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Autore: Mikirise    28/12/2014    2 recensioni
#Christmaspresent per Fin_chan
"Questa favola di Natale, inizia con la nascita di un bambino in una famiglia malandata ed un nonno troppo entusiasta per accettare la realtà di vivere in un'illusione.
È una storia triste, sotto certi aspetti, ma che ha anche un lieto fine, per chi lo vuole vedere. È un percorso difficile, che ha avuto un inizio ed avrà una fine, anche se tu potrai decidere di farla tendere all'infinito, senza mai arrivare alla morte della storia, senza mai dovergli dire addio.
È una storia semplice, narrata dagli angeli messaggeri degli animi innocenti che crescono nel cuore della semplicità e la renderò complicata per te. Perché io non sono un Angelo di Natale e tu sei una persona innocente.
È la storia di un nonno che regala ad un bambino appena nato un abete appena nato e di come quell'abete sia diventato il suo albero di Natale, anno dopo anno, dopo anno, dopo anno e di come questa abbia preso la caratteristica di specchiare la sua anima."
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Prologo:

Questa favola di Natale, inizia con la nascita di un bambino in una famiglia malandata ed un nonno troppo entusiasta per accettare la realtà di vivere in un'illusione.

È una storia triste, sotto certi aspetti, ma che ha anche un lieto fine, per chi lo vuole vedere. È un percorso difficile, che ha avuto un inizio ed avrà una fine, anche se tu potrai decidere di farla tendere all'infinito, senza mai arrivare alla morte della storia, senza mai dovergli dire addio.

È una storia semplice, narrata dagli angeli messaggeri degli animi innocenti che crescono nel cuore della semplicità e la renderò complicata per te. Perché io non sono un Angelo di Natale e tu sei una persona innocente.

È la storia di un nonno che regala ad un bambino appena nato un abete appena nato e di come quell'abete sia diventato il suo albero di Natale, anno dopo anno, dopo anno, dopo anno e di come questa abbia preso la caratteristica di specchiare la sua anima.



 

Una favola matematica di Natale, che poi favola non è

La vita è una funzione matematica riportata su un piano cartesiano. Nel senso che tu, che sei la linea, non sai dove andrai a parare, ma la tua formula, cavolo, lei sa tutto di te

 
Natale XXIV

Se prendessimo la vita di un abete e decidessimo di riportarla su un piano cartesiano, quasi certamente uscirebbe fuori questa formula: y=mx+q, ossia una retta.

O almeno così la vedeva Romano, che osservava irritato l'abete immobile, situato nell'angolo della stanza, dove un raggio di sole lo toccava quasi casualmente.

In fondo, continuò a pensare, un abete non ha sentimenti e nemmeno esperienze dirette. Un abete non vive, semplicemente sta lì a subire tutte le cose che gli capitano, come la pioggia, il sole ed i cani che gli fanno addosso la pipì ed è testimone del tempo che passa, nulla più. L'unico bene al mondo che fa un abete è la sintesi clorofilliana, che produce ossigeno per fare in modo che esseri inutili, come Romano, continuino a vivere. Sarebbe molto più carino se, la notte, non disfacessero quello che hanno fatto il giorno, come Penelope in attesa di quell'idiota di Ulisse. Insomma, sarebbero molto più coerenti, per lo meno: i marsupiali, prendiamo i koala ad esempio, non sono stati pensati per far altro se non per mangiare e guardare gli stupidi esseri umani che li indicano dicendo quanto carini possano essere; in pratica, sono inutili, ma per lo meno non prendono le loro foglie di eucalipto e gridano "Guardateci! Mangiamo le piante cattive e poi caghiamo! Quello che non sapete e che la nostra cacca fa riscrescere l'eucalipto! Evvai! Venerateci!", no, no; i koala si sono prefissati uno scopo, cioè distruggere tutto l'eucalipto in giro per l'Australia, e ce la faranno. A Romano, di eucalipto ed Australia, non gliene fregava niente e trovava giusto che i koala disboscassero la grande isola: era nella loro natura e rimanevano più coerenti di quanto non lo fossero le piante.

Detto questo, conosciuti due punti appartenenti alla funzione, conoscevi l'andamento della vita della pianta, il coefficente angolare, in pratica, e la forma della retta, che poteva salire nel suo valore di y, oppure scendere nel suo valore di y, oppure il suo valore di y poteva non variare, e si sarebbe trasformato in un segmento, che probabilmente sarebbe arrivato a valori di x che la funzione della vita di Romano, ad esempio, nemmeno si sognava.

La funzione del suo abete, che aveva chiamato Abete, in uno slancio di originalità e ironia, era appunto così. Una funzione noiosa, senza variabili di y, con un corto numero di x, ancora, perché il suo Abete era ancora molto giovane -ventiquattro anni sono un tempo infinitesimo, in confronto alla vita che avrebbe vissuto. Romano si rendeva conto che quell'albero sarebbe passato ad i suoi discendenti, molto probabilmente-

Dovrebbe essere questa funzione qui, disegnata da Romano alla matura età di ventiquattro anni:


"Io ti odio" sputò il ragazzo, guardando la pianta.

