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Autore: BlueButterfly93    31/12/2014    6 recensioni
(REVISIONE STORIA COMPLETATA)
MIKI: ragazza che, come il passato le ha insegnato, indossa ogni giorno la maschera della perfezione; minigonna e tacchi a spillo. È irraggiungibile, contro gli uomini e l'amore. Pensa di non essere in grado di provare sentimenti, perché infondo non sa neanche cosa siano. Ma sarà il trasferimento in un altro Stato a mettere tutta la sua vita in discussione. Già da quando salirà sull'aereo per Parigi, l'incontro con il ragazzo dai capelli rossi le stravolgerà l'esistenza e non le farà più dormire sogni tranquilli.
CASTIEL: ragazzo apatico, arrogante, sfacciato, menefreghista ma infondo solamente deluso e ferito da un'infanzia trascorsa in solitudine, e da una storia che ha segnato profondamente gli anni della sua adolescenza. Sarà l'incontro con la ragazza dai capelli ramati a far sorgere in lui il dubbio di possedere ancora un cuore capace di battere per qualcuno, e non solo..
-
Lo scontro di due mondi apparentemente opposti, ma in fondo incredibilmente simili. Le facce di una medaglia, l'odio e l'amore, che sotto sotto finiranno per completarsi a vicenda.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ubriaca d'amore, ti odio!'
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CAPITOLO 17

UNO di troppo!







Ci trovavamo in una stanza d'albergo. Da soli. Nella camera che la direttrice ci aveva assegnato per la nostra permanenza a Roma. Avevamo vinto quel dannato viaggio come Re e Reginetta del ballo di Natale, non era stato possibile cambiare la meta della gita, la preside non aveva voluto sentire ragioni, e sebbene io non avessi alcuna intenzione di tornare nella mia città natale avevo deciso di partecipare ugualmente a quella vacanza. Ed eccomi qui. 

Come ormai tutti i giorni in quello strano viaggio, io e Castiel eravamo soli. Ci trovavamo lì ad una distanza millimetrica l'uno dall'altra. Potevo percepire il suo respiro farsi sempre più pesante sulla mia pelle. Il suo fiato corto mi provocava brividi di piacere. Senza ben capire come fossimo finiti in quella situazione compromettente ed intima il rosso mi spinse con brama verso il letto, quasi come se avesse fretta di concludere l'atto. Sebbene fossi ad un passo dal letto restai sui miei piedi senza lasciarmi cadere sul materasso. Nonostante fossimo completamente vestiti, cominciò a strusciarsi sopra di me. Sentii la sua eccitazione crescere sempre di più. Ero totalmente impacciata, tanto da non riuscirmi a godere il momento; d'altronde non ero mai passata in terza fase con nessuno prima di quel giorno. 

Io e Castiel continuavamo a guardarci senza spingerci oltre. I suoi occhi erano così profondi e scuri in quel momento tanto da potermici perdere dentro. Nessuno dei due baciava l'altro. Ma dopo qualche istante, facendo uso della sua esperienza per quel genere di cose, fece la prima mossa. Iniziò a spogliarmi baciandomi ogni angolo di pelle ed io divenni fuoco tra le sue mani. La mia troppa ingenuità ed inesperienza, non mi aiutarono a capire cosa dovessi fare, mi sentii solamente avvampare dappertutto. Nessun ragazzo mi aveva mai vista nuda prima d'allora. Forse avrei dovuto spogliarlo anch'io, forse avrei dovuto toccarlo, accarezzarlo, sfiorarlo, ma non ci riuscii. Ero come pietrificata.. eppure avevo atteso quel momento da tanto, troppo tempo per restare lì impalata. L'unico gesto che non mi costò molto fare e che quindi portai a termine fu stringere i suoi capelli rossi tra le mani. 

Di lì a poco sarebbe accaduto per davvero, Castiel Black stava per diventare la mia prima volta. "La mia prima volta?! Oh cazzo! devo dirglielo, deve saperlo che io..."

«Cass, aspetta!» mi staccai dalle sue labbra e poggiai entrambe le mani sul suo petto per fermarlo. «Ecco, i-io, sì insomma; Io... non ho mai... N-non ho mai-» le parole mi morirono in gola, abbassai il volto impacciatamente senza concludere, ma lui sembrò capire ugualmente il senso del mio discorso. Castiel non rispose a parole si limitò solamente ad alzarmi il volto con le sue mani grandi, era molto più bravo a comunicare con i gesti. Mi fece capire che non aveva importanza se gli avessi nascosto di essere vergine fino a quel momento, che lui fosse pronto ad accogliermi e cercò di tranquillizzarmi. Si spogliò senza il mio aiuto, mentre io restai stregata da quel fisico scolpito. Restammo entrambi in intimo, l'uno di fronte all'altra. Poggiando entrambi le mani sul mio bacino mi spinse verso il letto dove mi lasciai finalmente cadere. Cominciò a toccarmi da sopra l'intimo, ma a causa dell'ansia che mi stava divorando, non riuscii a provare niente, nessun piacere immenso come tutti dicevano di provare ogni qual volta la mano di un uomo toccava la loro intimità. Nonostante quel piccolo particolare ero contenta, ero felice di essere con lui. Non potevo scegliere nessun altro al di fuori del ragazzo dai capelli rossi; lui era esperto, lui sapeva come gestire la situazione, lui solitamente mi faceva provare emozioni indescrivibili. E non seppi spiegarne il motivo, ma in quel momento sembrava mancasse qualcosa, non percepivo il fuoco del piacere corrodermi, non sentivo le farfalle nello stomaco, come con lui avevo provato in passato anche solo con un bacio. 

Cercai comunque di non torturarmi con i soliti pensieri e spostai l'attenzione nuovamente a lui. S'inginocchiò sul letto e mi abbassò gli slip. Le guance mi si colorarono dalla vergogna, lui se ne accorse, ma continuò nella sua impresa. Si levò i boxer e a quel suo gesto le mie guance diventarono ancora più rosee. Poi mi levò il reggiseno, inarcai la schiena per facilitargli il lavoro. Eravamo completamente nudi, l'uno sopra all'altra. Sospirai.

Castiel stava per diventare la mia prima volta, ero incredula, chi l'avrebbe mai detto?

Prima di entrare totalmente in me, baciò i miei seni ed ogni piccola porzione di pelle fino a loro a partire dal mio viso. Era diventato incredibilmente dolce, in netto contrasto con qualche minuto prima. Non feci in tempo neanche ad ammirare quel suo lato che fui distratta da un suono frastornante. Sembrava una sveglia.

"Ehi un attimo; Ma questa è una sveglia, cazzo!"

Aprii gli occhi di scatto e con gesti parecchio violenti scaraventai quell'aggeggio infernale contro il pavimento. Quel suono frastornante ci aveva interrotti. 

Scossi la testa per venire a contatto con la realtà, ma non ci riuscii. Poi provai a sbattere in modo continuato le palpebre, ma neanche quello mi fu d'aiuto. Avevo ancora davanti quelle immagini, quelle sensazioni, la sua bocca sulla mia pelle. Così rinunciai ad alzarmi e provai a connettere la mente limitandomi a rotolare tra le coperte.

Avevo appena sognato la mia prima volta. Non mi era mai capitato. Ma poi perché proprio con lui? Conoscevo tanti ragazzi carini, tanti ragazzi migliori di lui e invece no, il mio inconscio, subconscio o quello che era aveva ben pensato di immaginarmi con lui durante la mia prima esperienza di sesso. Non potei negare che fosse perfetto fisicamente, non avevo mai visto niente di più bello. Certo, non avendolo mai visto nella realtà non potevo sapere se il sogno corrispondesse o meno al suo vero fisico, ma i ricordi delle volte in cui avevo sfiorato i suoi addominali da sopra la maglietta mi fecero avere la consapevolezza che il suo corpo potesse essere ancora più prestante del sogno. 

"Smettila Miki. Non puoi pensarlo in quel senso. E' stato solo un sogno. Tu non lo desideri, lui non ti desidera. Dovete stare a debita distanza, ve lo siete promessi." Cercai di ripetermi quelle parole nella mente per auto convincermi e per smetterla di stare lì a smanettarmi i pensieri su uno stupido sogno e su uno stupido ragazzo. E poi... Lui non meritava di essere nei miei sogni. Solamente una settimana prima avevamo litigato ed avevamo deciso di chiudere ogni tipo di rapporto avuto fino a quel momento. Io per lui ero stata una delle tante e dovevo convincermi che anche lui fosse lo stesso per me.

Dopo aver chiarito i miei pensieri mi feci forza e riuscii finalmente ad abbandonare quel letto caldo. Sbirciai il calendario sulla scrivania che segnava la data del sette Gennaio.

Sette Gennaio.  

Quel maledetto giorno che avevo scarabocchiato cercando inutilmente di eliminarlo definitivamente dai giorni di Gennaio di quest'anno, era appena arrivato e incombeva sulla mia testa come una ghigliottina. 

Il famoso provino con Paco Rabanne. Solo nel pensare il nome dello stilista avevo il voltastomaco. Quella sera si sarebbe tenuto quel maledetto provino. Ma prima mi attendeva il ritorno a scuola, nel liceo Dolce Amoris. 

Le feste erano passate in fretta. Durante le vacanze avevo sentito telefonicamente e visto Rosalya e Ciak, ovviamente. Avevo, invece, evitato volutamente Nathaniel. Non volevo avere altri grattacapi. Del rosso, invece, nessuna notizia per fortuna. Sicuramente era stato impegnato a trascorrere le sue vacanze da fidanzato innamorato con la sua Debrah. Sul mio viso nacque una smorfia di disgusto solo a pensarli insieme. 

Analizzando gli abiti presenti nella mia cabina armadio, continuai a fare il punto della situazione. Quel giorno avrei dovuto parlare con la direttrice per far riassumere Nathaniel come segretario delegato, sebbene volessi mantenermi a debita distanza anche da lui, avevo promesso di aiutarlo; era stata anche a causa mia se aveva perso le staffe quella sera dell'ormai lontano ballo di Natale. Inoltre Ciak avrebbe iniziato a frequentare il mio liceo ed ebbi uno strano presentimento che anche Debrah sarebbe ritornata nella sua ex scuola. Per non parlare poi del provino a cui avrei dovuto prender parte la sera stessa ed in cui non avevo alcuna intenzione di partecipare. Sì, ormai era sicuro. Quella giornata sarebbe stata una delle giornate peggiori del mio ultimo anno di vita. Assicurato!

Dopo aver disordinato mezza stanza finalmente decisi cosa indossare. Quando ero nervosa perdevo ogni capacità di scegliere i vestiti e i vari abbinamenti. Alla fine avevo optato per un maglione nero e dorato, dei collant color carne e come sempre una gonna sopra al ginocchio coordinata al maglione. Mi truccai velocemente e scesi in cucina per fare colazione. Zia Kate era già uscita di casa, ma diversamente dalle altre mattine, quel giorno trovai un biglietto sul tavolo con la sua calligrafia. Lo presi e lo lessi:

Tesoro, in bocca al lupo per il ritorno a scuola. Non mi sono dimenticata del provino. Ti accompagno io. Ci vediamo stasera. 

PS ogni giorno mi rendi la zia più orgogliosa al mondo. 

Un bacio!

La zia era diventata molto dolce in quel periodo. L'averle tenuto il broncio per un paio di giorni aveva dato i suoi frutti. Dopo la mia sfuriata a Natale, Kate -infatti- aveva compreso i suoi sbagli e aveva cercato di rimediare, di ragionare sulle varie situazioni. Continuava a vivere la sua storia con Pinocchio, ma lo faceva con più moderazione e da donna adulta. In poco tempo stavamo pian piano recuperando il rapporto che avevamo prima del mio trasferimento a Parigi; addirittura era diventata persino più affettuosa con me. 

Prima che potessi mangiare la mia colazione, sentii suonare al citofono. Di sicuro Ciak era arrivato. La sera prima aveva insistito affinché mi venisse a prendere con la sua auto. Aveva speso i suoi primi risparmi per assumere un autista e comprare una macchina tutta sua. Era parecchio vanitoso e propenso a mostrare la sua ricchezza al mondo. Spesa inutile quella dell'automobile, a mio avviso, ma contento lui...

