Libri > Hunger Games
Ricorda la storia  |      
Autore: _Nica89_    01/01/2015    2 recensioni
I giochi di Cecelia, raccontati da uno spettatore particolare. Uno spaccato degli Hunger Games dal punto di vista di un senza voce di Capitol City.
Genere: Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cecelia
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Storia partecipante al contest 1 su 24 ce la fa di ManuFury
Nick sul forum/ Nick su EFP (segnalare quello che si vuole avere sul Banner):_Nica89

Tributo:Cecelia
Turno:settimo
Titolo Storia:Incontri a caro prezzo
Pacchetto (se presente): nessuno
Genere:slice-of-life

Rating:giallo
Avvertimenti:missing moment
Pairing (se presente):nessuno
Note (facoltative): i calcoli del protagonista, Scott, sono volutamente sbagliati. Cecelia ha diciotto anni, quando viene estratta per i sessantunesimi Hunger Games.

 

Incontri a caro prezzo

 

La prossima edizione degli Hunger Games è ormai alle porte e tutta Capitol City sembra avvolta in un’aurea di palpitante attesa, prima che l’apertura delle scommesse dia il via alla frenesia di indovinare il Vincitore dei sessantunesimi Giochi, ancora prima che i tributi siano stati scelti durane le mietiture. Per le strade si sentono già i primi pronostici su distretto di provenienza, età e genere dell’unico superstite che potrà dire di essere sopravvissuto all’arena.        
Per un senza-voce – come me – assegnato al Centro di Addestramento, la vigilia di una nuova edizione è sinonimo di lavoro febbrile, affinché sia tutto pronto per l’arrivo dei nostri ospiti.

Quando salgo al piano dedicato ai tributi del Distretto 3 e al loro staff, gli stilisti sono intenti a osservare le mietiture che si stanno svolgendo in tutta Panem. Non presto attenzione al televisore e mi avvio verso le stanze da letto, per sistemare gli ultimi dettagli.

Quando ritorno in soggiorno, le immagini stanno mostrando un ragazzino salire sul palco. Non ho bisogno di leggere il numero sul Palazzo di Giustizia, per sapere che si tratta della mietitura del Distretto 8: vi ho assistito dal vivo fin troppe volte, per non riconoscere il mio distretto d’origine.

La telecamera mostra anche la ragazza estratta in precedenza. È più grande del suo compagno di sventura, probabilmente era uno degli ultimi anni in cui rischiava di essere sorteggiata. Da quel poco che posso osservarla, sembra abbastanza graziosa, anche se il suo è un viso piuttosto comune nel nostro distretto. Forse è per questo che mi sembra vagamente familiare, o forse è solo la nostalgia di chi ho dovuto abbandonare, a causa della mia impulsività, a renderla tale.

«Ehi, tu! Vammi a prendere le stoffe nel mio laboratorio!» 
La voce dello stilista mi riporta alla realtà e mi accorgo di essere rimasto fermo davanti allo schermo che, grazie a un’elegante chiusura e apertura delle porte dei Palazzi di Giustizia, ci introduce a una nuova mietitura.    
«Mi hai sentito? Le stoffe, quelle cose che si usano per fare i vestiti … – mi ripete, per poi commentare col suo collega – Ogni anno sono sempre più stupidi …»

Abbasso la testa ed esco. Una volta avrei risposto a quell’offesa, adesso sono obbligato a rimanere in silenzio. Se solo avessi saputo trattenermi tempo fa, forse, non mi troverei qui. Ma non c’è tempo per rimpiangere quello che è successo: gli Hunger Games incombono e se i costumi per la sfilata di domani non saranno all’altezza, gli stilisti non avranno problemi ad additarmi come capro espiatorio.

* * *

La sfilata è riuscita. Tutti gli stilisti hanno cercato di valorizzare al meglio le produzioni dei Distretti dai quali provengono i loro tributi. Perfino la tuta da minatore dei due ragazzi del Distretto 12 sembrava più curata del solito, ma nessuno è riuscito a spiccare tra gli altri. Fare colpo sul pubblico limitandosi a salutare e sorridere da un carro è difficile, soprattutto se altre ventitré persone imitano i tuoi stessi gesti.

