Era un ragazzo come tanti, più
o meno.
Fisicamente alto, i capelli più
scuri della notte, occhi più azzurri del cielo e per alcuni troppo magro,
rispetto a tutti quei ragazzi del college magari biondi,
occhi chiari, muscoli enormi come angurie e certuni pieni di steroidi.
Lui era semplice, forse un po’ troppo immerso
nei suoi studi e con il naso intinto nei suoi libri, ma ciò nonostante aveva
degli amici, pochi ma buoni. Era sempre il primo ad
entrare nell’aula di letteratura e quella mattina non fu diverso, avrebbe avuto
un nuovo insegnante e voleva avere il posto migliore.
Amava divorare le strofe delle poesie, s’immergeva
così tanto che delle volte perdeva intere ore a leggere
e rileggerle per fare propri quei versi
che gli alleggerivano l’anima.
Si portava sempre uno o due libri di poesia, li
leggeva ogni qual volta aveva tempo, mentre aspettava l’autobus, nel momento in
cui attendeva ad un incontro con gli amici, per il
tempo in cui pranzava, prima di dormire, per rilassarsi e anche durante il
tempo in cui attendeva nell’aula l’arrivo del professore o al cambio di
lezione. Una volta aveva provato a sprofondare nella lettura mentre procedeva
per i corridoi e le scale, ma non fu una buona idea, poiché cadde a terra
inciampando su se stesso, ma ebbe la fortuna di incontrare una dei suoi attuali
amici, Gwen.
Erano soltanto
le 8 e un quarto, indossò i suoi occhiali soliti per
leggere e rilesse per l’ennesima volta una delle poesie che si erano incastrate
nel suo cuore, non era una poesia che molti conoscevano e forse è per questo
che era ancora più bella, non era stata consumata da parole vane e occhi che
guardano svogliati le sue parole. “ Non ti amo come fossi rosa di sale ” di Pablo
Neruda, avrebbe voluto che qualcuno l’amasse a quel
modo. In maniera spontanea, vera, come quando si nasconde un segreto e lo devi
tenere stretto, lo devi proteggere, quasi
dimenticandosi chi si è, fondendosi uno nell’altro, amarsi anche nelle cose più
piccole non importa il dove o che circostanza.
Chiuse gli occhi e inspirò a fondo, quasi a voler respirare a pieni polmoni
quelle parole, poi li riaprì e accarezzò quelle parole con le sue dita
affusolate, la campanella stava per suonare.
- Oh, buongiorno, non sapevo che già ci fosse qualcuno, non sono neanche le
9. – esordì una voce calda vicino la porta che si
affrettava ad accingersi alla cattedra. Merlino alzò la testa – Oh, buongiorno.
– rispose cortesemente al saluto, per poi ritornare alla sua poesia. Aveva
alzato giusto gli occhi giusto quel tanto a salutare l’altro e poi li riabbassò
per non perdere la concentrazione, non si era accorto che l’altro gli si stava
sedendo dietro incuriosito e con un sorriso sghembo sul viso.
Guardava i suoi capelli neri, neri come la pece,
la notte nella sua ora più buia o la notte senza stelle, il buio. Poi vide che
teneva tra le mani un libro di poesie, lo fissò giusto qualche minuto con la
mano che teneva il suo viso. Merlino si girò quasi si sentisse violato in un
momento d’intimità – Scusa non ti conosco, non hai
niente di meglio da fare che restare lì a fissarmi? – rispose un po’ seccato, l’altro
per tutta risposta alzò le sopracciglia, guardò l’orologio al polso e si
avvicinò un po’ di più al viso dell’altro, nel mentre
altri ragazzi entrarono dalla porta schiamazzando, e gli replicò – Adesso sì. –
sorridendo scese per le scale e si diresse alla cattedra sedendosi sopra e
aspettando che tutti fossero al loro posto.
