terre, ma il gelo persisteva e il sole non ne voleva sapere di sbucare nel cielo per riscaldare le giornate che, lentamente, si allungavano.
Era l’alba e le guardie stavano compiendo il loro dovere, eliminando un seguace dei Rivoluzionari, un gruppo di ribelli che, da qualche tempo, stavano mettendo a dura prova l’ordine pubblico, incitando la folla alla ribalta contro la Corona e contro il Re di Francia. Ciò, per lo Stato, era inammissibile, per quel motivo ogni fuggiasco o complice di quei farabutti veniva catturato e giustiziato dopo essere stato sottoposto ad un giusto, o quasi, processo.
Quella volta la sfortuna era capitata ad un giovane ragazzo, troppo spavaldo e coraggioso, nonché convinto di essere dalla parte della ragione. Si accompagnava ad un paio di altri ragazzini, straccioni per la precisione, orfani senza una casa, e gli ufficiali si sarebbero limitati a metterli tutti al fresco per un po’, se solo lui non avesse opposto resistenza, uccidendo un soldato con un colpo di rivoltella. E tutto per difendere i due mocciosi che erano con lui.
Ah, se solo non avessero scelto la fazione sbagliata per la quale combattere, pensò il comandante della spedizione, dando le spalle alla Senna, il fiume dalle acque scure e profonde che attraversava la bella Parigi, accendendosi un sigaro tra le labbra e ignorando le urla isteriche dei due prigionieri che non avrebbero smesso tanto presto di piangere la morte del loro compagno ormai annegato.
Il Capitano Smoker era stato svelto e previdente nell’agire. Aveva intuito che il ragazzo non si sarebbe arreso tanto facilmente e, non appena uno dei suoi era caduto, aveva provveduto ad intervenire, sparando al nemico e facendogli perdere i sensi per il dolore. Era stato semplice poi legargli i polsi e le gambe, assicurandogli ai piedi un masso e gettandolo nel canale alle porte della città dove nessuno sarebbe mai andato a cercarlo. Era stato costretto a farlo. Era quello il suo lavoro, anche se spesso faceva schifo.
Esatto, proprio quella parola aveva formulato nella sua mente: schifo. Quello non era il motivo per il quale si era arruolato anni prima; non era l’ideale di giustizia che aveva e per il quale combatteva; non si avvicinava minimamente ai suoi principi patriottici. Era solo morte e dolore, nulla di più. Quel giovane non era diverso dagli altri che aveva visto perdere la vita, ma, dannazione!, era solo un ragazzo! Perché aveva dovuto agire in quel modo? Se non avesse dato di matto forse avrebbe avuto una possibilità, forse lo avrebbero rilasciato dopo avergli fatto scontare qualche notte in cella.
Forse. Forse. Forse.
A chi voleva darla a bere, le cose non sarebbero cambiate e donne, bambini, vecchi, giovani, nessuno sarebbe stato risparmiato in quella guerra.
Un brusio dietro di lui lo riscosse dai suoi pensieri.
-Capitano Smoker, il più grande ha ferito due dei nostri!-
L’uomo sospirò esasperato, continuando però ad avanzare verso la strada in ghiaia, ordinando svogliatamente ai suoi sottoposti di togliere di mezzo anche quel piantagrane con i capelli scuri e di trattenere solo un prigioniero. Lacrime e urla di un marmocchio poteva sopportarle, ma pugni e ribellioni no, ce n’erano già troppe in giro per la regione, meglio quindi estirpare l’erbaccia alla radice.
Ad ogni modo, fece comunque di tutto per ignorare la sgradevole sensazione di stare facendo la cosa sbagliata che lo colse non appena decretò la morte di un’altra persona.
Era obbligato a farlo, era costretto.
-No, fermi! Vi prego! Ace! Ace, no! Lasciatelo! Lasciatelo, è mio fratello!- sbraitò il ragazzino più piccolo non appena capì la svolta che aveva preso la situazione, avvolto in una camicia rossa e logora, tremante e stremato, ma abbastanza forte, o cocciuto, da reggersi ancora in piedi, mentre due guardie si allontanavano dal resto del gruppo di militari trascinando con forza un altro giovanotto più robusto, ma ugualmente malconcio dopo le botte che aveva subito.
Scomparirono dietro l’angolo delle mura, addentrandosi nel sentiero che portava alle fosse comuni. In quel punto nessuno li avrebbe disturbati dal compiere il loro dovere di giustizia.
-Ace! Ace!- urlava intanto il piccolo, dimenandosi e tirando le braccia legate dalle catene fino a far lacerare la pelle nel tentativo di liberarsi e correre dal suo amato fratello. Aveva perso un amico da nemmeno dieci minuti, non voleva rimanere da solo. Non poteva andare tutto così male.
Smoker lo osservò impassibile, avvolto dal fumo del sigaro che stringeva tra i denti tanto forte da poterlo spezzare. Avrebbe davvero voluto fare diversamente e risparmiarli, ma non poteva. Aveva anche lui le mani legate.
Stava cercando di convincersi che le sue azioni erano per il bene comune, quando il prigioniero si voltò verso di lui con gli occhi inondati di lacrime e l’aria di chi era appeso alla vita con un filo. Il Capitano gli rivolse uno sguardo ammorbidito, quasi di scuse senza nemmeno rendersene conto. Non si curò di apparire debole, quella situazione lo aveva fatto riflettere profondamente sull’idea di bene e male.
L’occhiata carica di odio che ricevette in cambio, però, fu un vero e proprio colpo di grazia per le sue convinzioni. Fu quasi come se quel piccoletto avesse fatto crollare il suo credo con uno sguardo.
Gli aveva portato via la sua famiglia, e chissà quante altre volte sarebbe successo. Le guardie stavano mettendo a ferro e fuoco Parigi su ordine dei capricci del Re e tanta gente moriva inutilmente. Voleva davvero continuare ad essere trattato come un burattino? La parte con la quale si era schierato era davvero quella dei buoni?
Due spari riecheggiarono in lontananza alle loro spalle, mandando in frantumi i ragionamenti di Smoker e spezzando il cuore del ragazzino. Calò un silenzio che fece gelare il sangue persino ai soldati. Era la calma prima della tempesta, se lo sentivano.
Poi un urlo squarciò l’aria.
-Ace!- strillò il moccioso con tutte le sue forze, tanto che sentì quasi i polmoni scoppiare nella cassa toracica, crollando in ginocchio quando non ottenne risposta. –Ace!- fece ancora, battendo selvaggiamente i pugni sul terreno e piangendo lacrime amare, mordendosi freneticamente le labbra fino a farle sanguinare, non sentendo il dolore.
Aveva perso tutto e tutti, non aveva più nulla e nessuno, era solo. Totalmente, completamente e irreparabilmente solo.
E ne suo fratello, ne il suo migliore amico sarebbero ritornati dalla Terra dei Morti.
Volse il capo al cielo grigio e nuvoloso, denso di pioggia, e prese l’ultimo respiro puro prima che i soldati lo trasportassero di peso verso l’oblio.
-Ace!-
Poi il buio.
 