Conoscevo bene l'impazienza di quel ragazzo, così uscii di casa senza mettere nulla tra i denti e senza neppure rispondere al citofono; a quell'ora non poteva essere nessun altro. 

Ma in realtà ad aspettarmi fuori dal cancello non c'era nessun Ciak, nessun auto e nessun autista. Avrei fatto meglio a rispondere al citofono prima di uscire perché trovai ad aspettarmi, con le mani nelle tasche e lo sguardo fisso alla mia figura, Nathaniel. 

Non avevo alcuna intenzione di rivolgergli la parola, al momento, mi era bastato sapere quanto anche lui fosse stato bugiardo con la sottoscritta per farlo passare di diritto nella mia lista nera. Così sbattei il cancello dietro di me ed incrociai le braccia sbuffando davanti a lui, per fargli intuire che la sua presenza non fosse ben voluta.

«Potrei parlarti mentre c'incamminiamo verso scuola?» non mi salutò, si limitò a recitare la farsa del ragazzo per bene ed ingenuo, ma non ci sarei più cascata. 

«Non abbiamo niente da dirci io e te» lo guardai di sbieco mantenendo le braccia incrociate «E poi... Sto aspettando il mio ragazzo» mentii anche a lui. 

Stavo sbagliando tutto, lo sapevo bene, ma non riuscivo più a smettere di mentire; era più forte di me. Volevo ripagare con la stessa moneta tutti gli inganni di Castiel e Nathaniel, quello sembrava essere l'unico modo. Ciak era d'accordo con me. Avevamo deciso insieme di creare quella messa in scena, non avrei dovuto accettare visto e considerato che il mio migliore amico provava un sentimento profondo nei miei confronti, ma lui aveva insistito ed io non avevo saputo resistere a quella proposta così allettante. 

Davanti a quelle mie parole, gli occhi  del biondo che da sempre si erano contraddistinti per la loro lucentezza e solarità, divennero d'un tratto cupi, persero il colore del sole. 

«C-che?! C-c-come? Da quando hai un ragazzo?!» sgranò gli occhi. Era incredulo, balbettava, aveva abboccato ed io approfittai della sua debolezza per gettare il primo colpo.

«Oh, lui è italiano. Stavamo insieme da un po' di anni, proprio come te e Melody. A causa del mio trasferimento avevamo deciso di prenderci una pausa, nessuno dei due sopporta le storie a distanza. Ma visto che lui è un modello un mese fa è stato ingaggiato da Paco Rabanne, che lo ha assunto nella sua casa di moda a Parigi, ed ora eccoci di nuovo qui. Ci siamo ritrovati. Il destino ha giocato a nostro favore. E' una bella storia, non credi?!» finsi un sorriso. 

Nathaniel aprì bocca per cercare di rispondere, ma non ne ebbe il tempo perché la voce squillante di Ciak c'interruppe.

«Tesoro, salta su, sono arrivato.» si sporse dal finestrino posteriore dell'auto nera. Lo ringraziai mentalmente per avermi salvato da quella situazione scomoda e non persi altro tempo, entrai subito in auto. 

«Quel biondino viene a scuola con noi?» mi chiese provocandomi un sospiro. 

Annuii senza proferire parola, ma me ne pentii all'istante perché Ciak -con la solita esuberanza che lo caratterizzava- si sbracciò fuori dal finestrino attirando l'attenzione di Nathaniel. «Ehi tu, biondino, salta su, ti do un passaggio!» mi schiaffeggiai la fronte. 

«No, grazie. Preferisco fare due passi» rispose cordialmente come era solito fare, Nathaniel. 

«Invece insisto, vieni dai! Voglio fare nuove conoscenze. Sono nuovo, ancora non conosco nessuno della scuola e-»

Bloccai il monologo infinito del mio amico, sbottando. «Ma che cazzo Ciak, ha risposto di no, lascialo in pace!» alzai gli occhi e le mani al cielo esasperata.

«Va bene, accetto il passaggio!» 

"Ma che? Molo coerente, il ragazzo." Il biondo accettò il passaggio dopo aver notato il mio nervosismo. Perché lo aveva fatto?

Quando Nathaniel salì in auto accanto a Ciak, dopo le presentazioni, finalmente partimmo. Nathaniel era a sinistra, io a destra e Ciak al centro. Il trio perfetto.

A Ciak non avevo raccontato molto del biondo, sapeva che mi avesse accompagnata al ballo di Natale, del viaggio in carrozza, che fosse stato molto gentile, ma non era a conoscenza di tutti i trascorsi e retroscena, per quel motivo gli fece una domanda che sarebbe stato meglio evitare. 

«Allora Nathaniel, come va con le ragazze? Stai con qualcuna?» 

Il biondo non poteva saperlo, ma Ciak in Italia era conosciuto come Cupido di turno. Quella sulle relazioni era una delle prime domande che faceva non appena conosceva qualcuno. Le persone normali avrebbero chiesto: "Cosa fai nella vita? Che aspirazioni hai per il futuro?", mentre lui: "Hai una ragazza?". Aveva quella strana fissazione di cercare la persona giusta per ogni ragazzo o ragazza single, a volte i suoi accoppiamenti funzionavano. Nella nostra scuola, a Roma, avevo visto coppie formate da lui durare addirittura qualche anno. 

Nathaniel, stranamente, non si scompose davanti a quella domanda anzi si voltò verso di me e rispose come se quella frase fosse rivolta a me: «Al momento sono single, ma il mio cuore batte per una ragazza strepitosa!»

«Sì, si chiama Melody!» non persi tempo per controbattere e distogliere lo sguardo dal suo. 

Nathaniel scosse la testa in segno di negazione davanti alla mia affermazione e poi prese parola «Melody è la mia ex, siamo stati insieme per parecchio tempo, ma più che altro sotto costrizione dei miei genitori. Diciamo che... a causa loro mi ero anch'io auto-convinto che lei fosse perfetta per me» sospirò e poi terminò il discorso «Ma... Poi a Settembre dello scorso anno conobbi un'altra ragazza e niente mi parve più certo. Mi ha stregato! E, scoprire oggi -a distanza di tempo- che è impegnata con qualcun altro beh... mi fa male!»

Ingoiai la saliva rumorosamente. Non era mai stato così sincero prima d'allora. Avevo già intuito qualcosa del genere, ma non essendomi stato mai confermato da nessuno, non potevo sapere quale fosse la verità. Nathaniel aveva iniziato ad allontanarsi da Melody dopo il mio arrivo al Dolce Amoris. Ma allora perché non mi aveva raccontato semplicemente la verità invece di continuare a mentirmi? Sarebbe stato tutto diverso se lo avesse fatto. Dopo quella sua confessione sincera mi sentii quasi in colpa di essermela presa così tanto con lui, dopotutto non stavamo insieme, non avevamo neanche iniziato a frequentarci; tra di noi c'era stato semplicemente un bacio a stampo, lui mi aveva confessato di piacergli, era stato il mio cavaliere al ballo di Natale e di certo con quegli avvenimenti non avevo alcun diritto di sentirmi tradita da lui. Il fatto era che... stava andando tutto a rotoli in quel periodo. Per anni mi ero costretta a non provare nessun d'interesse reale, oltre quello fisico, per alcun ragazzo ma in quei mesi a Parigi mi ero ritrovata ad avere la vita totalmente stravolta. Non sapevo più distinguere un rapporto di amicizia da qualcosa di più, non sapevo gestire i vari rapporti. Ero un disastro. 

Abbassai il volto dalla vergogna dei miei pensieri, per la mia confusione, mentre Ciak continuava ad alternare lo sguardo da me a Nathaniel. Prima guardava me e poi il biondo. Forse aveva capito più cose di quanto ne avessi capite io nel giro di cinque mesi. 

«Mhmh... E questa ragazza misteriosa, invece, cosa prova per te?» chiese Ciak a Nathaniel marcando la parola "misteriosa", fingendo di non aver capito chi fosse la ragazza, ma guardando me di sottecchi. Il mio migliore amico aveva decisamente compreso ogni cosa. 

Nathaniel a quella domanda così diretta di Ciak, arrossì lievemente e poi alzando le spalle in segno di dubbio mi guardò direttamente chiedendo a me di rispondere al posto suo. Effettivamente non mi ero mai esposta nei suoi confronti, avevamo sempre e solo parlato della sua infatuazione, mai di ciò che provassi io. Ero così confusa tanto da non sapere come uscire da quella situazione. Non volevo deluderlo.

«Quella ragazza prova qualcosa per Nathaniel?» tanto per infilare ancor di più il dito nella piaga, il mio migliore amico si rivolse a me senza più sotterfugi. Maledetto.

Nathaniel era, senza ombra di dubbio, un bellissimo ragazzo, gentile e con tanti altri pregi. Ma da sempre, sin dal primo giorno della nostra conoscenza c'era stato un lato di lui nascosto, come se avesse paura a mostrarsi per chi era realmente, come se avesse timore di me. Era un ragazzo troppo basato, non trasgrediva neanche una delle sue stupide regole. Così cercai di trasmettergli quelle mie impressioni.

«I-io credo che lei pensi che Nathaniel sia un ragazzo straordinario, ma troppo frenato. Dovrebbe lasciarsi andare, trasgredire le sue regole, dovrebbe parlarle esplicitamente di ciò che vuole.» mi lasciai andare con le parole, poi mi affrettai a precisare: «Tutto questo me l'ha detto lei. Ehm, sì... P-perché la conosco» aggiunsi un sorriso di circostanza alla fine. 

Non ne capii il vero motivo, ma nonostante tutti e tre sapessimo perfettamente chi fosse quella ragazza misteriosa ad aver rubato il cuore del biondo, continuammo a parlare in terza persona. Come se lei non fosse presente a quel discorso, come se lei non fosse me

Nathaniel non rispose alle mie parole, restò in silenzio a riflettere portandosi la mano al mento. Ad un certo punto alzò il volto di scatto, come se avesse appena fatto una scoperta importante, e con le sopracciglia corrugate fissò stranito me e Ciak: «Ma voi due non avevate detto di stare insieme?» mi ammutolii con quel quesito. 

Per tutto il tempo trascorso in auto, sia io che il mio migliore amico, avevamo dimenticato un piccolo particolare: il nostro finto fidanzamento. Ci eravamo, infatti, comportati come facevamo in ogni occasione, come due amici. In quel frangente di tempo avevo persino dimenticato che Ciak provasse qualcosa per me. Ero una sbadata di prima categoria, come potevo dimenticare quei particolari così importanti? 

«Siamo una coppia aperta!» rispose di getto Ciak per evitare di farci scoprire ancor prima d'iniziare quella farsa. Davanti a quella replica io e Nathaniel sgranammo gli occhi all'unisono. Mi picchiai in fronte mentalmente per quell'uscita assurda del mio amico. 

«V-voi quindi potete avere r-rapporti sessuali anche con altre persone?» sussurrò il biondo quasi come se ci stesse chiedendo qualcosa d'indecente e proibito. 

Quella situazione era divenuta troppo imbarazzante per i miei gusti. Quei discorsi avevano preso una piega del tutto inaspettata. Quel giorno le strade erano parecchio trafficate e c'impiegammo il doppio del tempo per giungere a scuola, per mia sfortuna, così non potei neanche deviare l'argomento, ma lasciai ugualmente tutto il peso dei fatti a Ciak. Lui ci aveva messi in quella situazione e lui ci avrebbe salvato.

«Oh no questo no, non sia mai! Solo baci o cose simili. Le avevo proposto anche quello, ma lei insiste di voler arrivare vergine al m-»

«Ma che cazzo dici Ciak? Sta' zitto!» mi sollevai d'istinto dal mio posto e mi sporsi verso il mio migliore amico per tappargli la bocca mentre lui trattenne a stento le risate. Il farabutto mi aveva giocato volutamente quel brutto scherzo per allontanare Nathaniel da me. Non potei negare, però, di esser rimasta incredibilmente divertita dall'espressione che si dipinse sul volto del biondo dopo le parole di Ciak.

