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Autore: BambolinaMou    31/12/2014    1 recensioni
"In realtà lui è solo un ragazzino silenzioso, apatico per alcuni, che se ne sta sempre in disparte e che non finisce le poche frasi che inizia. È qualcosa di imbarazzante agli occhi degli altri.
Haru é felice solo quando sogna."
Parola : sogno | Rin/Haru
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Haruka Nanase, Rin Matsuoka
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Se siete capitate qui è per vostra sfortuna ma comunque, non ho nulla da dire se non augurarvi un buon anno in anticipo e tante altre cose belle. Ah, grazie a Cristina per avermi dato l’ispirazione e grazie a Onda, sempre pronta a sopportarmi.
La parola chiave è sogno.
Il titolo è a caso, suonava bene.
Non odiatemi, gli insulti su twitter (@nezushy).
Bacini, buon 2015 etc



Heart-Shaped Bullets



È felice, lo può giurare, croce sul cuore e mano sul petto. Haru è felice e non vede l’ora di poterlo dire a qualcuno ma non ha nessuno che gli possa chiedere come sta. Il suo appartamento è piccolo, un po’ spoglio e l’unico rumore che accompagna i suoi passi qua e la è il rubinetto in cucina che perde. Sua madre non lascia messaggi in segreteria, non gli manda mail, sua madre si è dimenticata di lui nonostante siano distanti tre grattacieli. Il postino non sa nemmeno che faccia abbia visto che lascia tutto in portineria e i suoi vicini sembrano odiarlo per tutte le volte che ha quasi incendiato l’intero piano per aver tentato di cucinare. Pensa di ordinare una pizza ma sono le 9 del mattino, allora prende il cellulare e scorre i numeri della rubrica che, escludendo sua madre, sono tutti quelli dei ragazzi con cui parla in facoltà. Potrebbe fare uno squillo a Nagisa ma poi si ricorda che è in vacanza e non vorrebbe disturbarlo, o forse a Rei, anche se le uniche conversazioni che hanno avuto sono state per lo più formate da monosillabi. Forse ci potrebbe essere un ragazzo, un certo Makoto, che sarebbe felice di ascoltarlo perché é sempre così gentile con lui ma alla fine cosa gli potrebbe dire oltre al fatto che è felice e che non se lo sa nemmeno spiegare. La sensazione di euforia lo abbandona lasciandolo a stomaco vuoto. Un brivido gli percorre la colonna vertebrale e gli ricorda che in realtà lui non è felice. In realtà lui è solo un ragazzino silenzioso, apatico per alcuni, che se ne sta sempre in disparte e che non finisce le poche frasi che inizia. È qualcosa di imbarazzante agli occhi degli altri.
Haru é felice solo quando sogna.


La prima volta non sa nemmeno che sta sognando. Tutto gli sembra così vero che pensa davvero di essere in ritardo all’appuntamento dal dentista e così si fionda giù dal letto cercando di fare tutto molto velocemente : cerca di prendere il latte ma lo rovescia anche se non esce nemmeno una goccia - si dice che era vuota ma non la raccoglie perché ha fretta ; una volta in bagno si lava il viso e i denti nonostante non abbia mangiato nulla e lo specchio sembra essere stranamente opaco, fa spallucce però perché se non si sbriga potrebbe perdere il bus. Ha indossato una felpa e un paio di pantaloni della tuta e si è chiuso la porta alle spalle. Guarda il display del cellulare e si rende conto di non essere poi così in ritardo.
Passa accanto all’ascensore rotto da mesi e sta per imboccare le scale ma un ragazzo lo travolge. “Scusami”
Si mette apposto il capellino sui capelli bordeaux e gli sorride inclinando il capo di poco. Haru non l’ha mai visto prima ma il suo viso è come ipnotico ed è per questo che rimane con un piede sul pianerottolo e l’altro su un gradino. Lo sconosciuto non sembra però sorpreso e continua a sorridergli per poi andarsene. Lo segue con lo sguardo e sembra che il ragazzo indossi i suoi stessi vestiti. Ma non riesce bene a vederli perché la vista gli si fa sempre più annebbiata.
L’ultima cosa che vede è il pianerottolo che si allunga all’infinito davanti alla figura che sembra perdersi in mille colori e sfumature e poi si sveglia con una voce parecchio roca nell’orecchio. Ci mette un po’ per capire che l’anziano signore accanto al quale si è seduto deve scendere alla prossima fermata, si alza allora ancora frastornato e non sa nemmeno dove sia. Le persone attorno a lui sono così chiassose che non riesce a pensare a nulla di sensato finché non si ricorda di un ragazzo dai tratti indefiniti. Uno con i capelli di uno strano colore e che aveva i suoi stessi vestiti.
Non si ricorda nulla. Non si ricorda nemmeno che era tutto un sogno.


