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Autore: whiteblankpage    28/12/2014    6 recensioni
«Dimmi che quello non è mio figlio» ringhiò, cercando di non pensare a quanto fosse vicina, bella, stanca e pallida, cercando di non realizzare completamente che la stava toccando, dopo tre anni la stava toccando di nuovo ed era come vedere terra dopo mesi di naufragio, stenti e fame. Una fame che gli si concentrò negli occhi, nelle pupille dilatate, che gli strozzò il respiro. Ellie. Sembrava la risposta ad una preghiera ed un incubo uscito dall’utopia notte al tempo stesso.
Missing moment di Weak and powerless - Harry's pov.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Weak and powerless'
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Per tutte le maniache di Asylum, 
per le povere ragazze che abbiamo ormai rovinato, 
e per la nonna di Giorgia (soprattutto per lei). 



All I want is nothing more to hear you knocking at my door.
‘Cause if I could see your face once more I could die a happy man I'm sure.
When you said your last goodbye I die a little bit inside.

 



 
Il giorno in cui Harry Styles conobbe Ellie Morgan il cielo di Londra stava scatenando su lui e Niall, con un inferno d’acqua, ogni sua frustrazione. Di questo il ragazzo ne era certo. Così come era certo, quando Ellie aprì loro la porta, che se non fosse stato per lei sarebbero affogati da qualche parte nei dintorni di Covent garden.
Erano seduti nell’accogliente cucina della ragazza, indossavano degli abiti smessi del padre di Ellie e avevano ancora i capelli un po’ umidi. Si esibivano insieme da appena due settimane e mezzo, eppure avevano collezionato una serie di sfortunati eventi sufficienti a scriverci un libro. C’era stata la bambina che aveva tirato loro una barbie e si era messa ad urlare nel bel mezzo della piazza quando Niall aveva ringhiato un «Bambina del cazzo» tra i denti, il bastardo che aveva bucato le gomme dell’auto di Harry fuori da casa sua, impedendo ad entrambi di andare a suonare, il poliziotto che li aveva perquisiti perché il suo maledetto cane li aveva ‘segnalati’ –sicuramente colpa dei vestiti impregnati del fumo delle due canne di cui Harry aveva avuto bisogno quella mattina per calmarsi-, e, infine, quel temporale biblico. Assurdo.
Quando per la prima volta alzò gli occhi dalla sua tazza di tè e si concesse di osservare meglio Ellie però, si ritrovò a pensare che forse quel temporale non era stato poi tanto male. L’amica di Niall era bella, bella da non crederci. Aveva degli occhi di un azzurro spento che sembrava tendere al verde con la giusta luce, la pelle nivea tipicamente inglese, dei tratti delicati, da donna nonostante dovesse avere diciotto, massimo diciannove anni. I capelli erano biondo scuro, color miele, legati in uno chignon da cui sfuggivano diverse ciocche e le labbra erano di un rosa delicato, labbra che sembrano ancora in attesa di un primo bacio.
«Liam?» chiese d’un tratto.
Niall storse il naso. «Mi ha dato buca».
Ellie annuì, sorrise e si voltò verso di me. «Tu canti o suoni?»
“Tu vuoi che canti, o che suoni?” gli avrebbe chiesto Harry, intrappolato in quel sorriso.
«Canto, più o meno» aveva iniziato a cantare con Niall da così poco che il solo parlarne lo faceva sentire strano, a disagio.
«Più o meno?»
«Lascialo stare» s’intromise Niall, ridendo. «Fa il finto modesto, ma gli piace cantare in strada. Gli si legge negli occhi».
Harry rivolse un sorriso pieno di disagio all’amico, trattenendo la voglia di strangolarlo, e si passò una mano tra i capelli.
«La settimana prossima vieni a vederci» continuò Niall. «Dicono che pioverà tutta la settimana, quindi per qualche giorno dobbiamo stare buoni».
Ellie annuì, sovrappensiero. «Con piacere».
Harry non disse nulla ma le sorrise, guardandola di sottecchi. Ellie si scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e, anche se sembrò accorgersi della sua occhiata, fece finta di nulla.
 