-

La rivelazione del mio migliore amico a Nathaniel mi aveva innervosita e non poco, ma Ciak non aveva colpe. Lui non poteva sapere cosa avessi fatto intendere a tutta la scuola,  non poteva immaginare che tutti pensavano che io avessi parecchia esperienza con i ragazzi. Tutte quelle bugie prima o poi mi si sarebbero rivolte contro, ne ero già consapevole. Ma arrivata a quel punto non potevo più tornare indietro, altrimenti ogni persona della scuola mi avrebbe preso per pazza. Sperai nella discrezione di Nathaniel, sperai che non ne facesse parola con nessuno della mia verginità. Quell'aura da ragazza facile era stato il mio scudo per tanti anni e un repentino ribaltamento della situazione mi avrebbe fatto cadere nella disperazione più totale, non potevo permettere a nessuno di scalfire il mio muro. 

Quando finalmente arrivammo davanti scuola, liquidai sia Ciak che Nathaniel per recarmi nell'ufficio della preside. Avevo promesso al biondo che sarei riuscita a fargli riavere il posto di segretario delegato, e così sarebbe stato. 

Così nonostante il cattivo umore che avvolgeva ogni cellula del mio corpo, mi recai convinta più che mai davanti quella porta.

L'ufficio della direttrice era situato al pianoterra prima delle scale che portavano ai successivi piani. Mi era capitato solamente una volta di entrare in quella stanza e guarda caso era successo con il rosso. Purtroppo, anche se mi pesava ammetterlo, con e grazie a lui avevo passato davvero tanti momenti incredibili. Lui era la persona più importante che avevo conosciuto a Parigi, il primo francese conosciuto ancor prima di metter piede in quel nuovo Stato. Tutti i momenti passati accanto al rosso, nonostante la rabbia e il dolore che la maggior parte delle volte mi avevano provocato, mi avevano lasciato anche un sorriso. Poteva essere un sorriso amaro o un sorriso felice, ma era pur sempre un sorriso. Uno dei pregi di Castiel era appunto quello. Era capace di far ridere chiunque pur essendone inconsapevole. Di lui era comica persino la mimica facciale imbronciata del suo viso. 

Restai impalata davanti alla porta dell'ufficio a pensare quello strano ragazzo. Potevo disprezzarlo quanto volevo, dargli qualsiasi colpa, ma sarebbe rimasto pur sempre nel mio cuore e quell'aspetto non avrei mai potuto mutarlo. Così senza volerlo ripensai inevitabilmente al mio primo giorno di scuola, alla mia prima ed unica visita nell'ufficio della preside. 

«Ciao a tutti sono Miki, ho 16 anni, vivo con mia zia perché i miei genitori lavorano per tutto il mondo in una compagnia aerea. Mi piace vestirmi di marca e adoro la scuola».

L'ultima frase potevo benissimo risparmiarla. Cosa mi era girato per la testa? Un mio difetto? In un momento di pura vergogna e agitazione mi uscivano parole istintive dalla bocca; il che in uno sprazzo di vita quotidiana sarebbe stato un buon aspetto, davanti ad una classe di liceo, davanti a diciotto adolescenti un po' meno. 

Davanti alle mie parole vidi qualche volto, ancora sconosciuto, sgranare gli occhi e guardarmi quasi schifato. Me lo meritavo. Tutti odiavano la scuola, tutti odiavano le persone ricche e dire "mi piace vestirmi di marca" equivaleva a classificarsi come una ragazza viziata e ricca da far schifo. Abbassai il volto per la vergogna fin quando non sentii una voce provenire dalla fine dell'aula: «ochetta novellina» che mi fece risollevare il volto dallo stupore. E non era stupore per la frase utilizzata, quella me la meritavo. Lo stupore era per l'appartenenza a quella voce. Voce che avevo imparato a conoscere bene in un solo giorno.

Castiel. Cosa ci faceva Castiel Black nella mia stessa classe?

Senza poter connettere al meglio quelle troppe informazioni, il professore mi fece distrarre sgridando subito il rosso: «Castiel ora chiedi scusa alla tua nuova compagna compiendo il bel gesto di farla sedere accanto a te per il resto dell'anno» sembrava quasi stesse parlando ad un bambino. 

E poi chi diavolo avrebbe voluto vedere questo "bel gesto" da parte sua? Io no sicuramente.

«Oh no, non si preoccupi professore. Non posso sedermi accanto ad un pomodoro, potrebbe sporcare i miei vestiti...»

«Le oche non possono sporcarsi; stanno sempre nei loro laghi a starnazzare.» erano battute ed insulti infantili i nostri, sembrava quasi ci fossimo messi d'accordo.

«Ragazzi adesso basta, altrimenti sarò costretto a mandarvi dalla direttrice» aggiunse il professore, ma nessuno dei due si degnò di ascoltarlo. 

«Sarò pure oca ma tu non ti sei visto con quei capelli e con i vestiti da barbone che ti ritrovi» ormai non potevo dargliela vinta. 

«Ragazzina mi stai facendo innervosire, non ti conviene farlo» sembrava quasi una minaccia la sua. Ed io non volevo altro che quello. Amavo essere provocata per poi rispondere con il peggio di me. 

«Oh allora sì che ho paura. Sto già tremando» feci la finta mossa che solitamente si fa quando è freddo. 

Il battibecco continuò per altri cinque minuti, quando poi il professore si rese conto di non poter più proseguire la lezione per colpa nostra: «Ora basta venite con me» c'impose. 

Entrambi lo seguimmo ed in un attimo ci trovammo nell'ufficio della direttrice. Quando ci vide e fu informata dei fatti, ci fece accomodare su due sedie davanti alla sua scrivania in legno ed iniziò anche lei la sua ramanzina.

«Signorina Miki, lei ha un curriculum perfetto e dei voti altrettanto perfetti ora cosa le è preso? È già la cattiva influenza del signor Black a provocarle tutto questo?»

Quella sua frase risultò parecchio e troppo falsa per le mie orecchie. Non ero solo una ragazza disagiata, fino a mezz'ora prima, per lei? 

«Tzé... Ma se neanche la conosco!» s'intromise lui sentendosi messo in ballo.

«Le chiedo scusa, sono nervosa, sa... il trasloco e tutto il resto» conclusi io. Mi stava antipatica, ma non potevo di certo risponderle male. Non volevo peggiorare la situazione già critica. 

«Nervosismo o meno non si accettano questo genere di cose il primo giorno di scuola -sospirò- comunque sia vi beccate entrambi una punizione che comporterà, terminate le lezioni, pulire tutta la scuola oggi pomeriggio ed essere vicini di banco per un anno intero. Che questo piccolo accaduto sia d'insegnamento agli altri alunni. Dovete pensarci due volte prima di litigare per delle sciocchezze, dovete volervi tutti bene». concluse così la lezione di vita, la direttrice.

«Ma no cazzo, ho le prove della band oggi.» Sempre molto delicato, Castiel.

«Castiel non usare questi termini nel mio ufficio -sbatté la mano sulla sua scrivania- e se ti lamenterai ancora, resterai una settimana dopo scuola a pulire!»

Con un finto colpo di tosse, poi, m'inserii anch'io nel discorso «Ehm... invece per quanto riguarda la questione di essere vicini di banco, non potrebbe essere rivista e cambiata? La situazione credo non gioverebbe al rendimento scolastico dell'intera classe. Ecco, vede... io ed il Signor Black siamo incompatibili caratterialmente e litigare sarà inevitabile»

«Ed è qui che si sbaglia signorina Rossi, il vostro rapporto sarà presto visto come esempio per il resto della classe. Presto vi accorgerete che i caratteri apparentemente incompatibili possono creare capolavori insieme».

«IMPOSSIBILE!» quasi urlammo in sincrono io e Castiel. 

Avrei dovuto correggere la direttrice per la sua insinuazione di qualche mese prima. Io mi ero affezionata realmente al rosso, ma lui a me neanche un minimo. In più, in tutto quel tempo, non avevamo fatto altro che litigare. Inizialmente sembrava fossimo diventati realmente amici, ma poi erano bastati degli avvenimenti per stravolgere tutte le carte e per farci allontanare definitivamente. Insieme non avevamo creato alcun capolavoro, anzi semmai -dietro di noi- avevamo portato distruzione; eppure non riuscivo a rimpiangere niente di quei mesi.  

Tra noi era tutto cominciato così, tra battibecchi vari e abbracci nascosti, tra sorrisi sghembi e carezze mancate, tra sguardi duri e baci rubati. Castiel con quei suoi comportamenti strani si era fatto pian piano spazio nel mio cuore e alla fine se n'era impossessato completamente. Finalmente grazie ad un flashback avevo capito il reale motivo del sogno di quella notte. Potevo negarlo fino allo sfinimento, ma non sarei mai riuscita a dimenticare Castiel. Era stato il mio primo bacio, era stato il primo ad entrare nel mio cuore dopo Ciak, e dentro me -in un posto internato e nascosto- continuavo a desiderare che lui diventasse la mia prima volta, sebbene quel piccolo aspetto non sarebbe più potuto divenire reale. Lui stava con Debrah, lui non mi voleva, e dopo le ultime discussioni neanch'io ero più convinta di volerlo nella mia quotidianità, ma Castiel restava Castiel. Il bello, tenebroso e impossibile Castiel.

"Basta Miki! Ti stai contraddicendo continuamente con discorsi inutili. Smetti di pensare chi non merita e bussa a quella dannata porta!" intervenne la mia coscienza suggerendomi, per la prima volta, la cosa più sensata da fare. Le diedi ascolto. 

Alzai la mano a mo' di pugno pronta a bussare, ma restai con la mano bloccata a mezz'aria quando sentii delle voci all'interno della stanza. La preside ed il vicepreside Faraize, stavano avendo un battibecco.

«Signora Preside, mi dispiace se insito ma non ritengo opportuno iniziare le attività dei club. Sarebbe rischioso farlo a metà anno. Non abbiamo ancora fondi a sufficienza per le attività finali e sappiamo bene che il ministero dell'istruzione non ci permetterà di svolgere le attività se alla fine...»

«Stia un po' zitto, Faraize! Nessuno ha chiesto il suo parere. La decisione finale spetta a me ed io ritengo che si debbano iniziare le attività già da domani. I fondi arriveranno in un secondo momento ed entrambi sappiamo bene che più club apriamo e più saranno sostanziosi i finanziamenti. Ora che è arrivata anche l'aiutante del club di musica riusciremo ad avere molto più successo durante il concerto finale.» Si prese un attimo di tempo e poi concluse il discorso: «Ogni alunno ha già provveduto ad inserire la propria preferenza all'interno della domanda d'iscrizione, si faccia aiutare dai delegati e visioni tutte le domande entro domani mattina per poter spostare i ragazzi dai club più affollati a quelli meno frequentati, qualora ce ne sia bisogno. Si sbrighi e sparisca dalla mia vista, ha molto lavoro da svolgere!» la preside era stata molto severa con il vicepreside, ma tutti ormai la conoscevano bene e sapevamo che quel tono duro non era nient'altro che apparenza. 

L'indomani, quindi, avrebbero avuto inizio le attività dei club. La mia scelta, al momento dell'iscrizione, era stata il club di musica. Non sapevo suonare nessuno strumento, ma da sempre amavo cantare e -sebbene non avessi una voce da usignolo- ero intonata. All'epoca dell'iscrizione sapevo che si potessero iscrivere sia cantanti che musicisti, quindi ne approfittai e scelsi quel club. Degli altri club presenti non me ne piaceva neanche uno. C'erano i club: di teatro, giardinaggio, basket ed infine quello di musica.

Dopo aver lasciato uscire e passare il professor Faraize e dopo aver inventato una scusa sulla mia presenza invadente davanti alla porta, mi decisi finalmente a bussare per poter parlare con quella donna.

