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Autore: Hermione Weasley    31/12/2014    4 recensioni
Lei è in fuga da se stessa. A lui sono stati offerti due milioni di dollari per ucciderla. Ma le mire di qualcun altro, deciso a riunire sei persone che non hanno più niente da perdere, manderanno all'aria i loro piani.
-
“Chi cazzo è questo idiota?” Blaterò qualcuno.
“Un forestiere!” Decise un altro.
“Che razza di accento era quello?” Indagò un terzo.
Si sentì spingere bruscamente verso l'arena, senza poter far granché a riguardo. Quando le fu ad un misero metro di distanza, tra le grida che si alzavano dal gruppo, fu la voce bassa e pacata della donna a sovrastare tutte le altre.
“E' l'uomo che mi ucciderà.”

[Clint x Natasha + Avengers] [Dark!AU] [Completa]
Genere: Azione, Malinconico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Thor, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Capitolo 18 -

 

 

 

Mentre la sirena dell'allarme si perdeva nell'aria gelida della notte artica, Natasha guadagnò la copertura offerta dall'edificio D, schiacciandosi alla parete un attimo prima che le guardie appena sopraggiunte non cominciassero a far fuoco.

Si obbligò a controllare il respiro, assicurandosi di avere abbastanza munizioni mentre faceva scorrere lo sguardo sui tre che le stavano attorno: fatta eccezione per Bruce, improvvisamente impallidito, sembravano stare tutti bene. I due gruppi si erano riuniti all'esterno subito dopo l'esplosione che aveva scosso il cielo immobile. Sapeva che, se non si fossero messi in salvo al più presto, non sarebbero scampati ad un'imminente visita dell'Altro.

“Rogers, Odinson,” chiamò, riuscendo a malapena a sentire la propria voce, sovrastata com'era dal rumore degli spari e dal lungo fischio che ancora le riempiva le orecchie. “Mi ricevete?”

“Non funziona,” decretò concitatamente Clint, voltandosi verso di lei prima che l'ennesima raffica di spari non arrivasse a cancellare ogni altro suono. Lo vide alzare lo sguardo sul tetto del blocco dietro cui si trovavano e rivolgerle furiosi cenni in quella direzione: non ci mise molto ad intuire che intenzioni avesse.

“Vai!” Lo esortò annuendo più e più volte. L'arciere indietreggiò di qualche passo, selezionò una freccia precisa dall'assortimento che Stark gli aveva fornito e la scoccò verso l'alto: un attimo dopo Clint, appeso ad un cavo sottile, stava scalando la facciata.

“Mi dispiace dover fare il guastafeste, ma dobbiamo andarcene!” Esclamò Tony, parandolesi davanti con un'espressione preoccupata.

Se niente era cambiato, gli alleati dell'ex SHIELD che li avevano portati fino a Point Hope li stavano ancora aspettando a tre miglia di distanza dal complesso: il problema, adesso, era attraversare il centro della struttura in direzione di almeno uno dei tre varchi che ciascun gruppo si era aperto nella recinzione che ne seguiva il perimetro. Clint avrebbe potuto coprirli fin tanto che avesse avuto frecce e proiettili a disposizione, ma la traversata sarebbe stata complicata in ogni caso.

Sollevò lo sguardo per accorgersi che l'arciere era sparito oltre il ciglio del tetto.

“Sono in posizione,” le annunciò un attimo dopo, il tono straordinariamente calmo e pacato per una situazione tanto orribile. “Sono almeno in venti.”

“Hanno tirato tutto lo staff giù dal letto,” esalò in risposta, facendo cenno a Tony di restare indietro mentre si affacciava all'angolo dell'edificio. Approfittò di una tregua improvvisa per sporgersi al di là del muro e farsi un'idea – per quanto vaga – delle forze attualmente in gioco.

“Diciotto,” si corresse Clint. “Diciassette.” Le guardie gridavano e intensificavano la sventagliata di colpi tutte le volte che l'arciere ne atterrava una.

“L'unica possibilità che abbiamo è correre tra i blocchi B ed A,” tornò a rivolgersi ai due che aspettavano alle sue spalle, “se restiamo qua dietro rischiamo di rimanere in trappola.” Senza contare che gli uomini che li tenevano sotto tiro avevano probabilmente chiamato rinforzi che minacciavano di arrivare da un momento all'altro; certo, stanziare la base per i propri loschi esperimenti nel bel mezzo del niente garantiva una privacy pressoché assoluta, ma aveva anche i suoi contro: tempo e difficoltà ad essere raggiunta in primis.

