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Autore: little_triangles    02/01/2015    1 recensioni
!! DISCLAIMER !! Ho abbandonato questa storia 5 anni fa e non la continuerò.
Cominciò tutto con una "cattiva notizia"...
- Dopo aver percorso alcuni larghi corridoi prendemmo l'ascensore, entrando mi chiese con naturalezza continuando a fissarmi: “Come ti chiami?”
“Kathie Miles” non avevo voglia di fare conversazione, ma lui continuò a parlare.
“Quindi stai cercando i tuoi genitori?” chiese un po' timoroso.
“Sì” risposi freddamente abbassando lo sguardo. -
Genere: Drammatico, Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dan Smith, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Overjoyed

 

Un dolore lancinante alla testa mi risvegliò dal sonno leggero. Mi sentivo a pezzi, come se avessi scalato una montagna in una notte e mi fossi addormentata da cinque minuti. Aprii gli occhi. Quella non era casa mia: le assi di legno scuro sul soffitto ne erano la conferma. Sentii qualcosa muoversi vicino a me, lì accanto c'era un ragazzo, ma non ero in grado di riconoscerlo perché mi dava la schiena.
Non mi venne nemmeno la curiosità di andare a vedere chi fosse per spolverare la memoria. Forse non lo volevo ricordare.
Scesi dal letto e raccolsi i vestiti disseminati a terra. Indossai l'abito nero che avevo raccolto davanti alla porta: era sicuramente meglio di niente, ma non proprio adatto ad andare in giro di giorno.
Uscii dalla camera e intravidi la porta distante qualche metro.
 
Da una delle porte alla mia sinistra sentii provenire dei bisbiglii e in automatico girai la testa.
«Kathie? Ah, ciao» disse Meredith cercando di nascondere la sorpresa. Accanto a lei era seduta una ragazza su per giù della sua età che mi guardava malissimo. In quel momento mi tornò in mente quello che era successo la sera precedente: io che scappo dalla festa, corro in un bar, incontro Alex e ci ubriacamo. Poi dei ricordi confusi che decisi di lasciar sopiti ancora un po'.

Arrivai fino alla porta e per poco non inciampai, era meglio togliere quelle scarpe. Camminai velocemente fino al bordo del marciapiede. Non avevo la minima idea di dove mi trovassi, così decisi di fare l'autostop: girare per tutta la città scalza non si prospettava una soluzione molto allettante. Si fermò una macchina rossa, abbastanza scassata. La portiera venne aperta dall'interno.

«Vuoi entrare o no?» disse l'uomo seduto al posto del guidatore. Mi sedetti sul sedile del passeggero e notai dei sacchetti di preservativi aperti sul cruscotto che non erano esattamente rassicuranti.

«Devo andare in via Hall Grove, vicino al campo da basket» la mano sinistra dell'uomo al volante mi toccò la gamba e si piazzò velocemente nel mio interno coscia ancora prima che potessi fiatare.

«Non sono quello che pensa! Ho solo bisogno di un passaggio fino a casa mia!» la mano si ritirò e tornò sul volante.

«Scusa!» urlò in tono di protesta «è che una vestita così alle dieci di mattina cosa potrebbe essere?»

«Potrebbe essere una che si era travestita per Halloween e ha passato la notte fuori!» lui sbuffò e calò un silenzio tombale fino a quando la macchina si accostò al marciapiedi davanti al mio palazzo.

Sgattaiolai velocemente fuori da quel lurido veicolo e corsi con le scarpe in mano fino alla porta.

«Prego, eh!» urlò l'uomo poco gentilmente prima di riaccendere il motore e andare via.

***

Dopo aver cercato un po' nella borsa le chiavi mi accorsi che qualcuno si stava avvicinando. Aprì la cerniera della tasca esterna della borsa e mi porse le chiavi che stavo cercando. I nostri sguardi si incrociarono.

«Che ci fai qui?»

«Dov'eri finita ieri sera?»

«Sai che non si risponde con una domanda?»

«Sai che lo hai appena fatto?»

«La finisci?» dissi scocciata mentre aprivo il portone del palazzo.

«Mi rispondi?»

«A quale domanda?» risposi facendo una smorfia.

«Alla prima»

«Saranno affari miei, no? Ho una vita anch'io» Daniel sbuffò sconsolato, ma non gli avrei risposto comunque. Chiamai l'ascensore, era al piano terra.

«Ciao» dissi facendo un cenno con la mano che teneva le scarpe.

«Aspetta, ti devo parlare di una cosa» disse mentre entrava nell'ascensore poco prima che si chiudesse.