*
 
Osservava la scena nascosta nel folto della vegetazione, silenziosa e attenta, pronta a scattare al minimo segnale di pericolo, con le gambe immerse nel pantano e il freddo pungente che le trapassava la pelle. Doveva rimanere immobile se voleva evitare di essere vista.
Fino a circa un quarto d’ora prima aveva guardato con divertimento quelli che dovevano essere tre fratelli rotolarsi nel fango della palude, lottando tra loro, ridendo e schiamazzando, allegri e spensierati. Le erano sembrati così simpatici che si era chiesta più volte perché non si decidesse ad uscire allo scoperto e presentarsi. Era rimasta malissimo, poi, quando la guardia della cittadina li aveva accerchiati, interrogandoli e scoprendoli dalla parte dei Rivoluzionari. Se soltanto fossero stati furbi e avessero tenuto chiusa la bocca!
Stavano combattendo già da un po’, e lei sarebbe corsa a dare loro man forte ma, quando era stata sul punto di farlo, uno sparo le aveva mozzato il respiro, lasciandola con il fiato sospeso. Si era coperta la bocca con una mano per celare un lamento non appena aveva visto un ragazzo cadere a terra privo di sensi e aveva dovuto lottare contro se stessa per non intervenire, rischiando di rivelare così la sua posizione e mettere a rischio la copertura del resto della sua compagnia.
-Ecco dove ti eri cacciata!- disse una voce dietro di lei, facendola sussultare per lo spavento. Fortunatamente aveva dei nervi d’acciaio e si riprese subito, dando un ceffone al suo compagno e zittendo le sue lamentele con un’espressione che non ammetteva repliche, indicandogli un punto oltre la boscaglia e mostrandogli quello che stava accadendo a pochi metri di distanza.
Il ragazzo, massaggiandosi la parte lesa e scompigliando così i suoi capelli castani, si abbassò accanto a lei per guardare cosa diavolo aveva catturato l’attenzione della mocciosa, rimanendo sconvolto quando le guardie francesi legarono un tizio svenuto, gettandolo poi nel fiume con le urla degli altri due prigionieri in sottofondo che fecero accapponare la pelle a entrambi.
-Per Dio!- sussurrò con orrore.
Fu così che, non appena gli ufficiali si allontanarono dalla zona paludosa con i due prigionieri, la ragazza saltò fuori dal suo nascondiglio, ignorando gli avvertimenti di Thatch, raggiungendo la riva e tuffandosi nelle acque gelide l’istante dopo, agendo d’istinto e con il cuore in gola.
L’acqua era ghiacciata, ma se l’era aspettato e, anche tenendo gli occhi aperti, faticava a vedere per colpa della luce del giorno totalmente assente. Si sforzò comunque di darsi la spinta verso il fondale con le gambe, usando invece le mani e le braccia per cercare a vuoto il corpo del ragazzo che avevano appena spedito a dormire con i pesci. Era certa che, a causa del masso, l’avrebbe trovato sul fondo, perciò continuò a scendere in profondità e sperando di venire graziata per quella volta.
Quando riemerse con un corpo privo di sensi tra le braccia, annaspò fino a farsi notare dall’amico, il quale fissava il fiume con aria preoccupata, andando avanti e indietro sulla riva, indeciso se chiamare i rinforzi o farsi un bagno non previsto pure lui.
-Grazie al Cielo!- sospirò sollevato, andandole incontro non appena la intercettò e aiutandola a trasportare il corpo del ragazzo mezzo morto sull’erba in un punto riparato da alcune folte piante, lontano da occhi e orecchie indiscrete.
-Che cazzo ha combinato?- domandò nervoso, dando sfogo all’ansia accumulata gli attimi prima, strappandogli senza troppe cerimonie la camicia e cercando la ferita per bloccare l’emorragia, mentre la sua amica si affrettava a controllare il battito cardiaco del polso e del collo per fare una stima dei danni e assicurarsi che il poveretto fosse ancora in vita.
-Thatch, devi fare qualcosa!- lo pregò con voce preoccupata, iniziando un lento, ma efficace, massaggio cardiaco.
-E cosa?- sbottò lui, alzando con fare esasperato le mani al cielo per poi strapparsi un abbondante lembo di stoffa dalla giacca e premendolo con cura sulla ferita, arrestando momentaneamente il flusso del sangue. –Qui ci vogliono dei punti! E io non sono un dottore! E, oh, maledizione!- stava decisamente perdendo la calma.
Non ebbero il tempo di consultarsi oltre perché alcune voci li misero in allerta. Il ragazzo scostò le foglie per controllare i dintorni, stupendosi quando avvistò due secondini ritornare sui loro passi con un ragazzo che si dimenava come un cane rabbioso.
Deglutì sonoramente, pensando che se le guardie si fossero accorte anche di loro, non avrebbero fatto una bella fine. E tutto per salvare il culo a due francesi mangia baguette!
Strinse i denti e si voltò a guardare a che punto era la sua collega, lanciandole un’occhiata severa quando quella si accorse della sua attenzione. Lei sembrò leggergli nel pensiero perché sospirò stancamente, andando avanti con la sua opera di salvataggio. Sapeva benissimo che la compagnia non voleva immischiarsi nelle cause del paese, non erano cose che li riguardavano, ed era consapevole che i francesi dovevano arrangiarsi. Avevano ragione nel dire che non era la loro guerra, ma non riusciva a capire perché mai doveva lasciar soffrire i più deboli quando aveva la capacità di salvarli e aiutarli.
-Volevano ucciderlo.- spiegò allora, -Non potevo lasciarlo morire in quel modo.-
-Non sono affari nostri, lo sai.- le ricordò, tenendo d’occhio la situazione che si stava svolgendo ad una decina di metri dal loro nascondiglio.
-Dovrebbero!- ribatté con furore, continuando il suo lavoro, sussurrando preghiere sconnesse e supplicando il moribondo di non morire. Gli slacciò il cravattino blu che teneva legato malamente al collo e gli prese il viso tra le mani, forzandogli le labbra per posarvi poi le proprie e donargli la sua aria con l’intenzione di liberargli i polmoni. Doveva essere veloce e precisa, così, passando poi a premere sul petto con i palmi, si sentì meno in ansia quando vide che la procedura diede l’effetto sperato e il ragazzo rigettò tutta l’acqua che aveva ingerito nel fiume.
Gli sollevò il busto, tenendogli il capo inclinato verso di sé quando quello iniziò a tossire, mentre Thatch tentava di tenere fermo il corpo scosso dagli spasmi.
Ebbe paura solo per un attimo, ovvero quando si sentì afferrare saldamente il polso, ritrovandosi due occhi spaesati, ma fiammeggianti, incastrati nei suoi.
-C-chi se-ei?- si sentì domandare in francese.
Con calma e gentilezza si liberò dalla presa salda, accarezzando i riccioli biondi del giovane appiccicati alla fronte per tranquillizzarlo, riuscendoci un pochino.
-Sono Koala.- gli rispose, sperando di farsi capire, vedendolo sempre più confuso. Conosceva la lingua, ma non la parlava ancora in modo perfetto. -Non preoccuparti, penso io a te.-
Sabo annuì, non sicuro di aver capito bene quello che stava accadendo attorno a lui, ma il dolore che provava era allucinante e la stanchezza accumulata nei giorni precedenti gli si riversò addosso tutta in quel momento, perciò si lasciò andare, chiudendo gli occhi e cadendo in un sonno profondo.
-Abbiamo fatto una cazzata, ma almeno non l’abbiamo fatta per niente.- ironizzò il giovane uomo dai capelli castani scompigliati e i vestiti, in altre occasioni sempre in ordine, disastrati, ma venne interrotto dalle parole delle guardie, le quali stavano in piedi davanti ad un giovanotto traballante e dall’equilibrio incerto, ma con lo sguardo fiero, intoccabile e carico di sfida.
-Inginocchiati.- gli ordinarono, ma quello scosse il capo seccamente, sputando a terra.
-Merda, lo ammazzeranno di sicuro.- borbottò Thatch, guardandosi attorno alla ricerca di qualcosa che potesse aiutare quel disgraziato. Non gli piaceva disubbidire agli ordini, ma a quanto pareva la nuova arrivata non sembrava capire il concetto di ‘non immischiarsi negli affari altrui’, e a lui, personalmente, non piaceva veder morire la gente innocente. Quindi, a conti fatti, entrambi avevano trasgredito alle regole.
-Non mi piegherò mai a nessuno!- affermò nel frattempo il ragazzino, fissando una guardia che gli puntava contro una pistola.
Thatch imprecò e Koala trattenne il fiato quando il primo sparo sovrastò il resto dei rumori attorno a loro.
 