“Ci ridurranno a un dannato colabrodo!” Protestò Stark senza abbandonare il suo posto al fianco di Bruce, il cui respiro pareva accelerare con ogni secondo che passava. A pensarci meglio, una visita dell'Altro, in quelle precise circostanze, non le sarebbe dispiaciuta così tanto.

“Vi copro io, ma voi dovete muovervi,” spiegò rapidamente. “Arrivate almeno fino all'edificio B, nascondetevi là dietro e aspettatemi, va bene?”

“Datevi una mossa,” di nuovo la voce di Clint. “Questi figli di puttana spuntano fuori come fottutissimi funghi!”

“Quanti?” Chiese conferma.

“Almeno un'altra decina,” la informò. “Per adesso.”

Natasha fu di nuovo su Bruce e Tony, assicurandosi che fossero abbastanza lucidi per sopportare la traversata. Prese la valigetta che Banner teneva ancora stritolata tra le braccia, esortando Stark a farsi carico dei documenti che il dottore doveva aver recuperato nei laboratori neanche qualche minuto prima che i loro due gruppi si riunissero.

“Statemi dietro.” Attese solo un breve, incerto cenno d'assenso da parte di entrambi; dopodiché aspettò che l'ennesima raffica di proiettili si fosse placata prima di gettarsi oltre l'angolo dell'edificio, puntare l'arma dritta davanti a sé e fare ripetutamente fuoco, atterrando una guardia dopo l'altra. “Muovetevi!” Ringhiò, mentre gli uomini davanti a lei si accasciavano a terra, colpiti da fuoco nemico, amico, frecce o... uno scudo.

“Rogers e Odinson!” L'esclamazione trionfante di Clint le risuonò nelle orecchie un attimo dopo.

Ignorò la tenue sensazione di sollievo che la invase, circumnavigando l'edificio B dietro cui Banner e Stark la stavano già aspettando, il primo scosso da brividi incontrollabili, l'altro vistosamente turbato.

“Non resisterà per molto,” biascicò Tony, ogni traccia di insolenza prosciugatasi dal suo volto.

Natasha annuì, approfittando dell'improvviso momento di stallo per ricaricare l'arma, concentrandosi sugli spari che continuavano a riempire incessantemente l'aria, sovrastando a malapena l'assordante sirena dell'allarme.

“Selvig è con loro,” di nuovo l'arciere.

“Quanti uomini, Barton?”

“Non più di otto. Rogers e Odinson se ne stanno occupando.”

“Scendi di lì, ce ne andiamo!”

“Non aspettavo nient'altro.”

“ROMANOFF!” Non aveva neppure fatto in tempo a registrare l'urlo di Stark che dovette assecondare il suo istinto: si gettò di lato, evitando per un pelo che il colpo sparato da un cecchino appostato su uno degli edifici circostanti la raggiungesse alla testa.

“Dobbiamo andarcene!” Urlò di rimando, rimettendosi in piedi per spingere i due a muoversi in direzione del blocco A. Non attesero alcun via libera per uscire allo scoperto e attraversare forsennatamente la strada che separava i due edifici, riprendendo a far fuoco praticamente alla cieca.

“Nat!” Ancora la voce di Clint. “Nat, stai bene?”

“A posto,” esalò, il respiro corto e il cuore a batterle in petto come impazzito. Appena raggiunto l'edificio non avevano esitato a seguirne il perimetro per guadagnarne il retro: il varco aperto nella recinzione metallica, appena una decina di metri più oltre, si stagliò loro davanti con la promessa di una via di fuga.

“Cazzo.”

“Che è successo?” Ma l'arciere non stava più parlando con lei: in sottofondo e praticamente per miracolo, le parve di udire la voce di Rogers insieme ad una sconosciuta, che doveva appartenere al dottor Selvig. “Clint! Clint parlami!” Insisté, incapace di ignorare la morsa gelida che le aveva improvvisamente stretto lo stomaco.

“Non me ne vado senza quei prototipi!” Stabilì lo scienziato, la voce aspra e spaventata insieme.

“Non abbiamo tempo,” Rogers con la sua calma malamente ostentata.

“Merda, vado io! Dov-” L'ennesima raffica di spari sommerse la voce dell'arciere.

“Romanoff,” si sentì strattonare, “o ce ne andiamo o rischiamo di avere un'altra gatta da pelare.” Tony accennò rapidamente a Bruce, accasciato su se stesso in preda a spasmi improvvisi.

“Ci dirigiamo verso il punto di ritrovo,” annunciò nella trasmittente, affatto sicura che ci fosse ancora qualcuno in ascolto. “Stark, dammi una mano.”