«Ancora?»

«Sì, ma è meglio se ne parliamo con calma» non avevo per niente voglia di parlare, solo di sdraiarmi sul letto e dormire, dormire tutto il giorno.

«Perché non hai chiamato me per farti venire a prendere al posto di fare l'autostop?» disse all'improvviso mentre la lucina del pulsante contrassegnato dal numero “4” si illuminava di rosso.

«Perché continui a farmi domande? Non ho voglia di parlare e ieri non mi sembravi molto interessato a quello che facevo: non ti sei nemmeno accorto che me n'ero andata»

«Ero ubriaco e non ricordo niente, si può sapere che ti prende?» sì, tutta colpa dell'alcool. Erano già diverse volte che fungeva da scusa, per Dan, per le mie avventure notturne, per Anne...

«Niente»

Entrammo nel salotto, gettai le scarpe in un angolo e appoggiai la borsa sul tavolo prima di andare a buttarmi sul divano.

«Ora puoi parlare?»

«Sì, ma se continui a comportarti così dubito di riuscire ad avere una risposta positiva»

«E come mi dovrei comportare?»

«Potresti iniziare col dirmi perché ieri sera sei scappata, è un po' che ti comporti in modo strano...»

«Non puoi fregartene e poi venire a tormentarmi perché vuoi parlare o delle risposte.» dissi in uno sfogo improvviso.

Regnava un silenzio irritante interrotto solamente dai suoi passi. Si sedette sul divano accanto a me e iniziò a giochicchiare con il telefono facendolo ruotare con le dita della mano destra.

«Le parole sono tutto quello che abbiamo» detto questo si lasciò scappare un sorriso, come se fosse felice.

«Che tu hai» rettificai.

«Pensaci»

«Lasciamo perdere» in quel momento mi iniziai ad interrogare su cosa intendesse per «noi», ma i miei pensieri si spostarono sul fatto che mi sentissi osservata.

«Cosa c'è ancora?»

«Non ti ho ancora detto di cosa ti volevo parlare»

«Cioè?»

«Ehm... Mi sono lasciato convincere a cercare qualcuno con cui suonare, anche se non so bene cosa sto cercando» ci fu una pausa, poi riprese parlando più in fretta «ti andrebbe di venire con me a sentire un gruppo?» lo guardai un po' perplessa.

«Sarebbe in un locale in centro a Londra»

«Okay, ma quando?» dissi per prendere un po' di tempo.

«Stasera, puoi venire?» in quel caso il tempo non era a mio favore e dovevo decidere subito. Il problema non era se «potevo venire», ma se «volevo venire». Mi sapeva molto di «mi hanno dato buca, non ho tempo e non te lo avrei nemmeno detto se non fosse successo, ma se potresti venire mi faresti un favore»

«Non lo so...»

«Non c'è molto tempo per decidere, dovremmo partire alle otto, di solito c'è un sacco di traffico la domenica sera»

«Va bene, okay, vengo» dissi poco convinta.

«Sicura?»

«Vuoi che venga o no? Mi sembri un po' confuso»

«Mi farebbe piacere, ma non voglio nemmeno forzarti se poi scappi nel mezzo della serata»

«Non lo farò, promesso» dissi quasi esasperata. Ma perché non me ne aveva parlato prima di voler formare un gruppo?
 

Sospirai buttando lo sguardo da un'altra parte. In quel momento suonò il campanello. Mi alzai e andai ad aprire la porta, Alex. Mi tornò in mente che gli avevo indicato casa mia mentre passavamo davanti al palazzo e, mentre mi stavo maledicendo per averlo fatto sentii dei movimenti alle mie spalle.

«Credo che tu abbia dimenticato qualcosa a casa mia» disse mostrando la parrucca bionda, poi continuò guardando Dan dietro di me «Vedo che hai fatto pace con il tuo amico...»

«Me ne stavo andando. Ah, ti passo a prendere alle otto, sempre che tu voglia venire» chiese implicitamente Daniel poco convinto.

«Sì, ci vediamo dopo» Alex si scostò e lui si fiondò giù per le scale.

«Allora avete fatto proprio pace» disse scrutandomi un po' sospettoso.

«Non proprio»

«Tieni» mi porse la parrucca bionda e fece per girarsi.

«Aspetta, ti do il mio numero, nel caso avessi dimenticato altro...» entrai dentro e scrissi il mio numero su un foglietto.