Aspettai un segno della preside e quando arrivò non persi tempo, entrai nell'ufficio e senza accomodarmi su una delle poltrone, cominciai a parlare: «Salve Signora preside, ecco io... Sono qui per p-» bloccò ogni mio discorso sul nascere e togliendosi gli occhiali alzò un sopracciglio irritata: «Scommetto che mi vuole parlare della riassunzione dell'ex delegato, vero signorina Rossi?!»

Mi aveva letto nel pensiero e a valutare la sua reazione ancor prima d'iniziare il discorso, pensai che non sarebbe stato per nulla semplice convincerla. 

«Ecco, io... in effetti, s-sì. Vorrei parlarle dell'avvenimento accaduto durante il ballo di Natale. Nathaniel ha reagito in quel modo perché è stato istigato, ed è stata solo colpa mia. Dovrebbe punire me, non lui. Inoltre mi scusi per tutto il trambusto generato, non si ripeterà più!» piagnucolai facendo fuoriuscire l'attrice innata presente in me, ma la preside non si scompose.

«Vorrei ben vedere... Certo che non deve accadere più una cosa del genere, signorina Rossi, altrimenti la prossima volta i provvedimenti saranno ancora più gravi!» mi rimproverò, poi proseguì: «Capisco i suoi drammi amorosi, alla sua età è normale avere più di un contendente, ma ciò non può giustificare in alcun modo il comportamento del signor Daniels. Il segretario delegato dovrebbe essere l'alunno modello per eccellenza e quei comportamenti da pugile non possono essere tollerati».

«Signora preside, lei lo sa meglio di me quanto Nathaniel Daniels sia perfetto come alunno e come segretario delegato. Sarà difficile o addirittura impossibile sostituirlo. Per lui è importantissimo questo ruolo, la scongiuro, ci ripensi è stata colpa mia se è successo quello che è successo e..»

«Signorina Rossi non mi faccia alterare più di quanto io non lo sia già, la invito a smetterla con questi piagnistei. Apprezzo la sua solidarietà per il signor Daniels, ma in questo momento non può essergli d'aiuto in alcun modo. Non cambierò opinione. Sebbene apprezzi da sempre il lavoro svolto da Nathaniel per la nostra scuola, non posso comportarmi diversamente. La legge è uguale per tutti e lo è anche per lui, senza alcuna eccezione!» 

Si alzò dalla sua scrivania e con tutta la serietà del mondo aprì la porta «Ora vada in classe, o arriverà in ritardo per la prima lezione!» Poi con la mano mi mostrò la via d'uscita.

La preside era un osso duro più di quanto credessi. Non si lasciava influenzare da nessuno. Si fidava solo di se stessa.

Così senza insistere, uscii a testa bassa da quella stanza. Non avrei avuto il coraggio di affrontare Nathaniel dopo la mia sconfitta. M'incamminai per recarmi in aula, ma sentii delle voci troppo familiari, alle mie spalle, e mi bloccai nel bel mezzo del corridoio. Non mi voltai nella loro direzione, non ne avevo bisogno. Le voci insopportabili potevano essere riconosciute anche a distanza. 

«Quindi tu mi stai dicendo che dovrai continuare a stare in banco con quella troia laggiù?»

La voce stridula della vipera si fece sentire. Era pronta a mordermi per annientarmi con il suo veleno, ma io non glielo avrei permesso. Mi aveva definita nel peggiore dei modi senza neanche conoscermi, ma l'indifferenza era pur sempre la miglior difesa, no?

La sua presenza asfissiante nel corridoio, stava a significare solo una cosa. Le mie previsioni erano reali. Debrah avrebbe ricominciato a frequentare il Dolce Amoris. Di quel passo entro la fine dell'anno sarei finita in carcere dopo averla uccisa, come minimo. 

Senza rispondere a quelle provocazioni ripresi a camminare in direzione della mia classe, avrei preferito attendere un po' prima di commettere il suo omicidio. 

«Ah comunque se avevi intenzione di attirare l'attenzione di Castiel, vestita in quel modo squallido, sappi che la tua è stata solo fatica sprecata. Castiel odia le puttane come te!» urlò l'ultima frase e la sua voce si espanse per tutto il corridoio. 

Sebbene fossero già tutti nelle proprie rispettive classi, sebbene nessuno l'avesse sentita, il suo modo di chiamarmi urtò il mio sistema nervoso. L'aveva fatto per la seconda volta nel giro di pochi minuti ed io non potevo più permettere di essere chiamata con quel nomignolo proprio da lei. Dovevo difendermi, l'indifferenza in quel caso non sembrò essere la miglior difesa. 

Mi voltai furiosa e la raggiunsi con passi svelti. Era in compagnia di Castiel, come immaginavo, e ciò mi disturbò, non perché non riuscissi a sopportare la vista di loro due avvinghiati, ma perché non si era sprecato neanche a dire alla sua ragazza di moderare i termini. Evidentemente anche lui doveva avere la stessa concezione che Debrah aveva di me. Lui era alla sue spalle; Stringeva le mani intorno alla vita della ragazza e teneva il volto basso, come se non volesse incrociare il mio sguardo. Prima di liberarmi con le parole, mi presi un attimo di tempo per fissare il ragazzo dai capelli rossi. Inevitabilmente ripensai al sogno di quella mattina e mi sentii avvampare e nello stesso istante avvertii una strana sudorazione alle mani. Era strano il destino, un attimo prima sembrava darti tutto, una felicità illusoria ma pur sempre bella e l'attimo dopo invece sembrava toglierti ogni cosa positiva, facendoti sprofondare sotto terra, dove la realtà colpiva come un fulmine a ciel sereno. Castiel quella mattina -nel mio sogno- era avvinghiato a me, quelle sue mani cercavano, bramavano il mio corpo, perché invece dopo poche ore doveva stare con un'altra che non fossi io? Perché le sue mani erano su di lei?

Scossi impercettibilmente la testa quando mi resi conto della direzione sbagliata che i miei pensieri stavano prendendo e finalmente mi decisi di replicare agli insulti della sua ragazza.

«Mi dispiace illuminarti, allora, che tu non hai un modo di vestire poi così tanto differente dal mio» un sorrisetto finto sul mio viso «e poi non mi pare che il tuo ragazzo si sia mai lamentato delle mie minigonne, fino all'altro giorno, quando per l'ennesima volta mi ha scopata con gli occhi» il mio sorriso si allargò quando vidi l'espressione sul volto di Debrah mutare in una d'incertezza. Non era poi così tanto sicura di se stessa come voleva far credere agli altri. 

«Ah e, un'ultima cosa. Io sono felicemente fidanzata, non voglio avere noie a causa delle tue gelosie da pivella. Castiel non è mai stato nient'altro che una possibile scopata, per me. Ora spostati, m'invadi l'aria!» dopo quell'ultima frase l'urtai con le mie spalle spingendola, -finendo per sfiorare involontariamente anche un pezzo di pelle di Castiel- e la sorpassai senza dedicare un secondo in più della mia attenzione a quei due. Camminai sensualmente più del solito, sapevo che entrambi mi stessero fissando e ne approfittai.

 Avevo appena mostrato a quella vipera di poter essere più tagliente di lei con le parole, potevo spruzzarle addosso un veleno ancora più potente del suo. Quelle parole dette da me erano state più false dell'imitazione di un vestito Dolce e Gabbana. Mi provocò persino una fitta all'altezza del cuore pronunciarle, ma non potei fare altrimenti. Dovevo difendermi in qualche modo e inventare menzogne su menzogne sembrava essere l'unica possibilità.

Castiel in quei pochi minuti in cui avevamo condiviso la stessa aria, era stato capace di deludermi, di nuovo. Quando era con Debrah diveniva totalmente un'altra persona. Era passivo, non reagiva, stava come un cane al guinzaglio. Eseguiva i comandi della sua padrona. La sera del gala invece, era diverso. Avrei preferito i suoi soliti insulti piuttosto che il suo silenzio. Mentre Debrah sputava veleno, lui stava immobile. Qualcosa non quadrava, il Castiel conosciuto in quei mesi non si sarebbe abbassato davanti a nessuno, neanche davanti all'amore. Quello che si era presentando ai miei occhi non era degno del suo nome, non era degno di chiamarsi Castiel Black.

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CIAK

Il sentimento provato per Miki era talmente grande da portarmi ad assecondare ogni sua richiesta. Assecondai persino di essere il suo finto fidanzato per far ingelosire quel pellerossa da quattro soldi. Era brutto da ammettere, ma il modo con il quale guardava quel Castiel, faceva intendere che dentro di lei ci fosse un sentimento maggiore di quello che pensava di provare. Miki non aveva accettato il fatto di essere la seconda scelta, che la sua infatuazione non fosse corrisposta o almeno non corrisposta per ciò che faceva intendere Castiel. Quel disastro di ragazzo voleva auto convincersi di non essere affezionato alla mia Miki, ma faceva soltanto ridere, si contraddiceva da solo, finiva sempre per tornare da lei o addirittura era geloso di qualsiasi ragazzo le si avvicinava. Avevo sempre avuto un dono innato di comprendere i comportamenti delle persone e mi erano bastate poche ore per capire appieno anche quel rosso problematico. 

Era facile innamorarsi di Miki; bella da togliere il fiato, un volto angelico e un corpo da diavolo. Era pura, divertente, riservata, apriva il cuore solo a poche persone ma quando lo faceva, dava tutta se stessa. 

In Italia tutti si erano fermati all'apparenza, nessuno era interessato a stare vicino ad una ragazza con la pelle scoperta più delle altre. Tutti ritenevano fosse una ragazza facile solo per quell'aspetto, nessuno l'aveva mai vista in situazioni sospette con un ragazzo eppure faceva comodo ai nostri compagni continuare ad additarla come "poco di buono". Ma in Francia dove a nessuno importava del proprio modo di vestire, la gente e soprattutto i ragazzi erano andati oltre. Aveva conquistato più cuori di quanto immaginasse. Aveva stregato tutti con i suoi modi di fare contraddittori ed io impazzivo ogni istante di più nel sapere in quanti la desiderassero. 

Era strana quella situazione, a tratti faceva ridere. Miki provava gli stessi miei sentimenti, si trovava nella mia stessa situazione, ma non nutriva quell'emozioni per me, bensì per un altro ragazzo duro di comprendonio. Miki desiderava una persona apparentemente impegnata e avrebbe fatto di tutto pur di stargli vicino. Anch'io ero così con lei. Fingevo di capire come si sentisse confusa, fingevo di esser rimasto suo amico, fingevo che tutto andava bene così... Ma la realtà dei fatti era un'altra: io non riuscivo a comprendere un bel niente. Non capivo perché mi avesse baciato la sera del gala, perché avesse quei comportamenti contraddittori. Quei pensieri mi stavano torturando da una settimana e avrei preferito non dover frequentare lo stesso suo liceo, sebbene le avessi fatto intuire di esserne entusiasta. A causa del nostro finto fidanzamento ci eravamo infilati entrambi in quella situazione paradossale e non era facile per me starle accanto ma non esserlo per davvero. Avevo sbagliato ad assecondarla, in quell'attimo di follia mi ero illuso di poter trarre vantaggi da quella storia.

Lei mi baciava per finzione ed io per amore. Non c'era nulla di giusto in quel concetto. 

Ogni suo bacio era aria per me, era come uscire da due minuti di apnea, era come sognare ad occhi aperti, ma lei? Cosa provava quando mi baciava? Fino a quel giorno non volli essere autolesionista ma sapevo perfettamente cosa provava o meglio a chi pensava mentre era costretta a stare con me. Quando lei baciava me pensava a Castiel. A quanto si fosse infastidito a sentirsi rifiutato per un altro, a quanto sarebbe stato bello se al mio posto ci fosse stato lui. 

Non c'era niente di giusto in quella situazione così contorta. E se avessi saputo che sarebbe andata a finire in quel modo, di sicuro, avrei preferito scegliere un'altra città per lavorare. Il mio stilista preferito stava altrove non in Francia. Avevo fatto credere a Miki che la scelta non fosse stata fatta unicamente per lei, ma invece era stato così. Fingevo davanti a Rabanne, fingevo di adorarlo davanti a lei, davanti a tutti, ma ogni giorno il mio odio per quell'uomo cresceva sempre di più.