*
 
Ad Ace non era mai importato di vivere.
Era cresciuto in una bettola situata nella periferia di Parigi, nella Rive Droite, poco lontano da Montmartre, il quartiere più malfamato, dove svettava fiera l’icona della perdizione e del peccato.
Ad ogni modo, tutte quelle balle le raccontavano le madri amorevoli ai figli viziati, nella speranza di tenerli lontani dal pericolo e da una vita senza un futuro, ma Ace era sempre stato convinto che non tutto era bianco o nero. Certo, anche lui, all’inizio, aveva creduto che non valesse la pena vivere a lungo perché al mondo non c’era nulla di bello o di interessante. Non c’era da stupirsi di quel suo pessimismo, tutti gli orfani parigini di quell’epoca crescevano con la consapevolezza di dover morire abbastanza presto, non avendo famiglia, lavoro o qualcuno a cui fare riferimento. Se poi eri pure il figlio di un criminale, allora le prospettive non erano rose e fiori. Fortunatamente per lui, però, la vita era stata magnanima e, anche se aveva patito un’infanzia non felice, durante la sua adolescenza era stato così fortunato, anche se lui continuava a considerare quell’incontro una sfortuna, da conoscere delle persone che gli avevano cambiato l’esistenza in meglio.
Colui che occupava buona parte del suo cuore era Rufy, un ragazzino di tre anni più piccolo e con un temperamento degno di un combattente. Era stata la sua spina nel fianco per mesi, lo aveva seguito e pedinato ovunque, lo aveva stressato fino all’esasperazione con la sua voce, la sua presenza e quelle assurde frasi come ‘ehi, diventiamo amici!’ che Ace non voleva ascoltare. Alla fine, però, il piccoletto era riuscito nel suo intento, e il ragazzo più grande aveva dovuto arrendersi, accettando l’idea di aver acquisito un fratello a cui badare.
Poi era arrivato anche Sabo, il quale, con la sua calma e pazienza, aveva conquistato la simpatia di Ace, più restio a fare amicizia con chiunque, e i tre erano diventati inevitabilmente inseparabili.
Erano dei terremoti, conosciuti da tutti nella città bassa e nei quartieri più poveri. Gironzolavano indisturbati per le vie, guadagnandosi il pane facendo qualche lavoretto e vivendo sotto lo stesso tetto in un’adorabile catapecchia al limitare delle mura, dalla quale si godeva la meravigliosa vista della città e dell’agglomerato urbano assieme a tutti i suoi monumenti. Stavano bene, erano felici e al sicuro.
Crescendo e maturando, inevitabilmente, avevano abbracciato il pensiero della Rivoluzione con patriottismo ed erano entrati a far parte della compagnia dei Rivoluzionari quasi subito. Si poteva dire che l’idea fosse partita da loro, più precisamente da un gruppo di giovani randagi che contava un alto numero di persone, ma quell’informazione era difficile da stabilire, perciò la gente mormorava ipotesi e basta. Erano in tanti, tutti amici, tutti fratelli, tutti una grande famiglia e Ace non si era mai sentito così contento di essere venuto al mondo. Aveva riscoperto la gioia di vivere e aveva anche trovato un valido motivo per cui lottare.
Da quando aveva incontrato quei ragazzi, aveva appreso che vi erano un’infinita serie di sfumature differenti tra i vari colori, lo sapeva, glielo aveva spiegato Kanjuro, un artista di strada piuttosto in gamba, e lui si collocava in mezzo a tutte quelle differenze. Un giorno la sua vita era azzurra come un cielo estivo tranquillo, altre era verde, quindi fresca come una foresta, altre ancora era gialla, ovvero divertente come il sole. Capitavano anche giornate grigie e tristi, addirittura nere quando era arrabbiato, ma cambiavano sempre, senza che lui si annoiasse.
Per quel motivo, quando la guardia cittadina gli puntò contro la canna del fucile, sentì una punta di delusione accendersi nel petto. Se fosse capitato negli anni addietro non gli avrebbe fatto ne caldo ne freddo, ma quei tempi erano finiti. Aveva delle persone per cui vivere, doveva lavorare per portare a casa il pane e doveva dare tutto se stesso per garantire un futuro alla sua famiglia e a tutta Parigi. Se lui se ne andava, chi avrebbe badato a Rufy e agli altri orfanelli? E chi si sarebbe scontrato con i parigini che stavano dalla parte della Corona nelle piazze della città? E come poteva lasciare tutto nelle mani dei suoi compagni Rivoluzionari? Era così ingiusto!
-Inginocchiati.- gli ordinò la guardia, incitando a compiere quel gesto con un movimento secco del braccio che reggeva l’arma.
Ace lo guardò con scetticismo. Davvero credeva che avrebbe fatto come gli era stato detto? Sul serio gli avevano appena chiesto di abbassare la testa, di arrendersi alla Corona prima di morire?
Mai!, pensò.
Fece una smorfia schifata, accompagnando l’espressione con parole dure e cariche di libertà. –Non mi piegherò mai a nessuno!- sbottò furente.
E fanculo anche la Morte, aggiunse nella sua testa.
Non ebbe nemmeno il tempo di rendersene conto e di dire addio al mondo perché uno sparo riecheggiò nell’aria l’istante successivo e Ace si ritrovò a serrare gli occhi. Si stupì quando ne sentì un altro l’attimo successivo, volevano ridurlo a un colabrodo forse? Rimase ancora più sconcertato, però, quando si accorse di reggersi ancora in piedi e di stare impercettibilmente tremando come un fesso, mentre attorno a lui le due guardie erano stramazzate a terra.
Morte.
Aprì prima un occhio curioso e poi l’altro, rilassandosi e sbattendo le palpebre confuso, alzando infine il capo per guardarsi attorno alla ricerca del suo salvatore. Perché, andiamo, mica potevano essersi fatte fuori a vicenda. Forse Rufy si era liberato, o magari i loro compagni li avevano raggiunti dalla periferia, oppure Sabo non era morto, e magari…
Trattenne il fiato quando vide uscire una figura estranea dalla vegetazione alla sua sinistra.
Non si sentì affatto tranquillo dato che non sapeva di chi si trattasse; non l’aveva mai visto prima quell’uomo dall’aria inquietante. Indossava degli abiti semplici, ma non per questo potevano essere considerati poveri; un lungo cappotto pesante gli ricopriva buona parte del corpo, una sciarpa azzurra penzolava disordinata attorno al collo e sulle spalle e una pistola era stretta nella sua mano coperta da un paio guanti.
Lo sguardo fermo e l’espressione fredda e distaccata misero Ace sull’attenti e, se non fosse stato per l’assurdità di quei capelli, improbabili ciuffi biondi che sembravano avere vita propria tanto erano disordinati, avrebbe incassato la testa nelle spalle come un cane. E lui non era tipo che si spaventava facilmente.
L’uomo si avvicinò a lui così tanto da superare le distanze di sicurezza, arrivandogli ad un palmo dal viso e sovrastandolo con la sua stazza. Quando poi estrasse un pugnale, Ace ebbe la tentazione di scappare, ma era bloccato. Non poteva proprio muoversi, dato che il tizio gli afferrò malamente un braccio, girandolo di spalle. Temette di venire colpito alla schiena per poi essere gettato nella Senna, o peggio, invece non accadde e la lama passò tra le corde che lo imprigionavano, liberandolo e togliendogli un ulteriore peso dal petto.
Si ritrovò così libero e, senza rendersene conto, prese una profonda boccata d’aria, sentendosi subito meglio, dopodiché si massaggiò i polsi, sorpreso e allibito, trovando infine il coraggio, e la sfrontatezza avrebbe detto qualcun altro, di voltarsi e guardare in faccia quello strano individuo, venendo ricambiato con un’occhiata di sufficienza, come se lui fosse stato un peso. E ciò, per la precisione, gli diede parecchio fastidio. Non sopportava di dover alzare la testa per guardare le persone e nemmeno essere salvato lo faceva sentire bene. Insomma, era in grado di arrangiarsi, lo aveva sempre fatto. E se per quell’uomo era stato una scocciatura, beh, avrebbe potuto risparmiarsela.
Così gonfiò il petto e lo guardò con superiorità, anche se era parecchio più basso, ma quello era un dettaglio che poteva passare in secondo piano. –Avrei potuto cavarmela da solo.- dichiarò, notando un sopracciglio biondo e scettico sollevarsi sul viso dell’altro. Cos’era, non gli credeva forse?
-Non sei un po’ basso per fare l’impertinente?- ghignò il nuovo arrivato con un forte accento inglese, scoccando la battuta finale e lasciando Ace a fissarlo con occhi sgranati e a rodersi il fegato.
E questo chi si crede di essere?
 