Della prima volta che l’aveva baciata aveva un ricordo talmente sfocato da poterlo scambiare per un prodotto della sua immaginazione. Ricordava di aver fumato un casino quella notte, e di averla guardata tanto, di aver pensato “adesso la bacio” almeno sette volte, e che quando l’aveva fatto Ellie lo aveva semplicemente lasciato fare, schiudendo le labbra che sapevano di birra. Una caratteristica di Ellie erano le labbra screpolate, ed il sapore del burro cacao che teneva sempre nella tasca interna della borsa, del tè verde che bevevano d’inverno e di quei pomeriggi passati sul divano a guardare Taxi driver, che alla fine era fine era diventato il film preferito di Harry –ma forse solo perché sapeva di Ellie-. Harry era sempre stato un po’ distratto ed attaccato alle cose che non durano, ai castelli di sabbia e ai sogni di gloria, uno di quei ragazzi che sembrano non vederlo il mondo, mentre lei era concreta, lavorava e gli parlava della crisi in Europa, gli baciava il collo ed esalava un respiro caldo contro la pelle di Harry, era qualcosa di solido a cui appoggiarsi per non perdersi nei propri labirinti di utopie e sogni. Era calda d’inverno, quando si raggomitolavano sotto le coperte del letto di Harry ancora nudi ed ansanti, e passava le mani piccole sul suo torace come se avesse saputo come curare ogni sua storia sbagliata, era viva quando raggiungeva l’orgasmo e gli stringeva le cosce attorno ai fianchi, boccheggiava in cerca d’aria per non urlare e ricadeva sul cuscino con gli occhi lucidi e belli da diventarci matti, era sincera quando lo accoglieva tra le sue braccia dopo una lite con Anne e gli baciava i capelli tenendo i problemi fuori dalla porta della loro bolla. E come per il primo bacio, per incalzare il primo ‘ti amo’ c’erano voluti alcool e droghe leggere, per la precisione sei bicchieri di vino e cinque canne condivise con Liam.
Erano raggomitolati sul divano dell’appartamento che Liam e Niall condividevano ed Ellie aveva il capo sul suo petto. Ad Harry girava la testa ed aveva iniziato a chiedersi da qualche minuto se la ragazza avesse fatto caso all’anomala frequenza dei suoi battiti cardiaci.
Maledetti battiti” pensò frustrato “ti fregano sempre, come le erezioni e gli occhi lucidi. Dovrei scriverlo in una canzone, che il corpo è la più grande fregatura del mondo. Vorresti tenerti tutto dentro e invece, in qualche modo, ti scappa tutto dai dettagli”.
Erano le 3.00 del mattino e tutto sembrava più facile, anche se facile fino in fondo non lo era mai niente per Harry. Ellie gli accarezzava i capelli e lui si sentiva sempre più stanco e fottuto.
«El?»
«Mh?»
«Ti amo. Te lo volevo dire da un po’ ma…beh, in vino veritas. Ti amo.» veloce come uno strappo, ma non per questo meno intenso. Il secondo “ti amo” della sua vita, il primo sincero.
«Anche io, ma ci metto sempre tanto con ‘ste cose.»
Harry sorrise, lei non lo sapeva ma l’avrebbe aspettata anche per tutta la vita perché quando un’artista si innamora lo fa come un bambino, come un fedele fervente, come un idiota. Completamente, fino all’osso. «Con me puoi metterci tutto il tempo che vuoi.»     
 
