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Autore: ___Page    05/01/2015    4 recensioni
Con estrema delicatezza, estrasse una freccia dalla faretra e caricò l’arma, portando poi l’occhio sul mirino e provando a immaginare che sensazione desse scoccare il colpo.
Respirava impercettibilmente, conscia dell’assurdità della situazione, senza riuscire a spiegarsi perché lo stesse facendo ma senza comunque riuscire a impedirselo.
Si rendeva conto della pericolosità di ciò che stava facendo e se Sabo l’avesse beccata…
-Che stai facendo?!-
La voce sconvolta del biondo riecheggiò nella stanza, facendola voltare di scatto e sobbalzare simultaneamente.
Con sommo orrore, vide la freccia fendere l’aria, scagliandosi dritta contro Sabo, diretta al suo pettorale.
*Fanfiction liberamente ispirata al mito di Amore e Psiche*
*Fanfiction collegata alla One Shot "Sei semi di melograno" ma comprensibile anche senza averla letta*
Genere: Comico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boa, Hancock, Corazòn, Margaret, Trafalgar, Law
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Estrasse il mazzo dalla tasca, cercando la chiave dell’appartamento con un lieve tintinnio, che riecheggiò nel silenzio tombale del corridoio.
Buttò un’occhiata all’orologio e sospirò sfregandosi gli occhi con pollice e indice nel vedere che erano le cinque del mattino.
Era esausto!
Era esausto e aveva appena cinque ore di pace prima che lei arrivasse.
Cinque ore o poco più di sonno assicurato prima che l’aspirapolvere, la lavatrice o la sua fastidiosa voce rovinassero il suo idillio, svegliandolo.
Girò la chiave nella toppa ed entrò in casa, voltandosi a controllare che nessuna freccia fosse caduta fuori dalla faretra di pelle nera che portava a tracolla prima di chiudere la porta e dirigersi in camera.
Posò dardi e balestra nell’anta dell’armadio munita di chiave e si tolse la giacca di pelle lasciandola cadere a terra, infischiandosene dei commenti che non avrebbe mancato di lanciargli per il suo ostinato disordine, per poi schiantarsi a peso morto sul letto, a pancia in giù, ancora vestito, eccezion fatta per le scarpe.
Era stata una serata particolarmente stancante.
In realtà gli ultimi mesi erano stati particolarmente stancanti.
Sapeva di non potersi davvero lamentare, in fondo la decisione era stata solo sua, presa contro il consiglio del resto della famiglia e in particolare di sua madre, che ancora disapprovava apertamente la sua scelta.
Aveva preteso che andasse quanto meno a vivere in un luogo consono al suo status, ai piani alti di un bel condominio, in un quartiere esclusivo, compromesso che aveva accettato di buon grado e che si era a conti fatti rivelato utile, poiché il suo alloggio risultava coerente con la vita da figlio di papà che fingeva di condurre.
Incapace di cucinare alcunché, pigro nel tenere la casa in ordine, abituato in apparenza a dormire tutto il giorno, nessuno sapeva che il suo lavoro, quello vero, poteva svolgerlo solo di notte da quando aveva deciso di mischiarsi con i comuni mortali.
Se qualche condomino lo beccava a rientrare all’alba, dava per scontato che fosse di ritorno da una notte di bagordi.
D’altro canto, chi mai avrebbe potuto immaginare che il ragazzo ricco e biondo, arrivato dal nulla alcuni mesi prima, fosse in realtà una divinità?!
La gente non credeva più in quelle cose, relegate a miti e leggende senza  nemmeno il beneficio del dubbio, ma la verità era ben diversa.
Soprattutto perché lui non era una divinità qualunque.
No, lui era il dio dell’amore.
A lui il difficile e troppo spesso ingrato compito di scovare gli spiriti affini e farli trovare affinché potessero fondersi in una cosa sola.
Ma aveva dovuto rassegnarsi all’evidenza che l’affinità non bastava e si era stufato di vedere sempre più spesso l’effimero amore che le sue frecce provocavano sgretolarsi in mancanza di qualcosa di più solido alla base, spezzando cuori e causando sofferenza.
Si era insomma rassegnato alla diceria dell’anima gemella, ad accettare che per ogni creatura umana esistesse una sola ed unica perfetta metà, che aspettava solo di ricongiungersi al proprio pezzo mancante, riuscendoci raramente, senza il suo aiuto.
Ma dall’alto della loro divina sede, l’isola nel cielo di Skypeia, era difficile comprendere le dinamiche delle relazioni mortali e stabilire con certezza assoluta chi andava legato a chi.