*
 
Le fosse comuni erano grandi e maleodoranti buche scavate alla meno peggio nei campi, ormai diventati paludi, fuori dalle mura della città, poco lontano dalla Senna. Abbastanza vicine, ma non troppo, giusto quello che bastava per non dover faticare per seppellire qualcuno e per non beccare malattie infettive come la peste, la lebbra o altro.
Quella mattina le fosse non videro uno, ma la bellezza di due cadaveri freschi, ancora caldi, rotolare con un tonfo sordo all’interno di esse, già colme di altri uomini a cui era stata strappata la vita.
Allo spettacolo parteciparono, però, anche un gruppo di imbucati, gente straniera, mai vista prima e che sperava di poter continuare a mantenere l’anonimato, ovvero essere scambiata per un gruppo di teatranti, o addirittura per un circo, fino a che sostava nei dintorni della capitale.
-Abbiamo rischiato parecchio.- constatò un tizio dall’aria tranquilla, nonostante il significato pericoloso della frase, incrociando le braccia dietro la testa e stiracchiandosi, mentre un altro accanto a lui osservava apatico le fosse, giocherellando con una pistola nera tra le dita.
-Mai quanto loro.- rispose semplicemente, indicando con il capo le due figure che erano scampate per un soffio alla morte, lasciate alle cure del resto della loro combriccola.
-Quel Sabo è stato estremamente fortunato.- affermò Thatch, sentendosi in dovere di sorridere. –Non sei d’accordo, Marco?-
Il diretto interessato annuì, dando le spalle a quelle tombe all’aria aperta e dirigendosi verso quei due poveri sventurati per informarsi delle loro provenienza e, se fosse stato necessario, minacciarli per evitare che svelassero la loro presenza a chi non doveva sapere nulla.
-Se la caverà?- stava chiedendo il ragazzino moro che avevano salvato qualche attimo prima, inginocchiato accanto al corpo bagnato fradicio del suo amico quasi morto per annegamento.
-Lo spero tanto.- sussurrò la ragazza minuta vicino a lui, impegnata a fasciare la ferita al fianco della vittima svenuta per il troppo sangue perso. –I polmoni sono liberi, ma è molto debole. Vediamo come si comporta nelle prossime ore.- spiegò con professionalità, non curandosi del freddo pungente e dei suoi abiti inzuppati d’acqua che le si erano appiccicati alla pelle come anche i capelli castani. Era il prezzo da pagare per essersi tuffata nel fiume per evitare un altro omicidio di un innocente, riuscendo a recidere la corda legata al masso e a riportare in superficie il Rivoluzionario appena in tempo.
-Ti prego, tu lo devi salvare.- disse ad un tratto Ace, dopo essersi mordicchiato le labbra con incertezza, afferrandole saldamente un polso e supplicandola con gli occhi. Dopotutto non sapeva nulla su quella femmina, ma era anche vero che aveva rischiato grosso per aiutare Sabo, quindi il minimo che poteva fare era fidarsi di lei.
A Koala quasi si spezzò il cuore.
-Farò tutto quello che posso, te lo prometto.- affermò.
-Grazie.- mormorò a quel punto Ace un po’ sollevato, permettendosi solo allora di riprendere a respirare, guardandosi attorno spaesato.
Era ancora scosso per gli avvenimenti di quella mattina e per aver visto letteralmente la Morte in faccia, così gli ci volle qualche attimo per mettere a fuoco la zona e riconoscere il luogo. Si trovava al limitare delle paludi venutesi a creare con le piogge torrenziali del periodo invernale e con l’ormai nulla pulizia della città da parte degli addetti. Erano numerosi e maleodoranti stagni, circondati da una non indifferente boscaglia fatta di erbacce, cespugli e alberelli scheletrici ed inquietanti. Nessuno si azzardava ad avvicinarsi, becchini a parte, ovviamente.
La Senna attraversava quel degrado, ed era proprio sulla riva di essa che si trovava Ace, stremato, psicologicamente turbato e incredulo. L’ansia accumulata gli avevano lasciato addosso un senso di stanchezza pesante, mentre la preoccupazione per la sorte incerta di Sabo lo stava logorando.
Guardò il viso contorto dal dolore dell’amico e provò un senso di profonda angoscia. Non poteva rimanere fuori al freddo in quelle condizioni, altrimenti oltre alla ferita d’arma da fuoco si sarebbe persino beccato il colera, o peggio, visto e considerato che si trovavano vicino alle fosse comuni.
Stava pensando a cosa fare per trasportarlo senza rischi a casa, quando due uomini gli si avvicinarono chiacchierando.
-Te l’ho detto, mi sono voltato e non l’ho più vista, così sono andato a cercarla e l’ho trovata qui dietro. Poi mi sono accorto delle guardie e mi sono nascosto pure io, ma lei dopo si è tuffata nel fiume perché le era venuta voglia di andare a pesca ed è riemersa con quello! Cosa dovevo fare? Era mezzo morto, accidenti!-
Un ragazzo che doveva essere sulla trentina finì la sua contorta spiegazione con un gesticolare continuo di mani e guardò il suo compagno che gli stava accanto con un’espressione carica di aspettativa, volendo praticamente sentirsi dire che aveva agito bene.
L’altro, però, non sembrava essere dello stesso parere e glielo comunicò senza tanti giri inutili di parole. –Dovevi prendere Koala e trascinarla via prima che combinasse sciocchezze. Sei più grande, avresti dovuto farti rispettare.-
-Che cosa?- sbottò il castano. Poi si rivolse alla ragazza alla ricerca di un qualche sostenimento. -Ehi, ma l’hai sentito?-
-Marco,- disse allora lei con fare sconsolato e senza staccare gli occhi dal ferito, -Per favore, non adesso.-
Per Thatch fu chiaro fin da subito che non avrebbero risolto nulla se avessero deciso di caricarsi in spalla Koala e riportarla all’accampamento, quindi andò a piazzarsi vicino a lei in modo da rendere chiaro anche al fratello da che parte aveva deciso di stare. Il biondo, infatti, non tardò a rivolgergli un’occhiataccia, ma sapevano entrambi che alla bontà della giovane non resisteva nessuno.
Ace guardò come il ragazzo che rispondeva al nome di Marco sospirasse stancamente, passandosi una mano tra i capelli mentre ragionava sul da farsi. –E va bene.- dichiarò sconfitto, -Ma lo spiegate voi al babbo.-
Quando poi vide i tre sconosciuti armeggiare per sollevare il ferito, si fece prendere dal panico e un forte senso di protezione si impossessò di lui.
–Cosa credete di fare?- sibilò, scattando in avanti e coprendo con il busto il corpo inerme di Sabo, impedendo così agli altri di spostarlo. Non avrebbe permesso a nessuno di loro di portarglielo via. Chi erano poi quelle persone? Da dove erano spuntate fuori? Erano chiaramente degli stranieri dato l’accento e la poca conoscenza, quasi nulla per quanto riguardava il castano, del francese, per cui, per quanto ne sapeva, potevano essere contrabbandieri, zingari, rapitori o spie in incognito. Forse volevano catturare entrambi per venderli o consegnarli alla polizia locale. No, non poteva rischiare di mettersi ulteriormente nei pasticci. Sabo era in fin di vita, lui era piuttosto acciaccato e dalle paludi alla Rive Gauche, ovvero dall’altra parte della città, c’era parecchia distanza. Doveva conservare le forze e liberarsi di quegli impiastri.
La ragazza cercò di calmarlo, parlando con un tono dolce, ma allo stesso tempo deciso. –Il tuo amico ha perso molto sangue e se non curiamo la ferita la sua condizione peggiorerà sicuramente. Vogliamo solo portarlo al caldo e all’asciutto per aiutarlo.-
Ace la fissò per qualche istante, decidendo se crederle o meno.
-Lo porterò a casa sua e lo curerò allora.- dichiarò secco, vedendola scuotere il capo sconsolata.
-Non resisterà così a lungo.- gli fece notare a quel punto Thatch, il quale lo osservava dall’alto con le braccia incrociate al petto e un’espressione enigmatica sul volto, chiaro segno della sua indecisione. Stava infatti pensando al modo migliore per liberarsi del moro e aiutare Koala a trasportare il poveraccio all’accampamento a un paio di kilometri da lì.
-Ho detto che lo porterò io al sicuro dove è giusto che stia!-
Ace non ammetteva repliche e, da come mostrava i canini, quasi come un animale selvatico, Marco ebbe la conferma che non avrebbero risolto niente continuando a parlare con le buone. Prese la sua decisione, ovviamente senza consultare Thatch, il quale glielo fece notare durante il cammino verso casa, così, sospirando quasi con fare annoiato, estrasse la pistola che teneva nascosta dietro la schiena e, senza alcun preavviso, colpì violentemente alla testa Ace che cadde a terra svenuto ed innocuo.
-Adesso non morde più.- fece con nonchalance, rimettendo a posto l’arma sotto gli sguardi attoniti dei due compagni, i quali lo fissarono a bocca aperta, senza parole.
Fu Thatch a riprendersi per primo. –Ma sei impazzito? Non serviva arrivare a tanto!-
Marco gli rivolse un’occhiata in tralice. –Datti una mossa e aiuta Koala, a lui ci penso io. Faremo i conti a casa.-
Detto ciò, o meglio, dopo quella minaccia velata che prometteva future torture e strigliate di capo sia per Thatch che per Koala, il più grande si caricò senza sforzo Ace in spalla e si inoltrò nella palude, diretto verso la base.
L’unico suo pensiero era rivolto a cercare il modo migliore per spiegare al resto della famiglia che la loro copertura rischiava di saltare.
 