Rimango vicino al cancello, in attesa che il carro dei cavalli rientri, per osservare più da vicino la giovane del Distretto 8. Da una delle tribune più vicine sento una donna urlare alla sua compagna:
«Sai, vorrei tanto essere un senza-voce, in questo momento, così potrei vedere da vicino i tributi, senza dover aspettare la fine dei giorni d’addestramento. Deve essere così emozionante! Soprattutto la sessione privata, non sai cosa pagherei per potervi assistere!» 
Lascio la signora continuare il suo elogio dei Giochi e ritorno verso la postazione assegnatami, schifato da tanta superficialità.

Devo essere impazzito, è l’unica spiegazione possibile per il mio comportamento: sgattaiolare fino alle palestre e sostituirsi a uno degli altri senza-voce solo per assistere alle sezioni individuali potrebbe essere un’ottima idea solo per un folle amante dei giochi. O per un aspirante suicida, nel caso il piano fallisca. Farlo per una ragazza sconosciuta del Distretto 8 non ha alcun senso. Eppure, in questo momento, mi sento tanto vicino alle posizioni della donna alla parata.

Vedere la giovane uscire carponi, tra le risate di scherno degli Strateghi, dal rifugio improvvisato che le è collassato addosso, mi stringe il cuore. È talmente mortificata che non alza nemmeno lo sguardo verso la piattaforma riservata a loro.

«Signorina, può andare».      
Accolgo quelle parole con sollievo. La ragazza si passa velocemente la mano sugli occhi, prima di uscire.
«Speriamo solo che non si eserciti troppo con le coperte della sua stanza, altrimenti rischiamo di doverle trovare un sostituto!» commenta una donna, servendosi dal vassoio che stringo tra le mani, suscitando l’ilarità generale.

L’unica consolazione è che le porte si sono già chiuse alle spalle della giovane.

* * *

Con una prova simile non mi sorprendo quando Caesar Flickerman annuncia, con voce fintamente dispiaciuta: «Distretto 8, Cecelia Tailor: Cinque!».

Scoprire il nome della ragazza non fa altro che confondermi maggiormente le idee sul perché il suo viso mi sembri così familiare. Tailor è un cognome comune nel nostro distretto, perfino mia sorella ne ha sposato uno, ma sono sicuro di non conoscere questa ragazza.

E come potrei? Devono essere passati quindici, sedici anni – o forse qualcosa di più – da quando sono stato portato a Capitol City.

* * *

Le interviste si susseguono, alcune brillanti, altre talmente faticose da far sembrare quei tre minuti eterni. In quest’occasione, Cecelia non sbaglia, anche se è molto impacciata.

Quando Caesar porta il discorso sulla valutazione, dagli spalti riservati agli Strateghi, si alza qualche risolino che non passa inosservato. Cecelia arrossisce e cerca di cambiare discorso.

Da bravo maestro di cerimonie, Caesar l’asseconda, spostando la conversazione sul braccialetto intrecciato col quale la giovane continua a giocherellare. Prontamente le telecamere lo inquadrano, permettendo a tutti gli spettatori di vedere l’oggetto.

La sorpresa nel riconoscerlo mi lascia senza fiato: non ho dubbi che sia quello che regalai a mia sorella come augurio per le sue nozze. Le parole di Cecelia fanno da sottofondo ai diversi ricordi della mia vecchia vita che affiorano, gareggiando tra loro per riemergere dall’oblio dove li avevo confinati.

Uno, in particolare, risulta nitido e reale. 
«Cecelia! Ha detto che la vuole chiamare Cecelia!» aveva esclamato mio cognato – nonché marito di Lena, mia sorella – appena gli avevo aperto la porta, che sembrava essere diventata il suo personale antistress.

«Ciao, Philip. È bello sapere che avrete una bambina! Prego, accomodati pure …» lo invitai scherzosamente a entrare, facendogli notare che fosse ancora sulla soglia di casa.
«Scusami, Scott, non ti ho neppure salutato, ma vedi, tua sorella mi sta veramente facendo impazzire con questa storia del nome …» riprese mio cognato, seguendomi in cucina senza interrompere la sua filippica sul perché “Cecelia” non dovesse essere il nome da dare a un bambino.