«Potrei fare in modo anch'io di dimenticare qualcosa qui» disse prima di fiondarsi sulle mie labbra. Chiuse la porta dietro di sé con un calcio e, senza staccarsi nemmeno per un secondo, mi portò fino al divano.
Qualcuno bussò alla porta, ma non aprii. Pensavo fosse la vicina che mi chiedeva sempre la farina anche se tutte le volte le dicevo che non la compro mai.

***

Erano le otto e iniziavo ad avere paura che Dan non arrivasse più. Avevo passato il pomeriggio davanti al foglio bianco del compito di scrittura creativa. Non avevo parole. Mi sembrava di essere vuota, ma non centrava col fatto che non avevo mangiato a pranzo.

Alle otto e dieci minuti suonò il campanello. Aprii la porta. Daniel si stava passando una mano tra i capelli e non mi guardò nemmeno.

«Sei pronta?»

«Sì»

«Credo di aver lasciato il telefono qui, sono tornato ma non ha aperto nessuno» Ricordando quella mattina, quel bussare ritmico contro la porta e io che non ero andata ad aprire, sentii come se qualcosa mi pesasse sul petto, o forse sulla coscienza. Percepii una sensazione di disagio quando incontrai il suo sguardo, ma non sembrava portarmi rancore, anzi, vedevo quasi un velo di imbarazzo nei suoi occhi.

«Vuoi entrare?»

«Va bene, ma siamo già in ritardo» gli porsi il telefono che avevo visto solo in quel momento sul tavolino del salotto.

«Grazie»

«Di niente» dissi con un sorriso finto mentre ripensavo continuamente a quella mattina.

«Andiamo?» chiese un po' incerto dopo qualche minuto di silenzio. Presi la borsa e lo seguii oltre la porta.

***

Quella sensazione non svaniva, eravamo in macchina in silenzio da mezz'ora e non ero stata in grado di aprir bocca. Pioveva, come al solito dopotutto, e le insegne luminose dei negozi erano solo delle luci sfocate dietro i vetri bagnati della macchina. Daniel parcheggiò lì vicino e, anche se non avevamo un ombrello, non ci bagnammo più di tanto.

Il locale era abbastanza grande e nella sala centrale si alzava un palco. Proprio in quel momento un ragazzo dai capelli medio-lunghi neri parlò al microfono.

«Buonasera a tutti. Non sono uno di molte parole e taglierò corto. Stasera suoneremo qualche cover fatta da noi e... niente, spero che vi divertiate.»

Ci eravamo seduti sugli sgabelli alti davanti al bancone.

«Qual è il nome del gruppo?» sussurrai nell'orecchio di Dan.

«Sul volantino non era specificato, penso che non abbiano ancora un nome»

Dietro al cantante si trovavano due chitarristi e un batterista. Suonarono dei pezzi rock dei quali fui in grado di riconoscerne sì e no tre. Il cantante non mi entusiasmava e i due chitarristi non sembravano spiccare per bravura, invece il batterista, che si dimenava dietro ai piatti e i tamburi, attirò la mia attenzione, anche se dovevo ammettere di non essere una grande esperta di musica pur avendo fatto qualche lezione di pianoforte fatta da piccola.

Dopo un'ora, quando la musica della radio tornò ad affollare le orecchie di tutti i presenti, sentii una mano calda che mi strinse il polso. Daniel mi trascinò fino al lato sinistro del palco, dove i membri della band avevano appena finito di riporre gli strumenti nelle custodie. Fermò il batterista mentre gli altri stavano uscendo dall'uscita secondaria.

«Ciao, ti ruberò poco tempo. Sto cercando dei componenti per un mio «progetto musicale» ancora non molto definito e, se fossi interessato, per favore chiama questo numero» infilò una mano in tasca e, alla stessa velocità con cui aveva parlato, porse un foglietto mezzo spiegazzato al ragazzo. Non riuscivo a vederlo bene perché era tutto buio, ma sembrava abbastanza sorpreso.

«Ah, dimenticavo, io sono Daniel»

«Io sono Chris, anche se tutti mi chiamano Woody» disse sereno mentre porgeva cordialmente la mano a Dan.

«Tu?» domandò rivolgendosi a me che avevo assistito in silenzio fino a quel momento.

«Kathie»

«Woody dobbiamo andare!» urlò qualcuno dalla porta aperta alla nostra sinistra.

«Ora dovrei andare, ti chiamo appena possibile» si scusò Chris.
 

A pelle mi ispirava simpatia, cosa che in quel periodo provavo per pochissime persone.

«Che ne pensi?»

«Effettivamente anche a me era sembrato bravo, invece gli altri non erano un granché» non disse nulla, mi rivolse solamente il primo sorriso della serata.

«Vuoi restare ancora un po' qua o tornare a casa?»

