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Autore: voiangel    30/12/2014    4 recensioni
"E lo fece: l'errore più grande della sua vita. Si lasciò andare con l'assoluta consapevolezza di quanto il baratro tra la felicità e la tristezza fosse incredibilmente profondo e di quanto fosse spaventosamente facile caderci in mezzo, in un misto di terrore e piacere."
Genere: Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Carstairs, Julian Blackthorn
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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— Julian! Julian, per l'Angelo, sei vivo! Mi hai fatto prendere un colpo! —
Emma si era accasciata a terra, col cuore che batteva decisamente troppo veloce. Le girava la testa, le gambe erano insensibili e una sensazione di nausea le pervase la gola mentre Cristina Rosales prendeva tra le mani il viso di Julian Blackthorn, candido, spigoloso e perfetto come sempre, come se non si fosse gettato in un turbinio di fuoco e fiamme senza curarsi di disegnarsi sulla pelle le rune che Clary aveva cercato di insegnare loro pochi giorni prima. — Sì, sì sono vivo — aveva detto lui con un sorriso incredulo sul volto, puntando lo sguardo aldilà della sua fidanzata. Cristina aveva tirato fuori dalla tasca il suo stilo ed era corsa dietro le massicce spalle di Julian, intenta a tracciargli un'iratze nell'intento di far sparire i brutti tagli che solcavano il viso al suo parabatai. Intanto Julian se ne stava fermo in piedi, lasciando che Cristina gli alzasse la maglietta come se avesse compiuto quell'azione migliaia e migliaia di volte, continuando a puntare gli occhi verde-azzurro tipici dei Blackthorn più euforici che mai in quelli oro di Emma. La Nephilim non si era alzata per andarlo ad abbracciare, per assicurarsi che oltre ai tagli superficiali stesse bene - lo sentiva grazie alla runa parabatai -. Non si era affrettata a girare lo sguardo quando Julian era a petto nudo; tante volte l'aveva visto con solo i boxer addosso che ora era del tutto normale vedergli la pelle biancastra nuda e continuare comunque a rimanere impassibile. Aveva avvertito il desiderio di alzarsi solo per sferrargli qualche pugno, magari rompergli qualche costola e urlargli contro che non c'era bisogno di rischiare la vita per inseguire un lupo mannaro che aveva insultato la famiglia Carstairs, perché lo sapeva che ci avrebbe pensato Emma più discretamente. E per lo meno non avrebbe paralizzato mezza Londra facendo scoppiare un distributore di benzina nel tentativo di pestare un lupo mannaro. E probabilmente lo avrebbe colpito con un destro ben assestato se Cristina non l'avesse preceduta con le lacrime agli occhi, fiondandosi tra le braccia del ragazzo e stampandogli un bacio sulle labbra che non aveva nulla di amichevole. Emma era stata a guardare la scena che le si presentava davanti, violenta come un pugno in pieno viso. Julian che stringeva le mani intorno alla vita della ragazza mora e lei che, per baciarlo con più furore, si metteva sulle punte dei piedi. Questa volta non le ci era voluto molto per ritrovare le forze di alzarsi, impugnare le sue spade angeliche e nasconderle sotto la maglia bianca. 
Infatti nessuno dei tre Nephilim indossava la tenuta nera da combattimento poiché quella mattinata si era presentata serena e pacifica, stranamente. Dovevano uscire solamente per una colazione ad un bar vicino all'Istituto londinese, come erano consueti fare ogni sabato appena svegli. E se lì non avessero incontrato un trio di lupi mannari che non facevano parte di alcun clan importante, probabilmente appena trasformatisi, sarebbe andato tutti molto più stranamente bene. Ma questi c'erano e avevano iniziato ad attaccar brighe coi tre giovani, noncuranti dei mondani che li circondavano, infierendo prima sull'aspetto fisico di Cristina Rosales, che con i suoi due metri d'altezza e le larghe spalle possenti, avevano sentenziato i Nascosti, sembrava un uomo. Poi avevano parlato scioccamente delle mani da ragazza di Jules, e lì Emma aveva perso le staffe e aveva iniziato a gridare a squarciagola che le sue "mani da donna" permettevano al suo parabatai di dipingere vere e proprie opere d'arte. E, aveva scoperto la Shadowhunter, i lupi mannari la conoscevano - non che fosse una strana cosa conoscere Emma Carstairs anche nei ranghi meno informati e più maldestri - quindi avevano sfruttato la storia della sua famiglia, inventando frottole e sparlando dei genitori ormai morti della ragazza solo per provocarla. Ma alla fine, l'unico ad essere stato provocato, era stato Julian, perché aveva sguainato una spada angelica da sotto la camicia a scacchi rossi facendo scoppiare il caos totale nella caffetteria, e si era dato all'inseguimento dei tre lupi mannari che nel frattempo avevano intelligentemente deciso di svignarsela. 