La funzione di una qualsivoglia vita umana, d'altro canto, sarebbe stata molto più complicata: poteva essere una funzione logaritmica, o esponenziale, o polimoniale, o Dio sa solo in quali altri tipi.

La funzione della vita di Romano, secondo il ragazzo, era una funzione goniometrica, col suo cazzo di moto armonico, che, merda, di armonico nella vita delle persone non ha niente.

Insomma, quelle funzioni che vanno su e tornano giù. Vanno su e tornano giù. Vanno su e tornano giù. Una vera cagata di cazzo.

"Continuo ad odiarti" borbottò il ragazzo contro l'abete.


 
Natale XV



Arthur arricciò le labbra, non sicuro di quello che avrebbe dovuto dire al ragazzo davanti a lui, che, miracolosamente, era riuscito a non intrappolarsi tra le lucette di Natale, uccidendosi.

Alfred, tenendo alto l'altro capo del filo di plastico sul quale erano attaccate le luci, correva intorno al piccolo abete, gridando "È così divertente! Così divertente", mentre Romano girava su se stesso, facendo in modo che il filo non si attorcigliasse intorno al suo tronco.

"Potresti venire a passare il Natale con me e la mia famiglia" sputò fuori l'inglese, distogliendo lo sguardo dall'albero e le palle di Natale, sbuffando un po', per nascondere la sottile preoccupazione nella sua voce "piuttosto che rimanere qui" terminò, grattandosi il naso e cercando di dar a vedere un'irritazione che, in quel momento, non gli apparteneva.

"No" rispose secco Romano, sbattendo le palpebre e facendo una smorfia di disgusto alle parole dell'amico "Perché dovrei?" la domanda, mentre alzava un sopracciglio, con fare indifferente.

"Perché rimani tutti gli anni qui e passi tutti i Natale da solo?" chiese sarcastico Alfred, con le luci che ballavano tra le sue dita, seguendo i movimenti poco fluidi del biondo, che girava per la stanza "Ci fai pena" aggiunse con un sorriso da idiota e il pollice alzato, in un gesto che pensava potesse renderlo, in un modo o nell'altro, eroico.

"Ma vaffanc..."

Arthur lo colpì in testa, con uno schiaffo poco delicato, che fece piegare verso il basso il castano "Un gentiluomo non impreca" spiegò, portando le proprie mani incrociate davanti alla sua pancia "Anche se Alfred ha avuto molto poco tatto" si lasciò sfuggire dall'angolo della bocca, cercando di mantenere un controllo apparente, chiudendo gli occhi per mezzo secondo.

Lo statunitense prese a ridere, ignorando il maggiore, che lo fulminava con lo sguardo, promettendo guai non appena fossero usciti dalla stanza nel collegio di Romano.

"Non ho bisogno della vostra compassione" mise in chiaro Romano irritato, togliendo bruscamente le luci dalla mano di Alfred ed assottigliando lo sguardo, si morse le labbra per non far uscire da quella parole che avrebbero potuto ferire chiunque in quella stanza. Con le mani tremanti dalla rabbia, appese una stella di Natale trai rami più alti di Abete, che ai tempi gli arrivava giusto sopra la testa, per poi iniziare ad avvolgere l'abete nel filo di luci, con una pazienza che, chiunque non lo conoscesse non riuscirebbe a definire come sua, di Romano.

"Non ti stiamo compatendo" le parole serie di Alfred alle sue spalle, fermo ad osservare i suoi gesti "Lo diciamo perché siamo tuoi amici"

"Sto bene qua. Feliciano e nonno dovrebbero..." si fermò a metà della frase, con la mano bloccata trai rami di Abete. Come finire quella frase? Feliciano e nonno dovrebbero stare meglio senza di me, hanno sempre avuto un legame più forte tra loro. Sono solo il terzo incomodo, ma va bene così. Feliciano e nonno dovrebbero essere più felici, senza di me, adesso. Rovinerei loro il Natale, se mi presentassi a casa. Forse si sono dimenticati di me, sarebbe meglio così. Ma non terminò la frase, appese semplicemente l'ennesima decorazione sull'albero e sbattè le palpebre nell'attesa che il tempo passasse e le sue parole cadessero nel silenzio "Sto bene qua" ripetè.

