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Autore: TimesNewMozzi    02/01/2015    0 recensioni
Una serie di storie col tutoring di Tonio Cartonio, perché certe cose le si può partorire solamente con l'aiuto di una lunga striscia bianca.
Genere: Commedia, Introspettivo, Parodia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ti sei mai visto allo specchio?

<< Ti sei mai visto? >>
<< E-eh? >> il bifolco non sembrava capire.
<< Dico, ti sei mai visto la faccia? Sai come sei fatto? >>
Il bifolco si squadrò da testa a piedi dandosi qualche colpetto alla tunica. << Beh, ho due braccia e due gambe e a volte una testa, ma sa come si comportano quelle, sempre a scorrazzare in giro senza badare a ciò che gli viene detto e… >> s’interruppe vedendo che il palmo della mano del signore stava già iniziando ad affondare nel suo setto nasale.
<< Seguimi >> disse il signore e il bifolco obbedì, non che avesse molta scelta: le alabarde delle guardie tutt’intorno erano affilate e alcune avevano macchie di sangue qua e là. Il bifolco non voleva di certo rischiare di prendere il tetano, non si sa mai cosa ci possa essere su delle lame sporche.
Il signore lo guidò attraverso un’inutile serie di stanze, stanzette, saloni e bagni delle donne finché si trovarono di fronte ad una porta di legno dorato ed intarsiato. Le mani del signore spinsero le ante mentre la sua testa si inclinava leggermente a sinistra lasciando che una lama di luce si conficcasse direttamente tra gli occhi del bifolco dietro di lui.
La stanza era luminosa ed ovale, le pareti ed il soffitto erano dipinti di bianco, il pavimento di un nero lucido. Al centro non c’era nulla, a sinistra neanche, un po’ a destra c’era un mobiletto di legno particolarmente raffinato con quattro gambe e quella che sembrava una spalliera, ma che non lo era, coperto per la maggior parte da un telo.
Il signore cammino fin davanti al mobile fermandosi ad un metro da questo con le braccia incrociate dietro la schiena in una posa scomoda oltre l’umana sopportazione. Come facesse  farlo davvero era un mistero. Dopo un po’Il bifolco si trascinò inciampando in mattonelle invisibili vicino al signore, spinto forse da un paio di punte di lancia irritate dalla sua mancanza di iniziativa.
<< Te lo chiedo ancora: Ti sei mai visto allo specchio? >>
<< Signore mio, io questo specchio non so neanche dov’è, magari può provare a cercarlo sotto quel tavolino… >>
Il signore si contenne dal farlo impalare sul posto: aveva appena fatto incerare il pavimento.
<< Se è così, allora oggi potrai farne esperienza. Non sono in molti a possederne uno, ma ovviamente io sono tra i pochi privilegiati. Adesso apri le orecchie… No, non letteralmente. Ascoltami con attenzione. Tra poco io me ne andrò da questa stanza e ti lascerò da solo, quando me ne sarò andato solleva il telo sul mobiletto, fallo con attenzione se non vuoi diventare il mio prossimo trofeo di caccia al maiale deficiente, e guarda cosa c’è sotto. Tutto qui, credi di poterlo fare? >> Il signore era dubbioso e così il bifolco.
<< Posso provarci… >> Il signore si trattenne.
<< Bene, auguri >> disse il signore voltandosi e sorridendo, poi s’incamminò verso la porta e dopo qualche secondo il bifolco la sentì chiudersi accompagnata dal suono di una risata malvagia che avrebbe potuto giurare essere quella di un cattivo della Disney, non fosse che non avrebbe nemmeno avuto idea di cosa fosse la Disney. O un cattivo.
Ci mise un po’ il bifolco a decidersi che era passato abbastanza tempo per potersi finalmente muovere, il sole aveva fatto in tempo a calare. Alzò il telo con più grazia di quando accarezzava i propri figli e meno di quando schiaffeggiava le vacche, il mobile si mosse ma non cadde.
Di fronte a Sé il bifolco si trovò uno specchio. Non che avesse molto significato per lui finché lo non vide dal vivo. Cercherò di descriverlo per chiunque, per bifolcheria o per altre ragioni, non ne conosca le caratteristiche.
Al centro del mobiletto stava una superficie piatta e lucente, talmente lucente da riflettere tutto, non solo la luce delle finestre ma anche le immagini, tutte le immagini che la circondavano. Come uno specchio d’acqua, un cucchiaio o una minestra di sedani lo specchio faceva suo il circondario imitandolo come il più perfetto dei mimi. Il bifolco si accorse finalmente del significato delle aprole del signore. Sì, si era visto in faccia a volte, più che altro mentre tentava di afferrare a mani nude una carpa particolarmente succulenta, ma mai con quella chiarezza, mai senza che il suo riflesso venisse increspato da onde o dal passaggio di un boccone di carne di topo.
Era la prima volta che si vedeva in faccia, la prima volta che realizzava di avere un volto e di non essere un naso con una voce. Per la prima volta si vedeva con gli occhi di un altro.
****