La seconda volta non si rende conto di essersi addormentato fra una pagina e l’altra del libro di filosofia. Quando riapre gli occhi, fuori dalla finestra c’è un sole luminoso che stona nel cielo grigiastro. Si appunta mentalmente di trascinarsi a letto prima perché odia dormire sul divano visto che il giorno dopo non riesce mai a muovere il collo. Ma quel giorno ci riesce stranamente bene per aver dormito in salotto. Allora l’occhio cade sul divano che è perfettamente in ordine senza una piega, inoltre fra i cuscini non c’è nessun libro. Si guarda intorno stranito perché le sue pantofole non sono lì e non si ricorda dove le ha lasciate.
I raggi sono così forti che è costretto a mettersi una mano davanti agli occhi ed è mentre li strizza che è sicuro di aver appena visto un ragazzo girare mezzo nudo per casa sua che canta con un vecchio walkman fra le mani e scuote il bacino. Sbatte le palpebre e se lo ritrova a due centimetri dal viso.
Fa due passi indietro e anche con la mente cerca di capire cosa sia successo in quelle ore ma nulla, ci sono solo angoli bui.
“Ti ho svegliato per caso?”
Lo bacia di slancio sulle labbra per poi infilare di nuovo le cuffie e ballare. L’ultima cosa che nota prima di sentire un telefono squillare in lontananza sono i capelli del ragazzo : sono bordeaux.


Per tre giorni di fila sogna sempre lo stesso ragazzo. Quella volta capisce che è un sogno perché c’è un braccio sul suo petto e lui non vuole toglierlo, lui non vuole svegliare chi ha al suo fianco. In verità non vuole nemmeno sapere chi sia ma con la coda dell’occhio sbircia e riesce a catturare nel suo campo visivo una ciocca bordeaux. Non sa perché ma tira un sospiro di sollievo, forse troppo profondo visto che il ragazzo accanto si mette a mugolare qualcosa e poi lo tira a sé intrappolandolo fra le sue braccia. “Buongiorno”
Haru è confuso, sa che è un sogno ma non riesce a capire perché sente così bene il battito del ragazzo che accelera o il ticchettio della sveglia sul comodino. É come se fosse reale. Non sa dove trova il coraggio per abbracciare a sua volta quello sconosciuto. Le guance gli stanno per bruciare ma non riesce a fare a meno di appiattirsi contro quel corpo perché sa di casa.
“Buongiorno a te…”
“Cosa?”
 “Come ti chiami?”
Lo sconosciuto se lo allontana dal petto per guardarlo dritto negli occhi (solo ora nota che hanno lo stesso colore dei capelli) e ridere di gusto fino a lacrimare.
 “Non essere sciocco, Haruka”.
Si addormentano poi con le gambe intrecciate e i corpi stretti in una morsa soffocante.
La sveglia suona e Haru allunga il braccio per spegnerla. Sono le otto. Si guarda intorno nella stupida speranza di trovare qualcuno ma il suo letto è vuoto, così come la sua vita.


La quarta volta si sveglia avvolto da un profumo dolce ed invitante che viene dalla cucina. Così si infila le pantofole e dopo aver dato un’occhiata al letto sfatto da entrambe le parti va in cucina.
Lo stesso sconosciuto sta sfornando dei muffin mentre canticchia il verso di una canzone sottovoce, quando poi si accorge che Haru lo sta guardando immobile sulla soglia del corridoio distoglie lo sguardo e si occupa di riporre ciò che ha cucinato su un vassoio. Haru non capisce perché non l’abbia nemmeno salutato. Che sia diventato invisibile?
Ma questa ipotesi cade nell’istante in cui il ragazzo si avvicina con il capo chinato e gli occhi gonfi perché sta piangendo. Allora Haru si alza sulle punte e lo abbraccia cercando di appoggiare il mento sulle sue spalle che tremano per i singhiozzi.
“Mi dispiace tanto, non avrei mai voluto dirti quelle cose, mi dispiace, tu sei la persona più importante per me e io non” tira su con il naso “voglio perderti”.
Haru gli accarezza la schiena per tranquillizzarlo. Non ha idea di cosa dire.
“Io, Rin Matsuoka, giuro di non farti più del male e di-“
“Rin?”
Così quello è il suo nome.
 “Sì?”
“Niente”.


Passano giorni, mesi ma al 365 giorno Haru si addormenta nella vasca da bagno e si sveglia ancora in acqua, il bagno come lo ha lasciato dopo essere tornato a casa. Le pantofole accanto al lavandino e l’accappatoio per terra. Ma può essere ancora un sogno.
Sicuramente uscendo dal bagno troverà Rin che sta cucinando qualcosa di così squisito da fargli tornare l’appetito nonostante sia stata una giornata nera. Però quando apre la porta la casa è silenziosa, ancora bagnato va in cucina trovandola vuota, allora passa in camera ma il letto è fatto. Apre l’armadio e ci sono solo i suoi vestiti. Va di nuovo in salotto per vedere se ci sono ancora i cd di Rin ma non c’è nessuna mensola accanto alla libreria. Allora va di nuovo nella vasca, non si lascia intimorire dal freddo dell’acqua e si abbraccia le ginocchia per trattenere le lacrime che poi scivolano via, non riesce a fermarle.


Allo scoccare della mezzanotte di un nuovo anno Haru smette di sognare.
  
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