Merlino per tutta risposta chiuse il libro e arrossì fino alla punta delle
orecchie e scivolò sulla sedia, quasi a volersi rendere invisibile ma non
sarebbe servito a nulla, era praticamente ai primi posti e non poteva
nascondersi da quegli occhi taglienti. Lancelot si era seduto accanto a lui, il
suo migliore amico e fidanzato di Gwen che ancora non
vedeva arrivare, nel momento esatto in cui il professore stava aprendo bocca per
presentarsi la porta si aprì violentemente, ne entrò una ragazza scura di
carnagione, capelli ricci castani, correndo, la borsa pendolante da un lato e
in forte ritardo. Vide Lance fargli cenno con la mano e si schiantò sulla sedia
con il fiatone e un sorriso a trentadue denti – Mi scusi..
io.. non ho sentito la sveglia – rise un po’ arrossendo. Tutti scoppiarono in
una risata silenziosa.
- Come stavo per dire, prima che la vostra scompigliata compagna m’interrompesse,
sarò il vostro futuro professore, almeno per tutto quest’anno. – allargò le
braccia – Artù Pendragon. – prese un libro e lesse
con enfasi - Era un giovane alto e sottile;
disdegnava l'eleganza della persona, portava occhiali a stanghetta da modesto
studioso; i neri capelli arruffati, dai riflessi blu, gli ombreggiavano la
fronte e gli occhi vivissimi, così penetranti che era
difficile sostenerne lo sguardo a chi non fosse ben sicuro di sé. – Chiuse il libro –
Chi sa dirmi chi ha scritto questa frase – guardò a fondo ognuno di loro e più
di tutti il moro. Un ragazzetto timido alzò la mano – Wilde? – un altro –
Orwell? – tanti altri dissero altri autori ma nessuno indovinò. Stava per dire
chi fosse quando all’improvviso – Levi. – tutti si girarono a guardarlo, si
sentì avvampare, lo stesso Artù lo osservò compiaciuto – Finalmente – lo disse
sussurrando – Levi. Complimenti, tu sei? – lo puntò e Merlino volle eclissarsi –
Merlino. – il professore gli sorrise, adesso sapeva il
suo nome.
Pranzò con Gwen
e Lance poi si diresse con loro nella stanza insieme ad
altri amici, Morgana e Gwein, dedicarono metà
pomeriggio allo studio e il restante a prepararsi per la festa in maschera di
inizio e ultimo anno.
Erano tutti eleganti ma ognuno risaltava
la propria persona, Gwen indossava un vestito sopra
il ginocchio color verde bosco, con dei punti luce verdi anch’essi, i capelli
raccolti ai lati da fermagli marroni ed una maschera
che le copriva solo la parte degli occhi, verde chiaro con dei ghirigori neri.
Morgana aveva un abitino rosso mogano, le labbra dipinte anch’esse di rosso e
una linea di eyeliner sulle palpebre e indossava una maschera simile a quella
di Gwen ma nera con delle rifiniture rosse. I maschi
invece erano molto classici, dei jeans scuri, Gwein
una camicia nera e una mascherina bianca, Lance una camicia blu e una
mascherina dello stesso colore e una lacrima di Pierrot e Merlino una camicia
bianca indossando una mascherina nera. Quattro risate e poi furono tutti quanti
davanti all’entrata dell’edificio di un discopub piuttosto grande, il “ Camelot Palace ”.
Musica, un bar stracolmo di gente che
beveva e altrettanta gente in pista che si scatenava.
Merlino non era molto adatto a quei luoghi, ma nonostante tutto gli piaceva
qualche volta bere un po’, alleggerire l’anima con un po’ d’alcool, divertirsi
con i suoi amici. A dispetto di ciò che molti pensavano lui non era un ragazzo
con i libri sempre in mano che non faceva altro che studiare senza mai
divertirsi.
