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Autore: Cherish    29/12/2014    1 recensioni
Charles era deluso.
Deluso da tutto, dalla sua vita vissuta nell’illusione di poter fare qualcosa di buono per se stesso e per gli altri, deluso da una realtà ben diversa da quella che aveva immaginato e desiderato per il suo futuro e per la sua stessa vita.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Erik Lehnsherr/Magneto
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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*per una lettura più profonda consiglio di ascoltare la canzone “Fire Escape” dei Foster the People* <3

FIRE ESCAPE

CAP. 1
SAVE YOURSELF
Nella penombra del suo studio Charles era seduto sul divano e osservava con sguardo spento il soffitto, che riusciva a malapena a distinguere per la pochissima luce che filtrava timida da una finestra socchiusa.
 
Era passata quasi una settimana da quando non aveva più i suoi poteri, effetto “indesiderato” della cura che Hank gli aveva preparato per permettergli di nuovo di camminare.
 
Da una settimana non “sentiva” più niente, nulla di nulla, nessun pensiero altrui gli aveva più invaso la mente: forse era per questo che aveva iniziato a sentirsi innaturalmente leggero, vuoto, spento.
 
Ma gli andava bene così; non voleva più sentire nessuno, gli bastavano e avanzavano i suoi pensieri scomposti che cercava puntualmente di annegare nell’alcool.
 
Pensieri, i suoi, di rabbia e disperazione che si erano fusi insieme creando nel suo cuore la delusione.
 
Charles era deluso.
 
Deluso da tutto, dalla sua vita vissuta nell’illusione di poter fare qualcosa di buono per se stesso e per gli altri, deluso da una realtà ben diversa da quella che aveva immaginato e desiderato per il suo futuro, per la sua stessa vita.
 
Era per questo che aveva iniziato a bere, desiderava assopire se stesso, per poter soffrire di meno, e far finta che andasse tutto bene. Doveva, doveva assolutamente. C’era Hank con lui, l’unico che gli era rimasto accanto e che si preoccupava ancora per lui. Non voleva assolutamente che questi si preoccupasse più del dovuto, voleva davvero riuscire ad annegare i suoi pensieri, soffocandoli nell’alcool.
 
Passarono interminabili minuti nei quali Charles, col volto rivolto verso il soffitto, tentò disperatamente di non far scendere le sue lacrime che prepotenti innondavano i suoi occhi, un tempo brillanti gemme blu che ora sembravano miseri contenitori di lacrime.
 
Charles si sentiva annegare.
 
Sentiva la sua gola bruciare e il suo respiro trattenersi per non scoppiare a piangere.
 
Strizzò gli occhi con forza e bevve l’ultimo sorso di wiskey che fino a quel momento aveva tenuto in mano.
 
Aveva il viso rigato dalle lacrime e con la poca forza che aveva in corpo appoggiò il bicchiere sul tavolino di fronte a sé, dove troneggiava la scacchiera, un tempo luogo di sfida suo e di Erik.
 
Erik.
 
Quel nome risuonò tonfo nella sua testa, come il suono sordo che emise il bicchiere che aveva precariamente appoggiato sul bordo del tavolo.
 
Erik aveva lasciato un vuoto incolmabile dentro di sé, soprattutto da quando le loro menti smisero di essere in contatto.
 
Charles si portò due dita alle tempie.
 
Sorrise, di un sorriso cupo, non suo.
 
Sorrise sentendo a malapena i suoi pensieri persi nell’oblio della sua ebrezza.
 
Si sentiva come sordo, come se la sua paralisi dalle gambe si fosse spostata dentro la sua testa.
 
“Si può morire di solitudine?” si chiese, mentre ricadde riverso sul divano, chiudendo gli occhi assopendosi.
 
***
 
“Quando hai scoperto i tuoi poteri?”
 
Erik e Charles erano nella grande e luminosa libreria.
 
Era un pomeriggio caldo e soleggiato. Hank, Raven, Moira e i ragazzi erano fuori per godersi il caldo tepore di quel pomeriggio uggioso.
 
Charles era comodamente seduto sulla poltroncina della sua scrivania, assorto nella lettura e a malapena aveva sentito la domanda che gli era stata appena rivolta.
 