«Quindi non è sicuro che sia una femmina».      
«No, è Lena a esserne convinta. Sai com’è quando s’impunta su qualcosa … ormai parla del bimbo solo al femminile» continuò, lasciandosi cadere a peso morto su una sedia.

«E tu spera che nasca un maschio!» suggerii, allungandogli un bicchiere d’acqua e sedendomi di fronte a lui.     
«La fai facile, tu, che non sei sposato. Mi piacerebbe proprio vederti, tra qualche anno con la tua dolce metà» borbottò Philip, tra un sorso e l’altro.

«Ho solo diciannove anni, dammi un po’ di tempo!» scherzai a mia volta, alzando le mani in segno di resa. Mio cognato mi sorrise compiaciuto.    
«Però, mi prometti che le parlerai?» domandò speranzoso.  
«Va bene, – acconsentii – ma credi davvero che possa farle cambiare idea?»   
«Sinceramente? No, ma è pur sempre un tentativo». Sorrise, scrollando le spalle.

Eppure quel tentativo non è mai avvenuto, a causa di alcune proteste scoppiate in fabbrica. Lena mi aveva sempre supplicato di tenere a freno la lingua, ma durante quel turno di lavoro non riuscii a rimanere in silenzio.

Decidere di iniziare un’apprendista facendole prendere le misure al capo dei pacificatori non era stata una mossa lungimirante, da parte del direttore della fabbrica. La povera aveva iniziato a tremare come una foglia fin da quando ero stato mandato a chiamarla per comunicare il suo nuovo incarico e a poco erano servite le mie rassicurazioni.

Vedere l’uomo schiaffeggiarla, solo perché uno spillo lo aveva punto, mi fece scattare. Probabilmente tutto si sarebbe risolto discretamente dentro qualche magazzino poco frequentato della fabbrica, per nascondere l’accaduto, lasciando il mio corpo coperto di lividi come ammonimento, oppure avrei potuto cavarmela con qualche frustata pubblica, giusto per ricordare a tutto il distretto chi era a comandare, se solo non avessi istigato anche gli altri lavoratori a ribellarsi e bloccare la catena produttiva.

Non era stato tanto il mio gesto, quanto le mie parole, a colpire nel segno; per questo portarmi a Capitol City e farmi tagliare la lingua sembrò loro il contrappasso migliore.

Osservo Cecelia alzarsi dalla poltroncina, congedarsi da Caesar e tornare al suo posto tra gli altri tributi. Continuo a fissarla, ripensando al mio primo periodo da senza- voce, quando non facevo che pensare al mio distretto e alla mia famiglia ma, soprattutto, al figlio di mia sorella che non era ancora nato. Non poter avere loro notizie mi faceva soffrire più del non poter parlare.

Non passava giorno che io non trascorressi a desiderare di rivederli e di conoscere l’ultimo arrivato, come se la mia punizione potesse essere reversibile. Poi, la logica ha avuto ragione sul cuore e ho cercato di rifuggire l’unica soluzione che avevo per conoscere quella che – ora so – è mia nipote.

* * *

Passo la notte insonne, incapace di chiudere occhio al pensiero di quello che la aspetterà nell’arena. Vorrei poterla conoscere meglio e una parte di me vorrebbe farle sapere che non sono morto, come ha sostenuto durante l’intervista. Ma non c’è più tempo per questo incontro, non c’è mai stato veramente e, forse, è meglio così per entrambi.

Il giorno arriva troppo presto ed io devo tornare agli ordini del team di preparatori che è rimasto al Centro di Addestramento.       
Le lancette segnano le dieci in punto, quando lo schermo s’illumina e un eccitatissimo Caesar Flickerman annuncia l’imminente inizio dei sessantunesimi Hunger Games.

Passa mezz’ora prima che ci venga mostrata, per la prima volta, l’arena di quest’anno: apparentemente una distesa di ghiaccio e candida neve, interrotta solo da alcune zone rocciose e dalla boscaglia che sembra ricoprire tutta la parte orientale del campo di gioco. Di sicuro un’arena suggestiva, anche se all’apparenza poco minacciosa, che il conduttore assicura impareremo a conoscere e apprezzare. Sento mormorii d’insoddisfazione diffondersi tra il piccolo pubblico che si è riunito per non perdersi lo spettacolo.