Ridendo abbandonò i compagni che ballavano
e si diresse verso il bar seguito da Lance e Gwein, si
alzò la mascherina e ordinarono da bere per loro e per le ragazze rimaste a
scatenarsi in pista. Un giovane ragazzo vestito similarmente a lui andò a
sbattere contro la sua spalla, i bicchieri che aveva
in mano barcollarono e il suo drink cadde a terra. Merlino fulminò con lo sguardo quel
ragazzo, anche se lo trovò attraente specialmente perché il modo in cui era
vestito faceva risaltare ancora di più il suo fisico possente, jeans camicia
bianca che intrappolava i muscoli del braccio e del petto e una mascherina
nera, ma comunque lo punzecchiò lo stesso – Potresti stare attento quando
cammini, no? – e passò il bicchiere di Morgana a Gwein,
in tutta risposta l’altro sfoggiò un ghigno beffardo – Allora mi sa che stamani
ti sei proprio alzato con il piede sbagliato. – e si appoggiò con il braccio al
muro vicino a loro, mentre si alzava la maschera.
Merlino sorrise imbarazzato, la seconda
o terza volta che volle scomparire e dileguarsi – Oh mi scusi non l’avevo
riconosciuta! – rispose in tono gentile. – Merlino, non sono così vecchio che
mi dai del lei. – sorrise, di nuovo, lo guardò profondamente negli occhi, come
quando si guarda il mare – Posso offrirti da bere? Per farmi perdonare. – Merlino
aprì la bocca per dire qualcosa ma fu interrotto – Non accetto un no come risposta. Mai. – e così facendo lo portò al
bancone.
Finita la serata, Merlino si sentiva più
sbronzo che mai, forse non avrebbe dovuto farsi offrire da bere per tre volte
quel maledetto coso verde, che non ricordava come si chiamasse silenzio o vincenzo,
da un professore, soprattutto se era così dannatamente sexy. Gli amici
erano andati via prima e il professor Pendragon si
era offerto di riaccompagnarlo se lui fosse voluto rimanere a fargli compagnia,
ovviamente accettò. Non riusciva a dire di no ad una
giornata di shopping con Gwen e Morgana figurarsi con
un professore.
Erano seduti su una panchina al centro
di una piazzetta accanto ad una statua di marmo che rappresentava la
metamorfosi di Kafka, Artù guardava le stelle e Merlino per la prima volta in
quel giorno lo osservò dettagliatamente. I capelli erano biondi, ma non quel
biondo accesso era più color grano, e i suoi occhi erano azzurri come un cielo
d’estate e poi le sue labbra, sembravano essere morbide al tatto e soffici. Forse
si soffermò un po’ di più del previsto su di lui, su quel collo e il pomo d’Adamo,
l’altro se ne accorse e lo guardò con la coda dell’occhio poi si girò del
tutto, diede uno sguardo al moro e incatenò gli occhi del suo studente nei
suoi, poi si avvicinarono, lentamente, come fossero attirati l’uno verso l’altro.
Adesso erano
vicini ad un soffio l’uno dall’altro, il moro gli guardò gli occhi poi le
labbra, fu tentato di possederle ma era incerto – Se vuoi, puoi. – gli soffiò l’altro
sulle labbra, Merlino s’inumidì le labbra poi si
ritrovò Artù sulle sue labbra con una mano che gli carezza la guancia. Spalancò
gli occhi, ma istantaneamente li chiuse, assaporò quelle labbra, dio se erano
soffici e morbide, un calore gli si propagò lungo il corpo. Era stato un bacio
dolce, caldo, quando si staccarono Artù lo vide stupito, l’altro gli stava
accarezzando le labbra con il pollice, sembrava un bambino che vede per la
prima volta la neve.
- Le tue labbra..
– continuava ad accarezzargliele, Artù si avvicinò di nuovo – sono rosse –
continuò il moro, Artù sorrise e l’altro proseguì – rosso è il mio colore
preferito. – e sprofondò in quelle labbra, affondando i denti nel labbro inferiore e facendo scivolare la propria lingua nella
bocca del biondo.
Dopo che le loro labbra si separarono
Artù riaccompagnò il proprio studente nel dormitorio, sostarono un poco sulla
soglia con la porta aperta. Merlino avrebbe voluto prenderlo, spogliarlo, sentire
il calore del suo corpo, non aveva mai avuto un’attrazione tanto forte per un
uomo, e dire che aveva parecchia esperienza. Artù andò per baciarlo di nuovo ma
fu bloccato, l’altro lo stava osservando – Non può, siete il mio professore.. questo non è sbagliato? – sussurrò sulla bocca dell’altro.
