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Autore: La sposa di Ade    31/12/2014    3 recensioni
Fuga e inseguimento. Preda e predatore.
Sembra semplice, sembra poco più che un gioco.
Ma è quando si scopre il vero volto della vittima che le cose si complicano, è quando si scoprono i motivi di tali azioni che i cuori tremano.
Un conflitto tra razze e ideali, tra ciò che è giusto e ciò che è necessario.
[In revisione] [Possibile continuo]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1 - Dovere 

"Sangue del tuo sangue, carne della tua carne, da qui fino all'eternità noi siamo."
Il dovere era orrore.
Il dovere era panico e nausea al pensiero atroce che dopo non ci sarebbe stato mai più nulla e che niente vi sarebbe stato, se non fosse stato portato a termine.
Un vicolo cieco.
Il dovere era orrore, panico e nausea, e si era concretizzato nel momento stesso in cui Reynard si era trovato a chiedersi se sarebbe mai riuscito a farlo, se ne sarebbe stato in grado, se sarebbe stato capace di passare da una stanza all'altra, da una finestra all'altra, cercando in ciascuna il sangue.
Per farlo precipitare, quel sangue, sul pavimento.
Nel momento stesso in cui aveva cominciato a chiederselo, Reynard aveva iniziato a dare consistenza ai propri incubi.

La notte era scesa in fretta, tingendo di buio palazzi e persone, e sembrava non doversene andare mai più, quel buio, tanto era denso. Altrettando velocemente erano arrivati gli ordini; l'ulima caccia era stata del tutto infuttuosa, come le altre prima di questa. Ormai c'era una sola via, e nonostante Reynard sperasse che quella non potesse essere una possibilita, sapeva bene che non c'erano più altre strade da percorrere.
Gli era stato detto di seguire le sue tracce, lui che poteva più degli altri. Perché in fondo erano simili, uguali, lui e la preda. Quindi aveva dovuto recuperare le sue armi, tornare a concentrarsi sul suo terribile, orribile, dovere.
Aveva camminato per giorni, cercando un'alternativa all'unica via che gli avrebbe garantito la morte, perché di attraversare la Foresta Ombrosa non se ne parlava, nonostante si fosse accorto che le sue tracce svanissero proprio dove questa iniziava. Aveva quindi dovuto aggirarla, perdendo settimane di viaggio, che erano comunque un buon affare rispetto a ciò che avrebbe potuto perdere nella Foresta.
Ci si perdeva in quel luogo, e non si perdeva semplicemente la percezione della direzone, l'orientamento, si perdeva se stessi, in quel luogo maledetto e abitato da spiriti, nessuno che l'avesse attraversata era mai tornato indietro, non vivo almeno, non sano di mente.
La sua deviazione, pensava, gli avrebbe fatto perdere le sue tracce che, stranamente lievi, gli sfuggivano come vento tra le dita. Invece no, dopo la Foresta si estendeva una piana che permetteva un'ampia visione ai territori circostanti, e a quel punto, anche senza percepire le sue tracce, avrebbe potuto proseguire nella sua caccia.
La meta, quella che era stata della sua preda e che ora era anche la sua, svettava dritta davanti a lui; un insieme eterogeneo e caotico di alti palazzi, pregni di umidità.
Sospirò, pensando che sulla strada che rimaneva si sarebbe dovuto preparare mentalmente per affrontare un'altra volta, -terribile volta, di nuovo, come sempre- una preda che non sarebbe mai dovuta essere sua nemica.
Aveva camminato con passo spedito verso quella città immersa nel calore del tramonto, avvertendo lievemente le tracce della sua preda come un vento tiepido sulla pelle, una brezza che accompagnava i suoi passi con melodioso silenzio. Quasi senza accorgersene se ne inebriò, arrivando a inspirare sempre più, nel tentativo di cogliere ogni sfumatura di quella debole essenza. Fu forse per quello che quando giunse nella città avvertì la sua presenza impregnare ogni strada di quel luogo. Si allungava e si perdeva nelle vie della città come un infinito serprente, ormai non più invisibile come lo era stato all'inizio, e per niente intaccato dall'umidità che impregnava quel posto. Lui riusciva quasi a vederli, i passi che lei aveva percorso, ed erano
tanti, erano ovunque; si intrecciavano e si sovrapponevano, rendendo impossibile distinguere l'inizio dalla fine.
Vi si immerse, in quella traccia che era come una brezza, tentando di distinguere i vari 'strati', doveva trovare quello più recente, in modo da non perdere troppo tempo a ripercorrere tutta la strada che lei aveva fatto in quelle settimane.