Poche settimane dopo Harry ebbe con Anne la lite peggiore della sua vita.
Era tornato a casa dopo aver cantato mezz’ora a Covent garden, aveva discusso con Niall per aver dato una rispostaccia ad un’anziana signora che li aveva accusati di “fare l’elemosina come poveracci” ed era rientrato sbattendo la porta e strascinando i piedi. Aveva bisogno di fumare. Anne lo aggredì nell’esatto istante in cui mise il naso in cucina per salutarla.
«Sai chi ho incontrato, prima?» ringhiò. I capelli scuri erano legati in una coda alta, il viso pressoché privo di rughe era struccato, accigliato in un’espressione delusa, e le braccia erano incrociate al petto.
Harry scosse la testa, non aveva voglia di affrontare un’altra scenata.
«La signora Grabeel. La ricordi?»
Harry aggrottò la fronte, il nome non gli era nuovo ma non riusciva ad associarvi un volto. Scosse la testa, impaziente di tagliare il discorso.
«Era la nostra vicina di casa due anni fa. L’ho incontrata al supermarket, era furiosa perché un certo teppista riccio che cantava a Covent garden l’ha gravemente offesa, oggi.» negli occhi di sua madre c’era tutta la disapprovazione del mondo, uno sguardo che Harry sostenne come aveva fatto tante, troppe altre volte.
«Mi ha dato del poveraccio.» si giustificò, guardando negli occhi scuri di Anne.
«Harry, sei maggiorenne e sono affari tuoi quello che fai, o meglio non fai con la scuola. Ti sei ritirato e ok, l’ho accettato, ma come dovrei comportarmi ora?» la sua voce stridette nelle orecchie del ragazzo come una vecchia automobile arrugginita. Harry strinse i pugni, respirò profondamente. «Canti in una piazza e accetti spicci proprio come un poveraccio, non sei mai a casa e ti comporti come il mondo girasse intorno alle tue stupide fantasie!»
Quelle parole lo colpirono come uno schiaffo, come la ginocchiata nei testicoli che Zayn gli aveva tirato per sbaglio quando avevano dodici anni, come il “Non combinerai mai niente nella vita Styles” che la preside gli aveva snocciolato quando Harry le aveva presentato i fogli per ritirarsi dalla scuola, senza neanche aver conseguito il diploma.
In un modo o nell’altro, tutte le loro liti andavo a sfociare in quel discorso.
«Non c’è niente di male nel cantare in piazza, alla gente piace.»
«Alla gente piace anche chiacchierare, Harry. Sai che gli spiccioli e gli applausi non ti porteranno mai a niente, vero?»
Lo sguardo di Anne era freddo come il marmo, mentre Harry sentiva le paresti della cucina chiudersi intorno a lui, l’aria farsi soffocante.
«Neanche le tue parole.»
Se ne andò sbattendo la porta di casa con gli occhi lucidi ed il cervello che ardeva di rabbia.
 
Le mani di Ellie erano piccole nelle sue, le dita sottili. Avevano fatto l’amore due volte ed Harry si sentiva come se la pelle di Ellie gli avesse tolto di dosso tutto lo schifo del mondo, portando via le parole di Anne e la sensazione di essere il più grande fallito d’Inghilterra. Respirò a fondo il suo odore, quel mix di vaniglia e muschio bianco, e odore di sesso e qualcosa di più radicato, quell’odore tipico che ci identifica come una seconda carta d’identità. Respirò a fondo e si strinse al corpo nudo della ragazza, caldo contro il suo.
«Non h­o intenzione di tornare a casa.» mormorò con voce rauca.
«Rimani con me.»
«Non intendevo questa notte. Intendevo sempre. Cioè, mai. Non ci torno.»
«Allora rimani con me, sempre.» Ellie si appoggiò ad un gomito e lo guardò negli occhi. La luce della lampada illuminava a stento il viso di Harry. Quello era il loro compromesso, perché ad Ellie piaceva farlo al buio mentre lui voleva guardarla, indovinare dai suoi occhi quanto vicina fosse al culmine e quali fossero i suoi punti più se­nsibili.
Sorrise al soffitto mentre Ellie lo osservava combattere contro tutte le lune storte che aveva in testa.
«El.» sussurrò piano, e qualcosa nella sua voce era mutato drasticamente. Chiuse gli occhi nascondendosi il viso tra le mani. «Cosa cazzo sto facendo della mia vita?»
«Harry.» lo chiamò piano, scuotendogli leggermente la spalla. «Hai diciotto anni, cosa mai vorresti fare della tua vita adesso
«Qualsiasi cosa.»
Sentì il letto muoversi mentre Ellie si sedeva a cavalcioni su di lui e si abbassava facendo combaciare i loro corpi. I seni piccoli della ragazza erano premuti contro il suo petto ed Harry poteva percepire il suo respiro caldo sul collo e l’incombente erezione.
«Potremmo iniziare facendo di nuovo l’amore.» sussurrò accarezzandogli le spalle.
Harry si tolse le mani dagli occhi e guardò negli occhi azzurri di Ellie, occhi del colore del cielo di Londra. Le sorrise contro le labbra prima di baciarla. Era un fallito ma finché c’era lei anche essere un fallito andava bene. “Anzi” pensò mentre Ellie gli accarezzava delicatamente il membro per favorire l’erezione, “meglio essere un fallito ma avere lei. Con un diploma ed un lavoro non ci fai niente, se non hai nessuno che ti guardi così”.
«Ottima idea.»
 