Dal mio arrivo a Parigi, Miki, poi non si era fermata neanche un attimo a chiedermi una scemenza come: "Ehi Ciak, tutto apposto? Come ti trovi in questa città?", No. Da quando ero atterrato in quella terra straniera non era esistito nient'altro che il nostro finto fidanzamento, nient'altro che i suoi racconti sulla sua vita. Era risultata egoista.

Anche quella mattina era stato così. Mi aveva baciato e lasciato come un allocco per correre a risolvere una certa situazione per il biondo. Che poi... Miki aveva dovuto cambiare città per svegliarsi e darsi da fare con i ragazzi? Improvvisamente tutti la mettevano in confusione, non era più contraria all'amore. Cosa l'aveva cambiata così tanto? 

Scossi la testa. Non era più momento di pensare a lei. La mia vita doveva smettere di girare intorno alla sua figura. Così cominciai a guardarmi intorno. Quella che mi ritrovavo davanti sarebbe stata la mia nuova scuola: il liceo Dolce Amoris. Il nome era abbastanza buffo, e non sembrava certo un nome di una scuola, ma piuttosto quello di un cartone. L'edificio sembrava abbastanza grande se visto dall'esterno. Era tutto giallo. Da fuori si poteva ammirare un enorme giardino con molti alberi, ma su questo non ci feci molta attenzione visto il mio scontroso rapporto con la natura. Da sempre preferivo i luoghi chiusi o al massimo il mare...

Già, il mare... Una fitta allo stomaco, e quella parola evocò ricordi che sarebbe stato meglio non ricordare al momento. Con Miki mi capitava spesso di andarci. Lì, su quelle spiagge italiane dove più di una volta avevo provato a rivelarle i miei sentimenti, ma come un codardo, alla fine non avevo mai trovato il coraggio di farlo realmente. Ogni volta che mi attingevo a farlo avevo avuto la fissazione e il timore di essere rifiutato, di poter mandare a quel paese anni e anni di amicizia, solo perché lei continuava a dire di essere contraria all'amore. Ma vedendola a distanza di mesi capii di aver sbagliato, perché se solo avessi avuto poco più coraggio le avrei fatto capire di non dover avere paura, l'avrei fatta innamorare di me. Cominciai ad avere quella convinzione la sera di Capodanno, al gala. Vederla con quegli occhi, con quelle intenzioni, lì sul pontino mi accese alcune speranze, ma alla velocità della luce le spense per dare spazio ai rimpianti.. perché subito dopo il nostro bacio nel suo sguardo, in quegli occhi scuri capii che stesse pensando ad un altro; e l'altro non ero io, ma Castiel. Se solo avessi anticipato i tempi, se solo avessi avuto un briciolo di caparbia in più, l'altro non sarebbe mai entrato nella sua vita o nel suo cuore.

Tra mille rimpianti e ripensamenti finalmente mi decisi ad entrare nell'edificio della mia nuova scuola. Dopo qualche metro dell'entrata erano piazzati ai lati del corridoio, i famosi armadietti degli studenti. Erano del colore dell'alluminio e ad ognuno vi era scritto un nome. Caso volle che tra tanti, il mio sguardo si posasse proprio sul nome di Miki. Accanto al suo era riportato un altro nome: Rosalya. Mi avvicinai sempre più all'armadietto della persona che mi costringevo a definire ancora mia migliore amica, e lo sfiorai con le mani. Mi avvicinai ancora, come se potessi sentire il suo odore, la sua presenza, il suo profumo lì. Ero un caso perso, non riuscivo a starle lontano, quei mesi senza di lei in Italia erano stati un inferno e una volta trasferitomi a Parigi il mio attaccamento morboso per quella ragazza era peggiorato. Ero masochista.

Il corridoio vista l'ora era molto trafficato. Abbassai lo sguardo e intravidi i pavimenti, tutti bianchi. Sembrava una delle scuole americane, di quelle che si potevano ammirare nei film, era molto diversa dalla scuola italiana, di gran lunga migliore e molto, molto più pulita.

Dopo essermi preso qualche altro minuto per girovagare e curiosare nella mia nuova scuola, mi recai dentro l'aula delegati dove mi accolse una ragazza dai capelli castani e ondulati, con un paio di occhi celesti molto belli. Si presentò come "Melody", e lì capii si trattasse della ragazza di Nathaniel. La famosa Melody che tanto odiava Miki e tanto amava Nathaniel. Finalmente avevo avuto modo di conoscere uno dei soggetti principali dei molteplici racconti della mia amica. 

Le diedi i documenti necessari per concludere l'iscrizione e dopo qualche firma su dei fogli, mi spiegò che saremmo stati in classe insieme

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MIKI

Di malavoglia mi sedetti al mio solito banco. Per nulla al mondo avrei voluto condividere la stessa aria con Castiel, dovevo pensare ad un modo per cambiare banco sebbene avessi avuto degli ordini dalla preside di stare accanto al rosso fino alla fine dell'anno. Ma non potevo, se avessi voluto sopravvivere, se avessi voluto dimostrargli delle cose ben precise avrei dovuto assolutamente stare ad una distanza accettabile da lui e condividere la stessa linea d'aria per cinque ore, non era considerabile come cosa buona. 

«Ehi tesoro!» interruppe i miei pensieri Rosalya che venne ad abbracciarmi. Era una ragazza molto espansiva al contrario di me. 

«Devo trovare un modo per cambiare banco. Non lo voglio accanto a me!» non ricambiai il saluto sebbene non mi allontanai dalle sue braccia, ma piuttosto pensai subito ad esporle il problema. Eravamo diventate ottime amiche e mi capì al volo. Anche lei sapeva chi fosse il soggetto costante dei miei discorsi, problemi e pensieri. 

 «Non lo vuoi o cerchi di convincere te stessa di non volerlo?» mi scrutò furbamente, Rosalya.

«Smettila di fare la filosofa, Rose..» sbuffai alzando gli occhi al cielo evitando di rispondere al suo quesito. 

«Comunque se proprio vuoi trovare un modo per non stare in banco con lui, pensa tutto tranne il fatto di togliere lui da questo posto. Lo sappiamo tutti che questo non si tocca.» nel pronunciare l'ultima frase mi mostrò una scritta sul banco e sul muro col nome di Castiel. Quasi come se volesse dimostrare che quel piccolo spazio della classe fosse di sua proprietà. Ragazzo possessivo!

Feci per ribattere ma venni interrotta dalla voce di Ciak che pronunciava il mio nome. 

«Ciak, ti sei perso? Non dovresti essere in classe a quest'ora?» non essendo mai stato in quella scuola prima di quel giorno valutai come plausibile l'ipotesi che potesse essersi perso. 

«Ma io sono nella mia classe!» sorrise Ciak, non seppi spiegarmi il motivo, ma il suo sorriso non mi sembrò reale. 

Restai sorpresa da quella novità, e subito pensai di sfruttare la situazione a mio favore. Castiel non l'avrebbe avuta vinta. Quella volta a dover cambiare posto sarebbe stato proprio lui, non io. Lui non era nessuno.

«Oh come sono contenta! Vieni, siediti accanto a me.» enfatizzai il tutto alzandomi, abbracciandolo, e un sorriso sornione si formò sul mio volto. 

«Ma come? Questo non è il posto di pellerossa?» era impossibile mentire al mio migliore amico, sapeva tutto della mia vita, ormai. 

«Ecco appunto, proprio quello che le stavo dicendo io. Piacere, Rosalya!» finì con il porgergli la mano. 

I due si presentarono e poi intervenni io, nuovamente: «Uff, quante cerimonie per un posto! Quando arriverà si siederà ad un altro banco, semplice! Castiel non è nessuno per comandare».

Entrambi dopo le mie parole assunsero un espressione contrariata. Ma dopotutto avevo ragione; il Signor Castiel Black non era nessuno per sovrastare gli altri, e poi pensai che tutti avevano sin troppo timore di lui, cosa mai avrebbe potuto fare per un posto? Insomma era uno stupido banco di legno! 

Ciak pur non condividendo il mio pensiero, decise ugualmente di accomodarsi accanto a me, al posto di Castiel. Mi sentii incredibilmente soddisfatta di esser riuscita nel mio intento. L'unico aspetto che continuò a darmi fastidio furono la sorpresa e gli avvertimenti dateci dai compagni di classe. Man mano che arrivarono in aula, infatti, si avvicinavano a Ciak e lo avvisavano che Castiel si sarebbe addirittura spinto a picchiarlo nel vederlo al suo posto. Che esagerazione!

Tutti guardarono con compassione e con timore il posto che aveva preso Ciak, come se Castiel avesse potuto ucciderlo. Ma il mio punto di vista era un altro. Il rosso sarebbe arrivato persino a ringraziarmi per averlo allontanato da me. La sua ragazza era gelosa e in più lui non mi tollerava, quindi... In quel modo avevo persino fatto un favore a Castiel, che non sarebbe stato più costretto a stare in mia compagnia, in una compagnia che non gli interessava avere. 

La lezione sarebbe dovuta iniziare da un momento all'altro, intanto in molti chiacchieravano sul ritorno di Debrah. Era tornata, ancora non aveva il diploma. Fortunatamente per me, aveva perso parecchi anni a causa della sua carriera da diva e anche se quell'anno avrebbe dovuto compiere diciotto anni, le toccava frequentare il secondo anno.

Seppur non avessi voluto ascoltare i pettegolezzi sul conto di quell'arpia, non potei fare a meno di farlo. Chiunque parlava di lei quel giorno.  

Che Debrah fosse una cantante me l'aveva già rivelato Castiel, ma non credevo a quei livelli. Aveva persino pubblicato un album, per come Iris stava rivelando a Kim, caspita!

«Io invece credo che se è tornata vorrà pur dire qualcosa... Non sarà così brava come pensano tutti, altrimenti non avrebbe fallito ancor prima d'iniziare la sua carriera» mi sussurrò Ciak all'orecchio.

Come sempre aveva capito ciò che mi stava torturando in quel momento. A volte avevo la percezione che Ciak non fosse di questa terra. Sapeva e capiva sempre ogni cosa, o forse semplicemente mi conosceva bene. Era davvero troppo prezioso per me. Mi era mancato in tutto quel tempo trascorso senza di lui. Mi accarezzò il braccio e fece uno di quei suoi sorrisi belli, capaci di sciogliere persino i ghiacciai. Aveva avuto davvero tanta pazienza nel sopportarmi. Sapevo di starlo ferendo con l'essere così interessata ad un altro, ma ero incapace di mentirgli. L'avevo già fatto per troppo tempo, su altri argomenti, ed era stato terribile per me.

«Un giorno, spero di poter ricambiare tutto il bene che mi hai fatto e stai continuando a fare. Dal profondo del cuore: grazie Ciak!» lo guardai dritto negli occhi; non ero mai stata più sincera di quegli attimi. 

Meritava ogni bene che gli stava capitando, era una persona buona nonostante fosse anche eccentrico ed estroverso. Lui era la mia spalla destra, e, nonostante tutto sarebbe continuato ad esserlo. Poteva cambiare atteggiamento in presenza della gente dello spettacolo ma in mia presenza, quando eravamo soli, tornava ad essere il mio Ciak. Ritornava ad essere il ragazzo umile in jeans e t-shirt, niente di più.

Quella mattina, grazie al primo giorno di scuola, avevo capito ogni cosa su di lui: Ciak, come ogni modello o persona dello spettacolo, quando stava per entrare in scena diventava Francois: persona colta, arrogante ma matura, posata, mentre nella vita di tutti i giorni, quando era con me, ritornava ad essere il vecchio, sguaiato e adorabile Ciak. Quella mattina non aveva neanche più aggiustato i capelli con quintali di gel, era tornato semplicemente lui, quello di Roma ed io non potevo che volergli bene sempre di più.

