Capitolo 1: Brand new Life.
Ho aperto la zip della borsa senza pensare a nulla. Non provavo felicità per il cambiamento, né tristezza per le persone che lasciavo. Anche perché non avevo proprio nessuno da lasciare. Non ho mai avuto troppi amici, giusto un paio in 17 anni di vita, e comunque, se ne erano andati molto prima di me. Detestavo apertamente le persone che sino ad ora si erano occupate della mia “educazione”, e lei se ne era andata da ormai un mese e mezzo.
Ho aperto il mio cassetto per prendere ciò che mi apparteneva. Cioè quasi nulla. Un paio di jeans, una tuta da ginnastica un po’ lisa, un paio di maglioni, una felpa, due magliettine, qualche mutanda orribile e altrettanti calzettoni. La divisa, cioè calzoni neri, camicia bianca, golfino grigio e mocassini, dovevo lasciarli là. Non proprio una gran perdita. Dal mio comodino ho preso il mio album da disegno, il blocco degli schizzi e l’astuccio con gli strumenti da disegno: le cose più preziose che possedevo. E che mi aveva regalato lei.
Ho messo tutto nella borsa, non proprio ordinatamente, senza scordarmi la scatola di latta che conteneva le foto dei miei genitori, qualche spicciolo trovato qua e là e un pacchetto mezzo finito di Marlboro Light rubato dall’armadietto del bidello. Mi viene voglia di fumarmene una, ma sicuramente non ne avrei il tempo materiale. Beh, lo farò nella nuova casa del fratellone.
Da quello che so è una maxivilla, troverò un posto dove fumare in santa pace in tanto spazio, come l’ho trovato in questo edificio fatiscente.
Quando ho chiuso la borsa nera dell’Istituto dell’Aiuto
all’Innocente, nobile nome per un orfanotrofio gestito da suore che sapevano di
rancido come le loro credenze, mi sono posto ancora
Nessuno mi aveva dato una risposta precisa. Era sembrata una cosa naturale: Tuo fratello ti è venuto a prendere, ora è lui il tuo tutore. Devi essergli riconoscente e ringraziarlo…
Il mio fratellastro è ricco, anzi ricchissimo. Lo è sempre stato, credo. Sua madre era una contessa, e mio padre possedeva quelle 7-8 industrie che permettevano una vita comodamente lussuosa.
Una vita che mi era stata tolta quando avevo 4 anni.
Io aspettavo a casa i miei genitori, nel mio lettino, mentre
la baby sitter guardava
Li hanno trovati il giorno dopo.
La macchina era in fondo ad una scarpata, capovolta.
Morto sul colpo mio padre, morta dissanguata mia madre.
Mi guardo intorno per vedere se mi sono scordato qualcosa. Ah, si, ecco: sul davanzale della finestra aperta avevo appoggiato il mio cappello con la visiera. Un altro regalo di lei. Un altro suo ricordo.
Me lo calco bene in testa e lo sguardo mi cade sul vetro della finestra. La mia figura riflessa è trasparente, diafana, quasi inesistente. “Stai per iniziare una nuova vita” dico a quel riflesso, quasi per convincerlo, quasi per convincermi.
Prendo un bel respiro e mi chiedo se dovrò lottare anche contro mio fratello per mantenere la mia acconciatura. Ho i capelli lunghi, candidi come quelli di mio padre, e da lui ho ereditato anche il colore dei miei occhi, dorati come una moneta da 50 centesimi. Anche mio fratello ha i capelli candidi e lunghi, ma a lui conferiscono un aspetto elegante, raffinato… io ho l’aspetto di un vero teppista, di un vero duro.
Getto indietro la testa con aria sicura, prima di girarmi verso il letto, chiudere la borsa e gettarmela su una spalla.
Alla porta è comparsa Suor Gertrude, la superiora. Il suo odore, un disgustoso mix di incenso, muffa e cucina si sente a distanza. Un sorrisetto quasi soddisfatto compare sul volto flaccido. “Sei pronto, Inuyasha?”