Passare un Natale in famiglia, con una qualsiasi famiglia, lo terrorizzava ormai da anni. Pensare in tutte quelle persone sedute su un tavolo, o anche pensare a quelle poche persone sedute al suo tavolo, pensare di dover parlare e che lui, lui che distruggeva tutto quello che toccava, potesse di nuovo rovinare tutto, rovinare quelle serate che dovrebbero essere felici, gli faceva male e lo irritava. Perché Feliciano diceva che lo faceva di proposito, voleva distruggere tutto quello che gli rimaneva della sua famiglia, ma non era così. Se non lo avessero mandato in collegio alla prima occasione, se lo avessero ascoltato un poco di più, se non fossero diventati estranei, lo avrebbero capito. Avrebbero capito che quello era semplicemente il modo scorbutico con cui Romano aveva dovuto imparare ad affrontare il mondo, avrebbero capito il nervosismo che il ragazzo provava nel guardarli e nel chiedersi Mi vogliono bene? Devo guadagnarmi l'entrata nella famiglia?, ma non lo capivano, vedevano Romano e non lo volevano comprenderlo. Romano non era mai stato bravo ad interagire con le persone ed il suo interessarsi alla reazione di suo fratello e nonno lo rendeva ancora più imbranato nel parlare e nel suo modo di comportarsi.

Natale è famiglia, ripeteva sempre Antonio.

Ma se la mia famiglia sei tu e tu te ne torni da quell'immensità di parenti che ti ritrovi, cosa resta a me?

Non sapeva neanche se sarebbe tornato, o se lo avrebbe rivisto. In quel momento, Antonio era una funzione che aveva teso all'infinito ed era uscito dal campo di esistenza della funzione di Romano. In poche parole, se n'era andato, come tutte le persone a cui il piccolo italiano aveva voluto bene.

Se ne vanno i suoi genitori, se ne va il nonno ed anche Feliciano -in realtà lo cacciano da casa-, se ne va Antonio. Non poteva esserci qualcosa che non andava in loro, doveva esserci qualcosa di sbagliato in Romano. Nei quindici anni, doveva esserci un errore ricorrente, un'azione, che lo portava a toccare il -1 nel suo piano cartesiano.

L'errore era rapportarsi in maniera intima con la gente. O almeno così pensò Romano.

Accucciandosi vicino alla parete, attaccò la spina delle luci natalizie e vide Abete illuminarsi di un leggero blu.

"È molto triste" commentò Alfred, accanto ad Arthur, che storceva la bocca ed inclinava mestamente la testa, come se stesse cercando un modo per trascinare Romano a casa sua e fargli passare, per forza, un Natale pieno di gioia, o almeno una noia in due.

"E anche quest'anno" disse soddisfatto l'italiano, alzandosi da terra e pulendosi i pantaloni dalla polvere, rivolto verso l'albero "saremo solo io e te" cercò di sorridere, accarezzando il tronco ancora sottile di Abete.


 
Natale XXIV

Romano starnutì, travolto dalla polvere che ricopriva le decorazioni natalizie. Non ricordava fossero così tante e così vecchie. Forse avevano la sua stessa età, e la stessa di Abete.

Prese in mano una stellina argentata e la ripulì con la manica del maglione rosso, che indossava, mentre tirava su col naso.

La funzione di Romano era, quindi, una funzione goniometrica, con valori non superiori all'1 e non inferiori al -1. Prendendo in considerazione il suo punto di partenza -Romano pensava fosse il +1, a causa di varie situazioni a lui, inizialmente, favorevoli-, era una cosinusoide, con tutti i suoi pro e contro, che vedeva i suoi punti intersecarsi con la Funzione Abete, una volta all'anno, quindi una volta ogni tot tempo.

Il disegno doveva essere questo, secondo Romano, che lo aveva rubato dal suo libro di matematica alle superiori -non era mai stato bravo con le curve. Nel senso che, le funzioni periodiche, come quelle polimoniali, gli erano sempre venute storte e non pertinenti alla formula scritta. Odiava il fatto di essere stato bollato da Arthur come il Genio Matematico e non sapere nemmeno come disegnare funzioni polimoniali. Anche in quello era sempre stato molto più bravo Feliciano-:


"In tutti questi anni" gridò il ragazzo, posando la stella su un ramo di Abete "mai, mai in nemmeno un anno ho dovuto addobbare da solo l'albero di Natale" la voce rimbombò per l'appartamento, mentre l'italiano sbuffava irritato.

Nessuno rispose.
 

Natale XII

"Il mio naso è freddo" annunciò Romano, sdraiato di schiena sull'erba fredda "E dovrei stare nella mia stanza, prima che quella là si accorga che sono scappato. Di nuovo" avrebbe starnutito, ma sentiva che, se lo avesse fatto, sarebbe finito con un pezzo del suo naso in mano. Nascose meglio le mani nelle tasche della giacca, sistemandosi meglio, in modo che potesse stare più comodo.

Antonio rise, sdraiato accanto al ragazzino "Aspetteremo Babbo Natale qui, svegli" aveva detto, girando la testa verso il piccolo italiano, di modo che alcune ciocche ricce dei suoi capelli toccarono le guance paffute di quello, nonostante fosse ben nascosto nella sua giacca a vento.