Niall gli parlò per la prima volta del suo progetto nel 2012, a Marzo. Erano seduti sulle scale che portavano all’università di Louis. Louis all’università era una delle cose più comiche e difficili da immaginare per Harry, soprattutto Louis ad Economia aziendale.
«Perché non ci spostiamo da Londra? Proviamo a fare…bho, tipo delle tappe.»
«Tappe?» Harry ridacchiò, prese una sigaretta dal pacchetto di Niall e se la portò alle labbra. «Non siamo gli U2, ne sei consapevole?»
«E non lo diventeremo mai se ci facciamo sentire solo dalle solite quattro vecchiette e da Ellie.»
Niall in certi momenti riusciva ad essere persino meno pratico e realista di Harry, il che era tutto dire dal momento che la sua concezione di vita era passare le giornate a fare l’amore con Ellie e a cantare per il piccolo pubblico della piazza.
«E dove vorresti andare, Bono?» continuò a sfotterlo.
«Qualche altra grande città inglese, in Irlanda magari. Ho parenti a Dublino, tentare non costa nulla Harry. Vuoi davvero passare la vita ad accettare il resto della spesa di qualche pensionato?» puntò gli occhi azzurri, sicuri, in quelli di Harry. Era serio, terribilmente serio. «Proviamoci.»
Harry trattenne il respiro, un solo pensiero lo tratteneva dal considerare quella proposta. Ellie. Perché, dove poteva andare uno come lui, senza Ellie?
«Non lo so…»
«Pensaci.»
 
Harry non era mai stato bravo con i regali. Aveva sempre fatto un casino, con sua madre, con tutte le sue ragazze, persino con i suoi amici. Ellie lo sapeva, non ci sperava neanche più. Lo amava anche se era distratto e non ci sapeva proprio fare con le piccole cose della vita. Neanche con le grandi in realtà, ma lo amava comunque.
La sera in cui festeggiarono un anno e sei mesi insieme, nonostante loro non festeggiassero mai, Harry decise di mostrarle il quaderno che nascondeva nel cassetto delle mutande.
Erano seduti sul bordo del suo letto, erano le 20.00 di un luglio insolitamente soffocante ed Ellie aveva i capelli raccolti in una coda alta. Harry aveva una voglia matta di baciarle il collo, ma voleva vedere la sua espressione.
«Guarda…» si sporse verso di lei, le prese il quaderno dalle mani e lo sfogliò in fretta raggiungendo le ultime pagine. «Molte sono a pezzi, devo ordinarle e dare un senso, un titolo ed un filo logico a tutte ma…beh, queste sono tue.»
Sulle pagine a righe del quaderno c’erano pezzi, frasi e appunti di canzoni su Ellie. Era una cosa ridicola, sdolcinata in un modo che lo imbarazzava e forse un po’ da bambini, ma aveva pensato che dopo tanto tempo Ellie avrebbe preferito qualcosa di realmente loro ad un bracciale o a qualche altra idiozia. C’erano frasi scritte dopo una lite, un pezzo che aveva messo insieme una notte passata a scrivere con Ellie che dormiva nel letto vicino a lei, parole messe insieme sulla metro che forse neanche avevano un senso.
Lei sorrise lievemente, divorando con gli occhi chiari quelle pagine.
«Se adesso il cuscino non profuma di vaniglia e muschio non dormo.» lesse, la voce che si perdeva flebile nel silenzio della stanza. «Se spegni la luce ti racconto un segreto…» un singhiozzo le spezzò la voce, lui rimase ad osservarla tremando leggermente. «Non sono capace a fare niente ma le tue labbra certe sere sanno di qualcosa in cui vorrei morire
Rimasero entrambi in silenzio qualche istante. Quando Ellie alzò gli occhi verso di lui le lacrime le offuscavano lo sguardo e le labbra erano intrappolate tra i denti.
«Harry…» sussurrò. Schiuse le labbra per continuare, ma non le uscì un solo suono.
Harry le accarezzò una guancia e posò la fronte contro la sua. La conosceva abbastanza da immaginare il vespaio di parole che le si agitavano in testa senza trovare l’uscita. Era sempre stata così, e lui amava da fare schifo anche quei silenzi così pieni.
«Lo so.» la rassicurò, asciugandole le lacrime dalle guance con i polpastrelli dei pollici.
«Ti amo.» un ‘ti amo’ strozzato, di quelli che per uscire hanno dovuto lottare perché a volte è più facile rimanere in silenzio e guardarsi.
Harry la baciò, sentendo quel sapore tutto suo che neanche le parole avrebbero mai saputo dipingere.
«Vedi che li so fare, i regali?»
Ellie scoppiò a ridere e lo colpì al petto con il pugno.
«Ne riparliamo a Natale.»
 