Ed ora che era in camera sua, stesa sul letto, non poteva far altro che pensare alla sua migliore amica che baciava davanti a lei il suo parabatai. Pensava a come Cristina si era illuminata non appena Jules era uscito da quelle fiamme, pensava a come sarebbe stato bello se le cose fossero state più semplici, perché il loro era un trio ormai da tempo, ma Emma non faceva che pensare che la sua migliore amica fosse un terzo incomodo tra lei e Julian poiché loro si conoscevano da una vita, loro erano sempre stati Jules e Em, loro con il loro modo di comunicare e di capirsi, il loro modo di volersi bene che negli anni non era mai cambiato, era maturato e diventato qualcosa di più, ma era rimasto puro e vero come poche cose a questo mondo lo erano. Emma pensava a tutte le volte in cui senza Cristina lei e Julian sarebbero morti ed una fitta di tristezza le attraversò il cuore; Emma e Julian erano sufficienti a se stessi, non al mondo, e per dare un contributo al mondo invisibile Cristina Rosales era indispensabile. D'altronde lo aveva sempre saputo che Jules non sarebbe stato mai suo, lo aveva capito quando i suoi genitori erano morti, all'Istituto di Los Angeles, e si era ritrovata a pensare che avrebbe fatto loro giustizia, non importava come. Non voleva andarsene da Jules perché lui l'avrebbe aiutata come sempre, e sapeva che preferiva amarlo platonicamente piuttosto che essergli distante e non potergli stare affianco. Allora sì, la scelta di diventare parabatai non era stata presa né alla leggera né tanto meno era stato un qualcosa di avventato o facile. 
— Toc toc — la voce calda del parabatai l'aveva fatta sussultare — Sei ancora a letto? Ma sono le tre del pomeriggio! —. Julian entrò nella piccola stanza assegnata ad Emma e si gettò sul letto vicino a lei, appoggiando la testa sulle mani e incrociando i piedi vicino a quelli di Emma. La ragazza era rimasta immobile, tesa come una corda di violino e dura come un pezzo di legno. Non che fosse a disagio standosene sdraiata a letto col suo migliore amico, aveva solo la sensazione che in quel momento più che mai, con la runa Parabatai che ardeva sul suo petto e quell'intensità nello sguardo che la incantava sempre, Julian Blackthorn potesse essere in grado di leggerle i pensieri. 
— Sì, oggi è sabato e posso starmene a letto quanto voglio — disse all'improvviso Emma per rompere il silenzio. Si mise più comoda al fianco del ragazzo vicino a lei. 
Poi nient'altro, Julian annuì acconsenziente e allungò un braccio sotto al collo della bionda, iniziando a giocherellare con un boccolo biondo che passandole sopra la fronte le faceva il solletico. Cercava di non pensare a Julian o a Cristina, ma a parte demoni e faccende che ormai sembravano troppo intime per poter essere rievocate dal passato, i due non avevano molti argomenti su cui dialogare. Alla fine Emma decise di rimanere in silenzio a fissare il soffitto bianco, fingendo di non notare lo sguardo trapelante di Julian puntato addosso a lei. 
— Allora starò qui, con te. Sempre se non vuoi del gelato, perché se vuoi del gelato te lo vado a prendere. O delle ciambelle, o della pizza, delle patatine fritte... Non so, scegli tu. — 
Emma sbuffò alzandosi dal letto, lasciando Julian con la mano a mezz'aria, come se ci fossero ancora i suoi capelli tra le dita. Il mento e la fronte corrucciati in un'espressione infantile e triste. La Cacciatrice gli lanciò uno sguardo in cagnesco che lo convinse a sedersi sul letto e ad assumere un tono serio. 
— Scegli, patatine o gelato? — insistette con tono risoluto. 
Niente da fare, quando Jules si intestardiva non c'era muro che restasse in piedi o scusa che reggesse. 
— Senti, ho davvero intenzione di restarmene a letto e non alzarmi fino a domani, quindi ti conviene andartene in camera, lasciarmi mettere il pigiama, e fiondarti nel letto prima che cambi idea. — Un luccichio attraversò gli occhi verde-azzurro dello Shadowhunter, che senza farselo ripetere due volte si precipitò fuori la camera della sua parabatai.
