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Autore: AkyaWolf    03/01/2015    1 recensioni
"Avevo una vita. Avevo tutto quello che uno come me possa desiderare... ora non ho nulla, solo questa storia"
Le leggende metropolitane esistono!
Bakeneko, Slenderman, Wendigo, Yuki-onna, sono tutte creature della notte, sanguinarie. Pericolose.
O almeno, questo è ciò che pensano gli umani, che piano piano stanno sterminamdo queste affascinanti creature.
Ma una di loro si ribellerà...
Genere: Avventura, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO: il rapimento

... mi chiamo Birillo. Sì, Birillo. Non guardatemi così, mica l'ho scelto io. Sicuramente penserete : quali genitori potrebbero chiamare loro figlio così? Bè, io non ho genitori, o meglio, ce li avevo : mia madre è finita sotto a un tram e mio padre sotto a un treno... ma, hey, non preoccupatevi! È normale, di questi tempi, con tutte queste macchine, che qualche gatto venga investito.
Già, perché io sono un gatto... beh, più o meno. Uno Scottish Fold, sapete, quei gattini con le orecchie a bottone e gli occhioni persi nel nulla. Io sono un grosso esemplare tigrato color crema con gli occhi verde smeraldo, uno di quelli da esposizione felina, in cui io facevo tanto scalpore. Ma non sono solo questo : io sono un bakeneko. Sebbene potreste essere tratti in inganno dalle origini asiatiche della mia specie, io sono italiano al cento per cento, e, credetemi o no, io non mangio le persone... beh, tranne il povero tizio alto, biondo e con gli occhi azzurri che è diventato la mia forma umana. Non è colpa mia però. Avevo bisogno di un modo per mimetizzarmi tra gli umani, o no? Mi è anche venuto bene, il travestimento, si, si. Solo le orecchie e la coda non vogliono sparire...
Comunque, questa storia non parla di me. Io ne sono solo un frammento. La protagonista è in infermeria in questo momento, con un buco proprio sotto la cassa toracica, e sta lottando contro un destino ormai sicuro. Non ce la farà, anche se spero, spero di sbagliarmi.
Una persona come lei non si merita questo. 
Si chiama... si chiamava... Kira. Bè, non proprio. Era uno dei suoi tanti nomi, dato che lei era una randagia. È una bakeneko, come me, ma il suo pelo era nero come la notte, e la sua coda era un moncherino. Anche la sua forma umana era singolare: aveva lunghi capelli viola chiaro che raccoglieva sempre in due code basse, e grandi occhi severi, gialli, da gatto. Sebbene fosse più bassa di me, quello ad alzare lo sguardo per incontrare il suo sono sempre stato io. Era fatta così, nessuno poteva dirle cosa fare e come farlo.
La conosco ormai da tre anni, e lei in questo stesso periodo ha salvato e arruolato nel suo esercito molti di noi, per mettere fine allo sterminio del nostro popolo, quello delle leggende metropolitane, per mano degli umani. Certo, non tutti potevano essere salvati. I Rake, i Luna Rossa e altri spiriti sanguinari sono creature ormai perse nella follia. Ma il più del nostro popolo è pacifico, o quasi.
Ma torniamo a Kira.
L'Ho conosciuta il ventisei gennaio, e partirò a raccontare proprio da quel giorno...


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Ero steso tranquillamente sul davanzale della casa degli umani con cui vivevo. Il sole brillava alto nel cielo e un dolce venticello mi accarezzava il pelo. Faceva molto freddo, per gli umani, ma io, grazie al mio nuovo pelo invernale, mi sentivo piacevolmente al caldo.
Improvvisamente cadde una tegola dal tetto, e subito dopo una sagoma nera mi piombò addosso e mi prese per il collare, un prezioso nastro rosso che mi cingeva il collo e a cui era attaccato un campanellino. Cademmo insieme, ma io non sentii l'urto. Prima che potessi accorgermene, una umana dai capelli viola mi infilò dentro una portantina e mi portò via. Sbattei la testa contro un angolo e persi i sensi.

Quando rinvenni, mi accorsi di essere stato portato via. L'umana che mi aveva imprigionato aveva il volto coperto da un cappuccio, e mi sorrideva... credo. Per un attimo temetti che gli umani avessero scoperto la mia vera natura, e che il mio umano avesse voluto uccidermi lontano dalla casa in cui vivevo, dato che la bambina della mia famiglia si era affezionata a me.
Soffiai contro la figura, ormai convinto della mia teoria, e deciso a trasformarmi in forma umana per combattere non appena mi avessero fatto uscire. Non volevo morire. 
Quando la gabbietta si aprì, saltai addosso all'umana, togliendole il cappuccio, e mi trasformai. Atterrai su mani e piedi, sempre ringhiando e soffiando, le mie orecchie che si alzavano per quanto potevano, dato che la loro conformazione le rendeva impossibili da rizzare completamente. 
Rimasi basito quando vidi che la donna aveva due grandi orecchie nere, triangolari, feline e occhi gialli e da gatto. Mi soffiò contro, e io instintivamente mi ritrassi, accettando la sua supremazia. Soffiò di nuovo, stavolta più tranquilla, poi si alzò in piedi, e mi sorrise, facendo segno di mettermi comodo.
<< Eccolo qui, ho trovato l'ultimo bakeneko che rimane. Sei tu, damerino. Ciao >> 
Aprì una mano in saluto, ma sapevo che mi stava semplicemente prendendo in giro.