Si sistemarono a ciascun lato del dottore, afferrandolo per le braccia da sotto le ascelle, scambiandosi poi una rapida occhiata.

“Forza, Ferrari,” Tony la esortò, “dacci il via.”

“Ricordami di prenderti a calci in culo quando siamo al sicuro, ah?” Prese un appunto mentale prima di scattare bruscamente in avanti, trascinando Banner e Stark con sé in direzione della recinzione. Riuscì ad atterrare senza problemi un paio di guardie che si pararono loro davanti, ma la deflagrazione di un ennesimo sparo li raggiunse dal lato opposto.

“M-Merda!” L'imprecazione di Tony le risuonò nell'orecchio nell'esatto momento in cui il peso di Bruce rischiò di farla inciampare e cadere: Stark era a terra, le mani al petto, il terrore negli occhi, i fascicoli sparsi tutt'attorno sul terreno fangoso.

Natasha ignorò a malapena il battito impazzito del proprio cuore, sparando e colpendo alla testa la guardia che aveva fatto fuoco neanche un istante prima, mettendone KO altre tre prima che il clic del grilletto che scattava a vuoto non arrivò ad annunciarle che dovevano davvero andarsene al più presto.

“Cazzo,” tornò su Tony che si stava stracciando la maglietta termica a rivelare il giubbotto anti-proiettile nel quale il colpo era andato a conficcarsi proprio in prossimità del cuore. “P-Per un attimo h-ho temuto che sarei stato c-costretto a s-sopravvivere con una b-batteria a pile!” Esclamò allucinato, arrancando per rimettersi in piedi e raccogliere alla meno peggio i documenti che aveva lasciato cadere.

“Datti una mossa, Stark!” Gli gridò contro, sperando di obbligarlo ad aggrapparsi a quell'ultimo briciolo di lucidità: l'uscita dal perimetro del complesso era proprio lì... a pochissimi passi di distanza.

Macinarono velocemente quegli ultimi metri, aiutando Bruce ad attraversare il varco. Natasha non ebbe neppure il tempo di pensare a cosa fosse necessario fare (aspettare gli altri? Correre alla macchina? Tornare indietro?) che l'ennesimo boato si propagò nell'aria, costringendoli a voltarsi verso il punto da cui erano appena venuti.

“Romanoff! Romanoff, dobbiamo andarcene!” La voce di Tony si impose alla sua attenzione, costringendola a prendere freddamente in considerazione ogni possibilità e, per quanto – per motivi che ancora le apparivano oscuri – avesse voluto trovare una soluzione alternativa, sapeva che l'unica cosa da fare era percorrere quelle tre miglia che li separavano dal punto di ritrovo e augurarsi che gli altri fossero perfettamente in grado di badare a se stessi. E doveva essere così, no? Per quale altra ragione erano stati scelti dall'ex SHIELD se non potevano cavarsela da soli?

“Romanoff,” Stark non esitò ad insistere. “Dobbiamo andarcene,” ribadì più seriamente di quanto Natasha gli avesse mai visto fare.

Inspirò ed espirò un paio di volte prima di decidersi ad annuire, riafferrare Bruce per un braccio, stringere la valigetta recuperata dai laboratori in una mano, la pistola scarica nell'altra e cominciare a camminare.

 

*

 

5 ore dopo

Cordova, Alaska

 

“Come sta?” La sua voce si perse tra le pareti grigie e spoglie dell'infermeria del quartier generale dell'ex SHIELD, facendo sì che Tony – seduto accanto al letto del dottor Banner – si voltasse verso di lei, i segni della stanchezza ben visibili sul viso stravolto.

“Stando al tizio che l'ha curato, avrebbe fatto meglio a dare di matto,” decretò Stark con una leggera scrollata di spalle. “Gli hanno dovuto somministrare un sedativo,” aggiunse, “ma si rimetterà.”

Il che era molto più di quanto si potesse dire dell'altra metà del gruppo: Natasha, Bruce e Tony erano riusciti a raggiungere gli uomini che li stavano aspettando, come pattuito, a tre miglia di distanza da Point Hope; a quel punto non avevano potuto far altro che cedere alle insistenze di chi voleva trasportarli immediatamente in direzione di Noalak, dove si trovavano gli elicotteri che avrebbero dovuto riportarli a Cordova. La scelta razionale era stata quella di assecondarli: quale che fosse la sorte toccata a Thor, Steve e Clint, mettere a repentaglio l'incolumità dell'intera squadra per una sorta di inutile solidarietà sarebbe stato stupido. Si erano quindi lasciati alle spalle una delle due auto-slitte prima, uno degli elicotteri poi, sperando che il resto della squadra li avrebbe raggiunti al più presto... neanche gli alleati dell'ex SHIELD avrebbero potuto attardarsi per sempre.