Julian se ne stava a carponi davanti l'armadio in cerca di un pigiama che non possedeva, perché odiava i pigiami e quell'aria da sciocco che gli conferivano, così afferrò i primi indumenti dallo scompartimento "notte" del suo armadio, e si ritrovò a indossare una maglietta grigia di flanella e dei pantaloni della tuta di una tonalità più scura. I piedi scalzi e i soliti ricci castani indomabili che, imperterriti, si ribellavano al potere del gel per capelli. 
Ma in fondo che importa si continuava a ripetere il ragazzo, chissà lei che pigiama a pecorelle indosserà, e poi dobbiamo solo abbuffarci di pizza. O patatine. O gelato. 
Julian sbuffò e si stese sul pavimento freddo della sua camera. Era così diversa da quella di Emma. Infatti, se quella della ragazza era disordinata ma anonima, quella di Jules era ordinata e personalizzata. Appesi alle pareti bianche erano appesi a dei chiodi svariati quadri che aveva dipinto con acquerelli quando era più piccolo. C'erano tramonti arancioni, boschi verdi e una bambina dai boccoli biondi e la stessa aria minacciosa e arrogante di sempre. I mozziconi delle sigarette straboccanti dal posacenere sulla scrivania, vicino al set di matite e carboncini. I quadri più recenti giacevano nel suo armadio nel loro scompartimento insieme alle tele immacolate. Il più di quelli rappresentavano demoni e rune, spade angeliche e battaglie, perché, era convinto Ty, se avesse fuso la sua vena artistica rarissima alla natura guerriera Shadowhunter, probabilmente avrebbe apprezzato maggiormente la sua missione. 
"Con me ha funzionato" aveva detto Tiberius, saccente come al suo solito, squadrando Jules dall'alto al basso. 
"Ah, e cosa fai? Ti metti a giocare al piccolo detective e cerchi di capire come mai i demoni sono dei cattivoni?" lo aveva schernito suo fratello. Ty allora si era girato dandogli di schiena.
"Può darsi, ma non capiresti comunque." 
E la leggenda narrava che il genio di casa era Tiberius Blackthorn, quindi che senso avrebbe avuto non provare? Comunque Jules non rinunciava alla spensieratezza che gli conferiva l'arte quando dipingeva la natura più tranquilla e ingannevole che conosceva, quella che i mondani apprezzano e che gli Shadowhunters tenevano a bada. Dipingeva ancora una ragazza, ma questa volta il soggetto era castano, alto e muscoloso. Gli occhi color nocciola e i capelli neri e ondulati. Un bellissimo soggetto, che un artista non forzato a dipingerlo avrebbe di sicuro apprezzato, ma Julian dipingeva Cristina con lo stesso criterio per cui dipingeva demoni e rune, sangue e fuoco. Ma ben presto la figura di Cristina nella sua mente fu spazzata via da quella più gradita di Emma, che col suo solito tono autoritario gli diceva: "Fiondati nel letto prima che cambi idea". Il Nephilim sorrise tra sé e sé, alzandosi finalmente dal pavimento freddo per fiondarsi nella cucina fornita di qualunque cosa dell'Istituto londinese e prelevandone uno spicchio di pizza congelato che mise nel forno microonde per qualche secondo mentre portava un po' alla volta le vaschette di gelato davanti la porta di Emma, rigorosamente chiusa. Alla fine, tra un "Questo le piace troppo" e "Se non porto questo di sicuro mi uccide", aveva portato talmente tanto cibo che era stato costretto ad aprire la porta col naso. Le vaschette del gelato - pistacchio, cioccolato e fragola - tra le braccia, un piatto con la pizza in bilico sulla testa e una busta di patatine fritte tra i denti. Emma aprì la porta e per poco Jules non fece cadere tutto quello che a fatica aveva portato fin là, passando per il corridoio, camera dello zio Arthur e camera sua. E si sorprese quando non sentì il tonfo del sacchetto di patatine, perché se non lo avesse avuto probabilmente sarebbe rimasto a bocca aperta vedendo la parabatai con pigiama blu a pois grigi. Probabilmente su un'altra sarebbe parso come qualsiasi altro pigiama, ma Emma, con la sua postura sicura e il fisico mozzafiato nonostante i suoi centosettantatré centimetri d'altezza faceva di quel pigiama un capo d'alta moda. Le gambe snelle e bianche erano scoperte da metà coscia in giù, una canottiera leggera lasciava ben poco alla fantasia; braccia e petto vulnerabili e nudi come poche volte Julian li aveva visti, senza rune o spesse giacche nere a proteggerli. E la consueta chioma bionda sciolta fino a caderle sulle spalle. Stessi occhi dorati e spietati. Stessa Emma, vista da altri occhi.