"È una stupidaggine" sbuffò Romano.

"Scherzi? A casa lo facevamo sempre. Aspettavamo che arrivasse la mezzanotte e io, che ero un bambino, andavo a giocare con i miei cugini per qualche minuto. Mamma sistemava i regali sotto l'albero di Natale e diceva che li aveva portati il bambin Gesù. E sembravano tanti, ma in realtà erano solo uno a testa. Di solito un maglione, o un paio di mutande. Erano delle belle paia di mutande, già. Le vuoi vedere?"

"No" rispose imbarazzato il piccoletto.

"Voi che facevate a Natale?"

Romano sbattè le palpebre, preso in contropiede dalla domanda. Guardò il suo respiro materializzarsi in una nuvoletta davanti alla sua bocca, per poi girarsi verso il maggiore, aprire la bocca e richiuderla.

Cosa faceva, di solito, a Natale?

Di solito era fermo nel collegio, senza che né suo fratello né suo nonno lo chiamassero. Quando, l'ultimo anno, era tornato a casa, dopo così tanto tempo da non esser stato in grado nemmeno di riconoscere la sua camera da letto, si era bloccato davanti al regalo di Natale della sua famiglia, rimanendo muto per la maggior parte delle vacanze. Non lo aveva fatto di proposito, semplicemente non capiva l'importanza di giocare al gioco dell'Oca il Ventiquattro, o a tombola la notte del Venticinque. Non aveva giocato con i suoi unici due parenti in vita, a Natale.

"Niente"

Antonio poggiò il suo naso gelato su quello del piccoletto, aprendosi in un sorriso tanto luminoso da poter fare invidia alla Stella Cometa "Allora iniziamo a creare tradizioni insieme. Noi, ogni Natale, aspettiamo Babbo Natale sotto le stelle"

"Che idea idiota"

"Idea fantastica, già" rise di nuovo lo spagnolo, allungando le braccia per afferrare il busto del più piccolo e intrappolarlo in un abbraccio da orso "E io e te siamo una famiglia. Le devi seguire sempre le tradizioni di famiglia"

"Tu non sei la mia famiglia"

Antonio sorrise e gli lasciò un bacio bavoso sulla fronte, che fece mugugnare d'irritazione Romano "Ma tu sei la mia"

Sotto l'albero di Natale, a mezzanotte, c'era un regalo mal impacchettato, che nascondeva, al suo interno, un enorme maglione rosso. Sopra la scritta Per Romano, Babbo Natale.


 
Natale XXIV

"Che poi, io" continuò a gridare il ragazzino, appendendo le decorazioni di Natale "io mica cucino. Arthur può dire quello che cazzo gli pare. Io non cucino. Cucini tu. Vaffanculo, metto queste palle qua e me ne vado a dormire"

Lanciò uno sguardo critico all'albero, per rendersi conto di aver riempito di palline solo i rami a destra, lasciando quasi completamente spogli quelli a destra. Sbuffò annoiato, portandosi le mani sui fianchi.

"Bastardo, potresti anche rispondere, comunque, eh" continuò, frugando tra gli scatoloni "Che sono? Lo stronzo che vive coi fantasmi?"

"Avevamo detto meno parolacce sotto Natale" si sentì la voce arrivare dalla cucina.

"Vaffanculo! Bastardo! Cazzo!" la risposta gridata dal ragazzo.


 
Natale XXI

"Romano è una mezza specie di genio. Nel senso..."

"Non è una mezza specie di genio" lo fermò Arthur, alzando il palmo della mano e ingoiando un pezzo intero di pollo "È un genio" mise in chiaro, infilandosi un altro pezzo di carne in bocca, in maniera elegante.

Feliciano sbattè le palpebre sorpreso, girandosi verso il fratello maggiore, che, indifferente alle parole degli amici, appoggiava poco delicatamente il vassoio di patate in mezzo al tavolo "Davvero?" chiese sorpreso, con un mezzo sorriso, quasi incredulo.

"Stai scherzando, spero" disse a bocca piena Alfred, aggrottando le sopracciglia "Tuo fratello mi ha passato tutti i compiti in classe fino ad un mese fa. Se, invece di addormentarsi durante i test e rispondere male ai nostri professori, avesse fatto il ragazzo noioso e secchione, per finta poi, perché non ha mai avuto bisogno di studiare, avrebbe preso 100 e lode all'esame finale del liceo"

"La matematica è il suo punto forte" continuò Antonio, alzando l'indice destro "pensa che è riuscito a sostenere al posto mio l'esame di Matematica Avanzata dell'ultimo anno. Roba che aveva quindici anni nemmeno e capiva più di me, che ne avevo diciotto. Se non fosse stato per tuo fratello non mi sarei mai laureato, né diplomato"

"Perché tu non l'hai mai trovato a calcolare la traiettoria di una stella cadente"

"Oh, ti ricordi?" Alfred scoppiò a ridere "Magari riesco a calcolare il giorno in cui una cometa ti cadrà in testa e smetterai di fare mamma orso" disse con una smorfia che voleva imitare il broncio di Romano

"Non ho detto così!" protestò quello, indignato.