Niall lo convinse, alla fine. Il loro grande viaggio, il tentativo di una vita, “adesso che siamo giovani e possiamo dormire sul pavimento senza svegliarci con troppi dolori”. Uno dei tanti sogni che Harry aveva rincorso per tutta la vita, l’ennesimo salto nel vuoto che poteva concludersi con un atterraggio morbido o con una faccia al muro.
Ellie non volle seguirlo.
Si lasciarono come gli adulti, con Ellie che rimaneva in silenzio a tormentarsi le mani ed Harry che si sarebbe gettato a terra come un bambino per supplicarla di fare la valigia e andare con lui, perché non sarebbe sopravvissuto a metà. Ma non lo aveva fatto. Forse non importava veramente a nessuno dei due o, forse, importava troppo ad entrambi per procurarsi altre ferite.
Partirono pochi giorni dopo, Harry era pallido e bastavano le occhiaie a capire che aveva. Niall non fece mai domande.
 
Iniziò a soffrire d’insonnia, curò l’insonnia con le canne ed iniziarono a tremargli le mani per le canne. Cercava di non pensarci, di non fissare il telefono, il suo profilo facebook, il quaderno che gli aveva regalato per scrivere, ma poi un ricordo gli si parava davanti ai pensieri, un bacio nella cucina di casa di Liam e Niall, una lite un po’ troppo forte e stupida, e l’odore di Ellie gli mancava fino a strangolarlo. C’erano notti in cui non riusciva a staccarsi dalla penna e scriveva canzoni che non sarebbe mai riuscito a cantare per il semplice motivo che lei non le avrebbe mai ascoltate.
Le prime settimane furono le più dure. Potevano passare anche tre giorni senza che fosse completamente sobrio e in retti sensi.
Niall gli tirò un pugno una sera, trovandolo nella loro stanza d’ostello, completamente ubriaco. Erano ad Oxford. Fu il pugno più soddisfacente della vita di Niall quello, ma l’amico ebbe il tatto di non dirglielo ed Harry ignorò quel pensiero.
Fortunatamente, alla fine arrivò l’apatia. Una dolce nube in cui lasciar correre i pensieri senza che si aggrappino a nulla di pericoloso, un’anestesia capace di cullare i sensi verso il torpore del cuore. Dopo l’apatia, arrivò l’accettazione. Quell’accettazione totalmente artefatta in cui ci si racconta che la vita va avanti, che il mare è pieno di pesci e che, in qualche modo, ce la faremo. Anche se alla fine sono tutte cazzate, e sopravvivi più per inerzia che per reale attaccamento alla voglia di andare avanti anche senza un pezzo.
 
 
Non era mai stato un ragazzo con i piedi per terra. Aveva la nomina del distratto, l’etichetta di quello che vive di sogni, ambizioni e cose eteree ed irrealizzabili. Forse, rifletté tre anni dopo, era per questo che con Ellie era andato tutto a puttane. Perché Ellie era vera, troppo vera per quelli come lui. Era fatta di carne ed ossa, di un profumo che lo faceva impazzire, dolce e fruttato, era vera perché si era diplomata ed aveva trovato un lavoro, aveva accettato la vita ed era entrata a farne parte come chiunque altro. Forse l’aveva persa proprio perché lui con le cose concrete non ci sapeva fare, e l’amava troppo per tenersela stretta.
E forse, pensò quattro anni dopo Harry Styles, pietrificato nel bel mezzo del reparto ortofrutticolo di quel supermercato, quel bambino biondo non era neanche suo. Come poteva, uno che aveva lasciato gli studi ad un anno dal diploma, che aveva rinunciato all’unica cazzo di ragazza che avesse mai potuto amare, essere padre?
«Harry…» il battito sordo del suo cuore gli rimbombava nelle orecchie con una ferocia tale che sentì a stento la voce di Niall.
«Oh porca puttana.»
«Quanti…» l’amico non trovò il coraggio di proseguire.
Si schiarì la gola, cercando di respirare. «Quanti anni può…avere?» suggerì amaramente, stringendo i pugni fino a far sbiancare le nocche.
Niall annuì.
«Non saprei. Forse tre. O quattro. Cinque no, impossibile.» cinque anni prima Harry ed Ellie erano agli inizi, in quella parte di una relazione in cui tutto sembra difficile da morire ma bellissimo. Cinque anni prima Harry aveva conosciuto il suo più grande rimorso futuro.
L’altro rimase in silenzio, trattenendo il respiro.
 