Per questo la decisione che pochi prima di lui avevano preso, senza tuttavia mai pentirsene, di mischiarsi agli umani per conoscerli più da vicino, con tutti i pro e i contro che questa scelta comportava.
E di certo il contro più palese era proprio la deteriorabilità del fisico umano.
Sebbene non avesse perso né l’immortalità né la giovinezza eterna, il suo corpo necessitava di nutrimento e riposo, attività, il mangiare e il dormire, che a Skypeia erano sempre state dei banali passatempi e nient’altro.
Ecco perché aveva avuto bisogno di qualcuno che si occupasse della casa e di cucinargli dei pasti sostanziosi e degni di tale nome.
Ammetteva una certa mancanza di praticità ma il vero problema era la stanchezza.
Dopo avere trascorso alcune ore al pomeriggio a studiare e sorvegliare i propri bersagli e l’intera nottata a giocare al Cupido urbano, era sinceramente troppo spossato per occuparsi di alcunché.
Era uno sporco lavoro, il suo, ma qualcuno doveva pur farlo.
Peccato però che ad occhi esterni apparisse come un nullafacente che viveva sulle spalle dei ricchissimi genitori, di cui nessuno sapeva niente e che non si erano mai visti.
E peccato soprattutto che la giovane ragazza che doveva essere solo la sua colf ma a conti fatti gli faceva da governante - per non usare il termine balia come faceva lei - non si limitasse a pensarlo ma cogliesse ogni occasione buona per farglielo notare.
Era una lotta continua con lei, un litigare costante che cessava solo quando smettevano di essere nella stessa stanza insieme e che impediva a Sabo di recuperare pienamente le proprie energie.
L’idea di licenziarla e cercare qualcuno di più discreto e meno polemico non lo aveva mai nemmeno sfiorato perché semplicemente gli mancava il tempo.
Era di gran lunga preferibile e più pratico sopportarla qualche mezz’ora al giorno, prima di tornare a dormire o andare a farsi una doccia rigenerante, senza contare che ormai Koala aveva preso il giro e avevano una loro routine.
Una smorfia gli fece contrarre il viso quando ricordò che parte di quella routine implicava che di lì a poche ore sarebbe arrivata distruggendo la sua pace.
Prese un profondo respiro per rilassarsi, consapevole che doveva approfittarne per dormire più ore possibili e, con suo grande sollievo, si addormentò immediatamente.
 

 
§
 

Con le mani sui fianchi lo osservò qualche istante, per poi sospirare e mandare gli occhi al cielo.
Più che una donna delle pulizie/cuoca gli sembrava di essere una via di mezzo tra una baby-sitter e la madre single di un adolescente problematico.
Cos’aveva mai fatto di male?!
Quando aveva accettato il lavoro nessuno le aveva detto che avrebbe dovuto occuparsi anche di Sabo oltre che della sua casa, la quale verteva costantemente in uno stato di crescente entropia, dandole sempre parecchio da fare nonostante andasse lì tutti i giorni.
Ma anche se adesso sapeva come stavano le cose, un impiego così, non lo poteva certo lasciare.
I soldi le servivano per vivere e quel ragazzo la pagava più che bene, senza contare che l’aveva messa in regola.
Su certi lussi non ci si poteva mica sputare sopra.
Un suono cavernoso la riscosse dalle sue riflessioni e gli fece rimettere a fuoco il viso del biondo, spiaccicato per metà sul materasso del letto ancora fatto, la bocca mezza aperta con un rivolo di bava che usciva dall’angolo e la bolla al naso che seguiva il ritmo del suo russare.
-Molto sexy davvero- commentò Koala, tra il sarcastico e lo schifato, dando poi una rapida occhiata in giro.
Sbuffò nell’individuare la sua giacca di pelle nera abbandonata al centro della camera da letto, che pareva un monolocale tanto era grande.
Santo Roger, cosa gli costava mai appenderla nell’armadio?! O sbatterla sulla sedia della scrivania almeno!
Calcando i passi sul parquet, si avvicinò e la raccolse, scrollandola e battendola appena con la mano per ripulirla un po’ da terra e polvere.
Fece per girarsi verso l’armadio e metterla al suo posto che un verso inarticolato la fece arrestare.
Si focalizzò sul padrone di casa, che aveva preso a mugugnare nel sonno, e rilasciò l’ennesimo sospiro.