Lentamente, dalle piastre di metallo emergono i ventiquattro tributi, mentre dal cielo iniziano a cadere soffici fiocchi di neve. Cerco Cecelia, a un primo sguardo è difficile distinguerla dagli altri ragazzi. Alcuni, i più lucidi, si sono già preoccupati di alzare il cappuccio delle loro giacche, rendendo ancora più difficile riconoscerli.

Solo pochi tributi spiccano tra gli altri, generalmente per le loro costituzioni fisiche minute, o troppo possenti, rispetto a quelle degli avversari, ma Cecelia non è tra questi. Mi domando se questo potrà tornarle utile, in qualche modo.

Nei secondi che rimangono, prima che il gong sancisca l’inizio del bagno di sangue, la telecamera immortala il tutto con dei primi piani dei ragazzi; la maggior parte dei quali è una maschera di terrore.

Cecelia non fa eccezione: la paura è chiaramente stampata sul suo volto e lei non sembra preoccupata di nasconderla, ma noto – o, forse, voglio notare – che non è rassegnata a farsi vincere così facilmente.

Appena il suono del gong dà il via ai Giochi, quasi tutti i tributi iniziano ad arrancare nella neve, per conquistarsi gli oggetti migliori. Anche Cecelia fa altrettanto, ma non si arrischia ad avvicinarsi troppo alla Cornucopia, dove la neve inizia a mostrare le prime screziature di sangue.

La osservo allontanarsi, mentre due preparatori commentano, poco impressionati, le gesta che stanno vedendo in tv.

* * *

L’edizione non decolla, ormai è chiaro che i cittadini di Capitol City non riescono ad appassionarsi a un’edizione povera di adrenalina e colpi di scena, dove i pericoli maggiori sembrano provenire da lastre di ghiaccio nascoste dalla neve – troppo fragili per reggere il peso dei tributi –, dove i concorrenti muoiono per lo più di stenti e nemmeno gli ibridi creati dagli strateghi sembrano riscuotere troppo successo tra gli spettatori annoiati.

Morti i tributi del Distretto 3, la squadra di preparatori accoglie ogni colpo di cannone con un sospiro di sollievo per l’avvicinarsi del Gran Finale, che segna la chiusura dei Giochi.
Per me, ogni colpo di cannone sparato è accompagnato dalla paura che sia per Cecelia.

A suonare per lei, invece, sono le trombe della vittoria. Sfogo la mia incredulità e il mio sollievo in un pianto liberatorio, che mi rende oggetto di scherno dei due stilisti del Distretto 3, ma non me ne curo. Il sollievo lascia, però, spazio alla preoccupazione quando la vedo cadere, stremata, nella neve.

* * *

La zona adibita a ospedale è inaccessibile, così cerco di origliare le conversazioni al Centro di Addestramento per avere qualche informazione sulla salute di Cecelia. Vederla scendere dall’hovercraft in barella, avvolta in una specie di coperta termica metallizzata, senza poter fare nulla per aiutarla è stata dura.

Adesso che gli stilisti non hanno più bisogno di me, sono stato assegnato alla cura del guardaroba dello stesso Caesar e questo aumenta notevolmente il mio raggio d’azione e le mie possibilità di avere informazioni sulla convalescenza di mia nipote.

A quanto pare, la giacca rubata alla ragazza morente ha giocato un ruolo fondamentale nell’evitarle l’assideramento, anche se i medici sembra non riescano a portare stabilmente la sua temperatura sopra i trentacinque gradi.

Nel camerino di Caesar Flickerman si respira un clima di tensione: il pubblico è stanco di attendere l’ultima vincitrice e il conduttore inizia a essere in difficoltà a temporeggiare ulteriormente, anche a causa della breve durata e del poco materiale interessante di questa edizione.