Il viaggio fino alla centrale di Stark e poi la discesa nella viscere della terra fino alla base del colonnello Fury si era protratto nel tempo come un sogno, impedendole di rendersi del tutto conto di cosa fosse successo davvero. Solo quando aveva realizzato di essere finalmente al sicuro, si era ricordata perché avessero accettato quel folle incarico, delle informazioni che il defunto SHIELD aveva loro promesso. Si era sorpresa ad accorgersi di quanto poco le interessassero: l'irrazionale speranza che conoscere il suo passato l'avrebbe aiutata a capire il suo presente, le era improvvisamente apparsa stupida. Infondata.

“Saranno qui a breve,” Stark era tornato a guardarla, di nuovo quell'espressione seria e contrita, “sanno come cavarsela.”

Natasha si limitò ad annuire un attimo prima che Phil Coulson non facesse capolino oltre la porta dell'infermeria, lanciando loro un'occhiata indecifrabile.

“Sono tornati,” disse soltanto, dandole la sfuggevole impressione che si fosse soffermato in particolar modo su di lei. Non le concesse il tempo di chiedere o aggiungere alcunché che si era già dileguato senza una parola di più, acuendo quella sensazione di catastrofe imminente che l'aveva tormentata durante tutto il viaggio di ritorno.

Ignorò i richiami di Stark, inseguendo Coulson senza pensarci un secondo di più: scansò i pochi agenti che, riuniti in gruppetti o in solitaria, percorrevano i corridoi in quelle prime ore del mattino. Si arrestò soltanto quando ebbe raggiunto l'anticamera alla quale si accedeva tramite l'ingresso principale della base (niente a che vedere con la bizzarra botola che avevano trovato nello sgabuzzino della centrale): tutta l'attività del quartier generale sembrava concentrarsi proprio lì. Maria Hill sbraitava ordini a chiunque osasse incrociare il suo sguardo, un paio di infermieri stavano portando via quello che Natasha riconobbe come il dottor Selvig, un altro si stava preoccupando della vistosa ferita alla tempia sfoggiata da Thor, mentre Rogers era impegnato in una fitta conversazione con il colonnello Fury. Poco distante, una valigetta ammaccata molto simile a quella che lei stessa aveva trasportato per gran parte del tragitto di ritorno giaceva incustodita nel bel mezzo della stanza, là dove uno dei tre doveva averla lasciata.

Serrò le labbra, ostinandosi a guardarsi attorno alla ricerca di quell'unica persona che sembrava attualmente mancare all'appello: ma per quanto guardasse, per quanto si spostasse da un capannello di agenti all'altro, di Clint non c'era nemmeno l'ombra.

Aprì e serrò i pugni, ritrovandosi bloccata sul posto, la gola stretta da un nodo fastidioso: ed eccola quella sgradevole sensazione allo stomaco che cominciava a concretizzarsi, a prendere forma. L'occhiata grave e severa che Steve le lanciò al di sopra delle spalle di Fury, non fece altro che confermare ciò che già sospettava: Clint era rimasto indietro. Restò immobile a ricambiare il suo sguardo finché il capitano non riuscì a liberarsi del colonnello e a muoversi nella sua direzione con un'espressione che non prometteva proprio niente di buono.

“Ehi,” fu Rogers ad esordire, mentre Natasha intrecciava le braccia al petto ed esibiva la miglior facciata di disinteresse che fu capace di edificare in quel preciso istante.

“Dov'è Barton?” Gli chiese, mascherando a malapena l'urgenza che quell'interrogativo le procurava.

“Lui...,” Steve parve esitare.

“Rogers,” lo richiamò freddamente all'attenzione. “Dov'è Barton?” Ripeté, indurendo i tratti del volto: non aveva alcuna intenzione di facilitargli in alcun modo la cosa.

“Selvig ha parlato di alcuni prototipi senza i quali non avrebbe accettato di seguirci,” mormorò Steve, ignorando l'astio che – ne era sicura – doveva trasparire da ogni singolo centimetro del suo volto.

“Questo lo so,” puntualizzò, maltrattenendo l'irritazione.

“Barton si è offerto di andarli a prendere,” dichiarò l'altro, abbassando un poco la voce.