"No" rise Antonio "Eri ubriaco, quindi continuavi a ripetere the fucking star, the fucking head, the fucking bear mum"

"Perché? Quando ha calcolato, in esattamente uno-virgola-cinque secondi, i secondi che mancavano all'arrivo di Antonio? Ha calcolato i secondi di quattro mesi una settimana tre giorni e undici ore. Non so se vi rendete conto"

L'italiano maggiore fulminò Arthur con lo sguardo, facendogli quanto quello che aveva appena detto fosse fuori luogo, visto che lo spagnolo aveva preso a gongolare al suo fianco, colpendogli la spalla con la spalla, con un enorme sorriso sulle labbra.

"Non vi sembra strano?" chiese Alfred, poggiando la forchetta sul piatto ed il mento sul palmo della mano, osservando i due fratelli italiani, seduti davanti a lui "Normalmente sono i fratelli a raccontare dettagli imbarazzanti sulla vita di una persona. E voi due non sapete niente l'uno dell'altro"

Feliciano e Romano si scambiarono un'occhiata veloce. Il più piccolo abbassò lo sguardo, giocando con le proprie mani, sotto il tavolo "Noi..." cominciò a dire, con un tono di voce sommesso.

Il maggiore si alzò dal tavolo "Ora dei regali" annunciò, indicando Abete dietro di loro.

Arthur colpì in testa Alfred e nessuno fece nessun commento sulle parole dello statunitense.


 
Natale XXIV

La funzione di Feliciano era, molto probabilmente, una retta tendente all'infinito. Quelle rette che piacciono tanto alle persone perché non hanno ricadute in basso, ma solo verso l'alto. È la stessa funzione di quelle persone che credono di sapere dove andranno a finire e non si lasciano scoraggiare da piccoli fallimenti.

Il nonno lo sapeva. Se Romano era un genio, o almeno così diceva Arthir, Feliciano era molto più che un genio. Era Il Genio, su tutti i campi, o meglio, sui campi che più affascianavano il nonno e tutte le persone comuni.

L'arte e la massa sono strettamente collegate, o almeno così era stato nell'ultimo secolo, aveva avuto modo di studiare Romano. Invece, il maggiore, meno portato verso le persone e più verso un mondo solitario, era più per le piccole oscillazioni in basso ed in alto.

"Finirai nella lista dei cattivi"

"Cazzo"

Questo aveva portato a pensare una cosa piuttosto dolorosa al castano scuro: come funzioni, lui ed il fratello, condividevano solo il punto d'inizio. Feliciano avrebbe toccato, quindi, punti y che Romano non avrebbe mai neanche visto e lo avrebbe lasciato indietro.

Le loro strade erano destinate, per forza di matematica, a dividersi. A dividersi per sempre.

"Niente torta di Natale, allora"

"Meglio, tanto non sai farle le torte"

"Eeeh? Lo pensi davvero?"

Romano dovette sopprimere un sorriso divertito.



 
Natale XVII

Il ragazzo uscì dalla stanza, coperto dal piumone grigio, che lo copriva ogni notte contro il freddo delle montagne del Nord.

Alzò il suo sguardo verso le stelle, poco visibili dietro le nuvole che minacciavano neve. Vide le tre stelle allineate che Antonio gli indicava sempre, quando ancora studiava al collegio.

Quello sarebbe stato l'ultimo anno liceale di Arthur, e l'inglese aveva deciso di rimanere per le vacanze natalizie, per passare un Natale insieme al piccolo italiano. Alfred, era tornato a casa, dicendo che suo fratello, senza di lui, sarebbe perso. Aveva, comunque, storto il naso, vedendo i suoi amici rimanere, mentre lui partiva. Non vi divertite troppo senza di me, aveva detto, con la valigia in mano ed un vago desiderio di rimanere con loro, non senza di me, comunque.

Arthur, dopo aver passato la Vigilia cucendo maglioni ed attaccando decorazioni sulle finestre della stanza del più piccolo, aveva iniziato a leggere e si era addormentato, come un vecchietto, con gli occhiali da vista ed un libro in mano sulla poltrona. Romano aveva dovuto caricarselo sulle spalle e buttarlo sul letto arrangiato accanto al suo.

Le tre stelle allineate sono chiamate veramente i Re Magi? Sembravano proprio loro, comunque.

Passata la mezzanotte, Romano aveva poggiato il suo regalo di Natale per l'inglese sotto Abete e controllò che non ci fosse nessun regalo per lui, come era successo quando aveva dodici anni.