*
 
-Brucia, bellezza. Brucia!-
La sommossa non era iniziata nemmeno da mezz’ora e già le strade basse pullulavano di civili incazzati che scorrazzavano senza ordine e allo sbaraglio, scontrandosi contro qualsiasi ufficiale che si parava di fronte al loro cammino con l’intento di sopprimere la momentaneamente piccola rivolta che era scoppiata.
Un gruppo di uomini ci era andato giù pesante, al cantiere. Certo, anche lui non era stato da meno e quando quel soldato gli si era avvicinato con l’intento di perquisirlo, puntandogli il fucile contro, non ci aveva più visto e si era lasciato prendere un po’ la mano, dandogli una bella lezione. I suoi compagni di lavoro non erano stati da meno e si erano subito lanciati addosso al resto della truppa che era passata dalle parti del cantiere per le solite ronde. Da lì era cominciato l’ennesimo scontro tra popolo e classi elevate.
Proprio quello di cui lui aveva bisogno per divertirsi.
Con la torcia che reggeva in mano diede fuoco ad un pagliericcio situato in un punto strategico, causalmente vicino ad uno dei patiboli costruiti in ogni piazza e utilizzati per le esecuzioni pubbliche. Meglio distruggere quella merda e ridurne il numero il prima possibile ed evitare di vedere conoscenti penzolare con il cappio al collo.
L’incendio divampò quasi subito e in breve, dopo che una scia di polvere da sparo e combustibile venne magicamente sparsa a terra fino alla forca, ci fu il botto. Un’esplosione di legno, cenere e brandelli di qualche ufficiale che si era trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato investì i presenti in strada, richiamando ulteriori rinforzi da entrambe le parti.
-Bel lavoro Kidd!- si complimentò un giovane francese del sud con l’artefice di quello scompiglio, affiancandolo e piazzandogli in mano una rivoltella carica, sorridendogli complice e incoraggiante.
Il diretto interessato ghignò trionfante, gongolando per quelle attenzioni. Era conscio di essere un fenomeno, ma quando la gente glielo faceva notare si sentiva sempre un passo sopra agli altri. E la sensazione di potere gli piaceva immensamente, anche se ciò lo rendeva un autentico bastardo.
Le urla rabbiose della folla coprivano a malapena il rumore degli spari e delle lame incrociate che i più spavaldi avevano il coraggio di utilizzare, scontrandosi direttamente con alcune guardie della cittadina, mentre altri si limitavano a fare atti vandalici, casino e bloccare le strade per dimostrare il malcontento che aveva messo radici in ogni casa nei quartieri di Parigi.
In mezzo alla bolgia, solo pochi erano entusiasti di tutto quel delirio, ovvero un gruppetto di uomini e giovanotti troppo boriosi e poco intelligenti, gente abituata ad usare le mani prima del cervello. Erano considerati i carpentieri più in gamba del vicinato; almeno, fino a qualche anno prima il pensiero comune era quello. Con l’arrivo della crisi e lo schieramento nelle varie fazioni, quei lavoratori si erano trovati a scegliere un partito per cui patteggiare e, alla fine, com’era stato ovvio, avevano scelto il popolo, la loro famiglia. In quel modo, considerando gli elementi che componevano quella sgangherata compagnia, era stato inevitabile che le forze dell’ordine mettessero fine ai loro affari, obbligando il proprietario a vendere tutto e a campare diversamente.
Fortuna volle che Franky fosse un uomo dalle mille risorse.
Era riuscito a cavarsela aprendo un piccolo baretto e con quello tirava avanti, a stento, ma ce la faceva. Aveva ricavato dal cantiere un grande locale che usava per due scopi principali: il primo era vendere illegalmente alcolici a chiunque glieli chiedesse; il secondo era affittare l’intero edificio ai Rivoluzionari per le riunioni importanti.
Quel giorno si era ripromesso che avrebbe tenuto chiuso e si sarebbe preso una pausa, ma le guardie erano capitate a mettergli i bastoni tra le ruote e lo avevano fatto incazzare, perciò non aveva aspettato l’invito e gli ordini di nessuno e aveva dato inizio ad una rissa, creando una baraonda incontrollata. Pazienza se poi i capi si sarebbero incazzati per la sua intraprendenza, stare con le mani in mano a subire ingiustizie non gli era mai piaciuto.
Fu per difendere il suo onore che Kidd aveva sferrato il primo colpo all’ufficiale troppo curioso ed invadente, il quale si era pure permesso di offendere il miglior carpentiere della città. I suoi intenti erano stati nobili, ma i modi avevano lasciato del tutto a desiderare. Di certo, non ci si poteva aspettare altro da un ragazzo cresciuto per le strade e abituato a sopravvivere e a fare di tutto, anche l’assassino su commissione.
Proprio allora, schivando abilmente un affondo ben assestato da parte di un soldato, raggiunse il centro della piazza, seguito a ruota dalla sua ombra: un tizio dai lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle e un pessimo gusto in fatto di abbigliamento, ma Kidd non era nessuno per poter criticare i gusti degli altri perché lui per primo era un elemento alquanto particolare e unico.
Era un ragazzo che si notava ovunque andasse. Forse per i capelli rosso sangue, forse per lo sguardo sempre corrucciato e diffidente, forse per la costante aria intimidatoria o per la sensazione di disagio che incuteva nelle persone, ad ogni modo, attirava l’attenzione, sempre.
Kidd si appiattì contro il muretto di una delle tre fontane presenti, prendendo fiato e caricando l’arma con altre pallottole. Le aveva finite tutte e tutte avevano centrato il bersaglio. Stava migliorando, non c’era dubbio.
-Quanti sono?- chiese al suo migliore amico, il quale stava calcolando velocemente gli ufficiali più vicini alla loro portata, concentrato sulla piazza e sulle figure che la riempivano.
-Quattro alla mia sinistra. Sei dalla tua parte. Due sono vicini, direi circa cinque metri.- disse preciso per poi voltarsi verso il compagno e sogghignare in un modo enigmatico che solo Kidd avrebbe compreso. -E ti danno le spalle.-
Bastarono quelle parole per far scattare il rosso allo scoperto. Uscì dal suo nascondiglio, mentre il biondo pensava agli altri quattro, e corse veloce e invisibile verso i suoi bersagli, sfilando due pugnali dalla cintola dei pantaloni e piantandoli con decisione e forza nelle schiene delle guardie che, ignare del suo arrivo, avevano prestato attenzione ad altro.
Il colpo fu di tale brutalità che i due uomini finirono sbalzati a terra con la faccia sconvolta, ma priva di vita.
Era in quel modo che colpiva Kidd, era quello che aveva imparato a fare vivendo per evitare di morire. Il più forte sopravviveva e lui, negli anni, era diventato molto forte. Era un bravo combattente, era veloce, era silenzioso e letale. Era un assassino, ma almeno tornava a casa la sera con addosso la sua pellaccia.
-Ehi, Kidd!- lo salutò qualcuno, sbucando dalla ressa.
-Chi si rivede! Anche tu a sgranchirti le gambe, Zoro?-
Un giovane dall’aria divertita, gli abiti a brandelli e un paio di spade affilate strette nelle mani gli si avvicinò, controllando che non fossero in arrivo altri inetti leccapiedi della Corona, salutandolo con un cenno del capo.
-E’ opera tua il botto di poco fa?- gli chiese col fiatone, segno che si era dato un bel da fare fino a qualche istante prima. La prova di tale affermazione erano alcuni cadaveri in divisa sdraiati nella polvere a qualche metro da loro.
Kidd gonfiò il petto come un pavone, pronto a vantarsi. –Esattamente! Visto che roba?-
Zoro scosse il capo, ridacchiando tra sé e indispettendo l’altro povero illuso. –Me lo immaginavo.- ammise, quasi dispiaciuto, sfoggiando poi un sorrisetto malefico.
-Che vuoi dire?- sibilò allora Kidd, stringendo i pugni. Non gli piaceva venire criticato, proprio per niente. Tutto quello che faceva era perfetto, non sbagliava mai un colpo, mai.
-Semplice,- spiegò Zoro, impugnando con più decisione le spade e guardando davanti a loro dove, in fondo alla strada, proprio al limitare della piazza, si intravvedevano altri ufficiali diretti verso la mischia di scalmanati che si stavano scannando lì attorno. –Se fosse stato Ace non sarebbe risultato tutto così banale.-
Detto ciò partì all’attacco, lasciando il rosso interdetto a riflettere su quelle parole. Alla fine si riscosse e, digrignando i denti, trattenendo a stento un ringhio, afferrò la rivoltella e prese a sfogare la sua frustrazione giocando a tiro al bersaglio con ogni soldato che adocchiava. Doveva tenersi impegnato e concentrato sul nemico se voleva evitare di uccidere un compagno d’armi.
Quello stronzo, pensò, sperando che qualcuno desse una lezione a Zoro, ‘fanculo lui e la sua combriccola di deficienti! Sono mille volte meglio di Ace!
Improvvisamente, si rese conto di un particolare che avrebbe dovuto notare già da molto, ovvero la mancanza della presenza di qualcuno.
A proposito, che fine ha fatto quel moccioso?
 