Erik era appoggiato sullo stipite della porta e osservava Charles come incantato: ammise a se stesso che era davvero molto bello, con quel lieve sorriso e il viso inclinato su di un lato concentrato nella lettura, e si sentì quasi geloso di quel libro che con avida dedizione veniva letto sotto quello sguardo così intenso e devoto voleva che fosse rivolto solamente a lui.
 
Erik abbassò gli occhi impassibile sentendosi un emerito idiota per quello che aveva appena pensato, sperando che Charles non avesse captato i suoi pensieri.
 
-Come mai questa domanda, amico mio?-
 
Erik rialzò lo sguardo e i suoi occhi color del ghiaccio incontrarono quelli color del cielo di Charles.
 
“Quegli occhi…” pensò.
 
Quegli occhi, quello sguardo sereno e sincero erano la sua più grande tentazione: quando Charles lo guardava era sempre tentato dal saltagli addosso e baciarlo.
 
-Beh, sai, tu sai tutto di me, ma a esser sinceri, io di te so davvero poco, non mi pare giusto…- gli rispose con un ghigno mentre si avvicinò verso di lui.
 
-Stai forse dicendo che sono un “ficcanaso”?-  gli chiese assottigliando lo sguardo, senza però trattenersi dal sorridergli.
 
-Non l’ho detto…- gli rispose roco Erik, per poi appoggiare le mani sulla scrivania sporgendosi verso il viso di Charles il quale sospirò piano per il piacere che quella vicinanza gli provocava.
 
-Però l’hai pensato…- gli sussurrò piano avvicinandosi ancora di più: ormai i loro visi erano vicinissimi e le loro labbra pronte ad incontrarsi.
 
Charles però non voleva cedere dal baciarlo, bensì gli sorrise con fare di sfida reggendo lo sguardo di Erik, che dal canto suo, non riusciva più a pensare a nulla se non alle labbra rosse e carnose di Charles, conscio del fatto che quest’ultimo gli stava leggendo tutti i suoi pensieri: non serviva essere un telepate per capire quanto gli piaceva connettersi con la sua mente, e per quanto detestasse ammetterlo, quel delicato contatto non gli dispiaceva affatto, anzi, per una volta nella vita aveva trovato qualcuno che riuscisse a tenergli testa, che non aveva paura di lui, che anzi, lo amava e riusciva a farlo stare bene e sereno, cosa che non gli capitava più da quando…da molto tempo.
 
Erik non resistì oltre e baciò Charles di slancio, spostando una mano dietro la sua nuca per poter affondare le dita su quella chioma morbida e castana approfondendo così il contatto.
 
Charles sospirò. Ogni volta che le loro labbra, che i loro sapori si univano sentiva il cuore farsi leggero e l’animo pervaso da una scia infinita di brividi e desideri che solitamente teneva a freno.
 
Erik riusciva a farlo sentire speciale, riusciva a farlo stare bene.
 
La sua presenza aveva eliminato completamente la profonda solitudine che incorniciava la sua vita, una vita trascorsa ad ascoltare gli altri, a capirli sempre per primo, una vita quella di Charles, che il dono della telepatia lo aveva reso sì speciale ma anche più solo. Era per questo che non gli piaceva parlare dei suoi trascorsi, non gli piaceva ricordare dei momenti di solitudine che aveva vissuto quando da ragazzino aveva scoperto spaventato il suo immenso potere.
 
-Non hai risposto alla mia domanda, Charles.- gli disse roco Erik, una volta distaccati, con gli sguardi ancora incatenati e pieni di desiderio. Il tedesco avrebbe lasciato perdere il discorso per portarsi a letto il suo dolce telepate, ma quella domanda che gli ronzava in testa doveva essere soddisfatta: il letto avrebbe aspettato.
 
Charles sbuffò un po’ e si rimise a sedere portandosi una mano sulla fronte distendendo poi il braccio lungo il bracciolo della sedia. Il suo sguardo vagava per la stanza cercando di evitare lo sguardo perentorio di Erik. Sapeva che cocciuto com’era, avrebbe atteso anche in eterno la sua risposta senza concedergli più il piacere che si stavano godendo fino a qualche istante fa.
 
-E va bene…- gli disse per poi guardarlo. Erik si mise a sedere di fronte a lui sulla scrivania per ascoltarlo meglio.
 