“Ma lui e Banner erano già stati nei laboratori,” non poté fare a meno di ribattere. Aggrappandosi a quel poco di lucidità che gli rimaneva, Bruce le aveva raccontato dell'incendio che lui e Clint avevano scatenato nel blocco C del complesso, nella speranza – così le aveva detto – di cancellare qualsiasi progresso la ricerca di Selvig avesse fatto per conto dell'HYDRA: se avessero voluto salvare il salvabile, avrebbero avuto bisogno di più tempo. Quello, aveva specificato il dottor Banner, era quanto di meglio avessero potuto fare prima che l'esplosione arrivasse a costringerli a fuggire il più rapidamente possibile.

“Non era lì che si trovavano, ma nel quinto edificio... quello di massima sicurezza,” replicò debolmente Steve. “Selvig gli ha fornito il codice d'accesso...,” fece una breve pausa, umettandosi lentamente le labbra.

Un dolore sordo all'altezza del petto era tutto ciò che le ricordava che non stava affatto sognando, che quella conversazione era realmente in corso e che non avrebbe potuto fare proprio niente per evitarlo.

“Siamo rimasti ad aspettarlo, ma le guardie continuavano ad aumentare e le munizioni stavano finendo,” riprese il capitano. “Proprio mentre stavamo per decidere di andarcene, Barton ci ha richiamati... e lanciato la valigetta,” gliela indicò con un cenno del capo, “da una delle finestre. Stava per saltare... raggiungerci,” scosse il capo. “Ma c'è stata un'altra esplosione... credo che il complesso fosse progettato per auto-distruggersi in caso di pericolo. E' quello che è successo al blocco B, quando siamo entrati per prelevare Selvig.”

Se per qualcuno l'esitazione di Rogers avrebbe potuto risultare solidale, tutto quello che Natasha avrebbe voluto fare in quel preciso momento era prenderlo a pugni finché non avesse esaurito anche la più piccola briciola di energia che le rimaneva. Serrò le labbra concentrandosi solo sui fatti, sforzandosi di rimanere lucida e presente, più che determinata a non concedere il benché minimo spazio all'incertezza o alla paranoia.

“L'avete visto cadere?” Gli domandò freddamente, serrando la presa sulle proprie braccia.

“No, ma-”

“Rogers,” esalò in un soffio gelido, “l'avete visto cadere?”

Era una domanda semplice: l'avevano visto morire con i propri occhi oppure si erano lasciati vincere dall'istinto di sopravvivenza decidendo di fuggire il più lontano possibile? Se l'avevano dato per spacciato senza accertarsi che fosse effettivamente morto, allora l'eventualità che Clint fosse riuscito a mettersi in salvo sussisteva.

“L'edificio è esploso, Natasha,” sussurrò lui, tentando forse di suonare ragionevole, ottenendo, però, solo di farla arrabbiare di più.

“Non usare quel tono paternalistico con me,” rispose pacatamente, sentendosi pericolosamente arrivata al limite. “L'avete visto cadere?”

Rogers restò a guardarla per un lunghissimo attimo, evidentemente indeciso sul da farsi: Natasha lo vide deglutire a vuoto, poi passarsi una mano sul volto macchiato di polvere e fumo. Dopodiché, con un vago sospiro, il capitano scosse il capo in segno di diniego.

Quindi non l'avevano visto morire: l'esplosione li aveva semplicemente spinti a darlo per morto, ma Clint... Clint poteva ancora essere vivo. Gli ingranaggi del suo cervello parvero rimettersi in moto tutti insieme, mentre si obbligava ad entrare in modalità emergenza, a sgombrare la mente da qualsiasi nozione o sentimento non le tornasse utile per concentrarsi solo ed esclusivamente sui fatti.

Gli scoccò un'occhiata carica di disgusto, dandogli le spalle per allontanarsi a passo di marcia in direzione dell'area dormitorio. Scansò le poche persone che incontrò sul proprio cammino e ignorò le proteste di chi urtò bruscamente nella foga di raggiungere la propria stanza. Aveva già formulato una lista di cose da fare e aveva ogni intenzione di cancellare sistematicamente, una ad una, tutte le voci che la componevano.

Spalancò la porta della sua camera, afferrando lo zaino che conteneva tutti i suoi pochi effetti personali; si spogliò degli abiti più comodi che aveva indossato al suo arrivo alla base, dopo la doccia che si era concessa, rinfilandosi la tuta che l'ex SHIELD le aveva fornito, ignorandone l'assoluta scomodità o il fatto che si era graffiata e stracciata in più punti.