*
 
Era calata la sera già da un pezzo sulla bella Parigi. Dopo un pomeriggio passato a creare rivolte per le piazze, tutte soppresse con successo dagli ufficiali dell’esercito, gli abitanti, quelli scampati alla morte, erano tutti rientrati in casa e si preparavano per la notte, mentre per le vie nessun rumore disturbava la quiete pubblica.
In un vicolo poco illuminato, ma non per questo meno abitato, del tanto frequentato e rivoluzionario Quartier Latin, le luci tremolanti delle lampade a olio poste fuori dalla porta delle modeste casette a schiera erano l’unico segno della presenza di vita da quelle parti.
In una di queste, in particolare, l’ultima della via, costruita esattamente a ridosso delle mura di cinta, e per quel motivo utilizzata dai rivoltosi come punto di ritrovo per la possibilità di entrare e uscire dalla città senza essere visti, si trovavano un buon numero di feriti, uomini reduci dalla rivolta del pomeriggio. Chi con una gamba rotta, chi con delle ferite d’arma da fuoco o da taglio, gente che addirittura si trovava in fin di vita, tutti attendevano con calma il loro turno in un’ampia stanza, affidati alle cure di gente ormai abituata a vederne di tutti i colori. Quelli messi peggio avevano la priorità sugli altri, ma nessuno si lamentava. Non ne avevano il coraggio dato il dottore che si ritrovavano ad avere.
Il diretto interessato uscì dalla stanza in cui operava con un’espressione soddisfatta stampata sul viso magro e giovane con uno straccio tra le mani, intento ad asciugarle e pulirle dal sangue rappreso. C’era un che di inquietante nella strana luce dei suoi occhi chiari, nelle macchioline scarlatte che lampeggiavano come insegne sul colletto bianco della camicia, nelle occhiaie scure e nella voce decisa, ma i presenti ci avevano fatto l’abitudine e avevano smesso di fare domande o sussurrare tra loro.
Il giorno in cui il dottore aveva fatto la sua prima apparizione, quando il malcontento generale dei cittadini si era acceso come una piccola candela, divampando sempre più e causando le prime vittime, tutti gli abitanti dei bassifondi avevano dato voce al loro parere, decretando che non avevano di certo bisogno di un borghese doppia faccia tra loro. A primo avviso, il ragazzo non aveva nessun problema, se non fosse stato per la sua appartenenza alla classe sociale benestante, ovvero quella che, per logica e interessi, era più vicina alla Corona francese.
Ogni volta che lo vedevano aggirarsi da quelle parti lo evitavano come la peste o lo insultavano, fremendo quando lui non rispondeva o li ignorava bellamente senza curarsi di loro, o della loro stupidità che dir si voglia, ma avevano tutti dovuto ricredersi quando il signorino si era preso la sua rivincita, salvando le vite degli uomini più in vista del ceto popolare. Prima una malattia incurabile, poi un polmone perforato ed infine un’intossicazione per avvelenamento. Era riuscito a curarli tutti e da quel giorno nessuno aveva più osato fiatare o aprire bocca sul suo conto. Non che prima lo facessero apertamente, non un’anima era stata tanto stolta da provocare volutamente e apertamente colui che era stato nominato Il Chirurgo della Morte.
C’era chi diceva, quando lui non era nei paraggi, che fosse il figlio del Diavolo; altri sostenevano di averlo visto praticare magia nera e altri ancora lo paragonavano ad una piaga, ma erano tutte dicerie, storie dell’orrore che si raccontavano tra ragazzini per spaventarsi a vicenda. Nessuno ci credeva più ormai, ma il soprannome era rimasto e, a detta di molti, calzava a pennello con la personalità del dottore.
-Il prossimo.- disse semplicemente il giovane medico, mentre alle sue spalle usciva un adulto, sostenuto da un compagno, con un braccio fasciato e una benda sull’occhio.
Un ragazzo con un buffo berretto a visiera e dei ciuffetti ramati e ribelli che gli spuntavano da sotto la stoffa gli si avvicinò affannato, gesticolando e parlando velocemente, cambiando continuamente discorso e senso logico delle frasi.
Il chirurgo non perse nemmeno tempo a starlo a sentire e lo superò, sapendo che quello gli sarebbe stato alle calcagna continuando a blaterare, e raggiunse un altro ragazzo, più grande e meno stupido, anche lui vestito con cappello e camice professionale, il quale stava annotando alcuni dati su un registro che stringeva tra le mani. Davanti a lui, sdraiato su una barella improvvisata, giaceva un energumeno dall’aria malconcia, sanguinante e privo di sensi.
Quello, per il dottore, era oro puro.
-Penguin, diagnosi.- chiese sbrigativo, ottenendo una risposta altrettanto veloce e precisa mentre si avvicinava all’individuo mezzo morto e iniziava a studiarlo, fissandolo con interesse che gli illuminava lo sguardo.
-Maschio, circa ventitré anni, francese. Ferita d’arma da taglio al braccio sinistro con parziale lacerazione dei tendini e sfregi sulla parte sinistra del viso. L’occhio non è stato danneggiato, ma sembra aver subito molti attacchi violenti in tutto il corpo. Oh, e un’altra cosa,- aggiunse infine, sorridendo complice al suo superiore e ricordandosi di un particolare non indifferente che aveva promesso di riferire, -Ha detto che avrebbe preso a calci in culo il dottore se gli fosse stato amputato il braccio.- concluse.
I pazienti presenti che si erano interessati alla scena rabbrividirono e tornarono a pensare agli affari propri quando videro il ghigno sadico del chirurgo prendere posto sulle sue labbra.
-Ottimo. Portatelo dentro.- ordinò, indicando la sala alle sue spalle. Poi si voltò alla ricerca di qualcuno non troppo idiota e abbastanza sveglio da essere in grado di portare un messaggio. La scelta ricadde su un moccioso appollaiato per terra sul tappeto accanto ad un anziano signore, forse il nonno.
-Tu, piccoletto,- lo chiamò, avvicinandosi e accucciandosi per essere alla sua altezza. I brividi sulle sue braccia finse di non vederli. –Corri dal Dottor Chopper e digli di venire qui a sostituirmi. Io avrò da fare per un po’.-
Detto ciò si alzò e raggiunse i suoi colleghi, pronto per ricominciare da capo con bisturi, ago e filo.
-Vediamo chi prenderai a calci nel culo quando avrò finito.- sogghignò, prima di iniziare ad operare quel tizio dall’aria così, ecco, qual’era la parola adatta?
Particolare, pensò il dottore, armeggiando con abilità e sicurezza con gli strumenti mentre cercava di rimettere in sesto l’arto del ferito nel tentativo di non dover essere costretto a buttare via un pezzo del suo corpo. Va bene, forse non lo avrebbe gettato per strada e lo avrebbe segretamente custodito per fare delle ricerche o per studiare più accuratamente i legamenti e i fasci muscolari, ma quelli erano dettagli che non era tenuto a spiegare al resto del mondo. Ad ogni modo, aveva preso la frase del moribondo come una sorta di sfida, una questione personale in poche parole. Non avrebbe di certo dato a quello spericolato con i capelli assurdamente rossi la soddisfazione di poter criticare il suo perfetto operato. Mica era un novellino arrivato ieri, lui.
In ogni caso, ne era incuriosito, soprattutto per l’aspetto fisico. Era troppo altro e sviluppato per poter essere un parigino; di quei tempi se si aveva il pane in tavola si era fortunati, figuriamoci se tutti erano ben nutriti e grossi quanto degli armadi con il cibo che scarseggiava in ogni abitazione. Deve per forza venire da fuori della regione, ragionò per conto suo. Insomma, con quei capelli era difficile non essersi accorti prima della presenza di un rosso per le vie di Parigi. Decise di chiedere informazioni, ovviamente per puri scopi medici.
-Ehi Penguin, raccontami la storia di questo disperato.- fece con tono casuale, apparendo annoiato come sempre e non destando alcun sospetto.
Sentendosi chiamare, il diretto interessato drizzò le orecchie e si schiarì la voce, contento di poter spettegolare un poco. Lui, con la scusa di dover raccogliere dati sui pazienti, sapeva tutto di tutti. E poi, quello che stava sotto ai ferri in quel momento se lo ricordava particolarmente bene visto che per poco non gli aveva staccato la testa dal collo per un moto di rabbia cieca.
-Viene dal Sud, dalla Côte d’Azur.- iniziò di buona lena, -E’ arrivato in città da circa un mese per offrirsi come volontario nella causa dei Rivoluzionari. Praticamente è venuto qui per combattere. Di sua spontanea volontà.- calcò bene le ultime parole per evidenziare quanto quell’dea fosse stata assurda e insensata.