«Sembra un posto carino» dissi guardandomi intorno «ma uno di noi non dovrebbe bere...»

In quel momento il telefono di Dan squillò. Non riuscì a vedere chi chiamava dallo schermo, ma riconobbi la voce immediatamente.

«Pronto?»

«Daniel, dove sei finito?»

«Sono a Londra»

«Da solo?»

«No»

«Ahh...» da quel momento non sentii più Ralph che probabilmente stava parlando sottovoce.

«Possiamo parlarne un'altra volta?» la sua espressione mutò in qualcosa che non ero in grado di definire. Forse era arrabbiato, o incerto, o triste, oppure tutti e tre.

Dopo poco allontanò il telefono dall'orecchio.

«Ha buttato giù» disse continuando a fissare lo schermo.

«Di cosa voleva parlare?» alle mie parole alzò lo sguardo e capii che era una «domanda critica».

«Ma... no... niente. Non l'ho avvertito che venivo a sentire un gruppo e...»

«Sai che menti da schifo?»

Era passata un'ora da quando eravamo arrivati e il mio stomaco aveva iniziato a brontolare.

«Cerchiamo un posto dove mangiare? Ho fame»

«Anch'io»

«Pizza?»

«Okay»

***

Dentro alla pizzeria c'era tantissima gente e fuori faceva un freddo tremendo, così decidemmo di mangiare in macchina. Stavo riflettendo su quello che mi aveva detto quella mattina “Le parole sono tutto quello che abbiamo” e continuavo a chiedermi da dove gli fosse venuto.

«A volte ho l'impressione di non conoscerti affatto» dissi prima di affondare i denti in quella pizza che sembrava deliziosa.

«Io penso invece che tu mi conosca bene quanto solo altre due persone»

«Ma se non so dove sei nato, il giorno del tuo compleanno, se hai fratelli o sorelle...» non mi veniva in mente più niente, così decisi di ripiegare su qualcosa di più generico «insomma, non conosco niente di te prima di tre mesi e mezzo fa»

«Dipende da cosa intendi per conoscere una persona, ma se ti interessano i miei dati anagrafici: ho due sorelle e sono nato a Londra il 14 luglio» a sentire quella data mi vennero le lacrime agli occhi. Per quel motivo era così insopportabilmente sorridente: era il suo compleanno.

Passammo qualche minuto in silenzio e metà della mia pizza era già svanita. Avevo preferito concentrarmi su quello.

«Tu invece sai tutto di me e mi fai continuamente domande». “Insopportabili”, pensai finendo la frase.

«Il problema è che non mi rispondi»

«Forse perché non ne ho voglia»

«Oppure perché fa troppo male»

***

Quando Daniel se ne andò presi il telefono dalla borsa, senza un motivo preciso. C'erano tre chiamate perse da Alex. Non avevo alcuna voglia di richiamarlo e mi sentivo piuttosto confusa. Erano stati due giorni intensi, ma non avevo voglia di dormire. Per schiarirmi le idee decisi di uscire per schiarirmi le idee, come facevo da ormai due mesi. Presi la giacca e corsi giù per le scale. Vicino a casa mia c'era un campo da basket che veniva lasciato sempre aperto e incustodito. Oltrepassai il cancello aperto e andai a sedermi sulle tribune. Aveva smesso di piovere e rimaneva solamente una nebbiolina fredda e bagnata a riempire l'aria. Un leggero venticello spostava le goccioline d'acqua che andavano a posarsi sul mio volto. Quel venticello mi permetteva di non pensare a niente e allo stesso tempo di ritornare indietro fino a quel giorno: il 14 luglio 2010.

A volte mi sembrava di vedere la mamma che mi sorrideva e si sedeva vicino a me, altre Anne che passeggiava intorno al campo rosso per ore.
In quel momento qualcuno dal passo leggero si stava avvicinando per sedersi accanto a me, ma non era un fantasma.

 

SPAZIO AUTRICE

Da qualche capitolo non sono più molto sicura e sto iniziando a pensare sempre di più che questa sia una storia banale, noiosa e depressa. Ho provato a consolarmi pensando che tra poco la situazione si movimenterà, ma non ero molto motivata a scrivere questo capitolo. Spero che, malgrado l'inizio, non sia proprio una schifezza. Aspetto qualche vostra recensione e accetto ipotesi su chi potrebbe essere la persona che si sta avvicinando a Kathie alla fine del capitolo, anche se non penso possiate indovinare. Buon 2015 (anche se un po' in ritardo),

ΔΔΔ little_triangles ΔΔΔ

   
 
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