— Vuoi entrare o mi lasci da mangiare e te ne vai? — Chiese Emma, palesemente infastidita - o imbarazzata? - dallo sguardo di Julian. Questo annuì e iniziò ad addentrarsi nella palude di calzini sporchi, pantaloni e maglie. Qua e là c'era anche qualche spada angelica e, appesa alla parete come un vecchio trofeo, giaceva Cortana, lucente e dall'aria pericolosa, come la sua padrona. 
— Em, non per farti arrabbiare, ma ti va se mettiamo un po' in ordine la tua discamera? — Chiese il ragazzo aprendo il meno possibile la bocca per non far cadere le patatine fritte. La bionda gli lanciò un'occhiata divertita mentre si appisolava sul letto e prendeva il telecomando dal comodino là vicino. 
— Discamera? — rise.
— Sì, discamera. Discarica camera. — spiegò Julian a denti stretti, compiaciuto della propria battuta. Emma si alzò dal letto dirigendosi dal parabatai e prese dalla bocca di Julian il pacchetto di patatine e lanciò i gelati sul cuscino, mancando di poco la parete dove si appoggiava la testiera. Jules prese tra le mani il pezzo di pizza, indicandolo con gli occhi, chiedendo il silenzioso permesso di poterselo mangiare. Emma sorrise beffarda, mettendosi una patatina in bocca a mo' di sigaretta. 
— Sono Julian Blackthorn — iniziò, imitando la voce del ragazzo di fronte a lei — e sono un pittore, fumo e sono un maniaco dell'ordine. Quindi, mentre la mia adorata amichetta d'infanzia se ne 'sta ad oziare sul suo comodissimo letto, io le metterò in ordine la camera. — 
Julian rise sonoramente — Sì, spiritosa. — raccolse una maglia gialla da terra e se la mise sul capo improvvisando una parrucca bionda, poi, con una vocetta acuta, si mise a raccogliere tutte le spade angeliche sparse sul pavimento — Ed io sono Emma Carstairs, argh! — mimò un leone — E se il mio fantastico amichetto d'infanzia non mi riordina la camera io lo ucciderò con tutte queste spade angeliche con un solo colpo, perché io sono una guerriera! — Questa volta fu Emma a ridere senza contegno, seguita subito dalla risata cristallina del parabatai. 
"Ecco", pensò mentre Julian si piegava in due per le risate "mi piacerebbe fermare il tempo e poter restare così per sempre"
Ma ovviamente il tempo non si poteva fermare, né potevano andare avanti a ridere per ore, così dopo essersi sfidati a pari o dispari e dopo che lui aveva perso, si era messo pazientemente a carponi sul pavimento gelido a raccogliere magliette e pantaloni vari e a gettarli, senza troppa cura, dentro l'armadio. Le calze le aveva racimolate sotto al letto, nella speranza che Emma le avrebbe scoperte quando il suo teschio avrebbe adornato una delle catacombe della Città di Ossa. E quando ebbe finito di far le pulizie, anche Emma aveva finito di mangiarsi una scatola di gelato al cioccolato, e stava a panciolle sdraiata sotto le lenzuola a cambiare canale dopo canale in cerca di un programma interessante. 
Julian si alzò finalmente da terra si avvicinò al letto. Emma lo guardò di sottecchi mentre continuava a cambiare canale e gli fece spazio vicino a lei, aprendo la scatola di gelato al pistacchio. 
— Spegni la televisione. — Quello di Jules sembrò più un ordine, piuttosto che una richiesta, e si stupì vedendo le dita affusolate di Emma che premevano sul bottone rosso del telecomando, spegnendo il televisore. 
— Dov'è Cristina? — Chiese Emma dopo qualche secondo di silenzio, facendo sobbalzare Jules. 