Ad aprire le lezioni fu il professore di matematica, la materia da me più odiata. Castiel ancora non si era deciso a degnare la classe della sua presenza. Quasi sicuramente era impegnato a recuperare altro tempo perso, insieme alla sua amata, in qualche bagno della scuola.

«Da oggi si unisce a noi un altro ragazzo proveniente dall'Italia. Vieni Francois, vieni pure a presentarti alla classe». 

Anche per Ciak era giunto il momento da me tanto temuto: il discordo davanti tutta la classe. Di sicuro per il mio amico non ci sarebbero stati problemi, aveva sempre avuto ottime capacità di rapportarsi con il mondo, con i coetanei, al contrario mio. Si alzò dal posto di Castiel e con passo deciso si recò alla cattedra, davanti a tutta la classe, guardando uno per uno tutti i presenti, cominciò a raccontare di sé:

«Ciao a tutti, sono Francesco Oliviero -ma solitamente mi chiamano Ciak. Ho sedici anni, vengo dall'Italia, precisamente da Roma. Sto insieme a Miki Rossi, che tutti voi conoscete. Mi sono trasferito a Parigi per lavoro, da un mese sono un modello del marchio Paco Rabanne. Vivo solo, sono un minorenne emancipato. Per quanto riguarda il mio carattere... beh, non mi piace giudicarmi da solo, quando mi conoscerete lo farete voi; spero in positivo. Bene, credo di aver finito.» concluse la sua presentazione brillante con un sorriso sul volto. 

Era stato perfetto. Era stato perfetto a mentire sul nostro rapporto, a raccontarsi, era stato meraviglioso in tutto. Mentre il mio migliore amico parlava, avevo sbirciato le espressioni delle altre ragazze della mia classe: Ambra quando aveva rivelato la nostra relazione, era rimasta a bocca aperta e aveva iniziato a guardarmi di sbieco. Le sue amiche si voltarono verso me con un'espressione schifata. Peggy prendeva appunti, di sicuro per un suo futuro articolo. Ma non m'intimoriva più neanche lei. Iris invece, sorrideva, Violet anche. Rosalya mi guardava di sottecchi sorridendo furbamente, era a conoscenza della verità, gliel'avevo raccontata durante le vacanze natalizie. Mi ero fidata sin dal primo giorno di lei. Sapeva darmi consigli, diceva quando secondo lei sbagliavo e lo faceva senza peli sulla lingua, senza parlare alle spalle. E cosa più bella ancora.. lei non era invidiosa di me. Con le ragazze, nei vari anni di scuola non avevo mai avuto un bel rapporto. C'era stato da sempre solo Ciak. Le ragazze mi giocavano tranelli alle spalle, sparlavano di me, erano invidiose. In realtà non avevano mai capito nulla di me, continuavano a vedermi come possibile rivale, come avversaria o qualcuno da temere perché capace di rubare i loro fidanzati con le mie tecniche di seduzione. Ma finalmente Parigi mi aveva fatto capire che non tutte le ragazze erano come quelle che avevo conosciuto fino a quel momento. Avevo trovato Rosalya, una spalla su cui piangere, una persona su cui contare. Con il passare dei giorni mi aveva dimostrato di poter contare su di lei, e la stessa cosa avevo dimostrato io a lei. Da come mi aveva raccontato, anche lei aveva un rapporto conflittuale con le altre ragazze, e in me aveva visto una persona diversa, sin dal mio primo ingresso in classe. Le piaceva il mio modo di vestire, e quello per lei era un aspetto importante vista la sua fissazione per la moda. Come me, anche lei fino a prima di conoscere me credeva maggiormente nell'amicizia maschile. Ciò che Ciak rappresentava per me, Alexy lo era per lei; con un'unica differenza: Alexy era gay e non avrebbe mai potuto innamorarsi di lei. Alexy era una bella persona, anche lui amava lo shopping come me, era poi molto altruista e gentile simile a Ciak. 

Durante la presentazione del mio migliore amico Alexy non si era voltato nella mia direzione neanche per sbaglio -come invece avevano fatto uno per uno tutti- per un attimo pensai che si fosse invaghito di Ciak. Lo guardava intensamente, l'aveva squadrato da capo a piedi, lo stava venerando e soprattutto spogliando con gli occhi. Peccato per lui che il mio amico aveva gusti totalmente diversi dai suoi, sarebbero stati una bella coppia. 

Appena Ciak tornò al suo posto -accanto a me- il professore iniziò la devastante lezione di matematica, ed io che non avevo nessuna intenzione di ascoltarla, m'isolai nei miei pensieri. 

Castiel non era ancora entrato in aula. Eppure io lo avevo incontrato dentro l'edificio... Non credevo si potesse uscire una volta entrati. E se si fosse nascosto in quello sgabuzzino, insieme a Debrah, per poter saltare le lezioni? E se avesse portato lei nello stesso posto in cui eravamo stati noi? Dove ci eravamo dati il nostro primo bacio? A quegli interrogativi sussultai senza volerlo. Le mani mi cominciarono a sudare, la matita che pochi secondi prima stava scarabocchiando su un foglio, cadde sul banco. Non volevo che portasse lei nel nostro posto. Non sarebbe stato corretto, io non lo avrei accettato. Lì ci eravamo avvicinati, lì avevamo passato un'intera giornata, per me era diventata importante quella stanza. Ma chissà quante altre ragazze ci aveva portato prima e dopo di me... d'altronde Castiel era in quel modo. Ed io per lui ero stata una delle tante bocche baciate, nulla di più. Non riuscivo a capire cosa mi prese dopo quei pensieri, non sapevo per quale motivo stavo avendo quelle reazioni, quell'egoismo. Castiel non era il mio ex ragazzo, non avevo alcun diritto di comportarmi in quel modo. E poi, a dirla tutta, lui non aveva proprio alcun permesso di entrare nei miei pensieri. Ci eravamo promessi di restare a distanza l'una dall'altro, di non rivolgerci più la parola e così sarebbe dovuto continuare ad essere. A me non interessava nulla di lui.

Fui distolta dai pensieri a causa di un rumore. Qualcuno aveva spalancato la porta dell'aula con violenza e senza bussare. Soltanto uno avrebbe potuto compiere quel gesto, solo uno sarebbe potuto entrare in aula nel bel mezzo della spiegazione di un professore, senza chiedere scusa, facendola sembrare una cosa normale; quell'uno che io riconoscerei anche solo da un passo o da una chiusura di porta, anche solo dal profumo o tra mille voci. 

Alzai la testa per vedere se avessi o meno capito bene, e fu così. Quell'uno era Castiel. Ci guardammo per un secondo negli occhi, poi spostò lo sguardo accanto a me e s'infuriò. Senza salutare, senza scusarsi con il professore per il suo ritardo, corse verso Ciak, lo fece alzare dalla sedia afferrandolo dal colletto della maglietta. Tutto accadde in pochi istanti, non capii più nulla. 

«Chi cazzo ti ha dato il permesso di sederti al mio posto? Come cazzo ti sei permesso, eh?! Come?» Castiel urlò contro Ciak con tutta la forza posseduta in corpo.

Ed io restai paralizzata, non potevo credere ai miei occhi, alle mie orecchie, per la scena a cui stavo assistendo. Avevano ragione i miei compagni di classe, aveva ragione Rosalya. Come sempre avevo sbagliato tutto. E Ciak era stato coinvolto -per l'ennesima volta- in quella storia, lui sarebbe stato quello a patire più sofferenza.

Castiel sollevò leggermente Ciak da terra e lo spinse contro il muro sorreggendolo dal colletto della maglietta. Non l'avevo mai visto così violento, così in collera. Non era accaduto nulla di grave alla fin dei conti; avrebbe benissimo potuto limitarsi ad utilizzare le parole invece di aggredire il mio amico. Sembrava quasi ci fosse altro dietro la sua rabbia. 

Io, invece, restai come bloccata. Non riuscii ad interpormi tra i due, mi limitai a portare entrambi le mani sulla mia bocca e ad alzarmi dalla sedia per lo spavento e stupore. 

«Black, non consento gesti di violenza nella mia aula. Si scusi immediatamente col suo compagno di classe».

Il professore giunse nella nostra direzione cercando di placare l'animo del rosso, e cercando di porre fine a quel siparietto, ma non ci riuscì: 

«Io non chiedo niente a nessuno. Dovrebbe esser lui a ringraziare me per non avergli ancora spaccato la faccia di plastica che si ritrova!» liberò la presa lasciando cadere il povero Ciak sul pavimento di quell'aula.

«Vedi di sloggiare dal mio posto, altrimenti a furia di calci ti rimando da dove sei venuto» continuò il rosso con tono di voce greve, rivolgendosi direttamente a Ciak.

 A quel punto finalmente riuscii a reagire, mi precipitai accanto al mio amico per accertarmi sulla sua salute. Mi disse semplicemente e freddamente che non gli era accaduto nulla, in effetti non aveva avuto né graffi e né ferite.

«Signor Black, ma quante volte devo dirglielo? Lei non è la legge. Le regole vengono stabilite da organi superiori e se non vuole finire in presidenza, per l'ennesima volta, le consiglio di accomodarsi accanto a Oliviero e Rossi per il resto dell'anno scolastico e non voglio vedere mai più questi scempi né durante le mie ore, né durante le altre. I problemi personali lasciateli fuori dall'ambiente scolastico».

Davanti alle parole del professore sussultai. Sarebbe stato invivibile, impossibile avere come compagni di banco entrambi i ragazzi. 

«Le normative antisismiche e antincendio sanciscono il divieto di sistemare banchi superiori a due posti nelle aule scolastiche» cercai d'intervenire come meglio potevo per evitare quella condanna per il resto dell'anno. 

Il professore udito quel mio modo saccente di evitare quel provvedimento, per poco non scoppiò a ridermi in faccia: «I tre banchi saranno tutti divisibili, ovvio Miki. Questo è a norma. Lei ha mai visto banchi unici a tre posti?!»

Mi sentii una stupida davanti a tutta la classe. L'idea di non voler avere entrambi i ragazzi -soprattutto Castiel- in banco con me, mi aveva fatto passare per l'ignorante di turno. Avrei dovuto restare in silenzio, maledizione! Evitai di rispondere al professore, quindi, e anzi acconsentii al suo discorso che non faceva una piega. 

Poi intervenne Castiel che riprese il discorso sulla sua eventuale visita in presidenza: «E lei professore, crede che una donna di quasi settant'anni mi possa fare paura?! Bene. Se lo crede, si sbaglia. Io in banco con quello lì non mi ci metto. Anzi a dirla tutta preferisco una sospensione; a casa ho un bel po' di cose da fare, una breve vacanza mi sarebbe utile.»

Con sarcasmo Castiel si recò alla cattedra del professore che, sentite quelle parole, lo accompagnò dalla preside soddisfacendo i suoi desideri. Dopo averlo tolto dai guai circa un milione di volte, finalmente avevo provocato qualche disagio al ragazzo dai capelli rossi. Se lo meritava.

Sebbene avessi realizzato un altro obiettivo -anche se lo avevo fatto provocando del male al mio migliore amico- divenni più tranquilla del solito, ma Ciak continuò a non rivolgermi la parola, ad evitarmi, e ciò mi fece andare nuovamente in tilt. 

Dopo qualche minuto il professore rientrò in aula senza essere accompagnato da Castiel. E se la direttrice avesse realmente deciso di sospendere il rosso da ogni attività scolastica? Sarei stata pronta a non vederlo di nuovo tutti i giorni? Sapevo di essere di una contraddittorietà assurda, ma sebbene Castiel, fosse diventato un estraneo per me era risaputo l'effetto che solo lui riusciva a procurarmi.

«La preside vuole parlare anche con lei, Rossi. Vada nel suo ufficio!» mi comunicò il professore.

Prima di andare, mi voltai verso Ciak, ma lui non corrispose il mio sguardo. Sembrava stesse togliendo fuori tutto l'odio in un colpo. L'odio per il male che gli avevo creato in quel periodo. Non potevo che dargli ragione, ero stata una pessima amica, una pessima persona nei suoi confronti.