-I miei poteri si presentarono quando avevo all’incirca 11 anni…un giorno chiesi a mia madre se mi voleva davvero bene e lei mi rispose di sì, ma in quel preciso istante, i miei poteri si…come posso dire, si “accesero” facendomi capire che lei aveva sposato mio padre solo per interesse, che entrambi i miei genitori si erano sposati per interesse… -
 
Charles abbassò il viso cercando di scacciare quel triste ricordo dalla memoria, cercando di riprendere controllo delle proprie emozioni. Non voleva far rattristare Erik con le sue storie, lui ne aveva passate di peggiori nella sua vita.
 
Erik guardò Charles incupirsi e sentì il suo cuore stringersi. Era vero che Charles aveva vissuto nell’agiatezza per tutti quegli anni, era vero anche che non gli era mai mancato nulla, ma ciò di cui davvero aveva bisogno era l’amore e l’affetto dei suoi genitori, cose che non ebbe mai. Erik al contrario quell’amore lo aveva avuto, anche se per poco tempo.
 
Sollevò con due dita il viso del suo amato e lo guardò con infinita tenerezza, una tenerezza che non pensava potesse ancora avere e riservare a qualcuno.
 
-Charles…- lo guardò posando un lieve bacio sulle sue labbra. Charles socchiuse gli occhi e cercò di sorridere.
 
-Oh Erik, scusami…non volevo rattristarti…- gli disse accarezzando la sua mano che ancora era posata sul suo viso. Erik gli sorrise e pensò all’infinita gentilezza e generosità del suo Charles, che si preoccupava sempre degli altri, anche a discapito di se stesso. Un cuore come il suo, così forte e irragiungibile che sembrava senza crepe, in realtà era spezzato e sensibile, di una sensibilità unica, che solo lui poteva vedere. Solo lui aveva avuto il grande privilegio di vedere il lato più sensibile e indifeso di Charles.
 
-Non hai nulla di cui scusarti, liebe…- sussurrò piano per poi lasciare sul suo viso una lunga scia di baci lenti e languidi. Charles sospirò e si sentì subito bene. Le labbra di Erik erano la cura per ogni suo male, e il suo forte corpo erano il rifugio migliore che avesse mai potuto desiderare.
 
Da quando si erano incontrati non si era più sentito solo, né lui e né Erik seppero più che cosa fosse la solitudine nel periodo in cui vissero sotto lo stesso tetto, addestrando e assistendo come dei dediti genitori a quei giovani mutanti.
 
Tutto era stato magnifico e perfetto e nel riverbero di quei ricordi felici ma allo stesso tempo tristemente dispersi nel tempo, Charles si risvegliò bruscamente facendo cadere in mille pezzi il bicchiere che aveva poggiato sul tavolino della scacchiera.
 
Un forte mal di testa lo risvegliò completamente e guardandosi intorno e vedendo la stanza del tutto buia, capì che aveva dormito per parecchio tempo e di certo quel sogno che aveva fatto non lo aiutò di certo a sentirsi meglio.
 
“Certi ricordi fanno male…” pensò tra sé e sé mentre si trascinava dall’altra parte del suo studio accendendo una piccola lampada.
Si fermò a fissare il bicchiere frantumato per terra e sorrise pensando che non era poi così tanto diverso dal suo cuore. Continuava a fissare quei piccoli pezzettini di vetro che con la luce erano luminosi e sembravano quasi lacrime: sembravano le lacrime del suo cuore che non smetteva di sentirlo pesante battere dentro al suo petto.
 
D’un tratto i suoi cupi pensieri vennero interrotti da una melodia provenire dal corridoio. Era il suono dolce e vellutato di una chitarra. A suonare era Hank. Diceva che la musica faceva bene all’anima di chi soffre…e forse era vero, perché in quel momento Charles di sedette a terra con le spalle contro la porta e nella penombra si mise ad ascoltare quella melodia che lo implorava di salvarsi, di trovare una via d’uscita a quel cupo tunnel che aveva iniziato a percorrere.
 
Quella melodia lo avrebbe davvero salvato? Charles si sarebbe davvero salvato? Ancora non lo sapeva, per il momento si limitò ad ascoltare.
 
 
   
 
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