Infatti il dottore scosse il capo. –Per quale motivo ha lasciato il caldo, pacifico e accogliente Sud per venire all’Inferno?-
-Bella domanda. Potremo chiederglielo quando si sveglierà.- propose Shachi, il ragazzino dai capelli ramati che non sapeva mettere assieme due frasi senza fare confusione. Forse era un pochino dislessico, ciò lo avevano capito tutti, ma portavano pazienza perché era un nuovo arrivato e anche perché aveva superato l’esame, ovvero era riuscito a non vomitare o svenire durante le operazioni del Chirurgo della Morte, conquistandone la stima, oltre che a un posto di lavoro come assistente infermiere. Praticamente era stato nominato l’ombra di Penguin, poco entusiasta di avere il fratello minore alle calcagna anche a lavoro.
-Non sono certo che sarà cordiale, ma sei libero di provare.- affermò il capo, chiudendo la discussione e riprendendo a concentrarsi sulla sua opera di sutura. Qualche punto e il braccio sarebbe tornato quasi del tutto come nuovo. Certo, avrebbe continuato ad usarlo come sempre e non si sarebbe ritrovato con un moncherino, cosa che sarebbe di certo accaduta se a operarlo fosse stato un altro medico e non il migliore. Chissà se quel pezzente aveva almeno qualche soldo per pagarlo.
-Qui abbiamo finito.- dichiarò una volta che la ferita fu ricucita e disinfettata. –Penguin, come siamo messi con la faccia?-
-Abbiamo pulito i tagli e applicato alcune bende. Non rimarranno segni profondi e tornerà come nuovo.- affermò con orgoglio, ma poi una smorfia un po’ amara gli increspò le labbra sottili. –Anche se devo dire che ha un naso davvero brutto.-
Il medico sogghignò beffardo. –Conseguenze di una frattura non sistemata in precedenza.- spiegò ironico, lavandosi accuratamente le mani e iniziando a riporre gli strumenti, aiutato dai due compagni che, nel frattempo, continuavano a parlottare tra loro come due vecchie signore pettegole.
-Se avete finito di sfottermi, io vorrei alzarmi.- grugnì ad un certo punto una voce roca e per niente divertita alle loro spalle, facendoli sobbalzare. Almeno, Shachi e Penguin si sentirono cogliere in fallo, mentre il pioniere della medicina si concesse un sorriso deliziato per la piega che stava prendendo la situazione. Era incredibile come la professione del medico gli desse così tante occasioni per dare aria alla sua lingua biforcuta e velenosa.
Si girò verso il paziente, asciugandosi distrattamente le mani e avanzando di qualche passo per avvicinarsi alla brandina dove lo avevano operato.
-Già sveglio dopo un’operazione? Sorprendente.- disse con sorpresa, o almeno, questo voleva far credere al rosso che lo stava fissando in modo decisamente truce, il quale si stava domandando se quella sottospecie di mucchio d’ossa con le occhiaie si stava prendendo gioco di lui o meno. –E come dobbiamo chiamare questo uomo così forte e coraggioso?- continuò con un ghigno il dottore.
Si, mi sta proprio prendendo per il culo, pensò la vittima prima di rispondere rudemente. –Eustass Kidd. Lei chi è?-
-Quello che non le ha amputato il braccio.-
-E posso sapere come si chiama il coglione che ho di fronte?- sputò Kidd, sollevando il capo sprezzante e ponendo lui stesso una domanda, dando così prova della sua poca grazia, cosa che i tre medici avevano già dedotto in precedenza.
Il ragazzo davanti a lui fece una risata bassa, ma abbastanza sinistra da far accapponare la pelle, soprattutto per l’espressione contorta che assunse successivamente, quasi simile ad un sorriso demoniaco che ad altro, almeno, quello fu il pensiero del rosso. Non che lui avesse avuto paura, semplicemente sentiva che quell’individuo non era uno di cui potersi fidare. Non gli piaceva, ecco.
-Mi chiamano Il Chirurgo della Morte,- spiegò quello, beccandosi un’occhiata curiosa da parte di Kidd che sembrava non credere ad una parola di quello che gli era appena stato detto.
Questo è un pazzo esaltato, si disse, pronto a prendere la sua roba e andarsene, ma poi il pazzo gli fu accanto in un attimo e si ritrovò a chiedersi se con quella faccia macabra non avesse sul serio meritato quel nomignolo. Ripensandoci, gli calzava a pennello.
-Sono Trafalgar Law.- si presentò ghignando, -Lo tenga a mente, Monsieur Eustass-ya.-
-E’ Eustass.- si premurò di chiarire Kidd, dopo qualche attimo di esitazione davanti a quel viso da schiaffi che aveva infranto le distanze di sicurezza che avrebbero dovuto esistere tra una persona normale e una malata di mente. Perché, andiamo, quello doveva essere proprio suonato per apparire tanto inquietante. I capelli neri spettinati; la barbetta lunga di qualche giorno; i vestiti sgualciti e macchiati di sangue e, che schifo, di chissà cos’altro; due occhi di ghiaccio e un sorriso da psicopatico. Davvero macabro da vedere, ancora peggio se lo si aveva a pochi centimetri di lontananza.
-Può andare. Stia a riposo per qualche giorno, ma domani torni qui per una visita di controllo.- lo avvisò il moro con uno sguardo di sufficienza, girandogli le spalle e non degnandolo più di altre attenzioni. Con lui aveva finito, era arrivato il turno di altri pazienti.
Kidd colse al volo l’occasione per defilarsi da quel luogo. Le gambe funzionavano ancora bene e probabilmente il suo amico Killer lo stava aspettando fuori per sapere delle sue condizioni. Se era fortunato avrebbe potuto tornare a casa con lui e dimenticare quella lunga ed estenuante giornata. Prima la rivolta in piazza, poi l’operazione e per concludere quel dottore saccente. Decisamente doveva buttarsi a letto e dormire.
Si alzò con un po’ di fatica ma, una volta testata la resistenza delle gambe, raccolse le sue cose, ovvero una camicia logora e una giacca autunnale, e si avviò verso l’uscita con i braccio fasciato legato al busto da una benda.
-Ehi.- si sentì chiamare prima di varcare la soglia, al che si voltò di lato giusto per vedere quel Trafalgar Law appoggiato al bordo del tavolo che lo fissava a braccia incrociate con un sorrisetto sfacciato.
Sul viso di Kidd apparve automaticamente una smorfia mentre si sforzava di essere educato. –Che vuole?-
-Faccia attenzione a non perdere il braccio per strada.-
-Vas te faire foutre.-
E sbatté la porta.
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice.
Buonasera a tutti e Buone Feste!
Grazie al Cielo è arrivato Natale e con esso anche la mia connessione a internet si è miracolosamente ristabilita dopo avermi abbandonata per più di un mese. Non bastava il pessimo periodaccio di novembre-metà dicembre, pure lei si doveva mettere a rovinarmi la vita.
Anyway, colgo l’occasione per fare a tutti gli Auguri di Buone Feste, Buon Natale e Buon Anno e mi scuso anche per essere scomparsa, cause personali, ma eccomi di nuovo, come sempre, con qualcosa che era rimasto in cantiere, ma che sta procedendo, al momento, a gonfie vele.
Da notare che sembro avere un feeling particolare con il sabato, ma se devo essere sincera sono solo in ritardo con la pubblicazione dato che era tutto pronto per la Vigilia, LOL.
Yep, è una nuova long, è un’impresa complicata, ma mi ci sono affezionata, forse per il bisogno di evadere, forse per la disperazione di sognare sempre di più, insomma, volevo condividerla nella speranza di portarvi tanti sorrisi e diabete.
Non spenderò molte parole, la trama parla da sé e si svolge tutto durante la Rivoluzione Francese, uno dei miei argomenti preferiti in storia, perciò spero di renderla bene come lo è nella mia testa.
Temo di incappare in qualche imprecisione, perciò se ne trovate fatemi sapere. Non prometto di essere costante nelle risposte, ma spero al limite di riuscire a inserirle tutte nelle note alla fine dei prossimi capitoli.
Oh, e per le frasi in francese non so bene come organizzarmi. Insomma, se volete inserisco le traduzioni alla fine, oppure vi lascio interpretare, ditemi voi, sono a disposizione.
E, dato che prendo spunto da molte immagini che mi capitano sotto al naso, quelle ci saranno come sempre:
https://scontent-b-mxp.xx.fbcdn.net/hphotos-xfp1/v/t1.0-9/10393550_1579696172249219_6201799347061129791_n.jpg?oh=399bfb94ae74b6c4718ca0c07344e066&oe=55020FF0 Sabo lasciato affogare nella Senna;
 