— Cosa? Uhm... ha detto che usciva e non sarebbe tornata entro domani sera. —  bofonchiò — Deve andare a Los Angeles dalla madre — 
— Cosa? Deve andare da sua madre e non mi ha detto niente? Da quando voi due vi parlate più di quanto ci parliamo noi due, insomma voglio dire, siamo migliori amiche e voi siete sol... — poi più niente. Probabilmente, pensò Julian, dire "voi siete solo fidanzati" sarebbe stato fuori luogo, e come sempre Emma aveva avuto la prontezza di pensare prima di parlare, anche se questa volta un po' a scoppio ritardato. D'un tratto assunse un'aria distaccata e distante, malinconica. Jules non poté far a meno di fissarla, coi boccoli biondi disordinati sul viso, gli occhi oro confusi e le guance rosse e, costatò Jules appoggiandovi il dorso della mano sopra, bollenti. Emma sussultò, spostando di scatto la mano inattesa del parabatai, e una fitta di delusione attraversò il corpo di Julian. Che strana situazione, si ritrovò a rimuginare, lui ed Emma erano parabatai, per due parabatai doveva essere normale parlare liberamente come stavano facendo loro ora, scherzare, prendersi in giro e volersi bene. Ma tra lui e Emma c'era sempre stato questa sorta di patto: sapevano entrambi che erano troppo vicini per potersi comportare normalmente, sapevano che se non avessero mantenuto una certa distanza, sarebbe accaduto l'irreparabile, qualcosa da cui non si può tornare indietro. Così si ritrovò a guardarla mentre, con lo sguardo vagante fuori dalla finestra, aveva il suo solito sguardo freddo e calcolatore, ora più fragile, con qualche crepa qua e là che faceva trapelare una persona più vera e più umana di quella che tutti conoscevano. I capelli biondi le ricadevano a ciuffi davanti agli occhi ed era costretta a sporgere il mento in avanti per soffiarli via di tanto in tanto. Pensò che non vi fosse al mondo cosa più bella dei suoi occhi dorati che a differenza di tutti gli altri non erano morti e privi di vita, uno strumento indispensabile al corpo umano per non brancolare nel buio, i suoi erano vivi, vivaci e celavano così tanti segreti che a volte Jules si chiedeva se ci fosse una chiave, un qualsiasi tipo di chiave in grado di aprire il lucchetto che li teneva racchiusi, incatenati là dentro come dei carcerati, consapevoli che se mai fossero riusciti ad evadere avrebbero combinato la strage per il quale erano nascosti tanto scrupolosamente. Per un istante di puro egoismo sperò di poter trovare quella chiave per poterla conoscere meglio di chiunque altro, perché Emma doveva essere parte di lui e Julian parte di lei in qualsiasi modo. Sperò che lei girasse la testa incrociando il suo sguardo, che gli sorridesse da sotto i boccoli. Sperò che non le importassero gli altri ragazzi con lui là vicino, sperò disperatamente che provasse le stesse cose. Per un tratto si chiese cosa fossero "le stesse cose" e quando la consapevolezza lo investì in pieno come un treno in corsa desiderò correre via, lontano da quella ragazza e da tutto ciò che faceva, diceva, lontano da tutto ciò che era. Volle odiarla e lì per lì Julian pensò che ci sarebbe riuscito se solo non fosse stato che l'allettante pensiero di lasciarsi andare per una volta, fosse infinitamente meglio. E lo fece: l'errore più grande della sua vita. Si lasciò andare con l'assoluta consapevolezza di quanto il baratro tra la felicità e la tristezza fosse incredibilmente profondo e di quanto fosse spaventosamente facile caderci in mezzo, in un misto di terrore e piacere. 
Emma si girò su un fianco, il film che stavano guardando era appena finito, e con lui anche tutte le scorte di cibo che si erano portati in stanza. Intanto la notte era scesa, il pallore lunare accompagnava nella camera la solita brezza notturna, che trapelava dalla finestra della camera. L'Istituto londinese, aveva sempre sostenuto, aveva finestre troppo grandi che conferivano a tutte le stanze un'aria spettrale ogni qualvolta la notte inondava l'Inghilterra con la luna mistica e bellissima. 
— In quanti siamo all'Istituto, in questo momento? — Chiese Emma. Durante la durata del film - o meglio, dei film - si era in qualche modo sdraiata comodamente sul proprio parabatai per poi andare ad occupare lo spazio tra le sue gambe. La testa sul suo petto e il bacino contro il suo. Il petto di lui la sorreggeva, un po' grazie al sostegno dei cuscini. Ed ora che l'orologio segnava le due di mattina ed Emma Carstairs non stava più comoda nella sua posizione, aveva deciso di rigirarsi fino a quando non avrebbe trovato una posizione soddisfacente. 