Fuori dalla sala, seduto su una comoda sedia imbottita, stava il signore con un sorriso isterico appeso agli zigomi.
<< Ah ah ah, quel bifolco non ha idea di cosa sta per succedere, non si è mai visto e non sa di essere diverso, non sa di essere fisico, non si rende conto che per tutta la sua vita gli altri hanno visto un altro lui, qualcosa che non poteva controllare, che non ha mai potuto controllare e che con lui non ha nulla a che fare >> durante quello che le guardie classificavano come l’ennesimo episodio di schizofrenia del signore il bifolco continuava a guardarsi, seguiva la linea della mascella e si osservava i profili deformandosi la faccia in smorfie e usando le dita per spianarsi la pelle come plastilina.
Il signore intanto peggiorava. Le sue di mani erano infilate tra i capelli ad arricciarne un paio di ciocche alla volta, mentre con gli occhi fissava davanti a sé con i muscoli facciali paralizzati, fissato su un punto molto più distante del muro un paio di metri di fronte a sé, un punto lontano nel tempo.
Era uno dei pochi privilegiati a possedere uno specchio, era vero, ma lo possedeva solamente da qualche giorno, abbastanza per essersi ripreso dal trauma e per aver progettato un esperimento degno del più patetico scienziato pazzo.
Quando si era visto riflesso nello specchio, qualcosa si era rotto, e non era il servizio da tè che una delle guardie aveva appena scaraventato a terra. Il signore era sempre stato una persona composta, non si abbandonava mai a emozioni eccessive, i suoi picchi di adrenalina coincidevano con le esecuzioni pubbliche e i mercoledì, quando Alfred cucinava il tacchino arrosto. Ma quel giorno quel maledetto specchio lo ruppe, perché il principe non si era mai visto, non ne aveva mai avuto né il bisogno né il desiderio e quando  gli venne regalato quello specchio si limitò a guardarlo per curiosità. L’immagine riflessa sulla superficie argentata era diversa, era un lui completamente diverso da quello che aveva sempre immaginato. Quel naso e quelle orecchie paraboliche, quell’eccesso di lentiggini sotto gli occhi, niente di quello che vedeva riflesso nello specchio sembrava assomigliargli eppure, pur girandosi e rigirandosi davanti ad esso, non riusciva a cambiare nulla di quell’immagine.
Cos’erano quegli occhi di quel colore così infimo, quelle sopracciglia cos’ì poco autoritarie, quegli zigomi bassi e ricchi di signorilità quanto un cestino di frutta?
Quello specchio doveva essere stregato. Chiamò una guardia perché controllasse che lo specchio riflettesse veramente ciò che lo circondava e la guardia glielo assicurò, aggiungendo pero che, ovviamente, non riusciva a catturare tutta la signorilità del signore. Quella sera un nuovo affilato palo fu innalzato nel giardino della magione.
Seduto sulla sua confortevole sedia il principe rise.
Quello specchio era qualcosa di demoniaco, l’uomo non era fatto per guardarsi in faccia, gli occhi non erano fatti per osservarsi, lo stesso atto di guardarsi nei propri occhi era qualcosa di innaturale, di sbagliato e da evitare in ogni modo; questa era stata la decisione del signore. Ecco perché aveva convocato (rapito) quel bifolco, voleva sperimentare, sfogare la rabbia su una mente semplice, qualcuno che non sarebbe riuscito a superare il trauma come lui aveva fatto.
Erano già passate diverse ore da quando la porta della sala era stata chiusa, il principe decise che era ormai tempo di vedere il risultato del suo piano e calciare in strada quell’uomo grezzo e, si augurava, ormai pazzo. Si alzò dalla sedia incamminandosi verso la porta della sala quando, contemporaneamente, la porta venne aperta da un fischiettante e allegro bifolco.
O forse no. Forse non era più un bifolco. Dove aveva imparato a fischiettare in quel modo? E dove aveva trovato un chiropratico che gli raddrizzasse la spina dorsale? C’era troppo orgoglio e fiducia in quella camminata.
Il principe si fermò in mezzo al corridoio, irritato ma pronto ad un lungo interrogatorio. Il bifolco non era della stessa opinione, lo sorpassò senza neanche degnarsi di ignorarlo e fece un cenno di saluto alle guardie dirigendosi verso l’uscita, una delle tante.
Il signore, pieno di rabbia come un novantenne in fila alle poste si girò di scatto urlandogli << CHE HAI VISTO IN QUELLA DANNATA COSA?! >>
Il bifolco si fermò sospirando.
<< Che, perdio, sei veramente brutto! >> poi uscì. 
  
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