*

"Ti prego." La sua voce implorava, i suoi occhi bramavano vendetta. Ed è una cosa che non si dovrebbe chiedere, quella.
"Non dipende da voi, è una cosa che devo fare comunque." Nonostante il dovere fosse orrore.
"Ma io ti prego, salva mia figlia." Era rabbia e rancore, ed era strano vederlo in una come lei, o forse era semplicemente quel sentimento, che troppo forte, rendeva tutto innaturale.
Una buona donna, una
madre, non dovrebbe implorare vendetta a un mostro per ucciderne un altro.
Nonostante il dovere fosse panico e nausea al pensiero che non ci sarebbe mai stato un modo per cambiare le cose, sapeva che nessuno, nemmeno lui, poteva decidere diversamente.

*

Era scesa la sera, e una penombra si era posata sui profili dei palazzi, accarezzando le superfici con tenui e chiarissimi raggi lunari, e fu così che la vide, giusto per qualche istante, come un tenue e chiaro raggio di luna, che andava a sparire in un vicolo.
Dovette tornare a concentrarsi, per assicurarsi che ciò che aveva appena visto non fosse una mera illusione, non uno spettro, ma una persona reale,
quella persona. Avanzò lentamente, appoggiando con cautela i piedi in modo da fare meno rumore possibile, le mani che correvano, sicure, all'impugnatura del suo fedele falcione. Imboccò il vicolo respirando piano, cercando tra le tenebre un'ombra di luna. Ed eccola, fasciata in abiti di scuro cuoio e pelle candida, a portare sulla schiena tre spade dalla guardia lucente, e per mano una bambina dal sorriso radioso.

Il dovere era orrore.
Il dovere era panico e nausea e il pensiero atroce che non ci sarebbe stato mai più nulla, dopo quel dovere, e nulla mai più vi sarebbe stato se quel dovere non fosse stato portato a termine.
Un vicolo cieco. Vi si stavano incamminando entrambi, esseri simili, uguali. Eppure così diversi, uno predatore, carnefice, l'altra una preda.
E sapeva che era sbagliato, che andava contro ogni morale uccidere per soldi e per la propria sopravvivenza quelli della sua stessa specie, che prima o poi anche lui avrebbe fatto la loro stessa fine, perché la sua razza era
sbagliata, agli occhi degli Umani, e per quello non potevano sopravvivere. Lui era solo uno strumento temporaneo, un'arma a doppio taglio.
Eppure era quello il suo dovere; l'aveva reso il suo mantra, la sua preghiera, qualsiasi cosa per riuscire a portarlo a termine, quel dovere, che non aveva mai avuto niente di giusto o sensato, per lui. Solo un modo per allungarsi la vita, se così poteva essere chiamata.

Il suo dovere, forse già lo sapeva, sarebbe stato la sua rovina.




____

Capitolo corto, forse un po' strano, ma necessario, nel prologo ho introdotto Maeve, la fuggitiva, la preda, qui vi ho presentato il cacciatore (spero non in modo troppo vago).
Avrete notato però che le cose non sono semplici come sembrano all'inizio. Tutto si spiegherà e si sistemerà nel prossimo capitolo che, prometto, sarà più lungo ed esaustivo.
Ho notato che molte di voi sospettavano in qualche modo della bambina, povera Rhia, lei è a posto, ve lo assicuro ^^ Ma magari Maeve non è stata esattamente fortunata ad incontrarla, vedremo (vedrete) :)
Alcune di voi mi hanno detto che vorrebbero vedere questa storia trasformata in una long, visto che questa vicenda conterà solo cinque capitoli... beh, ammetto che è un pensiero che da molto mi ronza in testa, ho creato un mondo completamente aperto, e mi è venua nostalgia delle long fontasy. Quindi in un lontano fututro potrebbe succedere :)
Grazie a chi è arrivato fin qui e a chi intende seguirmi *-*


  
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