— Ci siamo io, te — e quell'affermazione sembrò qualcosa di così intimo e impuro — Ty, Tavvy, Dru, Livvy e zio Arthur. —Emma annuì, girandosi ancora una volta tra le gambe di Julian fino a trovarsi faccia a faccia con lui, i gomiti appoggiati sui suoi addominali, e le gambe sollevate in aria. — Em... fermati — gemette straziato Jules, sempre più dolente all'idea della sua parabatai che persino in un pigiama a pois grigi riusciva a risultare sensuale, che si dimenava tra le sue gambe. Le guance di Emma si tinsero di un color porpora acceso e cessò all'istante la sua frenetica ricerca alla posizione perfetta. Gli occhi dello stesso colore dell'oro ricordavano a Julian quelli di un leone; forti, spietati e sicuri di sé, ma allo stesso tempo erano occhi pazienti e furbi, intelligenti. Tanto esitanti quanto prudenti. Il viso piccolo e fine, perfetto, difficile d'attribuire ad una Cacciatrice come lei. Infatti se Julian era un pacifico artista un po' pieno di sé, Emma era la sanguinolenta Cacciatrice, seconda per bravura solo a Jace Herondale. Ed al contrario di lui non era vanitosa, non sapeva quanto fosse in grado di fare e forse per questo, si convinceva Julian, cercava sempre uno scontro. Forse per misurarsi, per mettersi alla prova. Forse era perché voleva uccidere davvero i demoni e salvaguardare la salute dei mondani. Ma la parte più razionale dello Shadowhunter, quella che meglio conosceva la propria parabatai e che il più delle volte aveva ragione, sapeva che l'unica cosa che dava a Emma la forza di battersi era il dolore per la perdita dei suoi genitori e il suo desiderio di vendetta, secondo solo a quello di Jace Wayland.*
— Emma... — Il sussurrò tremante uscì dalle labbra secche di Julian. Fece scivolare le mani affusolate dalle spalle fredde fino al collo della ragazza, esitando troppo sulla vena che pulsava insistentemente sotto le sue dita. Indugiò troppo con lo sguardo sulle labbra rosee e piene della ragazza, che pian piano sembravano avvicinarsi sempre di più mentre tutto intorno diventava nero e confuso, ad eccezione di Emma. Forse immaginò con troppo realismo il sapore delle sue labbra sulle proprie, finalmente unite nel bacio sognato e bramato fin dalla prima adolescenza e dalla prima consapevolezza dei sentimenti che provava per la sua parabatai, allora migliore amica. Esitò troppo, così decise che ormai fermarsi sarebbe stato inutile. — Per l'Angelo cosa non sei.— I muscoli di entrambi tesi gli uni sopra gli altri, la vena che pulsava al ritmo di entrambi i cuori e una sola parola nella mente: parabatai. E quella parola continuava, con estrema maestria, a farsi spazio nella mente di Julian mentre le sue dita slittavano dietro il collo di Emma, affondando le dita nella pelle morbida fino a strapparle un gemito, e la attirarono a sé. "Parabatai" continuava ad urlare straziata la sua mente quando le due bocche si incontrarono per la prima volta. Si erano baciati con talmente tanta ferocia che i denti di lei avevano sbattuto violentemente sui suoi e nonostante continuavano a dolere, nulla aveva impedito ad entrambi di continuare a baciarsi. Era la prima volta che si baciavano, la prima volta che Julian poteva assaporare veramente il sapore salato delle labbra della bionda, la prima volta che il gesto più intimo che potesse dedicarle non fu il consueto giocherellare coi suoi boccoli biondi. Era la prima volta in vita sua che le dita di una ragazza tra i suoi capelli castani lo facevano rabbrividire, la prima volta che un bacio non lo saziava della sua sete di passione, anzi, gli aprì un vortice nero nello stomaco che lo fece gemere sulla bocca di Emma, che lo spingeva a introdurre la lingua tra le labbra morbide ed esperte di lei, e un impeto di gelosia al pensiero di qualcun'altro che poteva godere di quella sensazione lo spinse a stringerle i capelli con più forza e di sistemarsela meglio addosso, alzandola completamente e sistemandosela a cavalcioni sulle gambe senza mai interrompere il bacio, perché quello era il loro primo bacio ed era bellissimo, meglio di quanto avrebbe potuto mai immaginare. Si era immaginato più volte di ritrovarsi boccheggiante in cerca d'aria dopo un lungo e intenso bacio con la sua parabatai, ma non andò così, perché nessuno dei due aveva ancora staccato le labbra da quelle dell'altro, anzi. Avevano scoperto in pochi attimi ognuno la bocca dell'altra, come se le rune che si erano scambiati anni prima potessero essere in grado di unirli di più anche in un rapporto carnale. E "parabatai" era la parola che cercava di non ricordare a se stesso mentre la prepotente erezione premeva sulla pelle della bionda che, muovendosi sempre di più tra le gambe di Julian non faceva che peggiorare la situazione. O migliorarla. "Chissà se a lei importa che siamo parabatai" pensò ancora mentre faceva scorrere le mani sotto la maglietta leggera di Emma per slacciarle il reggiseno.