Uscì subito dopo, diretta, stavolta, ai laboratori del livello inferiore: se davvero voleva recuperare Clint avrebbe avuto bisogno di tutta l'artiglieria su cui poteva mettere le mani. Le possibilità erano tre: o l'arciere era riuscito a fuggire e attualmente si trovava disperso tra i ghiacci del circolo polare artico; oppure era sopravvissuto e stato fatto prigioniero dall'HYDRA; al terzo scenario... Natasha non volle proprio pensare.

Fece irruzione nel laboratorio dove un uomo e due donne in camice bianco erano attualmente impegnati ciascuno alla propria postazione; fece finta di niente, aprendo tutti gli armadietti e i cassetti che riuscì ad individuare, trattenendosi a malapena dal distruggere tutto ciò che non le serviva.

“Dove sono le armi?” Chiese seccamente quando le fu chiaro che non sarebbe riuscita a trovare proprio niente di utile. I tre, che l'avevano osservata inebetiti fino a quel momento, si scambiarono rapidi sguardi turbati; non osarono aprire bocca. “Ho detto,” ripeté, estraendo la pistola scarica di cui disponeva (ma loro non potevano saperlo, no?) per puntarla loro contro, “dove sono le armi?”

Li vide alzare le mani a mo' di resa: una delle donne indietreggiò istintivamente fino a schiacciarsi in un angolo del laboratorio; l'uomo si era già gettato a terra invocando pietà. Solo la seconda donna parve essere abbastanza lucida da prestarle ancora un minimo d'attenzione.

“Nell'armeria,” decretò con voce tremante.

“Dov'è l'armeria?”

“Al livello 3.”

“A che livello siamo adesso?”

“Livello 5... p-per... per f-favore...”

Natasha non rimase ad ascoltare quel che restava della frase, uscendo dalla stanza in direzione del livello 3. Possibile che non si fosse neppure accorta dell'organizzazione di quel posto? Possibile ci fosse un'armeria di cui Fury non aveva parlato? Intercettò un ragazzo che solo poi avrebbe riconosciuto come Greg che aveva servito loro il caffè durante la prima riunione al quartier generale dell'ex SHIELD, bloccandolo con una mano nel bel mezzo dell'ennesimo corridoio.

“Come faccio a salire fino al livello 3?” Domandò con urgenza, ma quello pareva troppo preso dalla pistola che – se n'era dimenticata – stava ancora impugnando. Si vide costretta a puntargliela contro, aggiungendoci un'occhiata fulminante per giusta misura. “Come faccio a raggiungere il livello 3?”

“C-Ci s-sono le scale... d-da... da quella parte,” le indicò un punto qualsiasi alle sue spalle.

“Accompagnami,” lo esortò a farle strada, sospingendolo malamente in avanti. Camminarono per un misero paio di minuti, senza incontrare nessuno, finché Greg non si fermò a davanti ad una doppia porta, indicandogliela con una mano tremante.

“D-Da qui si arriva o-ovunque,” le spiegò debolmente.

Natasha si limitò a strattonarlo all'indietro, senza degnarlo neppure di uno sguardo prima di aprire la porta e ricomparire in uno stretto vano dove l'aria era umida e pesante. Una rampa di scale saliva, un'altra scendeva. Imboccò la prima, macinando un gradino dopo l'altro; passò davanti alla doppia porta che segnalava l'accesso al livello 4, continuando a muoversi finché non ebbe raggiunto la successiva, identica ma con un grosso 3 tracciato in vernice sulla parete. Vi si addossò contro, spalancandola per immettersi nell'ennesimo corridoio uguale a mille altri che aveva già visto e percorso. Dovette ricordarsi della posta in gioco, che per niente al mondo si sarebbe potuta concedere la benché minima esitazione; dopodiché riprese a procedere ad ampi passi, curandosi di celare la pistola alla vista degli sporadici agenti che intercettò sul proprio cammino.

Solo quando individuò il colonnello Fury fermo davanti ad una grossa porta blindata, ebbe la certezza di essere nel posto giusto. L'uomo si voltò verso di lei, le mani congiunte dietro la schiena e un'espressione di pura irritazione a corrugargli l'espressione. Qualcosa le suggerì che la stava aspettando.

“Mi hanno detto che sta terrorizzando i miei uomini,” sibilò quello, senza esitare a guardarla dritta negli occhi.

“Si tolga di mezzo,” gli intimò, eliminando almeno un paio di metri dalla distanza che li separava.

“Oppure cosa? Mi minaccerà con una pistola scarica?”

