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Autore: sacca    27/12/2014    4 recensioni
[Everlak] Questa è una piccola What if? Cosa sarebbe successo se Haymitch avesse mantenuto la promessa salvando Peeta e non Katniss? Lei sarebbe stata fatta prigioniera da Snow. L'avrebbe uccisa? O avrebbe provato a usarla a suo favore, magari depistandola?
DAL TESTO
"Usarla a nostro piacimento, farla diventare una di noi e mandarla a uccidere la Coin. E il ragazzo se avrà tempo. E Plutarch. Rido pensando che questa stupida ragazza, quella che tutti hanno preso come simbolo della rivoluzione credendola forte, dandole il nome di "Ghiandaia Imitatrice", che mi odia così tanto, diventerà la nostra arma migliore, sarà il simbolo della nostra vendetta."
So che non è l'unica fanfic con questo tema, ma la dovevo assolutamente scrivere. Spero vi piaccia!:)
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gale Hawthorne, Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Violenza
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PROLOGO
 

Mi svegliai di soprassalto, intimorita, dolorante, sporca e febbricitante, al freddo e con il bocca il sapore del sangue. Uno dei miei soliti risvegli, erano mesi che mi svegliavo così. Sapevo che erano mesi perché lui era sempre molto attento a ricordarmi che giorno era. Si divertiva così, prendendomi in giro, deridendomi, facendomi notare, giorno dopo giorno, che nessuno veniva a salvarmi e che non sarebbe venuto mai nessuno. E nei giorni in cui non c'era lui ci pensava l'altro. Già, perché essere usata in quel modo solo da uno non era abbastanza: inspiegabilmente erano diventati amici e avevano deciso di torturarmi insieme. Dicevano che l'odio per me li aveva uniti, ridevano mentre mi circondavano dicendomi che forse sarei dovuta essere più gentile con loro, prima. Io provai a scusarmi, a urlarli di lasciarmi andare, a ribellarmi, a implorarli di smetterla, avevo addirittura provato a uccidermi. Ma no, non mi permettevano nemmeno quello, secondo loro dopo tutto il dolore che avevo causato a loro, a Snow, ai distretti, a Capitol City e a tutti quelli che mi amavano, me lo meritavo. E avevano scelto il modo peggiore per vendicarsi; sarei sopravvissuta alla fame che mi stringeva lo stomaco in quei lunghi giorni, al freddo pungente che mi entrava nelle ossa, alla sporcizia in cui mi lasciavano, alle botte: i calci e i pugni non erano nulla in confronto a questo. Avrei potuto farcela, forse, se si fossero fermati a quello. Avevo pregato, implorato, che tornassero a rompermi le ossa di ogni dito come avevano già fatto. Ma no, ora avevano trovato questo nuovo modo di uccidermi, lentamente, che a detta loro era molto più bello. E lo sapevo, sapevo che non sarei mai sopravvissuta a tutto quello. Magari, se fossi riuscita a scappare, a tornare a casa, un giorno lontano avrei potuto dimenticare. Forse avrei potuto farcela, con molto aiuto, ma solo se non fossero stati loro a farmi quello. Invece così sapevo che sarebbe stato impossibile, non ci avrei nemmeno provato. Se fossi riuscita a fuggire avrei portato i segni dentro di me per sempre. Sarebbero rimasti li come quelli che avevo sulla schiena dovuti alle loro frustate, o quelli sulla spalla che mi avevano lasciato quando si erano diverti a spegnervi le loro sigarette. Che poi, da quanto fumavano? Quante cose non sapevo di loro. Era strano pensare che loro mi avevano conosciuta così in profondità mentre io, evidentemente, ignoravo tutto di loro. Mi venne da ridere a questo pensiero, dovevo essere pazza per ridere così in un momento del genere. Lui se ne accorse e quando notai la mano alzata per colpirmi non fui affatto sorpresa: non gli piaceva quando ridevo, sapevo mi avrebbe schiaffeggiato. Non mi importava. Non mi importava più nulla, davvero, volevo solo morire. Non riuscivo nemmeno più a volere la loro di morte, ero troppo debole ormai. Desideravo solo di poter scomparire, di non sentire il dolore dello schiaffo che avevo appena ricevuto, volevo che il mio occhio gonfio non pulsasse più, che le labbra secche smettessero di bruciare, ma, più di tutto, volevo che le lacrime smettessero di scendere dai miei occhi. Ci avevo davvero provato, a non piangere, perché sapevo che, da sadici che erano, godevano nel vedermi soffrire, ma proprio non riuscivo a smettere, non quando loro mi venivano a trovare. E stranamente ero sempre incredibilmente consapevole di tutto ciò che mi facevano, delle parole dure, del male che mi procuravano:non riuscivo mai a esternarmi, a isolarmi, trovavo pace solo quando il dolore ero troppo da sopportare per il mio corpo e svenivo. Oggi c'era solo lui, ero quasi felice:era molto peggio quando venivano insieme. Era stato lui a svegliarmi, avevo sentito il suo corpo pesante su di me, dentro me, ormai lo riconoscevo anche nel sonno. Che schifo rendermi conto che mi stavo abituando anche a quello, a quell'intrusione disgustosa nella mia intimità.
- Non preoccuparti, piccola. Verrà anche lui oggi pomeriggio. Penso che dovremmo salutarci, poi. Ma non preoccuparti: ci rivedremo presto. E prima di lasciarti andare, ti saluteremo per bene, con un sacco di feste come piace a te. - disse lui spingendo più forte.
Mi aveva fatto male ma ormai da tempo non riuscivo neanche più a urlare. Non volevo dargli anche questa soddisfazione, le lacrime già bastavano. In più mi veniva il vomito. Le sue parole mi davano sempre un forte senso di nausea e disgusto. Sapevo cosa implicava il fatto che l'altro sarebbe venuti più tardi e che mi avrebbero fatto le "feste". Non so come ma dentro me trovai la forza di rispondergli dopo tanto tempo – Fottiti, Peeta. - prima di svenire dal dolore, causato dal pugno che mi aveva dato, sentii una risata in lontananza e non so come, la collegai a Johanna. Sorrisi e poi il buio. 

   
 
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