Sorrise beffardo – Sì, no.. chi dice che una cosa è
sbagliata o giusta? Se non fa male a nessuno, allora non si può dire che sia
sbagliato. – Merlino considerò quella frase e se lo tirò addosso, trascinandolo
dentro e chiudendo la porta.
Il giorno dopo si svegliò da solo, ma
con il suo profumo ancora impresso nella pelle, nelle lenzuola, tra i ricordi. Si
mise seduto nel letto e spalancò gli occhi “oddio
sono andato a letto con il mio professore. Che cavolo
mi è passato per la mente?” disse a se stesso. Eppure si
era sentito così bene e a suo agio, mentre l’altro lo toccava, lo baciava appassionatamente,
lo faceva suo con impeto, gli era piaciuto sentire il suo respiro addosso, i
suoi ansimi che s’incollavano alla sua bocca o al suo collo.
Si andò a fare una doccia e si preparò,
quella mattina non ci sarebbero state lezioni, ma lui la sua viziosa abitudine non
la perdeva, così prese il suo libro scese nella mensa, dove prese una mela rossa
e si sedette attendendo l’arrivo degli altri con cui aveva appuntamento. Quella
mattina però non lesse niente, giocherellò con la mela che teneva tra le mani e
ripensò alla frase che il giorno precedente il professor Pendragon
lesse, ma ecco che ad interrompere i suoi pensieri
arrivò una stretta di Lance, mentre gli altri prendevano posto ordinando un
caffè e salutando l’amico.
Ormai la mensa si era un po’ riempita, Gwen lo vide silenzioso e in mezzo a quel chiacchiericcio gli sorrise – Sei silenzioso. – Merlino alzò lo sguardo sull’amica
– mh? Come dici Gwen? – lo fissarono
tutti quanti, Morgana gli sorrise maliziosamente – Ma che
avete fatto tu e il professore ieri sera? – il moro di tutta risposta divenne
rosso, non era bravo a mentire o nascondere le proprie emozioni, era semplice e
spontaneo. Gwein non perse occasione – Ahah e
furbacchione – rise beffardamente dandogli colpetti sulla spalla, Lance
sogghigno sotto i baffi alzando le sopracciglia sorseggiando il proprio caffè, Gwen rimase scioccata – No, non ci credo che tu l’abbia
fatto, non può essere, non ci credo – balbettava, Merlino si coprì la mano con
il viso, scuotendo la testa – Oh ma insomma cosa vuoi che sia stato un bacio – l’ultima parola la sussurrò e
abbassò lo sguardo e Gwen – Per l’amor di Dio, per
fortuna non ti sei spinto oltre – l’amico non rispondeva e giocava nervosamente
con la mela – vero? – squittì ancora lei. Il moro era ormai sotto i
riflettori degli occhi incuriositi dei suoi amici – Be..
si, cioè no.. – farfugliava – o che diamine, abbiamo fatto sesso – bisbigliò anche quella parola mentre gettò in aria la mela,
si alzò un oooh generale a quell’affermazione.
La mela andò a finire sulla testa del
biondo che stava passando proprio di lì in quel momento – Ehi..
non si lancia il cibo! – sorrise ironico mentre massaggiandosi la testa, gliela
porse – Buongiorno, anche a voi ragazzi. – e si allontanò sorridendo a Merlino.
Ormai si vedevano ogni notte e di giorno
in posti nascosti, nella camera dell’uno o dell’altro, solo una volta più o meno, presi dalla foga del momento, Merlino si fece
prendere sopra la cattedra, fu così eccitante che lo ripeterono altre volte, finché
un giorno stavano per essere scoperti e decisero che fosse meglio evitare di
scambiarsi effusioni in aula.