Natasha assottigliò lo sguardo mentre rabbia e nervosismo le contraevano i muscoli. Se le circostanze fossero state diverse, forse, un uomo come Fury sarebbe tranquillamente riuscito a guadagnarsi la sua stima e il suo rispetto: ma in quel momento, tutto ciò a cui riusciva a pensare era uscire di lì con i mezzi più adatti alla folle missione che si era prefissata.

“Non ho bisogno di un'arma per essere pericolosa,” decretò semplicemente, gettando a terra la pistola senza interrompere il contatto visivo col colonnello.

“Perché crede che l'abbiamo portata sin qui, signorina Romanoff?” Replicò l'altro, rivolgendole un'occhiata a metà tra il seccato e l'annoiato.

“Le consiglio di lasciarmi passare,” gli intimò, scatenandogli una sgradevole risata che non fece altro che agitarla di più.

“Non è lei a dettare le regole qua sotto.”

“E' stato lei a portarmi fin qui,” gli rammentò in tono odioso, “forse avrebbe dovuto pensarci due volte.”

“Oh, mi sono sufficientemente interrogato sulla ragionevolezza del mio proposito, signorina Romanoff.” Il modo in cui continuava a pronunciare il suo nome rischiava di farla uscire di testa.

“Andrò a recuperare Barton a mani nude se sarà necessario.”

“Per quanto le sue abilità mi sorprendano, dubito che riuscirà a mettere fuoriuso l'HYDRA in queste condizioni.”

“L'HYDRA,” si ritrovò a ripetere, come per assicurarsi di aver capito bene. La sensazione che Fury sapesse molto più di quanto lasciasse intravedere diventò improvvisamente una certezza: Clint era vivo.

“Allora mi faccia prendere almeno un paio di pistole, munizioni...”

“Non posso sprecare le nostre risorse per recuperare un solo uomo, signorina Romanoff.”

“E' stato lei a portare quel solo uomo fin qui, ricorda?”

“Il signor Barton era perfettamente consapevole dei rischi che stava correndo.”

“Sul serio?” La voce le uscì più acuta e furiosa di quanto avrebbe voluto. “L'avete ricattato con informazioni sul fratello che ha creduto morto fino ad ora,” sibilò, stringendo i pugni fino a farsi male. “Che si aspettava che facesse? Che rifiutasse l'offerta?”

“Continuo a non cap-”

“La situazione è piuttosto semplice, signor Fury,” lo interruppe, calcando sull'appellativo per sottolineare quanto esattamente detestasse il modo in cui le si rivolgeva. “O lei mi fa uscire di qui con tutto l'armamentario del caso, oppure le renderò la vita un inferno.”

“Cosa le fa credere che riuscirà ad eludere la nostra sorveglianza?”

“Lei mi ha reclutato,” gli rammentò, “lei sa di che cosa sono capace. Me lo dica lei se sarò in grado di eludere la vostra sorveglianza.”

“Non ha la più pallida idea del motivo per cui è finita nel nostro radar.” Il tono e lo sguardo del colonnello sembravano essere appena impercettibilmente mutati.

“Sembrate saper tutto di noi,” si ostinò ad apparire sfacciata e sicura di sé, ad ignorare il seme del dubbio che cominciava a fiorirle in petto.

“La figlia di Drakov, l'ospedale di San Paolo... tutti gli attentati che ha messo a segno negli ultimi due anni...,” proseguì l'uomo, avanzando di un paio di passi nella sua direzione; fu necessario tutto il suo autocontrollo per convincersi a non indietreggiare di rimando. “Ivan Petrovich prendeva ordini dall'HYDRA.”

Natasha sentì il cuore perdere un battito, lo stomaco contrarsi fastidiosamente. Se gli incarichi che suo padre le aveva presentato venivano dall'HYDRA, allora significava che tutte le persone che aveva ucciso... le aveva eliminate per conto di quelle stesse persone che tenevano attualmente in ostaggio Clint.

“Non è vero,” sibilò in risposta.

“Oh, può ignorare la verità quanto le pare,” replicò Fury, fissandola, “ma non la cambierà minimamente. L'unico motivo per cui l'abbiamo contattata è perché volevamo toglierla di mezzo, signorina Romanoff.”

“Perché non l'avete fatto?” Si ritrovò a chiedere, facendo un'immensa fatica a mantenere il tono di voce fermo e distaccato.

“Perché ha tentato di uccidere suo padre... e ha insistito per arrivare fin qui. Ben più di quanto ci aspettassimo.”

“Tentato...,” qualcosa di molto simile al terrore cieco si fece strada dentro di lei senza alcun preavviso. Il cuore riprese a battere più rapidamente, mentre una sensazione che era rimasta sopita fino a quell'istante si palesò in tutto il suo sgradevole tumulto.