Scosse la testa, dandosi dell'idiota. Come poteva sentire Antonio accanto a lui, se non lo vedeva da due anni, ormai?


 
Natale XXIV

Il maglione rosso, nonostante fossero passati ben dodici anni, ancora gli stava largo. Antonio aveva spiegato di avergliene preso uno XXL perché pensava che un giorno sarebbe diventato cicciome ciccione e ancora più ciccione, ed anche quando sarebbe diventato ciccionissimo, voleva che continuasse a ricordarsi del suo amico Antonio.

"Le tue torte non fanno schifo" gridò il ragazzo, non sentendo più i lamenti dell'altro dalla cucina.

La funzione di Antonio, che funzione sarebbe stata? Forse una polimoniale, con il brivido delle montagne russe e l'imprevedibilità dell'animo umano. E una funzione polimoniale, con un Punto d'Origine diverso da quello di Romano, non toccava molte volte la funzione dell'italiano.

Compariva e scompariva continuamente dalla sua vita, con tanta bruschezza da lasciare senza fiato Romano tutte le volte. Perché lui era una funzione periodica, tutto aveva un senso, tutto aveva un periodo. Antonio non era così. Lui toccava vertici altissimi e scendeva in valli profondissime, lui faceva un salto ampio, poi lo restringeva e piegava le regole a suo vantaggio.

Se Romano era la Matematica, Antonio era l'Arte Interiore.

E poteva andarsene di nuovo. Poteva scomparire in ogni momento, senza una ragione e senza uno scopo.

Romano non l'aveva mai detto, ma aprendo gli occhi, la prima cosa che faceva al mattino era allungare una mano dietro la schiena e percepire il petto, il respiro, a volte il naso, dello spagnolo, che ronfava accanto a lui. Solo in quel momento tirava un sospiro di sollievo. Solo allora iniziava a gridare per ottenere la colazione a letto.

"Ehi, rispondi"

"Cucinerai tu"

"No"

"Allora niente" gridò il ragazzo dalla cucina "Non ti sento. Antonia tu hai sentito qualcosa?"

Romano alzò gli occhi al cielo, alzandosi da terra e dirigendosi verso il luogo in cui il maggiore stava per iniziare a delirare "Ma oggi viene pure Maniaco e Rompicazzi?" chiese, prima di potersi affacciare alla porta e vedere lo spagnolo con in mano lasua tartaruga marina.

"Antonia, Romano ha detto qualcosa?"

L'italiano gettò la testa indietro per la fristrazione "Non può cucinare Maniaco?"

"Antonia, dì a Romano che Francis sta passando la giornata col Sopracciglione e se facciamo cucinare lui, poi vorrà aiutarlo anche Sopracciglione. E moriremo tutti. Rimmarresti orfana di papà. Di papi!"

"Quindi Maniaco viene" concluse con una smorfia il piccoletto, incrociando le braccia e mettendo un leggero broncio, che sarebbe stata la sua espressione naturale "E Rompicazzi?"

"Dovresti seriamente smetterla di chiamare così Gilbert" lo rimproverò Antonio, che però, girandosi verso Romano non potè tenergli alcun broncio, ma sorrise, quasi intenerito, davanti alla figura dell'italiano immerso nel suo enorme maglione rosso, che ancora gli copriva parte delle mani e delle cosce "Sì, viene"

"Quindi vengono anche Eli e Quattrocchi" aggiunse alla lista degli invitati il ragazzo, tenendo il conto con le dita "Alfred e Matthew, ovviamente saranno qui. Penso venga anche il Fattone"

Antonio sbuffò, sedendosi al tavolo della cucina, poggiando il suo mento sul pamo della mano "Lui non mi piace"

"A me non piacciono Maniaco e Rompicazzi, ma sono stati invitati, quindi" Romano si sedette davanti allo spagnolo, storcendo le labbra "E col Fattone viene anche Alice"

"E lei mi piace"

"Giuro che ti castro" il ragazzo sospirò "Siamo diventati davvero tanti con questa roba del socializzare. Colpa tua. Fosse per me non avrei invitato nessuno, anzi, meglio, non avrei mai parlato con nemmeno uno di loro, così, per lo meno, avrei avuto casa libera a Natale. Invece no! Parla con la gente, Roma! Socializzare è importante, Roma. Ci saranno più persone in giro pronte a prestarti soldi per la merenda, Roma. Sei solo un bugiardo"

Antonio rise dolcemente "E Feli? Lui viene?"

Romano inclinò la testa, mordendosi l'interno della guancia "Non lo so" rispose sospirando.



 
Natale XVIII

"Non ci credo" mormorò sorpreso Feliciano, addentando un cupcake alla banana "Questo è Natale"

Romano alzò un angolo della bocca, in un sorriso timido, mentre si asciugava le mani sul grembiule "Ricetta di mamma" spiegò, lanciando un veloce sguardo al fratellino "Li faceva solo a Natale. Diceva sempre che..."