Ormai l’anno era quasi concluso e una
notte distesi nel letto, abbracciati l’uno all’altro, Artù lo guardò fisso
negli occhi – Merlino.. – gli lambì la guancia – devo essere
onesto con te, ora più che mai, io ti amo ma sai meglio di me che dobbiamo rompere
– l’altro annuì mestamente e abbassò lo sguardo – lo so, me l’hai detto e fatto
capire svariate volte. Ho voluto comunque amarti perché se c’è una cosa che ho
imparato nella vita e nella vita di tutti gli autori che
ho letto, è che bisogna cogliere il momento. – Artù gli poggiò un bacio in
fronte – L’anno è finito Merlino, io verrò trasferito
in un altro college tu prenderai una strada diversa, e non potrei mai chiederti
di rinunciare ai tuoi sogni per seguire me. Ma voglio
che tu sappia che mi hai salvato da una vita priva di significato, che mi hai
fatto capire cosa significa amare, e ti ringrazio per esserti lasciato amare –
lo abbracciò così forte che ebbe paura di soffocarlo – Un giorno magari ci
incontreremo di nuovo, chissà in qualche caffetteria, prenderemo un caffè e ci
racconteremo delle nostre vite. –bisbigliò ironicamente, poi lo baciò così
forte che ebbe paura di non riuscire più a staccarsi.
Quando il biondo lasciò la stanza, entrambi
sentirono un grande vuoto dentro, uno spazio incolmabile. Artù, la mattina
seguente, partì molto prima di lui, ma lasciò un biglietto sotto la porta dell’amato:
Non aspettare di
finire l'università, di trovare lavoro, che arrivi il venerdì sera o la
domenica mattina,
la primavera,
l'estate,
l'autunno o l'inverno. Non c'è momento migliore di
questo per essere felice.
La felicità è un percorso, non una destinazione.
Sii felice amore mio.
Non ti amo come fossi rosa di sale, topazio
o freccia di
garofani che propagano il fuoco,
t'amo come si amano
certe cose oscure,
segretamente, tra l'ombra e
l'anima.
Ti amo come pianta che non fiorisce e reca
dentro di sé, nascosta, la luce di quei fiori,
e grazie al tuo
amore vive oscuro nel mio corpo
il denso aroma che
sale dalla terra.
Ti amo senza sapere come, né quando, né da dove,
ti amo direttamente
senza problemi né orgoglio,
ti amo così perché
non so amare altrimenti
che in questo modo
in cui non sono e non sei,
tanto vicino che la
tua mano sul mio petto è mia,
tanto vicino che si
chiudono i tuoi occhi col mio
sonno.
So che è la tua preferita anche se
non me l’hai mai detto, non chiederti come faccio ad esserne consapevole. Ricordo
la prima volta che ti conobbi, leggevi questa poesia e la carezzavi con molta
cura, gelosamente. Sappi che io ti ho amato esattamente così, in modo da
consumarmi e lasciarti è stato più doloroso che mai, ma vivrai in me, perché ormai
sei una parte di me. Tuo per sempre Artù.
Quando Merlino, accostato alla finestra, finì di
leggere quel biglietto se lo strinse al petto, Gwen
che lo aspettava sulla soglia – Ehi.. sei pronto? –
mormorò dolcemente, l’altro non si girò – Si ancora un attimo. – l’amica avanzò
di qualche passo ma si arrestò quando l’altro gli alzò una mano per fermarla. Lei
lo osservò un poco – So che l’amavi, ma ne è valsa la
pena, alla fine? – chiese ingenuamente, lui si girò dolcemente verso l’amica con
gli occhi increspati di lacrime - Avrei preferito
avere un solo respiro dei suoi capelli, un solo bacio
dalle sue labbra, un solo tocco delle sue mani piuttosto che restare
un'eternità senza. So che può sembrarti stupido Gwen,
ma lui mi sarebbe mancato, anche se non l’avessi conosciuto. – frusciò all’amica
che gli tese la mano, lui la prese e prima di uscire dalla stanza, la guardò un’ultima
volta e sorridendo chiuse la porta.
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Bene!! :D
Salve.. se siete arrivati alla fine di questa storia vi ringrazio enormemente!
I vostri commenti sono sempre ben accetti e molto
graditi ;D. Spero che questa storia vi sia piaciuta e
sia stata di vostro gradimento, un grosso bacio ;*