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Autore: artemide82    16/11/2008    1 recensioni
"Non voglio placide domeniche di tristi passeggiate. Voglio te. Voglio precisamente questo momento, all’infinito. Voglio ignorare il tempo e i doveri. Voglio persino ignorare il mio corpo che ha fame."
Genere: Introspettivo, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Domenica pomeriggio

SCRITTA IL GIORNO DI PASQUA, ANNO 2006, IN UNAMACCHINA PARCHEGGIATA, SU UN PEZZO DI CARTA QUALUNQUE RIMEDIATO AL MOMENTO, MENTRE TUTTI GLI ALTRI ASCOLTAVANO UN CONCERTO ED IO AVEVO VOGLIA DI...ALTRO.

SENTITA, AMATA...UN IDEALE.








Domenica pomeriggio. Una di quelle domeniche uggiose, né sole né pioggia: un cielo bianco e compatto che riempie l’aria di un grigiore luminoso e lattescente, e che la svuota dei colori della primavera oramai inoltrata.

La noia della gente è palpabile: nel camminare lento delle poche persone a passeggio, nel filare discreto delle macchine che si muovono senza meta, nei gesti lenti e pesanti di giovani famigliole che vanno a farsi visita l’un l’altra.

Accosto un po’ di più le persiane perché la penombra sia più intensa (una vecchia dalla finestra dirimpetto guarda il mio corpo nudo e stravolto con aria di rimprovero), lascio poi la finestra spalancata perché un po’ d’aria possa entrare e diradare la spessa cappa di fumo rappresa nella stanza e perché da fuori, nel silenzio della strada immobile, possa essere udibile il lento e strascicato cantare di Leonard Cohen, testimonianza discreta di ciò che c’è qui dentro, della nostra dimensione altra, sospesa nello spazio e nel tempo: voglio che per tutti sia chiaro che li sto chiudendo fuori, che la musica diventi tangibile muro di distacco e separazione tra “loro” e “noi”, tra i loro lenti e sonnacchiosi pomeriggi di riposo accettati supinamente ed il nostro muto ma chiaro diniego a lasciarci trascinare in questa follia.

Mi volto ad osservare la stanza.

Pareti fin troppo bianche, un tappeto, qualche scaffale di legno dipinto stracarico di libri, lo stereo che ipnotico continua a suonare, un materasso sul pavimento che funziona da letto…letto sfatto, e sopra: tu.

Nuda, immobile, ancora leggermente ansante, ma già i tuoi respiri si fanno più lenti e profondi, godono della tregua. I tuoi capelli scuri sono sparsi sul mio cuscino. La tua pelle bianca e perfetta ha su di sé una lieve brina di sudore, sui tuoi fianchi rotondi spiccano ancora violacei i segni lasciati dalle mie mani mentre ti afferravo, ti tiravo giù per essere più profondamente dentro di te.

Ecco: che tutto il grigio resti fuori, qui solo colori intensi e caldi, netti contrasti.

Non voglio placide domeniche di tristi passeggiate. Voglio te. Voglio precisamente questo momento, all’infinito, voglio ignorare il tempo e i doveri, voglio persino ignorare il mio corpo che ha fame.

Allungo le dita verso le sigarette, ne accendo una godendo di ogni boccata, continuo a guardarti e mi sembri ferita a morte, lì, sul mio letto, corpo di carne calda e pulsante, mentre il fumo mi scende pesante nei polmoni raschiandomi la gola. Mi passo una mano tra i capelli spettinati, riprendo fiato: perché questa calma non durerà ancora per molto, non riuscirò a saziarmi, non oggi, benché sia sfinito continuerò ancora e ancora, perché il corpo è solo mezzo per noi, sono altre le cose che contano davvero: è la mente coi suoi arabeschi di pensieri folli e paranoici che ci vince e ci esalta, ci innalza e ci fa sprofondare negli abissi bui di spettri di azioni che travalicano la morale, ed è l’aggrapparsi alla Vita, complici e colpevoli, ricercando e compiendo atti sentiti e per altri caduti nella dimenticanza.

Sento stringersi di nuovo il nodo nello stomaco che si era appena allentato, spengo con gesto rapido e violento la sigaretta e buttando fuori l’ultimo sbuffo di fumo mi alzo in piedi, pochi passi e sono presso di te.

Hai gli occhi chiusi, ma so che non stai dormendo, sei lì che ti gingilli nei fumi del piacere che ha pervaso e ancora pervaderà la tua essenza.

Mi siedo sul letto e comincio a farti risalire la mano su per la coscia, le tue gambe come rispondendo ad un imperativo supremo si aprono ed io mi spingo verso l’umido calore del tuo sesso, vi affondo lentamente e profondamente due dita, comincio a muoverle: ti esce un gemito basso e roco dalla gola, a metà strada tra dolore e piacere, ma non mi fermerai, non ti fermerai, perché oramai siamo oltre, oltre il dolore ed il piacere, oltre le sensazioni terrene.

  
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