Mi alzai dalla sedia rumorosamente e mi diressi verso la porta. Tutta la classe mi fissava. Chi per curiosità, chi per compassione, chi con consapevolezza, ma tutti, proprio tutti mi fissavano.. Persino Lysandre, persino Armin che, per un attimo, aveva poggiato la suo Nintendo sul banco per controllare il caos da me provocato. Tutti mi avevano avvertita ad inizio ora, ma io avevo preferito non ascoltare. Uscii dall'aula e mi diressi nuovamente verso l'ufficio della preside. Era la seconda volta in un'unica giornata che percorrevo quel tragitto. Cercai di pensare ciò che avrebbe voluto dirmi, ma non ne avevo la minima idea. D'altronde né Castiel né la direttrice potevano sapere che fossi stata io a convincere Ciak a sedersi al posto del rosso.

Arrivata dinanzi all'entrata dell'ufficio, notai che la porta fosse già aperta. Castiel percepì la mia presenza e si voltò di scatto per guardarmi. Io feci come lui -lo vidi seduto sguaiatamente su una sedia- lo guardai dritto negli occhi senza abbassare lo sguardo. Non capii il modo con il quale mi fissò, aveva uno sguardo diverso quasi di delusione, ma delusione per cosa?

«Signorina Rossi, si decide ad entrare o devo chiamare le forze speciali per convincerla ad unirsi a noi?! Forse preferisce un tappeto rosso?!» la direttrice usò un tono di voce infastidito, più del solito.

Non me lo feci ripetere due volte, entrai e mi accomodai sulla sedia accanto al rosso. Da circa una settimana non mi trovavo a quella minima distanza da lui, il piccolo scontro avuto un'ora prima con Debrah non lo contavo nemmeno. Abbassai lo sguardo, percepivo i suoi occhi addosso. Per quale motivo doveva guardarmi insistentemente? Avevo forse qualcosa in faccia?Quasi entrai in panico, magari ero sporca di qualcosa e non me n'ero accorta. 

Per un attimo, poi, fu inevitabile ripensare al sogno. La mia mente malata riprodusse l'immagine di lui sopra di me, della sua bocca sottile che accarezzava tutto il mio corpo. Chiusi gli occhi ed assaporai per bene quell'immaginazione. Sarebbe stato qualcosa d'irrealizzabile, ma sperai che perlomeno quel sogno restasse impresso nella mia mente a lungo termine. Sapevo di non dovermi permettere di desiderarlo, lui era di un'altra donna, per giunta ci eravamo promessi di non rivolgerci più alcuna confidenza, ma nessuno avrebbe scoperto di quel piccolo segreto riprodotto dalla mia testa e lo conservai come se fosse qualcosa di prezioso. 

Aprii gli occhi a scatto. Non potevo permettermi di pensare a lui in quel senso, non quando mi trovavo in presidenza in sua compagnia. La preside ci aveva detto di attendere qualche minuto, era stata chiamata con urgenza da qualche professore. 

Restammo soli; io e Castiel. Lui; colui che avevo sognato fino a poche ore prima, colui che aveva un corpo da favola, ma anche lui: cagnolino di Debrah. Dopo quell'ultimo pensiero scossi la testa e nonostante fosse in quella stanza -a qualche centimetro dalla sottoscritta- cercai di non considerarlo. E l'impresa sarebbe stata più difficile del previsto vista la mia attrazione smisurata verso quel babbuino. Così per non pensarlo iniziai a guardarmi intorno. Mi alzai dalla sedia e cominciai a sbirciare l'ambiente, sebbene fossi stata altre volte in quel posto non avevo avuto tempo di guardarlo. 

Le mura di quella stanza erano verdi, di un verde inquietante, forse color muffa. Sulle pareti vi erano dei decori strani color oro, inquietanti anche quelli. Per fortuna, quelle strane pareti si vedevano poco perchè coperti d'alti armadi a cassetti di ferro. La scrivania invece era di legno scuro. Lì in mostra, potevano ammirarsi delle foto che ritraevano la preside con il suo cane Kiki. Non c'erano foto di figli o di un eventuale marito. Per come avevo sentito parlare, lei non doveva avere nessuno di caro oltre quel cane. Aveva dedicato tutta la sua vita alla carriera. 

«Dovevi evitare di far sedere il tuo bambolotto al mio banco. E comunque ringrazia che non gli abbia spaccato la faccia!» se ne uscì dal nulla, Castiel, marcando gli aggettivi possessivi. 

Mi voltai per poterlo guadare, lo trovai nella sua solita posa: braccia conserte, seduto sguaiato con le gambe aperte. Aveva inoltre assunto in viso la sua solita espressione scocciata e scorbutica. Forse quella posa avrebbe potuto innervosire chiunque, ma in me non faceva un effetto negativo, anzi il contrario. Era un tratto tipico di lui e mi faceva letteralmente impazzire.

«Se non avessi pensato solo a slinguazzarti con quell'arpia della tua ragazza, magari saresti arrivato in orario e il tuo banco sarebbe stato ancora tuo. Chi ultimo arriva male alloggia, non lo conoscevi questo detto?»

Forse da quella risposta risultai leggermente gelosa, ma non me ne importava di mascherarlo. Debrah aveva un brutto effetto su di lui e avrei continuato ad odiarla all'infinito se non avesse mutato atteggiamento. Dopo quella mia risposta, copiai la sua posa, mi sistemai a braccia conserte sulla sedia proprio come lui, ma tenendo le gambe chiuse. Non sarebbe stato il caso di copiare anche la postura delle sue gambe vista la mia gonna.

«Che c'è, sei gelosa? Vorresti per caso essere al suo posto? Vorresti essere tu a limonare con me?» sul suo viso spuntò un sorriso sghembo ed io arrossii pericolosamente. Maledizione Castiel!

«Che? Continua a sognare, bello! Io ho un ragazzo e posso dire per esperienza che sa usare la lingua decisamente meglio di te!» fu il mio turno di farmi beffa di lui.

Sollevò le sopracciglia come per mostrarmi di non credere neanche ad una delle mie parole. Era così sicuro di sé.

«Fingerò di crederti. Fatto sta che per colpa tua, dovrò sorbirmi entrambi fino alla fine dell'anno. La preside ha rifiutato di sospendermi e anzi mi ha obbligato a stare in banco con ben due teste di cazzo. Che schifo!»

«Uh poverino! Ti consiglio di combinare qualcosa d'imperdonabile che ti assicuri la bocciatura, in questo modo magari l'anno prossimo raggiungerai la tua amata vipera e non sarai più costretto a stare con delle teste di cazzo, ma anzi vedrai solo gente falsa al tuo cospetto. Molto meglio delle teste di cazzo, no?!» mi alterai, quel suo denigrarmi stava cominciando ad essere fastidioso. «Ah e a proposito: la prossima volta che si rivolge a me in quei termini giuro che le stacco tutte le extension che ha in testa. Avvertila!» conclusi il mio discorso diventando rossa in viso dalla rabbia. 

A quel punto Castiel fece qualcosa d'inaspettato: rise. Non rise di me, ma con me. Sembrava essere dalla mia parte, sembrava essergli piaciuta la mia minaccia.

«Basta voi due! Le urla si sentono da fuori. Ma a Natale non avevate rappacificato? Che gioventù! Difficile starvi dietro...» la direttrice irruppe nella stanza ponendo fine ai nostri battibecchi.

Aveva ragione. Un giorno litigavamo come matti, un giorno tornavamo in pace e il giorno dopo tornavamo ad acciuffarci. Era impossibile starci dietro. 

«Comunque» iniziò finalmente ciò che doveva comunicarci ad entrambi «tra una settimana partirete per Roma. Siamo riusciti ad organizzare il viaggio nonostante le difficoltà economiche in cui la scuola si sta trovando in questo periodo, voi avete ottenuto il titolo di Re e Reginetta del ballo e voi partirete, ci teniamo a mantenere le promesse. Purtroppo per carenza di fondi dovrete stare in camera insieme, ma non per questo siete autorizzati a riprodurvi come conigli. Ho assunto un tutor che vi seguirà ovunque e insieme abbiamo preso le giuste precauzioni affinché i due lati di stanza siano divisi. Ogni giorno il tutor vi farà visitare la città e mi riferirà il vostro comportamento». 

Ciò che la preside doveva comunicarmi non era sulla lite tra Ciak e Castiel, ma sull'imminente viaggio. Il mio cuore sobbalzò nell'apprendere che tra una settimana sarei potuta tornare nel mio paese d'origine. Avevo solo brutti ricordi in quel posto. 

Poi indossando gli occhiali da vista e cercando tra i suoi documenti continuò: «Tuttavia, non siete obbligati a partecipare al viaggio. Entro domani dovrete darmi la risposta. Qualora entrambi o uno di voi due deciderebbe di non partire, il vostro posto sarà ceduto ai secondi classificati: Ambra o Nathaniel Daniels. Qualora invece accettaste vi comunico già che la meta e le visite guidate non possono essere cambiate per nessuna ragione, sono già state prefissate. Ecco, questo è il programma...»

La preside era stata chiara. La meta non si sarebbe potuta cambiare, ma avremmo potuto rifiutare di prendere parte al viaggio. Avevo promesso a me stessa di stare lontano da Castiel, avevo promesso a me stessa che non avrei mai più messo piede a Roma, ma nonostante quei piccoli particolare, la mia intenzione era quella di partecipare ugualmente al viaggio. Il ventiquattro Dicembre, nonostante le litigate, era stato un giorno perfetto che non si sarebbe mai più ripetuto. Era stato il giorno in cui ero stata eletta Reginetta del ballo senza essere popolare, senza che andassi in giro a chiedere voti. E poi... La verità che volevo a tutti i costi tener nascosta era un'altra. Amavo farmi del male, amavo terribilmente passare del tempo con il mio nemico, amavo torturarmi. Per tutti quei motivi decisi di comunicare il mio consenso sin da subito. 

Così la preside, allungando le mani verso di noi ci diede i fogli contenenti l'itinerario. Lessi velocemente. Erano previste visite praticamente in tutta Roma, ma quando lessi Colosseo mi bloccai. Lì vicino era situata la mia vecchia casa, lì dove avevo subìto tutto il male della mia infanzia.

Fui distolta dai pensieri da Castiel che si alzò rumorosamente dalla sedia e piegando il foglio, senza neanche guardarlo, si diresse verso la porta: «Forse non potrò partire. Darò comunque la mia risposta definitiva domani!» disse quelle parole con nonchalance senza sapere che con sé si sarebbe portato un pezzetto del mio cuore rotto. Non mi degnò di uno sguardo mentre svanì dalla mia vista. Ero stata una scema a pensare che avrebbe accettato di partire. Non poteva lasciare Parigi, non senza la sua ragazza.

Per l'ennesima volta mi aveva delusa. Io avevo iniziato a torturarmi, a pensare come potesse essere quel viaggio, lo avevo persino sognato nella camera d'albergo quella mattina, ma avrei dovuto intuire tutto sin da subito. Lui non sarebbe venuto. Di sicuro la sua ragazza gli avrebbe vietato di partire con la sottoscritta e lui come un cagnolino fedele, avrebbe ascoltato le parole della sua padrona. Certo, non avrebbe mai potuto deludere lei. L'amore della sua vita. Ed io non ero stata nient'altro che una povera stupida. Come avevo potuto pensare che per quei giorni entrambi avremmo deposto l'ascia da guerra? Ero disposta a godermi quel tempo insieme a lui assaporando ogni secondo, immaginando che al ritorno tutto sarebbe stato come ora, nemici. Lui sarebbe ritornato con Debrah e io a fingere con Ciak. Ma ciò che m'importava fino a quel momento erano stati quei maledetti giorni in Italia. Di quei sette giorni avevo davvero sognato l'impossibile, il proibito, ma non avrei dovuto. Mi ero illusa ancora una volta. Mentre lui non mi aveva neanche tenuto in considerazione. 