<< cosa vuoi da me?! Chi sei!? Perchè non sono a casa mia?! >>
Le urlai contro quelle disperate parole. Non potevo fare altro. Era frustrante, ma quella donna era più forte di me. Lo sapevo, dentro, in fondo. Me lo diceva l'istinto.
Lei si portò le mani ai fianchi, e si avvicinò a me con un sorrisetto scherzoso e sensuale, proprio da gatta. È davvero una bella ragazza, pensai, infagottata nella sua felpa e nei suoi jeans larghi.
<< cosa voglio? Che tu ti unisca a me. Chi sono? Mi chiamo Kira, e sono l'ultima femmina di Bakeneko esistente....  >> fece una pausa, pensosa. Diffidava della sua stessa affermazione, forse? 
<< Perchè non sei a casa tua? Perchè tanto non era casa tua. Questa...  >> la donna mi mise una mano sul collo, applicando un chip elettrico al mio collare, poi allargò le braccia << ... Questa è casa tua. Qui. Con tutti noi.  >>

Detto questo, altre persone entrarono nella stanza. Una donna asiatica dagli occhi azzurri bordati di rosso abbracciò Kira, mandandomi uno sguardo di fuoco, gelosa. Orecchie bianche spuntavano dai capelli corvini raccolti in uno chignon, mentre due candide code volpine sbucavano da sotto al kimono di seta gialla e viola.
Kira arrossì e se la staccò di dosso, spostandola di lato, mentre una bambina, con una coda bianca da volpe e orecchie appartenenti allo stesso animale, che spuntavano dal caschetto nerissimo chiedeva un abbraccio tirando il kimono dell'altra. Anche i suoi occhi erano azzurri e bordati di rosso. Era vestita con uno yukata viola e blu scuro.
Riconobbi subito la loro specie. Che ci facevano due Kitsune in italia?

Spostai lo sguardo verso un uomo, piegato in una gobba, dai lunghissimi capelli marroni. Aveva irirdi dello stesso colore, con sprazzi di rosso. Spasmi violenti attraversavano, di tanto in tanto, il suo corpo coperto da peli, che spuntavano dagli abiti, e lo costringevano a battere i denti, talmente lunghi e affilati da non riuscire ad essere coperti dalle labbra. Un Wendigo. Difficile, di questi tempi, trovarne uno sano di mente. Mostri, mangiatori di carne umana. Incontrollabili. Eppure questo... sembrava diverso, anche gentile. I wendigo potevano anche essere italiani, ma i più erano nativi americani.

Una donna asiatica entrò in stanza. Era piuttosto bassa, ma prorompente, e la divisa da tassista, modificata in un top aperto sulla scollatura, una minigonna a pieghe giallo senape, stivali e parigine nere, non faceva altro che esaltare le sue forme. Aveva capelli neri, curati e lunghi fino a metà coscia, e grandi occhi dorati, senza pupilla.
Se non fosse stato per quel particolare, avrei pensato che lei fosse umana, ma l'assenza di pupilla e soprattutto l'odore la marcavano come un fantasma.

Dietro di lei c'era un ragazzo di statura normale. Aveva una sciarpa attorno al collo e portava le mani in tasca. A primo esame, mi sembrò un umano. Poi notai i capelli, candidi, che mi erano parsi biondi, e gli occhi color nero pece. Nascondeva la bocca, piena di denti aguzzi, dietro la sciarpa verde, e in mezzo alla sua fronte c'era un piccolo buco. Un Kappa. Era bravo a nascondere la sua identità.

Io ero ancora fermo, faccia a faccia con Kira. 
Guardai dritto nei suoi occhi.
Non riuscivo a sostenere il suo sguardo, così socchiusi le palpebre e sussurrai
<< Ti prego, lasciami. Lasciami andare. Ti supplico.  >> 
Lei, tutto d'un tratto, tornò seria.
<< non posso... non permetterò alla mia razza di estinguersi.  Devo tenerti al sicuro.  >>
Schioccò le dita, poi si allontanò da me. 
<< come ti chiami?  >> mi chiese.
Io non nascosi la mia vergogna mentre pronunciavo << Birillo...  >>
<< È un nome da cane. Comunque, le due Kitsune sono sorelle, Myuuzu è la maggiore, Ashita è la minore. Il wendigo si chiama Quil. La fantasma lì è Shuu. Il... Kappa... è Drop.  >> mentre parlava, indicava ad uno ad uno i suoi compagni.
Sospirai.
Avevo una vita, una casa, una famiglia... cibo di prima qualità da gourmet... un collare di stile... una fama da star nelle esposizioni feline... una cuccia calda e comoda...
Ora non avevo più nulla. Ero nella più completa mercè della Bakeneko dai capelli violetti.
Ero stato preso ostaggio.
   
 
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