Con sacra pazienza, che non sapeva neppure lei da dove venisse, si avvicinò a lui, abbandonando la giacca di pelle di fianco alle sue gambe e sedendosi sul materasso dal lato verso cui aveva il viso girato.
Con delicatezza, resistendo per miracolo all’impulso di prenderlo a ceffoni, posò una mano affusolata in mezzo alle sue solide scapole, prendendolo a scuoterlo sempre più energicamente.
-Sabo! Ehi, Sabo! Sabo!!!-
-Eh?! CosaCome?!?- biascicò tirandosi su di scatto, gli occhi appannati e i capelli in disordine.
Si guardò intorno confuso, mettendo lentamente a fuoco, per poi concentrarsi su Koala.
-Oh. Sei tu- commentò neutro, ancora visibilmente assonnato.
-Già! Sono io! Che fortuna eh?!- reagì ironica la castana, alzandosi in piedi e avvicinandosi alla porta per tornare di là -Ti consiglio di farti una doccia, il pranzo è quasi pronto!- lo avvisò, girandosi verso di lui che si accigliò, osservandola con occhi cisposi e interrogativi.
-Ma che ore sono?!-
-Le due, principino! Ti ho lasciato dormire, avevi delle occhiaie che nemmeno Dracula…- mormorò, avviandosi verso l’altra metà dell’attico.
Sabo la osservò allontanarsi, con le sopracciglia ancora aggrottate ma sorpreso da quella rara gentilezza.
Di solito non si faceva scrupoli a tirarlo giù dal letto nei modi più pittoreschi, dando anche l’impressione di goderci a volte.
Passandosi una mano sul viso e portandola poi a scompigliarsi le ciocche bionde e mosse, si diresse verso il bagno privato, annesso alla camera.
Koala intanto assaggiava con aria critica il sugo per le tagliatelle, aggiungendo ancora un po’ di sale.
Si domandava perché facesse così.
In realtà se lo domandava sempre più spesso e questo perché più lo conosceva e più si rendeva conto del suo potenziale.
Era evidente che si trattasse di un ragazzo intelligente e, a suo modo, dolce e responsabile.
Sarebbe potuto essere molto più del ricco rampollo di alta società, dedito solo all’alcool e alle serate in discoteca.
Perché nonostante non lo avesse mai trovato una sola volta sbronzo o in compagnia di qualche squinzia eccessivamente truccata, rimorchiata chissà dove, tutto faceva sospettare che quello fosse il suo passatempo prediletto.
E d’altra parte Koala sapeva che la colpa era del suo bel faccino e dei soldi che chiaramente non gli mancavano.
Un mix deleterio.
Per quanto avesse imparato ad accettare di buon grado l’atteggiamento un po’ viziato e pigro di Sabo, grazie alla sua innata pazienza, non riusciva proprio a impedirsi di farglielo notare ogni qualvolta ne aveva occasione.
E in fondo sapeva che se lo meritava.
Non capiva come si potesse essere tanto sprovveduti a 25 anni e meno ancora lo tollerava.
Spense il fuoco sotto alla padella, tornando nella camera del ragazzo per capire a che punto fosse con la toilette e l’occhio le cadde sulla giacca di pelle che lei stessa aveva posato sul letto.
L’afferrò spostandosi verso l’armadio, mentre da dentro il bagno lo scroscio dell’acqua l’avvisava che Sabo era ancora sotto la doccia, e, senza rendersene conto, avvolse per sbaglio la mano intorno alla maniglia dell’anta tutta a destra, quella che di solito era chiusa a chiave.
Già, di solito.
Non avvertì nessuna resistenza nel tirare verso di sé e sgranò gli occhi quando, riportata la propria attenzione sul contenuto di quel vano del mobile, si ritrovò a fissare una balestra e una faretra colma di frecce, tutto rigorosamente nero.
Aggrottò le sopracciglia, perplessa e accigliata, studiando quell’insolita e inaspettata attrezzatura.
Non aveva mai saputo che Sabo tirasse con l’arco!
Allungò una mano ad accarezzare le piume di una freccia, che sembravano essere state rubate a un cigno nero tanto erano morbide e lucenti, e uno strano formicolio le attraversò il braccio.
Come guidata da una forza superiore, fu il suo turno di lasciar cadere la giacca a terra, mentre estraeva la balestra dall’armadio, sorreggendola con entrambe le mani e puntandola davanti a sé.
Con estrema delicatezza, estrasse una freccia dalla faretra e caricò l’arma, portando poi l’occhio sul mirino e provando a immaginare che sensazione desse scoccare il colpo.