Il capo stratega e alcuni dei suoi più stretti collaboratori si alternano sul palco, svelando qualche aneddoto sui vari tranelli che erano presenti nell’arena e cercando di scaricare le colpe dell’insuccesso sugli stessi partecipanti dell’edizione.
«Non credo, Caesar, che cadrà qualche testa, metaforicamente parlando, ovviamente! – risponde un giovane stratega in carriera, di nome Seneca Crane – Può capitare che una mietitura risulti particolarmente sfortunata. È molto raro, certo, ma non si può negare di come pochissimi, tra i tributi sorteggiati, fossero predisposti al combattimento».

Le parole di Seneca Crane divengono ben presto la linea di difesa ufficiale dell’organizzazione, ma, in ogni speciale, il grande assente rimane sempre Cecelia.      
Finalmente, giunge il momento della tanto attesa serata con l’intervista alla vincitrice.

Rimango dietro le quinte, mentre il presentatore è già sul palco a interagire con il pubblico. Cecelia arriva accompagnata dal suo mentore. Nonostante l’ambiente non sia climatizzato, noto che indossa un abitino di lana pesante.

La osservo, cercando di resistere al desiderio di spiegarle chi sono e di stringerla finalmente a me. Quando mi passa accanto, la trattengo per un braccio. Lei sussulta, fissandomi spaventata. Ritiro la mano, fingendo di togliere un filo inesistente dal suo vestito, gli occhi mi si riempiono di lacrime e abbasso lo sguardo – pentendomi dell’intrusione – e faccio cenno a Cecelia di andare verso l’assistente del palco.

Il suo mentore le posa una mano dietro la schiena, per rassicurarla. Mentre sta per salire i gradini si volta verso di me, con sguardo interrogativo, o forse spaventato all’idea che io possa nuovamente coglierla alla sprovvista.

Quello che è certo è che non mi ha riconosciuto. E come avrebbe potuto, nascosto dietro il pesante strato di trucco che è la mia divisa di quest’anno? Ma, forse, è meglio così. Nessuno vorrebbe sapere che il proprio zio è diventato un senza-voce di Capitol City.

Sento il pubblico applaudire caldamente l’ingresso sul palco della vincitrice, quando due pacificatori mi si avvicinano, facendomi segno di seguirli. Lancio un ultimo sguardo al palco, come per dire addio a quella nipote appena conosciuta, che già devo abbandonare e faccio come mi è stato ordinato.

* * *

Rinchiuso in questa cella asettica ho tempo di ripensare a quanto sia stato avventato. Avrei potuto essere più discreto, attendere ogni anno il suo ritorno a Capitol City per avere notizie su di lei e sulla nostra famiglia, eppure ho rovinato tutto.

La porta si apre ed entra un uomo, accompagnato da un pacificatore che trasporta un piccolo proiettore portatile. L’uomo preme il pulsante di accensione e sul muro compaiono tutte le follie che ho fatto per Cecelia. Immagine dopo immagine, mi rendo conto che per tutto il tempo loro sapevano perfettamente che non mi stavo attenendo alle regole che mi erano state imposte. È chiaro, inoltre, che loro sapessero della mia parentela con Cecelia.

«Credevamo che la morte della ragazza nell’arena, insieme a una condanna al lavoro nelle fogne sarebbe stata una punizione sufficiente, – inizia a spiegare l’uomo in tono neutro, sospendendo il filmato per qualche momento, per poi lasciare che le immagini di poche ore fa scorrano nuovamente davanti ai miei occhi – avremmo potuto sorvolare anche sulla vittoria della ragazza. Purtroppo, col suo gesto, ci ha costretto a rivedere la nostra posizione».

Faccio per alzarmi dalla sedia, ma le mani legate dietro lo schienale m’impediscono i movimenti e per il pacificatore non è difficile rendermi inoffensivo.       
«Naturalmente sua nipote è una Vincitrice, non è a lei che mi riferivo. E non sarebbe giusto turbarla con l’esecuzione di uno zio che lei già credeva morto».

Sento il metallo freddo della bocca della pistola premermi sulla tempia. Questa è la punizione che mi sarebbe aspettata anni fa, sono felice di poterla scontare lontano dagli occhi di mia sorella e sua figlia. Il colpo parte silenzioso e inaspettato e tutto si fa nero.

  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: _Nica89_