Emma sentiva ogni centimetro del corpo di Julian schiacciato contro il proprio. I muscoli tesi e asciutti parevano così strani ora che li toccava a quel modo in cui non aveva mai toccato nessuno. Aveva smania di scoprire a fondo il suo parabatai ora che lui gliene aveva dato la possibilità, e di certo non se la sarebbe fatta scappare. Non dopo tutto il tempo che l'aveva attesa con tutta la pazienza di cui poteva disporre, ed ora che Julian non si scansava da lei per reprimere l'erezione che le premeva sulla pelle, Emma non se la sentiva di fare il primo passo verso l'autodistruzione, impedendo ad entrambi di godere di quella notte di mezza estate in cui finalmente entrambi avevano ceduto e si erano rivelati per quello che erano: due innamorati che si amano, si vogliono, si desiderano in tutti i sensi. Come giusto che sia.
Per questo percorreva ogni centimetro della sua pelle nuda con le dita affusolate e tremanti per l'eccitazione mentre le faceva scorrere dalle spalle possenti fino ad accarezzare gli addominali contratti. Le bocche ancora impegnate in quel bacio passionale che avevano iniziato qualche minuto prima. Emma sentiva il sapore di Jules: sapone, acquerelli, tabacco e sudore. E ne sentiva l'anima, le paure, la tensione, il desiderio. Sembrava ormai percepirne i pensieri e sapeva bene che non era per via del loro legame parabatai. Sapeva che anche se la runa non avesse occupato il suo posto sul petto di entrambi, sarebbe stata in grado di capire Julian Blackthorn meglio di chiunque altro. E ora Julian stava pensando a quella, stava pensando alla runa, a quello che li univa. 
Parabatai. Parabatai, parabatai, parabatai... — Emma allontanò le labbra da quelle di Julian quel tanto che bastava per sussurrare quelle parole. Sentì il corpo possente di Julian irrigidirsi sotto il suo, mentre le mani del Nephilim le sfilavano il reggiseno da sotto la maglia del pigiama. Il corpo di Emma fu scosso da un brivido di freddo e da una scarica di pura adrenalina. Premette forte la fronte contro quella di lui mentre le dita di Julian le solleticavano la pelle, facendo ricadere il reggiseno azzurro sul materasso bluastro al pallore lunare. Gli occhi premuti tra loro e le mani che scorrevano sulla pelle calda e testa sotto l'elastico della tuta. Appoggiò la mano sulla trama nera dei boxer iniziando a muovere il pollice con movimenti circolari sulla protuberanza. 
— C-Cazzo... — gemette piano Julian. Emma, trionfante, appoggiò le mani sulle scapole del ragazzo spingendolo a sdraiarsi sul letto. Si sedette sul ventre del Nephilim, le ginocchia intorno al suo bacino e la mano ancora nei pantaloni. — Fanculo Em... Emma apri gli... — Jules deglutì sonoramente e la sua voce assunse il tono di qualcuno che compie un grande sforzo contro la propria volontà — Apri gli occhi, guardami, ascoltami. — biascicò. 
Emma ubbidì curiosa ed aprì gli occhi incontrando la figura massiccia di Julian sotto di sé che, pur essendo sottomessa a lei continuava a sembrare dominante. Gli occhi verde-azzurro tipici dei Blackthorn brillavano per l'eccitazione al buio e i riccioli castani erano più arruffati del solito - probabilmente era stata lei stessa pochi minuti prima a ridurli in quello stato, e quel pensiero non fece che farla sorridere -, le mani da artista tenevano strette in un pugno il lenzuolo candido. 
"La pena e la grandezza sono il destino dell'artista" si ritrovò a citare Emma mentre osservava la sua opera d'arte preferita. 