"I dolci sono lo spirito del Natale" annuì il più piccolo "Me lo ricordo" sorrise, addentando di nuovo il dolce "Me lo ricordo" ripetè a voce più bassa, per poi guardare il fratello maggiore.

"Certamente non pensavo che soffrissi di Sindrome di Alzheimer, idiota"

"Non sapevo sapessi cucinare"

"Dopo un po' s'impara a vivere da soli" Romano si accarezzò il collo "Se vuoi, puoi, cioè, se ti piace l'idea, vieni a vivere con me. Adesso che nonno non... Va beh, hai capito. Puoi, cioè, vuoi vivere qui, fino ai tuoi diciotto anni e..."

"Grazie" gli diede un bacio sulla guancia Feliciano, abbracciandolo teneramente "Grazie"

"Tutto pur di non farti andare in casa di quel crucco di..."

"Roma! Niente parolacce sotto Natale"


 
Natale XXIV

"Verrà" assicurò Antonio abbracciandoil ragazzo più piccolo.

"Guarda che non mi darebbe fastidio se non venisse" disse Romano, mettendo il broncio ed appoggiando il mento sul petto dello spagnolo "Può anche non venire se deve portarsi dietro quel crucco di merda"

"Avevamo detto niente parolacce a Natale"

Il ragazzo abbassò la fronte, facendo in modo che la sua fronte si poggiasse sul petto di lui ed i suoi capelli si appoggiarono insieme a lui, rimanendo dritti, senza toccare la sua fronte "Stavo pensando" borbottò, lasciando che il suo respiro si tranquillizzasse sotto il tocco rassicurante di Antonio, che gli carezzò dolcemente la spalla "alle funzioni"

"Di nuovo?"

"Non è la linea a decidere l'andamento della linea. Lo fa la funzione. Ed è tutto deciso appena nasciamo. Una volta che una retta va all'insù, una volta che una funzione polimoniale sale,non potrà mai tornare verso il basso, a toccare una funzione periodica, che è rimasta a uno e meno uno, no?"

Antonio appoggiò il mento sui capelli del più piccolo "Ma io sono qui" rispose chiudendo gli occhi "Esistono anche le funzioni per casi, no?"

Romano alzò lo sguardo in fretta, facendo sbattere Antonio contro la sua fronte "Hai ragione" mormorò, con un sorriso appena accennato, di chi aveva appena ricevuto un'illuminazione. Sbattè le palpebre e si alzò in punta di piedi, per lasciare un bacio caloroso al ragazzo, sulle labbra "Sei una fottuta Musa"

"Ripetere che non dovresti dire parolacce è inutile, vero?"

 
Natale XIII

"Lo fai sempre" gli gridò contro Feliciano, gettandogli contro uno dei suoi peluche "Rovini sempre tutto! Sempre! E lo fai apposta! Tutto quello che tocchi lo rovini" prese a piangere, affondando la testa nel cuscino del suo letto "Perché?"

Romano guardò il fratello, sdraiato, nascosto dalle lenzuola, per poi raccogliere il vecchio orsacchiotto, che la mamma aveva lasciato loro prima di... Prima.

Lo accarezzò lentamente, calcolando l'andamento della funzione del fratello "Non ti preoccupare" aveva bisbigliato, seriamente convinto di star consolando il fratello, con le seguenti parole "tra poco le nostre funzioni non si toccheranno neanche più"

Si accucciò accanto alla porta, giocherellando con le sue dita. Feliciano pianse fino ad addormentarsi, risvegliandosi, il giorno dopo.


 
Natale XXIV

"Quello che mi stai dicendo è che..."

"Visto che ci sono più funzioni in una funzione è possibile capire per quale motivo siamo legati tutti in questi stupidi Natali. Com'è possibile che certe persone ad un certo punto si siano ritrovati qui e non in un altro punto, come la loro funzione vuole? Perché non abbiamo solo una funzione, ma tante quante vogliamo... Più o meno" Romano prese ad apparecchiare il grande tavolo rotondo, situando i piatti "Ad esempio, Abete non ha la volontà per fare nulla, oltre che per vivere, quindi, la sua funzione rimane e rimarrà per sempre una retta"

"Nel senso che, prima, non so, noi eravamo dei..." provò a seguirlo Antonio, posizionando sul tavolo le forchette ed i coltelli.

"Se vogliamo usarci come esempio" iniziò l'italiano, scuotendo un piatto di porcellana in aria "io sarei dall'inizio una cosinusoide. Tu, invece, saresti una specie di funzione polimoniale, con valori molto più alti, ma anche molto più bassi. Ad un certo punto, però, dopo esserci incontrati e separati per il corso degli ultimi quattordici anni, uno di noi, tu, si è adattato alla funzione dell'altro, più o meno. E dico più o meno perché tu all'inizio eri una sinusoide e..."

