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Autore: M4RT1    28/12/2014    1 recensioni

“Mi hai preso le mani” constatò, piatto.
“Non sapevi dove metterle, l’altra volta” si giustificò l’agente. “Così ho pensato di evitare che mi abbracciassi di nuovo”.
“Davvero gentile da parte tua” borbottò il ragazzo. “Andiamo?”
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: Neal Caffrey, Peter Burke
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A series of one shots, starting where your OTPs first kiss is messy and awkward and they are not quite sure how to do it right. Then their next kiss is better, perhaps holding hands comes more naturally to them and they start to learn each other and how their bodies work together. Then finally kissing doesn’t seem like such a big deal, they do it casually or heat things up a little even. Maybe end with their wedding kiss?
[Prompt tratto da: otpprompts.tumblr.com]


Cominciò tutto con una scommessa tra ubriachi nel cuore della notte – il classico genere di cose che potevano accadere lasciando Mozzie con due bicchieri e una bottiglia di whisky.

Mentre il cielo da blu diventava cobalto e la città si godeva le ultime ore di sonno, l’ultimo bicchiere di liquido pungente scorse giù per la gola di Neal insieme alle parole dell’amico – parole strascicate e confuse.

“Sono sicuro che tu sia un Consulente, Neal” mormorò, ridacchiando senza motivo. “Non un agente dell’FBI”.

Neal si passò la testa tra le mani, arruffandosi i capelli.

“Ti dico di no, Moz!” quasi urlò, allegro. “Sono un agente!”

E alla fine avevano scommesso.

“Se sei un Consulente, allora farai la cosa più umiliante che ti viene in mente” aveva sentenziato Mozzie, agitando convulsamente un braccio e facendo volare via il bicchiere.

“Cose tipo baciare June?” aveva domandato Neal, d’improvviso preoccupato, mentre le schegge riempivano il parquet del loft.

“No!” Questa volta l’altro aveva urlato, svegliando di sicuro la proprietaria di casa. “Bacerai me!”

“Preferirei baciare Peter, piuttosto…” aveva biascicato Neal, cercando di poggiare il suo bicchiere sul tavolino.

“Siamo d’accordo, allora”.
***
 
La prima volta che Neal aveva baciato Peter erano soli, in ufficio.

Il più giovane aveva cercato di convincere l’altro a cambiare la dicitura sul suo tesserino – “Agente suona meglio di consulente, Pete!” aveva esclamato, ma senza risultati.

E allora si era convinto a dirgli della scommessa (omettendo la parte del whisky rubato e dei segreti sul caso che aveva rivelato al suo amico). Peter lo aveva ascoltato con attenzione, seduto alla sua scrivania, accigliandosi e ridendo ai punti giusti, annuendo alle pause del uso imbarazzatissimo amico, finchè non era arrivato il momento clou della narrazione.

“Quindi dovresti baciarmi?” chiese infine, con tono piatto.

Neal annuì in silenzio, le labbra serrate in una smorfia di disappunto. “Non sei arrabbiato?”

“Diciamo che non è l’aggettivo con cui mi descriverei in questo momento” sospirò l’agente, alzandosi. “Direi più stupito, o magari disgustato-

“Disgustato, Peter?” Neal sembrò quasi offeso. “Davvero mi reputi così nauseante?”

Nel vedere il ragazzo allisciarsi la camicia, Peter spalancò gli occhi in un’espressione buffa. Aprì la bocca per parlare, poi la richiuse, la riaprì e infine lasciò cadere le braccia contro i fianchi. “Io- oh, al diavolo! Baciami e finiamola con questa storia”.

Se si fosse trattato di chiunque altro avrebbe insistito, si sarebbe rifiutato, sarebbe entrato in un programma di protezione testimoni pur di non essere costretto a dare quel bacio. Ma si trattava di Neal Caffrey, e Peter era certo che non l’avrebbe lasciato stare finchè non avessero risolto quel problema.

Così si avvicinò.

“Non lo trovi imbarazzante?”

Si avvicinò ancora, piano, come a una bestia ferita.

“Trovò più imbarazzante la tua cravatta”.

Erano l’uno di fronte all’altro, come in altre cento occasioni. Ma, in genere, Neal non muoveva le mani in quel modo decisamente equivoco, indeciso su dove poggiarle – e lui non sentiva il sangue affluirgli alle guance come durante il primo bacio con Elizabeth.

