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Autore: hikarisan    05/01/2015    2 recensioni
“Cosa non hai capito del fatto che anche tu sei una diva di Hollywood?”
“Io sono una che per pura BOTTA DI CULO si è ritrovata in un mondo che non era il suo, ed ora tutti hanno aspettative su di me che io non riuscirò a mantenere!”
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Stai calma, bevi un goccio d’acqua.”
“Calma un cavolo! Tra un po’ mister perfezione arriva qui ed io mi ritroverò a boccheggiare come una cretina.”
 
Per l’ennesima volta la sua assistente-baby sitter-migliore amica, o meglio tuttofare, le versa un bicchiere d’acqua e la costringe a buttarlo giù tutto d’un fiato, sperando in un effetto calmante.
 
“Cosa non hai capito del fatto che anche tu sei una diva di Hollywood?”
“Io sono una che per pura BOTTA DI CULO si è ritrovata in un mondo che non era il suo, ed ora tutti hanno aspettative su di me che io non riuscirò a mantenere!”
 
Botta di culo era dire veramente poco; quella che era partita per una vacanza studio per New York era stata la svolta della sua vita. Aveva bisogno di cambiare aria, e partire per imparare l’inglese le era sembrata un’ottima idea, così avrebbe unito l’utile al dilettevole. Appena arrivata non ci aveva capito più niente, l’America era veramente tutto un altro mondo, tutto più frenetico, mille cose da fare e da sperimentare, nuove realtà da conoscere, mille persone diverse con cui condividere tante cose… E si era ritrovata a condividere il teatro con quella che ora era la sua assistente. C’era un piccolino spettacolino da mettere in atto per Natale nelle grandi piazze di New York per raccogliere fondi per i meno fortunati, e si era ritrovata a fare un’assistente dispettosa di Babbo Natale, proprio lei, che a stento guardava le persone negli occhi quando parlava. Ma tanto non la conosceva nessuno lì a New York, poteva anche fare una brutta figura, almeno avrebbe avuto qualcosa di pazzo da raccontare una volta tornata a Roma. Dopo una rappresentazione a Washington Square Park le si era avvicinato un tizio che le aveva dato un biglietto da visita e le aveva chiesto se era interessata a fare un provino per una parte secondaria in un film che stavano girando da quelle parti; Klara, la sua allora amica ed assistente poi, aveva rotto così tanto le scatole che si era presentata per non avercela più nelle orecchie. Fu un disastro, davanti a tutta quella gente che la esaminava si era mezza mangiata le parole e si era bloccata più volte, tant’è che più di qualcuno se l’era guardata più che male. Una volta uscita da quella stanza aveva cominciato a piangere dalla rabbia e si era seduta per terra per la disperazione, quando le si era avvicinato un signore sulla sessantina, che le aveva offerto un fazzoletto per asciugarsi le lacrime.
 
“Cosa ti è successo? Perché ti sei bloccata? Era solo una pseudo intervista.”
 “Io non sono un’attrice, non lo sono mai stata, ho fatto quella rappresentazione per fare un’esperienza, lì dentro mi sentivo sotto giudizio…”
“Racconta a me cosa volevi dire a quelle persone là dentro.”
 
Aveva risposto tranquillamente alle domande, quel nonnetto le era sembrato tanto simpatico e dolce. Alla fine della chiacchierata lo aveva ringraziato, se ne era ritornata a casa ed aveva continuato la sua vita. Dopo qualche giorno le era arrivata una chiamata inaspettata che le comunicava che avrebbe preso parte al film; incredula si era recata al luogo dell’appuntamento dove avrebbe dovuto discutere col regista riguardo la sua parte. La fecero entrare in una stanza di un lussuoso hotel del centro di New York e si ritrovò davanti il vecchietto che la invitata a sedersi ed a prendere una buona tazza di tè in sua compagnia.
 
“Il regista sarà qui a momenti?”
“Diciamo di sì.”
“Ma si è bevuto il cervello? Io? Io non sono in grado interpretare un ruolo in qualsiasi film! Sono goffa, brutta, insicura…”
“Il regista stava cercando una persona particolare, e quando ha visto il video su di te che recitavi ha insistito per farti fare un provino che, sinceramente parlando, non è andato come sperava…”

“Ecco, appunto.”
“Però si è mezzo innamorato di te, e della tua doppia personalità.”
“Doppia?”
“Nella vita sei così insicura, ma su quel palco, a Washington Square, eri esattamente chi dovevi essere, e cioè un folletto dispettoso ma con un cuore grande. La parte del film è come se fosse stata tessuta su di te.”

“Non ne sono in grado.”
“Questo lascialo stabilire a me.”
“Perché, lei chi è?”
“Sono il regista… Piacere, io sono Steven Spielberg.”
 
Ed ecco la più grossa figura di merda che aveva fatto nella sua vita, proprio lei, che amava E.T. Ma, parliamoci chiaro, lei era fisionomista quanto una talpa ed i registi non è che fossero il suo forte. Ricordava di essere arrossita come un peperone e di essersi scusata mille volte per non averlo riconosciuto, anzi, si era congratulata non so quante volte per tutti gli splendidi capolavori che aveva sfornato, e che l’avevano fatta sognare. Spielberg le aveva spiegato che il film ruotava intorno alla vita di un uomo, la cui vita sembrava essere d’oro fino a quando tutto non comincia a sgretolarsi a causa di una sorella più piccola cacciata di casa anni prima, e che ricompare ragazza madre e malata di tumore. Lei era, appunto, la sorella piccola. E Steven aveva insistito con lei, l’aveva fatta seguire da uno psicologo durante le riprese, la faceva provare fino a notte fonda, la sottoponeva a continue prove… E da quelle prove era uscito il personaggio di Violet, ragazza madre del Connecticut ricomparsa nella vita di Jordan Butler per frantumargli il castello di vetro che si era creato. Si era ritrovata nel mondo dello Star System e manco se ne era accorta. Klara era diventata la sua manager, gestiva interviste, party, inviti, film. Dopo quel film le erano piovute addosso richieste su richieste, e tutti se ne erano strafegati della sua insicurezza che le impediva per i primi giorni di dare il meglio, soprattutto se alla fine i risultati c’erano. Le era sembrato di capire che i registi dovevano sottostare a bizze assurde di molti attori ed attrici, quindi lei era stata quasi una manna dal cielo per molti di loro, visto che la sua massima richiesta era di farsi una chiacchierata di una mezz’oretta con lo psicologo.
Steven era diventato un mentore, una persona di cui fidarsi. Quando le avevano proposto la parte di una mafiosa che gestiva le peggio cosche di Manhattan, l’uomo aveva insistito che partecipasse al progetto, per poter dare atto al prossimo che lei riusciva anche nella parte della cattiva, che è una figura che amano tutti particolarmente. Esattamente dieci giorni dopo le era arrivato il copione con i nomi del cast, e la parte di amico fidato/serial killer/assistente della mafiosa era stata assegnata a l’unico uomo con cui sapeva non sarebbe stata in grado di lavorare.
 
“Ilaria, Jared Leto è qui.”
“Oh merda.”
 
 
 
 
  
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