"Io sono seno al quadrato e tu coseno al quadrato?" chiese con un sorriso lo spagnolo, afferrando i bicchieri "E insieme facciamo uno"

Romano incrociò le braccia "Qualcuno ha iniziato a guardare The Big Bang Theory, eh"

Antonio aprì ancora di più il suo sorriso, aprendo le braccia ed intrappolando tra quelle il piccoletto. Gli baciò i capelli con dolcezza "Sai che per capirti mi guardarei anche i documentari più noiosi"


 
Natale XX

"Da quando lo aspetti?" chiese Feliciano, giocando col fiocchetto del regalo di Natale "Antonio, dico"

"Aspettarlo?"

"Arthur ha detto che hai saputo calcolare i secondi in quattro mesi, per sapere quanto tempo ti separava da lui. Da quanto lo aspetti?" il ragazzo, seduto scompostamente sul divano, continuava a giocherellare con le dita, annoiato.

"Non aspetto nessuno"

"Infatti, penso che adesso sia lui ad aspettare te"

"In che senso?"

"Nel senso che tra poco sarò un terzo incomodo"

"C'è qualcosa che vorresti dirmi?" Romano alzò lo sguardo dai pacchetti regalo, insospettito dal tono di voce del fratellino e dalla sua innaturale calma.

"Non essere paranoico" rise il più piccolo, alzandosi per andare ad abbracciare il castano e lasciandogli un bacio sulla guancia "Sarò uno zio fantastico"

"Ma cosa stai dicendo?"

"Sono un po' indovino"

 
Natale XXIV

"Suonano alla porta" annunciò Antonio, alzando il dito indice.

"Sì, anch'io ho le orecchie"

"Non vai ad aprire?"

"Perché non ci vai tu?"

Lo spagnolo sospirò,muovendosi verso la porta "E se fosse una sorpresa per te?" chiese, grattandosi la testa.

"Odio le sorprese. Odio anche le persone" gridò Romano dal salotto "Quindi, per amore al mio buon umore, aprirai tu",il ragazzo, soddisfatto delle decorazioni e della tavola imbandita, si porto le mani sui fianchi, per poi stiracchiarsi la schiena.

Nel momento in cui quasi sorrise, rilassandosi e pemsamdo di gettarsi sul divano per l'ennesima volta, sentì delle mani tirarlo in basso ed una risata anche troppo familiare pervadergli le orecchie.

"Potresti anche dire quando ci vieni a trovare, no?" chiese con un tono falsamente irritato Romano, girando la testa verao il fratello.

"Me lo dimentico sempre" aggrottò le sopracciglia Feliciano, senza però lasciare la presa dal collo del fratello maggiore "Non mi dire che non hai cucinato per noi"

L'italiano sospirò davanti alla faccia da cucciolo del più piccolo, allontanandolo in malo modo,premendogli la mano sopra la faccia "No"

"Eh? Davvero?" piagnucolò quello, cercando di riacchiappare il busto di Romano, per abbracciarlo.

"Magari per te possiamo anche rimediare qualcosa ma per l'altro..." quando vide Ludwig entrare non si degnò neanche di coprire la sua smorfia "Crucco di merda" borbottò.

Antonio sorrise nervoso, facendogli gesti affinché la smetgesse di dire paloracce con la stessa frequenza con cui si pronuncia A, mentre Ludwig, che aveva iniziato a prendere gli insulti del maggiore degli italiani come se fossero dei cortesi saluti, alzò la mano, con un timido "Ciao"

"Adesso sì che mi sento in famiglia" rise il più piccolo.

E Romano sospirò, lasciandogli una carezza che avrebbe potuto dare anche ad un cane, ma che comunicava tutto il suo affetto per lui "Bentornato, allora" mormorò, prima di andarsene in cucina e preparare, insieme ad Antonio, la cena di Natale.


 
Natale X


"Ho capito che tipo sei" Antonio gli prese la mano con un sorriso "sei uno che pensa, pensa, pensa e crede di capire tutto, ma poi non ci capisce niente"

Romano sfilò la mano dalla stretta dello spagnolo, con un brutalità degna di lui "Che ne sai tu" sputò, ringhiando "Nemmeno mi conosci"

Lo spagnolo continuò a sorridere, avvicinandosi al muretto sul quale era seduto il piccoletto "Ma ti conoscerò, però" spiegò "E saremo amici, no? E io non uscirò mai dalla tua vita"

"Che ne sai? Mica sei un indovino. Possono succedere migliaia di cose durante una vita"

"Lo so perché lo sento. Perché me lo dice il mio cuore, mica la mia testa. E il mio cuore ha deciso che gli stai simpatico e che tornerà sempre da te"

"Che stupidaggine" borbottò l'italiano "Ne riparliamo alla fine della vita. Se ci rincontreremo"

"Io dico che sarai lì accanto a me"

"Boiate"

 
  
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