Tre anni e Dio solo sa quanti rimpianti dopo, Harry Styles si ritrovò a suonare furiosamente alla porta del suo amore perduto, dei suoi occhi preferiti, alla porta di tutte le cazzo di canzoni che aveva scritto e non avrebbe mai cantato, di tutti i posti in cui non avrebbe potuto portare nessuno perché ormai era fatta, era finita, l’amore l’aveva visto in faccia, gli aveva dato un nome, un volto ed un profumo, e adesso era troppo tardi, adesso in quei posti non poteva metterci più piede perché non aveva nessuno(Ellie) da portar con sé. E quando Ellie aprì, finalmente, dopo interminabili minuti che avevano il sapore di ore intere, lui perse ogni briciolo di lucidità. Le afferrò con forza il polso sbattendosi dietro la porta, ed inchiodò con i suoi occhi quelli azzurri di Ellie. Quasi non la vide eppure la divorò con lo sguardo.
«Dimmi che quello non è mio figlio» ringhiò, cercando di non pensare a quanto fosse vicina, bella, stanca e pallida, cercando di non realizzare completamente che la stava toccando, dopo tre anni la stava toccando di nuovo ed era come vedere terra dopo mesi di naufragio, stenti e fame. Una fame che gli si concentrò negli occhi, nelle pupille dilatate, che gli strozzò il respiro. Ellie. Sembrava la risposta ad una preghiera ed un incubo uscito dall’utopia notte al tempo stesso.
«Ellie» la implorò, cercando di non crollare.
I suoi occhi si riempirono di lacrime e per Harry furono più forti di un urlo.
«Ellie cosa cazzo hai fatto». Fece un passo avanti, verso di lei, verso i suoi occhi, le sue pupille, verso tutto quello che si erano lasciati dietro. Vide Ellie cercare di afferrare un respiro che sembrava non riuscire a raggiungere i polmoni. Iniziò a tremare, chiuse gli occhi e capì di aver tirato un pugno al muro solo quando sentì il dolore alle nocche propagarsi per tutta la mano. Quasi non sentì il dolore, la pelle bruciare nei punti in cui si era aperta contro il muro e quella rabbia muta. Non sentiva nulla, tranne Ellie. La sentiva così forte che si chiese se potesse esistere, per lui, dolore più grande.
«È mio» sibilò alzando nuovamente lo sguardo. «E tu non mi hai mai detto un cazzo!» urlò così vicino al suo viso da sentire il calore del respiro spezzato di Ellie addosso. La guardò negli occhi, andando così a fondo da chiedersi come avrebbe fatto ad uscirne. Lei rimase in silenzio, una figura sfocata dalle lacrime che sembrava lontana anni ed anni. Come erano finiti lì? Come aveva fatto, Ellie ed Harry, a prendere strade tanto lontane? Amarsi troppo a volte è peggio che non amarsi affatto, evidentemente. Aveva un figlio. Avevano un figlio. Loro, anche se il loro non c’era più. C’erano solo le sue nocche spaccate e gli occhi pieni di chissà cosa di lei. Ma loro avevano un figlio. Quel pensiero continuava ad assillare Harry, eppure non riusciva a prendere forma, a divenire concreto. Un figlio, ma due parole non bastavano, era tutto troppo strano, veloce, c’erano anni da recuperare, pianti nel cuore della notte e passetti incerti sul pavimento del salotto, non bastava pensarlo. Doveva viverlo, e sentire il calore, l’odore e la presenza di qualcosa che lui aveva contribuito a creare. Lui, che aveva sempre distrutto tutto. Lui, che era stato definito un fallito pressoché da chiunque. Un figlio. Si chiese quando lo avessero concepito, se durante il sesso per far pace da una brutta lite o l’amore fatto di fretta prima di uscire, senza riuscire a staccarsi le mani di dosso. La gola gli bruciava nello sforzo di non scoppiare a piangere sotto il peso degli occhi azzurri di Ellie, che anche dopo quattro anni erano macigni per lui.
Le lasciò andare il polso e si accorse delle lacrime che le scorrevano sul viso come piccoli sentieri di rimpianto. Sentieri che, pensò con rammarico, non potevano essere percorsi all’indietro. Certi dolori sono a senso unico.
«Si chiama Eliot» la sentì sussurrare, finalmente.
Eliot. Il nome di uno sconosciuto. Uno sconosciuto che era suo figlio.
Quattro anni.
«Eliot» lo ripeté meccanicamente, fissando Ellie in cerca di risposte che nessuno dei due aveva mai avuto. Si guardarono, Ellie sembrava non dormire da una vita ed Harry si sentiva improvvisamente vecchio, pesante. Rotto. Dove erano finiti i loro diciotto anni? Dove erano i baci di Ellie e le sue mani piccole che sapevano trovare i brividi sulla sua schiena e dare un nome ad ogni sua ansia? Dove erano finiti i quattro anni persi a starsi lontani?
«Perché lo hai fatto?»
«Perché sarebbe stato un peso. Non eri pronto. N-non mi amavi abbastanza.»
Non mi amavi abbastanza.
Non mi amavi abbastanza.
Non l’aveva amata abbastanza.
Se quello non era abbastanza, Harry non aveva più convinzioni. Nulla in cui credere, solo un niente che faceva più male di un addio. Se non l’aveva amata abbastanza, tutto quel dolore ovunque cosa era stato? E che voleva saperne lei, dell’amore, che non aveva neanche trovato il coraggio di andare con lui in Irlanda? Con quale diritto gli buttava addosso parole come fossero bombe? Come se non si fossero abbandonati a vicenda.
«Ma io ti amavo» fu tutto ciò che riuscì a sputare, ferito così nel profondo da non saper dire esattamente dove. Io ti amo. Ecco dove.
Ellie scosse la testa, ed Harry avrebbe solo voluto urlarle in faccia che sì cazzo, l’aveva amata da fare schifo e ancora la amava, dopo tutto quel male, e probabilmente l’avrebbe amata ancora per chissà quanto tempo.
Si passò una mano sul viso, sentendo le lacrime sotto i polpastrelli delle dita.
«Ma che cazzo dici…non provare a darmi la colpa adesso. Non devi provarci, non me lo merito.» sembrava la supplica di un uomo distrutto quella.
«Mi hai lasciata, Harry.» un’accusa, negli occhi chiari di Ellie solo un mare di lacrime.
«Non mi hai mai detto di mio figlio!» si ritrovò ad urlare, di nuovo. Quante urla servono per aggiustare qualcuno?
«Non sapevo che fare.» piagnucolò lei, abbassando lo sguardo. Una donna adulta che si nasconde dietro una voce da bambina, dietro a delle scuse. Scuse, sempre le solite scuse.
«Ho perso quattro anni della vita di mio figlio perché tu-» calcò quel ‘tu’ con asprezza, come a voler sottolineare che il ‘noi’ non sarebbe mai più potuto tornare «-non sapevi che fare?» alzò nuovamente la voce, schiudendo le labbra nel tentativo di tornare a respirare regolarmente.
«Non volevo che tornassi da me perché eri costretto.» quelle parole affondarono dentro Harry come una gelida lama. Quattro anni prima aveva scelto la sua vita ad Ellie ed ora si sentiva schiacciato da tutti i ‘se’ che per anni aveva accantonato ed ignorato.
E se fosse rimasto?
E se avesse scelto lei?
E se avesse scelto un’altra vita?
«Ma io ti amavo» fu tutto ciò che riuscì a ripetere, ormai in singhiozzi.
 