https://scontent-a-mxp.xx.fbcdn.net/hphotos-xfa1/v/t1.0-9/10806412_1579696182249218_4562459023543876321_n.jpg?oh=82f6886aed4ff376432ab200a2614143&oe=5537A35D Questa mi piaceva perché riassumeva un po’ di personaggi in generale e volevo metterla come copertina, ma so che ne troverò altre, quindi diciamo che è la prima prova, ecco;
 
https://fbcdn-sphotos-a-a.akamaihd.net/hphotos-ak-xap1/v/t1.0-9/10625082_1579696268915876_7646465115711332191_n.jpg?oh=fa2d56b471a9e6ada13a182164d7bfec&oe=5540D7A0&__gda__=1425916057_3e8a0b62cc4420851898d4ff0cf12a4d Come dicevo, questa è la seconda prova.
 
Dunque, è una storia, è assurda, e la dedico a tutti quelli che, come me, passano la maggior parte del tempo a formulare pensieri, scenari, ipotesi e film mentali con la speranza, un giorno, di fare qualcosa di grande e di epico.
La dedico ai sognatori; a quelli che sorridono anche se stanno male; a quelli persi e a quelli che non hanno problemi; a coloro che non sanno dove sbattere la testa e alle persone che hanno appena trovato una nuova speranza; a quelli che sono tristi e che piangono e a quelli che sorridono in ogni occasione; alla gente che ride, che urla quando parla, o che parla poco per timidezza; a quelli impacciati e a quelli estroversi; a quelli che non hanno paura di niente e a coloro che temono il giudizio degli altri; ai coraggiosi e agli impulsivi; agli innamorati e agli eterni single; a quelli che pensano solo ad una botta e via e a quelli che sognano l’amore; a chi ha fatto tutto per la prima volta e a chi deve ancora scoprire cosa vuol dire essere grandi; alle persone sole e a quelle che amano la compagnia; a chi preferisce un libro a un film e viceversa; a chi adora l’horror e a chi preferisce il romanticismo; a chi ha gli occhi di un colore impossibile; a chi non si piace e che in realtà è speciale; a chi deve solo alzarsi e prendersi ciò che gli spetta; a chi deve lottare per sopravvivere; a chi soffre e a chi si salva; a chi piace il cioccolato e a quelli che preferiscono il salato; a chi crede nella fortuna e a chi fa fatica ad andare avanti; a quelli che sono usciti da un periodo difficile e a coloro che sanno sempre come cavarsela; a quelli che hanno bisogno di sentirsi sostenere e a chi fa tutto da solo; a chi è pazzo e a chi è normale; a chi tiene agli amici; a chi tradisce; a chi desidera una seconda occasione; a chi gioca col fuoco; a chi vuole raggiungere la cima; a quelli che sono disposti a tutto e a quelli che prendono scorciatoie; a chi subisce ingiustizie; a chi si comporta bene; a quelli che non si accontentano; alle persone che non smettono di cercare quello che vogliono; a chi non si arrende; a chi prega e a chi non crede in nulla; a chi ha gettato la spugna; a chi si sente morire dentro; a  coloro che non hanno idea di cosa fare; a quelli che hanno paura dell’ignoto e a chi non teme nemmeno la morte; a chi osa; a chi vive fino in fondo; a chi se ne frega di tutto; a chi ama i genitori; a chi litiga col mondo; a quelli che vengono fraintesi; alla gente che si sente sola e abbandonata; a chi è voluto bene da tutti; a quelli che non vanno d’accordo con nessuno; a chi ha bisogno di un abbraccio; a chi sogna la gloria; a chi racconta balle; a chi sa essere sincero; a quelli che darebbero la vita per i loro cari; a chi ama; a chi cresce e a chi è già troppo grande; a chi ha l’anima in fiamme; a chi ama e a chi odia; a chi ha tutta una vita davanti.
Non fermatevi, mai.
 
Buon Natale a Auguri a tutti ^^
Con affetto e simpatia,
 
See ya,
Ace.
  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: ___Ace