— Ascoltami bene. Per una volta fallo. — il suo era stato poco più che un sussurro tremante e insicuro. — Tu non sei la seconda Jace Herondale, o Morgenstern, o Lightwood. Né Wayland. Tu sei Emma Carstairs, la fiera Emma Carstairs. Non mi importa se secondo Jace più dici una parola più questa perde significato, non mi importa e nemmeno a te dovrebbe importare. Va bene, no? Siamo parabatai e faremo l'amore 'sta notte. Dopo che avrò finito di dirti che amo te, non la copia femminile di un pavone — dalle labbra di Emma sfuggì una risata nervosa mente il suo cuore cercava di recuperare i battiti che si era lasciato sfuggire mentre quella bellissima voce rauca diceva "amo te". 
— Sto solo cercando di dirti... — riprese lui — sto cercando di dirti che sei bellissima come sei e quindi non farmi essere un'altra delle tue scopate. Facciamo l'amore, fammi essere la tua prima vera volta. —
Il silenzio aveva parlato parecchi minuti fra loro mente lei fissando gli occhi di lui, ripensava a quello che Jace, il suo mentore, le aveva insegnato per cinque anni e quello che invece l'amore della sua vita era stato in grado di insegnarlo in uno stupido e smielato discorso. Per privare ad una parola del suo valore bastava trovare la persona che l'avrebbe fatta diventare insignificante e Emma ce l'aveva fatta perché più affondava nei suoi occhi più "parabatai" era solo un'altra runa. Alla fine annuì e basta, e una scintilla scattò nelle iridi di Julian e nelle sue pupille più dilatate che mai. Julian, con uno scatto felino degno di un vampiro, l'aveva presa per la schiena e capovolta sotto il proprio corpo, dopo uno sguardo acconseziente di Emma le aveva poi sfilato i pantaloncini, che avano raggiunto il loro posto vicino al reggiseno, e ben presto anche il resto degli indumenti di entrambi giacevano a terra, unici testimoni di ciò che in quella notte di mezza estate stava accadendo tra i due parabatai in una stanza dell'Istituto londinese. 
— Ed ora si... si invertono i r-ruoli, Carstairs —
La pelle argentata di Julian e gli occhi verde-azzurro sempre più cupi. I capelli castani grondanti di sudore. Le guance accaldate e lo strano calore che il suo corpo emanava al solo contatto con quello del ragazzo. Il letto che cigolava quando Julian si spingeva dentro il corpo di Emma in una perfetta fusione di corpo e spirito. 
— Ti... ti amo anche io, comunque — riuscì a sussurrare prima di gemere sonoramente. 
Julian ce l'aveva fatta, aveva preso l'unica verginità che Emma custodiva gelosamente nel proprio cuore, nascondendola a qualsiasi individuo, in attesa di quello perfetto a cui donarla. E quel qualcuno le era sempre stato accanto, lo aveva sempre saputo. 


 

Angolo autrice.
*Non voglio che pensiate che sia un'incoerenza del testo dato che prima di "Jace Wayland" ho adoperato il suo vero cognome, ovvero Herondale. Pensavo che però fosse più indicato usare il cognome della sua infanzia perché in un certo senso i cognomi adoperati da Jace sono l'introduzione ad una fase della sua vita. Infatti Jace Herondale è Jace nella sua interezza, nella sua bravura nell'uccidere i demoni e ciò che prova senza rancore, mentre nella sua fase "Wayland" (sembra che sto parlando di un dinosauro o di un Pokémon...) è letteralmente tormentato dalla morte del padre, perciò, come spiega anche Alec a Clary, si sente in dovere di rischiare la vita e battersi per tutto. Spero che abbiate capito. 
Per il resto spero che il rating arancio vada bene; sappiate che è la prima volta che scrivo una scena "spinta" e quindi abbiate pietà della mia povera anima, cercherò di migliorare nel tempo. Vi rendo partecipi del fatto che ho iniziato questa one shot che ho intenzione di trasformare in una fan fiction mentre ero in macchina e grazie al 3G piangevo per un video su Harry Potter e che però l'ho conclusa questa sera alle 07.35 am senza essere mai andata a letto e sì, sono abbastanza distrutta. Con questo non giustifico l'immonda schifezza che vi sto proponendo. Vi prego di recensire - tanto non lo fate mai quindi che lo dico a fare?! - con qualsiasi cosa! Vi ricordo che i pareri dei lettori sono sempre utili, negativi o positivi che siano.  Spero che gli altri due capitoli che già ho programmato (nel secondo Ty ovviamente ci mostrerà quanto intuitivo ed intelligente può essere ma obv, lui è il migliore amico di Shinichi Kudo e Sherlock Holmes che ahimè non esistono nessuno dei tre...) siano migliori del primo alias questo. Vi auguro una buona notte, o un buon giorno per i più mattuinieri. 

  
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