Gli occhi di Eliot erano luminosi, Harry lo guardava e vedeva un bambino felice.
Eliot lo aveva aspettato per tutto quel tempo, glie lo aveva confessato Ellie con un filo di voce e gli occhi bassi. Neanche si era realmente reso conto di cosa era successo, era ancora troppo piccolo. Un bambino che aveva aspettato il padre per tutta la vita, e quando poi lo aveva incontrato non aveva fatto domande. Non c’era bisogno di chiedere, bastava abbracciarsi e guardare i cartoni animati insieme sul divano, prendere un gelato e non scoppiare a piangere, bastava capire, ascoltarsi e raccontarsi. Era strano, difficile, doveva prenderci la mano ed imparare, doveva crescere per essere un buon padre. Eliot lo aveva aspettato per così tanto tempo che il minimo che Harry poteva fare era migliorarsi per lui e con lui. Faceva ancora male, ma era bello. Eliot sembrava uscito da una delle foto che Anne custodiva gelosamente nel cassetto del comodino in camera da letto, foto dell’infanzia di Harry e dei suoi primi anni di vita. Erano due gocce d’acqua, ma poi Eliot iniziava un disegno o cercava di capire un nuovo gioco, e nei suoi occhi si dipingeva l’espressione seria di Ellie, lo sguardo concentrato di chi le cose cerca di capirle, non ci gira intorno, e lui capiva di aver sbagliato tutto nella vita. Avrebbe potuto passare ore ad osservarlo, meravigliandosi di come due persone potessero mescolarsi bene in una nuova vita.
Ellie. Gli bruciava ancora la gola se la guardava troppo a lungo. Quante canzoni le aveva scritto.
Se quello non era stato abbastanza amore, Harry davvero non aveva più niente a cui credere.
 