Ma non importava. Era inutile continuare a rimuginarci sopra. Mi ero stancata di pensarlo, di giustificarlo, di fare in modo che tutto il mondo girasse intorno a lui. Tutto sarebbe potuto cambiare da quel viaggio, e se fossi stata lontano da lui per una settimana, forse sarei anche riuscita ad allontanato definitivamente dal mio cuore.

«Signora preside, io non ho bisogno di pensarci. Partirò per questo viaggio, anche se conosco Roma alla perfezione. Non importa chi verrà con me, io ci sarò!» senza riflettere oltre diedi la mia adesione per quella vacanza.

La giornata a scuola proseguì tra battibecchi vari. Castiel e Ciak continuarono a punzecchiarsi a vicenda sebbene con toni meno gravi rispetto alla prima ora, mentre io restai immobile per tutto il tempo, non rivolsi a nessuno la parola. 

Al ritorno in classe, il professore di matematica, dopo la decisione della preside, aveva deciso di assegnare a Castiel il posto accanto alla finestra, a me quello centrale ed a Ciak quello alla mia sinistra, quindi dalla parte opposta alla finestra. Io ero tra i due fuochi. Pensava che in quel modo avrebbe ridotto i litigi tra i due al minimo, ma ovviamente non era stato così.

-

Dopo la fine delle lezioni tornai a casa con l'auto di Ciak, e pensai che quello fosse il momento opportuno per chiarire le cose. Non volevo alimentare il suo odio nei miei confronti. 

«In questi giorni posso esserti sembrata egoista, ma a tutto c'è stato un motivo. Inizialmente volevo fargliela pagare a Castiel, fargli vedere che lui non ha importanza per me, che quello che c'è stato tra me e lui non è significato nulla. Ma comunque da oggi non servirà più fingere di stare con te. Ho deciso che da domani dichiareremo di esserci lasciati, di non andare più bene come coppia perché abbiamo passato troppi mesi lontani ed entrambi siamo cambiati, cresciuti, e che quindi abbiamo deciso di restare solo amici. Nessuno si accorgerà di nulla. Mi dispiace di averti fatto soffrire in questa settimana.. Sai, ancora ero con l'idea che tra noi due ci fosse l'amicizia pura di un tempo, ma come vedi ho sbagliato. Ho ignorato i tuoi sentimenti verso me per la maggior parte del tempo, ho fatto finta che non esistessero -da parte tua- quei sentimenti diversi dall'amicizia. Oggi dopo gli ultimi avvenimenti ho compreso tutto, so che è tardi ma l'importante è aver capito, no? Ho capito che tu stai provando le stesse emozioni che io ho provato con Castiel. Ti senti rifiutato, distrutto, deluso, vorresti spaccare tutto quando mi vedi con lui. Ma quest'ultima cosa non temerla, non accadrà più. Io e Castiel ormai non siamo più amici e non saremo mai qualcosa di più. L'ho capito finalmente!» sperai di esser stata chiara nonostante la voce tremante e la ripetizione e confusione nelle parole. 

Quando finii, il mio amico con sarcasmo mi chiese: «Hai finito il tuo ennesimo monologo? Posso parlare ora?» non capivo come, ma ancora una volta, Ciak era con il sorriso sulle labbra. Solo poche ore prima aveva iniziato ad ignorarmi, a guardarmi con odio mentre in quella macchina sembrava essere tornato il mio migliore amico.

Acconsentii alla sua richiesta e per una volta stetti ad ascoltarlo, come non facevo da tempo.

«Vero. Ammetto che più di una volta in questa settimana ho pensato che tu ti sia comportata da egoista, ma non per questo voglio mollare tutto ora. Ormai sono stato tirato in ballo in questo finto fidanzamento e voglio continuare. Voglio vedere a quanto arriva la cocciutaggine delle persone. Voglio capire se anche questa volta ho capito e centrato in pieno i sentimenti di qualcuno. Pellerossa oggi stava per affogarmi, ma nonostante questo non riesco ad odiarlo. Mi fa una strana simpatia quando provoca, quando ti guarda, quando fa quelle battute stupide. So bene che questi miei comportamenti potrebbero essere considerati da pazzo, ma è così che mi sento. All'inizio non mi era stato simpatico visto il tuo interesse per lui, ma ora invece è al primo posto della mia lista.. Pensa a tratti mi sta più simpatico di te!» rise e poi continuò: «Oltre ad essere l'ennesimo tuo spasimante, sono prima di tutto il tuo migliore amico da più di dieci anni e se permetti voglio comportarmi da tale. In certi momenti ho avuto voglia di mandare tutto a quel paese e di andarmene da questa città, ma prima o poi mi abituerò al tuo rifiuto, è solo questione di tempo. Miki io non voglio perderti. Non voglio perdere te come persona e non voglio perdere quest'amicizia che va avanti da tanto tempo. Lo ammetto, mi ero trasferito a Parigi con l'intento di farti innamorare di me, mi ero illuso che ti avrei potuta conquistare con delle rose. Ma avevo tralasciato la parte più importante: una ragazza bella come te avrebbe fatto breccia nel cuore di molti ragazzi. È stato così... E ora non mi resta che accettare tutto questo. È doloroso, ma non preoccuparti prima o poi passerà. Ti chiedo soltanto una cosa: quando mi vedrai di cattivo umore; non parlarmi, lasciami solo perché vorrà dire che in quel momento tu sarai l'ultima persona che vorrò vedere.. ma ti ripeto, è solo questione di tempo. Passerà!»

Nelle parole di Ciak avevo intravisto un ragazzo maturo, pronto ad accettare le sconfitte, e a combattere per nuove battaglie. Il Ciak dell'Italia non sarebbe stato in grado di affrontare un discorso del genere, o almeno non lo ritenevo possibile. Probabilmente il due di picche ricevuto dalla sottoscritta lo aveva fatto crescere. Erano terribilmente esatte le sue frasi, talmente tanto da farmi salire i brividi dalla schiena fino alla testa. Aveva utilizzato malinconia, amore, rabbia nel pronunciarle, ed il tutto con un incredibile maturità.. Né Castiel più grande di lui, e né nessun altro ragazzo sarebbe stato in grado di parlare in quel modo. Rassegnarsi, essere pacifico e pensare addirittura che il suo rivale fosse simpatico non era da tutti. 

-

Quando arrivai a casa salutai Ciak ed entrai in casa.

Come mi aveva scritto la zia sarebbe tornata giusto in tempo per accompagnarmi al provino. Guardai l'orologio: erano le due in punto. Mancavano ancora sei ore e mezza. Sei ore e mezzo per diventare irriconoscibile, per essere brutta e spregevole. Già... quello sarebbe stato il mio piano: mi sarei vestita talmente male che neanche la mia stessa zia mi avrebbe riconosciuta. Se in un certo senso Rabanne mi avesse costretta a partecipare a quel provino, io avrei costretto lui a non scegliermi. 

Per prima cosa non avrei dovuto mangiare. Salita in camera, cominciai a spazzolarmi i capelli all'incontrario. In questo modo si sarebbero fatti mille nodi e i capelli sarebbero risultati impresentabili come se avessero preso la scossa. Forse sarebbe stata la prima volta, ma dovevo farlo. Potevo risultare infantile ma non sopportavo chi voleva darmi ordini e quello era il mio modo per fargliela pagare. Sarei andata a quel provino, ma a modo mio!

-

15:30

Rendere i capelli inguardabili mi richiese più tempo del previsto. Dopo aver finito mi guardai allo specchio. Ero perfetta. Sembrava che avessi dormito per giornate intere e che avessi avuto degli incubi.. o peggio ancora sembravo esser appena uscita da un manicomio. I miei capelli non erano stati mai così brutti e pieni di nodi. 

Senza perdere altro tempo, aprii l'enorme armadio e cercai di trovare dei vestiti anonimi e vecchietti che non usavo più ma avevo accantonato invece di gettarli o darli in beneficienza. A prima vista non ce n'erano. 

Aprii degli scatoloni vecchi situati nel cassetto sotto l'armadio e finalmente trovai quello che faceva al caso mio. Erano degli jeans di un colore scuro ed abbastanza larghi. Poi trovai una t-shirt nera anch'essa larga senza nessun disegno. Afferrai una forbice e feci qualche piccolo buco alla maglia. Peggio di così non avrei potuto vestirmi... ma per peggiorare il tutto: strappai gli jeans dalle ginocchia. Poi presi le converse nere e cominciai a strappare anche pezzi di tela di quest'ultime. Tutto ciò poteva bastare. Io ed un barbone saremmo stati un'unica cosa da quel momento fino a dopo il provino. 

-

18:00

Mi addormentai come una bimba sul tappeto della mia camera dopo aver ultimato i preparativi per quella sera. Mi alzai di scatto, presi il cellulare per controllare l'ora e per fortuna ancora avrei avuto un po' di tempo prima di rendermi totalmente impresentabile. Quando però -oltre all'ora- sullo schermo trovai un messaggio di Castiel dallo spavento quasi non mi cadde il cellulare dalle mani. Lessi il contenuto per capire se: avrei dovuto comprare uno smartphone nuovo perché magari segnava messaggi vecchi, perché magari era impazzito; o se invece quello ad esser uscito fuori dai gangheri fosse stato il rosso. 

Quanto costa uno spazzolino?

Dopo aver letto fu tutto chiaro. La testa di rapa rossa aveva sbagliato numero. Di certo un messaggio così dal nulla non lo avrebbe potuto mandare alla sottoscritta. Poche ore prima non avevamo fatto altro che litigare ed io non avevo fatto altro che insultare la sua ragazza, quindi non avrebbe avuto motivo per mandarmi quel genere di messaggio così dal nulla. Decisi di rispondergli, giusto per informarlo di aver scritto alla persona sbagliata.

Sono Miki.. credo che tu abbia sbagliato numero.

Purtroppo l'effetto che mi aveva generato era dei peggiori. Si era presentato così, con un messaggio indirizzato probabilmente alla sua ragazza, eppure, nonostante quel piccolissimo particolare io avevo il batticuore. Non era giusto. Aspettai la sua risposta con ansia, come se mi dovesse dire una cosa importante. Mi sedetti sul letto e ogni secondo controllavo se il cellulare avesse campo. La linea c'era tutta. La risposta quindi era una sola: aveva capito di aver sbagliato numero e si era dileguato nel nulla. 

Guarda che ancora ho 18 anni.. non ne ho 60. Ci vedo bene per fortuna :P

Mi aveva risposto dopo qualche minuto. Quel messaggio era indirizzato a me. Il contenuto era stupido ma era per me, non per la vipera, era per me, per me... Dalla gioia cominciai a saltellare per tutta la stanza con il telefono in mano. Ero felice perchè il mio nemico si era fatto sentire. Incredibile da ammettere, ma era così. Poi cominciammo a scriverci e non passò neanche un minuto dalla risposta dell'altro.

CASTIEL: Allora vuoi dirmi quanto costa questo spazzolino sì o no?

MIKI: Ma ti sembro un supermercato, io?

MIKI: Comunque credo che al massimo possa costare 2 Euro... Perché?

CASTIEL: Mi è appena caduto nel cesso. Devo correre a comprarlo.

MIKI: Ma certo che sei scemo con i cavoli tu ! -.-"

CASTIEL: Ammetti che mi trovi irresistibile ;) altro che scemo!

MIKI: No! Ti trovo stupido. Prima fai le sparate, m'insulti, poi non sai come chiedere scusa e mandi messaggi imbecilli come te, per attaccare bottone. Ammetti tu questo, piuttosto!

MIKI: Comunque che hai deciso alla fine?

CASTIEL: Che vado a comprare lo spazzolino nuovo!

MIKI: Scemo! Per Roma...

CASTIEL: Tu ci andrai?

MIKI: Ma da quand'è che alle domande si risponde con altre domande? Comunque sì ci vado.

CASTIEL: Finiscila di fare la saccente.. Ci vengo anch'io. Più giorni di scuola si perdono, meglio è!

MIKI: Ok, certo. Adesso devo andare. Ci vediamo stasera. Ciao!

CASTIEL: Stasera?

MIKI: Al provino -.-" 

CASTIEL: Ah giusto! A stasera!

  
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