“Non è rimasta a guardarlo morire, non è così?”

Una delle prime regole che Ivan le aveva insegnato quando le missioni che le affidava si erano fatte improvvisamente più delicate, era quella di controllare che le sue vittime designate fossero effettivamente morte prima di allontanarsi dal luogo del delitto. Ma la chiesa in cui l'aveva accoltellato era un luogo troppo scoperto per permetterle di trattenersi sufficientemente a lungo. Ricordava il rumore che aveva sentito alle proprie spalle, la paura di essere catturata, l'urgenza fisica che aveva provato di allontanarsi il più rapidamente possibile dall'uomo che aveva meticolosamente pilotato ogni singolo attimo della sua vita.

“N-Non può...”

“Ivan Petrovich è ancora vivo.”

Il gelo le riempì lo stomaco, togliendole bruscamente il respiro. Una forza sconosciuta, un turbine oscuro rischiava di trascinarla giù con sé, farle perdere la lucidità, il senno... ma nel panico che minacciava di soverchiarla, fu il ricordo di quello che avrebbe dovuto fare a tenerla – seppure a stento – con i piedi per terra.

“N-Non mi interessa,” biascicò inudibile. “Devo ritrovare Barton.”

“Barton è spacciato.”

“Le ho detto,” si fece avanti, scacciando furiosamente l'incertezza, “che devo ritrovare Barton.”

“Ha ragione,” la voce di Steve la raggiunse alle proprie spalle. Doveva essersi lasciata distrarre a tal punto dalle rivelazioni di Fury da non aver sentito i passi in avvicinamento del capitano. “La lasci passare, colonnello.”

“Capitano Rogers,” lo apostrofò gelidamente l'uomo, “da lei mi aspetto maggiore ragionevolezza.”

“Barton è uno della squadra,” replicò l'altro mentre l'affiancava, “io non lascio indietro nessuno.” Natasha intuì a malapena il disappunto che si era disegnato sul volto di Steve: aveva dato Clint per morto e, adesso, si era appena reso conto dell'informazione che il colonnello gli aveva tenuto all'oscuro.

Fury fece scorrere alternativamente lo sguardo prima sull'una e poi sull'altro, a più riprese.

“Siete da soli,” li avvertì scontrosamente, “nessun piano d'estrazione, niente di niente. Riceverete in dotazione due pistole ciascuno e nient'altro.”

“Saranno sufficienti,” decretò Natasha, la consapevolezza di aver finalmente fatto breccia nella corazza del colonnello. L'uomo aprì loro la porta blindata dell'armeria per poi accennare ad allontanarsi... ed esitare; lo videro cercare qualcosa nella tasca della felpa scura che indossava, per poi lanciarlo nella loro direzione.

“Se non vi date una mossa lo porteranno fuori dallo stato,” fu l'ultimo, incomprensibile suggerimento che si concesse prima di dar loro le spalle e andarsene.

Solo allora Natasha abbassò lo sguardo sull'oggetto che aveva recuperato al volo, istintivamente: sul piccolo display che mostrava quella che riconobbe come una mappa dell'Alaska, brillava un puntino rosso in un lento, impercettibile movimento verso est.

“Sembra un rilevatore di posizione,” mormorò Steve. “Dov'è diretto?”

“Anchorage,” rispose a mezza voce. “Abbiamo meno di tre ore per intercettarli.”

Rogers l'aggirò per poterla fronteggiare, un'espressione concentrata sul volto.

“Le faremo bastare.”

 

 

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Note:
Non potevo proprio non rivisitare l'evento di The Avengers che ha iniziato tutta la follia clintashosa, quindi Clint è nei guai (scusa Clint!). Intanto si fanno rivelazioni sul conto di Natasha (che qualcuno di voi aveva ben intuito!) e ci si avvicina alla fine. Due capitoli to go!
Oltre a questo vorrei ringraziare la mia sclerobetasocia Eli e tuuuuuuuuutti voi che mi avete letta/recensita in questo 2014 da ritorno di fiamma con le fanfiction, per essere arrivati fin qui :') come sempre, mi fa un sacco piacere! Vi auguro un fantastico 2015, che sia sereno e tranquillo e che Avengers: Age of Ultron non infranga tutti i miei sogni di gloria con qualche bruttura che non voglio nemmeno nominare (non potevo esimermi, scusate XD) e non faccia schifo in generale. Amen.
Un bacione e ancora tanti auguri per il nuovo anno!
Alla prossima!
S.

 

  
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