Aveva trovato lavoro alle poste, viveva con Anne, vedeva Eliot il più possibile ed evitava gli occhi di Ellie come meglio poteva. Non fumava più, aveva chiuso con le stronzate. Niall quasi si era strozzato dalle risate quando glie lo aveva detto, ma ormai aveva capito anche lui. Anche in Niall era cambiato qualcosa. La vita li aveva travolti e dei due ragazzi pieni di stupidi ideali erano rimaste solo ossa e resti.
Vedere Ellie gli riaccendeva dentro una nostalgia senza nome forte da impazzire, una nostalgia capace di piegarlo in due nel bel mezzo della strada. Ma alla fine era successo, in fondo era inevitabile e un po’ c’era da aspettarselo. Avevano fatto di nuovo l’amore, come due estranei che vivono un déjà-vu. E non era quello che si erano detti quel pomeriggio a tormentarlo, né la sensazione di essere di nuovo dentro di lei, con lei, di avere il suo odore tatuato addosso, le sue mani ovunque, il suo corpo tremante che risponde solo alle sue mani, no non era ciò a tormentare Harry. Quella era un’altra storia, un ricordo che cercava di non rievocare per paura di sbiadirlo. A tormentarlo era l’immagine della schiena diafana di Ellie rivolta verso di lui, poco dopo aver fatto l’amore. A tormentarlo era la voce aspra di Ellie e lo sguardo di chi non ti riconosce più.
«Non dobbiamo parlarne per forza»
«Sono sei anni che ti amo, senza riserve e in modo patetico. Ti amo, ma non ce la faccio proprio.»
«Nessuno dei due ci ha mai provato.»
E di nuovo la schiena di Ellie, nitida nella sua mente come un addio.
 
 
Quattro giorni. Erano passati quattro giorni. Quella schiena lo aveva tormentato ogni singolo istante, dal momento in cui era uscito da casa di Ellie sbattendo la porta.
Eliot era uscito di scuola prima, ed Ellie non era potuta andare a prenderlo. Probabilmente lo aveva chiamato come ultima risorsa, ma preferiva non pensarci. Arrivarono a casa alle 12.45 e trovarono Ellie fuori dalla porta, di ritorno dal supermarket. Le buste della spesa erano posate a terra, davanti alla porta. I capelli di Ellie erano sciolti, lunghi e un po’ rovinati come sempre, le labbra screpolate. Indossava il cappotto chiaro con cui l’aveva rivista al supermercato, i jeans neri le fasciavano le gambe lunghe, le ginocchia appuntite e quelle forme che lui conosceva meglio delle proprie tasche. Non si era truccata, sembrava portarsi dietro una stanchezza infinita.
Non si guardarono negli occhi.
Eliot lo abbracciò, sorridendogli in quel modo che gli stringeva lo stomaco ogni volta. «Ciao pa’!»
«Ciao» tirò fuori un sorriso anche se dentro stava tremando. Trattenne un sospiro mentre Eliot prendeva la mano di Ellie e la guardava come se avesse davanti il mondo, come un tempo (quattro giorni prima) Harry stesso l’aveva guardata.
Ellie abbozzò un “grazie” ed un sorriso spento. Non alzò gli occhi, né Harry cercò il suo sguardo.
«Ciao Ellie.» mormorò piano.
«Ciao Harry.»
Così formali, freddi, adulti. Così lontani, a due passi l’uno dall’altra. Così pieni di vuoto.
Harry non l’avrebbe mai dimenticata, quella schiena nivea puntata verso di lui come un’accusa.
Nessuno dei due ci ha mai provato.
In fondo, lei aveva sempre avuto ragione.
 
 
 



Spazio autrice:

Sono arrivata alla fine di questa os ridotta male, quasi quanto lo ero alla fine di Weak and powerless. 
Mi sento svuotata, e non so neanche cosa scrivere in questo spazio perché proprio non riesco a pensare. Un giorno inizierò a scrivere cose allegre forse, chissà. Per ora dovrete accontentarvi dei miei personaggi malati o sofferenti. 
Lascio a voi la parola perché questo spazio davvero non ha senso, spero veramente di aver ridotto qualcuno in lacrime ahahah.
Passate un bel capodanno, se mi cercate io sono qui: https://www.facebook.com/profile.php?id=100008508791099 
Miao. 


  
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