“Piantala, Neal!” sbottò a un certo punto. “Metti le mani in tasca e baciami!”

E le loro labbra si erano sfiorate per una frazione di secondo, mentre le braccia di Neal circondavano i fianchi di Peter e i fianchi di Peter si dimenavano per liberarsi dalla stretta delle braccia di Neal. I loro corpi si erano toccati – le costole di Neal contro la pancetta di Peter, le scapole del consulente contro le spalle dell’agente. Alla fine, Peter aveva spinto via il ragazzo ed entrambi si erano puliti la bocca con la mano, gli occhi bassi.

“Non ti facevo così spigoloso, Peter”.

“Smettila, abbiamo finito” borbottò l’agente. “Ora torna al lavoro”.
 
***
 
La seconda volta che Neal aveva baciato Peter erano nel loft di June, in presenza di Mozzie.

In piedi accanto al tavolo della cucina, in un imbarazzato silenzio piatto, gli occhi di Neal erano fissi sul pavimento e le mani strette l’una nell’altra – Peter, dal suo canto, non faceva nient’altro che battere nervosamente un piede sul parquet e attendere con impazienza.

“Neal” scattò dopo qualche minuto, mentre Mozzie si versava l’ennesimo bicchiere di vino. “Tra mezz’ora dobbiamo andare in ufficio. Credi di poterti sbrigare?”

Di certo, svegliarlo un’ora prima del previsto per trascinarlo a casa sua non era stato un buon modo per convincerlo a dare un secondo bacio all’uomo che per tre anni aveva inseguito e a cui ora doveva fare praticamente da babysitter. Eppure, era esattamente mentre lo spronava a scegliere una cravatta intonata al colore delle scarpe che il consulente gli aveva spiegato la situazione.

“Mozzie doveva essere presente, a quanto pare” aveva sussurrato mentre, in piedi sull’uscio della camera da letto, osservava Peter cercare l’orologio senza svegliare El. “E stamattina è a casa mia” aveva continuato, trattenendo una risata alla vista del padrone di casa che, con un tonfo, era scivolato sul pavimento. “Quello è il reggiseno di tua moglie?”

“Fatti gli affari tuoi, Caffrey” aveva sibilato Peter.

E in quel momento, dopo altre diverse imprecazioni, erano entrambi lì, in piedi.

“Allora? Ce la fai a superare l’imbarazzo prima di mezzogiorno?” rincarò Peter, sbuffando. Era ovvio che la cosa lo metteva terribilmente a
disagio e reagiva fingendo noncuranza, come Neal gli fece notare subito dopo scatenando l’orgoglio del suo capo. “Mi sentirei a disagio, dici?
E perché mai?”

Neal non trovò risposta. Si limitò a scuotere il capo e scrollare la spalle, sistemandosi bene la cravatta e avvicinandosi all’altro.

“Sono pronto” annunciò. “Facciamolo”.

Mozzie si raddrizzò sulla sedia.

E si baciarono di nuovo. Questa volta, le mani di Neal si trovarono intrappolate in quelle di Peter mentre, ancora una volta, le labbra fredde del ragazzo toccavano quelle più calde dell’altro.

Uno, due, tre secondi. Neal li contò prima di prendere le distanze e tossire, imbarazzato. Mozzie sembrava soddisfatto, tanto che annunciò di volere un’altra bottiglia di vino. Mentre l’amico era di spalle, Neal si voltò verso Peter:

“Mi hai preso le mani” constatò, piatto.

“Non sapevi dove metterle, l’altra volta” si giustificò l’agente. “Così ho pensato di evitare che mi abbracciassi di nuovo”.

“Davvero gentile da parte tua” borbottò il ragazzo. “Andiamo?”
***
 
La terza volta non fu programmata.

Accadde alla fine di una giornata particolarmente stancante, dopo che tutti furono andati via. Peter era ancora in ufficio, intento a firmare le ultime scartoffie e, insieme a lui, solo Diana e Neal erano ancora presenti – lei seduta alla sua scrivania, lui nell’ufficio del capo.

“Va meglio, Neal?” domandò Peter dopo un po’, senza alzare lo sguardo. I suoi occhi si muovevano frenetici da un rigo all’altro, bramando il momento in cui avrebbe terminato di leggere quella noiosissima relazione.