Respirava impercettibilmente, conscia dell’assurdità della situazione, senza riuscire a spiegarsi perché lo stesse facendo ma senza comunque riuscire a impedirselo.
Si rendeva conto della pericolosità di ciò che stava facendo e se Sabo l’avesse beccata…
-Che stai facendo?!-
La voce sconvolta del biondo riecheggiò nella stanza, facendola voltare di scatto e sobbalzare simultaneamente.
Con sommo orrore, vide la freccia fendere l’aria, scagliandosi dritta contro Sabo, diretta al suo pettorale.
Accadde tutto molto in fretta.
Istintivamente Koala mollò la balestra portando entrambi le mani alla bocca e indietreggiando mentre il dardo andava a segno, colpendo in pieno Sabo sul letto del cuore, senza tuttavia trafiggerlo ma dissolvendosi nell’aria sotto lo sguardo incredulo e terrorizzato della castana.
Sabo indietreggiò come se avesse comunque accusato il colpo e chiuse gli occhi per un attimo, mentre un capogiro gli faceva perdere l’equilibrio, che riuscì subito a riguadagnare.
Sbatté le palpebre rapidamente, deglutendo poi a fatica mentre portava lo sguardo su Koala, una strana luce negli occhi blu.
-K-Koala…- la chiamò a fatica -Ascolta c’è una cosa che devi sapere…- si fermò respirando a fondo, alla ricerca di tutto il suo autocontrollo mentre suo malgrado muoveva un passo verso di lei.
Per quanto sconvolta e pietrificata da quello che stava accadendo, la ragazza non poté impedirsi di indietreggiare di un passo ancora, sussultando di nuovo, quando avvertì una puntura improvvisa all’altezza della spalla.
Si girò di scatto, portando una mano sulla zona offesa, e realizzò di essersi punta con una freccia che, per un qualche motivo, era girata all’insù, mentre una scarica elettrica l’attraversava, facendole girare tutto, e uno strano calore si diffondeva in lei.
Cosa stava succedendo?!
-Che hai?!- domandò Sabo, insolitamente preoccupato e dolce.
Una scarica di eccitazione le percorse la schiena all’udire la sua voce calda e sussurrata, mandandola in tilt e facendole sgranare gli occhi, mentre il cuore prendeva a scalpitare nel suo petto.
-Mi sono punta!- esclamò ancora girata verso la faretra.
-Merda!-
Si voltò verso di lui a quell’imprecazione e la sensazione che l’attraversò la lasciò senza fiato.
Lo sapeva da sempre che Sabo era bello, d’altra parte non era cieca.
Ma perché improvvisamente si sentiva completa e al sicuro nel trovarsi nella stessa stanza con lui?!
Perché provava l’impulso di correre tra le sue braccia?!
Perché non riusciva a staccare gli occhi da lui, perdendosi?!
-Sabo- lo chiamò, pronunciando il suo nome come se fosse la parola più bella del mondo -Cosa… cosa sta succedendo?!- domandò confusa, bisognosa di risposta e assurdamente consapevole che solo lui e nessun altro avrebbe potuto rassicurarla.
Si rese conto che voleva annullare qualsiasi distanza, annegare nelle sue braccia solide e rassicuranti, assaggiare la sua pelle leggermente abbronzata, sentire le sue labbra marchiarle la pelle.
Lo voleva ma non era semplice desiderio carnale.
Il cuore le batteva a mille, la testa girava e lei era felice, felice e appagata per il solo fatto di trovarsi nella stessa stanza con lui.
Era come se… come se… lo amasse?!?
-Koala io… ti devo dire una cosa…- mormorò mentre continuavano ad avanzare l’uno verso l’altra, lentamente ma inesorabilmente, entrambi ormai rassegnati a soccombere.
-D-dimmi- lo incitò, a corto di fiato e annuendo.
-Io…- esordì, ma l’aroma di cocco della castana lo investì in pieno, facendogli perdere del tutto il controllo sul proprio corpo.
Smettendo di lottare inutilmente contro quell’attrazione così potente, si avventarono l’uno sull’altra, rubandosi il respiro a vicenda.
Nessuno dei due registrò come si ritrovarono a fare l’amore sul letto, perdendosi e prendendosi completamente.
Seppero solo che era stato l’amplesso più bello che avessero mai vissuto, quando crollarono sudati ed esausti l’una nelle braccia dell’altro.
E che, di certo, non sarebbe stato l’ultimo. 
  
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