“Sto bene” sbottò l’altro. Sdraiato sul divanetto di pelle dell’ufficio, non aveva fatto altro che contorcersi per la mezz’ora precedente – poi, finalmente, vinto dalla spossatezza, si era fermato. “Non ho nulla, te l’ho già detto!”

Peter scosse la testa, sorridendo con sufficienza.

“Intanto, hai una caviglia slogata. E poi non abbiamo finito con le schegge” spiegò calmo, come se parlasse a un bambino di cinque anni. “E naturalmente, il fatto che tu sia sul punto di addormentarti la dice lunga su quanto il tuo “niente” possa considerarsi una prova del fatto che cadere da un soppalco trascinandosi dietro un lampadario di cristallo sia stancante, oltre che pericoloso” concluse.

Due rapporti, pensò poi. Solo altri due e sarebbe tornato a casa.

“Non sarebbe stato pericoloso, se il sospettato non si fosse accorto dell’inganno” controbatté il ragazzo, puntellandosi sui gomiti. “Ne abbiamo già parlato!”

“E mi pare di averti già detto che se n’è accorto, o no? E che quindi le tue supposizioni sono del tutto inutili” terminò Peter, firmando l’ultimo foglio. “Ecco fatto” disse infine. “Ora devo solo-”

“Peter?”

Peter roteò gli occhi.

“Che succede, Caffrey?”

“Mi riaccompagneresti a casa?”

L’agente sospirò.

“Certo che lo faccio. Come vorresti tornare?” chiese, stizzito. Poi gli si avvicinò. “Se non ti senti bene, puoi sempre venire da me. El ne sarà fin troppo contenta” gli propose.

Neal scosse la testa.

“Ti ho detto che sto bene!” ripeté ancora. “Certo, starei meglio se mi aiutassi a togliere queste schegge dal polso, eh” continuò, borbottando.
“Sai, non è bello non poterlo muovere senza rischiare di sanguinare di più”.

Pochi minuti dopo, Peter era inginocchiato accanto a Neal – una pinzetta tra le dita. Ignorando i lamenti di quest’ultimo (d’altronde, era stato lui a rifiutarsi di andare in ospedale) aveva già estratto quattro schegge di vetro trasparente e, probabilmente, ce n’erano almeno altre tre da eliminare.

“Credi ancora di voler tornare a casa?” chiese, sarcastico.

“Ahia, Peter, smettila!” si lamentò l’altro. “Dio, sei più violento di Diana!”

“Guarda che ti ho sentito!” gridò la donna, salendo le scale. “E comunque, se vuoi, posso toglierti io le schegge dalla mano, Caffrey” aggiunse, sorridendo.

Neal scosse il capo. Cercò di stare in silenzio mentre Peter terminava il lavoro, estraeva le fasce dalla valigetta del pronto soccorso e ci avvolgeva il polso. Poi, quando ebbe terminato, si concesse una smorfia.

“Fa male?” gli chiese l’uomo.

“Un po’” ammise il ragazzo, provando a muovere la mano.

“Fermo, Neal” lo ammonì l’altro. “Vieni, ti aiuto ad alzarti. Vuoi un po’ di ghiaccio?” gli chiese, premuroso.

“Non ti avevo mai visto in versione mamma, Peter” lo prese in giro l’altro. “Mi daresti anche un bacino, se volessi? Così, per far passare la
bua?”

Nei giorni seguenti, Peter avrebbe giurato di averlo fatto per scherzo e Neal, che mentre l’altro si chinava verso di lui non si era spostato di un centimetro, avrebbe negato che quel bacio fosse stato reale.

Fatto sta che, dopo la domanda del ragazzo, le labbra di Peter toccarono per la terza volta quelle di Neal. Sapevano di caffè e stanchezza. E il ragazzo, pur non collaborando, non fece nulla per allontanarle – come se quel tocco morbido facesse bene anche a lui, alle sue labbra secche al sapore dello zucchero con cui si era ripreso dopo la caduta.

Poi l’agente si staccò e per un momento lo fissò negli occhi, indeciso.

“Vieni, ti accompagno a casa”.


N.d.A.: è la mia prima slash in assoluto, non uccidetemi please D:

 
  
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