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Autore: Atlantislux    17/11/2008    5 recensioni
[Ikigami]
Trovereste il modo di essere ricordati, se improvvisamente vi dicessero che vi restano solo ventiquattro ore di vita?
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Se non ci si confronta con la morte non è possibile comprendere l'importanza della vita...
Per inculcare nelle coscienze dei cittadini il valore della vita, in questo paese è in vigore da molti anni la "Legge per la Prosperità Nazionale". Al momento di entrare nella scuola elementare tutta la popolazione viene sottoposta alla "Vaccinazione di Prosperità Nazionale". Un ragazzo su mille, in un giorno prestabilito tra i diciotto e i ventiquattro anni, perderà la vita in seguito all'azione di una nanocapsula presente nella siringa.
Il documento che annuncia la morte, l'ikigami, gli verrà consegnato soltanto ventiquattro ore prima del decesso.
Farsi prendere dalla disperazione e chiedersi "perché proprio io?!" non rallenta le lancette dell'orologio.
Non c'è tempo per pensare. Bisogna fare subito qualcosa.

Ikigami, vol. 4

***

Ami Kitamura, anni 24, destinata al decesso.


Era un caldo pomeriggio di inizio giugno, quando il destino decise di mettere in ginocchio Ami Kitamura.

La giovane prese il foglio dalla stampante, fissandone la superficie come se non capisse i caratteri. Frivolmente sperando che, se le avesse guardate abbastanza a lungo, quelle linee si sarebbero modificate in nuove configurazioni, dando un diverso significato a quello che era, semplicemente, l'annuncio dell'ora della sua morte.
Essendo all'estero, a otto ore di distanza dal suo paese natale, l'ikigami le era stato consegnato per e-mail, annunciato dalla telefonata di un impiegato, tale Kengo Fujimoto. Era stato professionale, nonostante l'adempimento del suo dovere di messaggero l'avesse chiaramente buttato giù dal letto nel cuore della notte, e le era addirittura suonato comprensivo.

Ami non avrebbe mai immaginato che uno di quelli potesse avere un tono così empatico; aveva sempre pensato che, essendo il loro lavoro quello di consegnare mensilmente sentenze di morte, dovessero essere uomini e donne di un cinismo ributtante. Ma si era sbagliata.

D'altronde, lei non avrebbe mai immaginato di ricevere uno di quegli avvisi.

Una possibilità su mille dopotutto non era poco, si era ripetuta durante tutta l'infanzia e l'adolescenza. Anzi, la statistica le era sempre stata amica, fin da quando era stata l'unica della sua classe, alla scuola di polizia, ad essere ammessa ad un corso per tiratori scelti. E la sorte le aveva arriso ancora, qualche anno dopo, quando l'avevano selezionata, unica donna sotto i trent'anni, per far parte dello staff di guardie del corpo del Primo Ministro del suo paese.
'E allora, perché adesso mi volti le spalle?'
Focalizzò l'attenzione sul foglio che aveva in mano. I colori sbiaditi della foto non rendevano giustizia al suo incarnato immacolato, l'unico particolare degno di nota in un volto altrimenti ordinario.
'Ridicolo. Sugli avvisi dovrebbero almeno mettere foto migliori, no?' pensò incoerentemente, cercando di non ascoltare le conversazioni che filtravano dagli altri cubicoli.
Molte erano in inglese, lingua che capiva perfettamente. Parlavano di appuntamenti da prendere, cene alle quali partecipare, amici da incontrare. Tutti nei giorni successivi.
'E io non vedrò il tramonto di domani. Non è giusto. Io volevo essere un eroe e, invece, finirò per essere solo un numero in qualche schifosa classifica governativa. Un nome e una data di nascita sul giornale di domani. Ami Kitamura, di anni 24, morta per la Prosperità Nazionale.'
Senza realmente volerlo, le sue dita accartocciarono l'ikigami.
Per la sua nazione lei aveva già sacrificato moltissimo. Era diventata un soldato in un paese nel quale le donne generalmente erano invitate a stare a casa a crescere i figli. O erano comunque relegate a ruoli di secondo piano.
'Anche se davanti a 'quella' legge noi siamo tutti uguali, e il nostro nome finisce accanto a quello dei nostri compagni.'
Ami Kitamura fissò lo schermo del computer, mentre lo shock della scoperta si trasformava in una torrida vampata di rabbia.
'Sai che ti dico? Vaffanculo, statistica. In un modo o nell'altro io passerò alla storia. Sarà l'ultima cosa che faccio. Ma succederà.'
Dopotutto aveva sempre pensato che, nel caso le avessero diagnosticato una malattia incurabile, non avrebbe atteso la morte in un ospedale, ma se ne sarebbe andata portando con sé qualcuno che se lo meritava. Il suo piano per una dipartita davvero utile al mondo aveva solo bisogno di una leggera aggiustatina. E di un bersaglio. Ironicamente, nel posto in cui era, aveva solo l'imbarazzo della scelta; il vertice FAO era zeppo di persone che meritavano di morire.
Metodicamente chiuse la sessione, si alzò e si fece largo tra i delegati del convegno e i componenti dei vari staff. Sbucò nella hall del palazzo che ospitava l'evento, incrociando un suo collega.
Lui la salutò con un cenno della testa. "Problemi da casa?"
Solo allora Ami realizzò di avere ancora l'ikigami appallottolato in mano. Lo degnò di un solo sguardo, prima di infilarselo in tasca. "Un appuntamento che speravo di poter evitare. Ma pare non ci sia speranza..."
La sua voce dovette risultare piuttosto ferma, perché l'uomo davanti a lei non sembrò turbato, né incuriosito dal suo tono.
Alzò invece le spalle noncurante. "Peccato. Adesso andiamo. Il Primo Ministro ha giusto finito di parlare, e le delegazioni usciranno tra poco."
Lei annuì, seguendolo verso la porta principale.
'Mi restano ventidue ore, più qualche minuto. Me li dovrò fare bastare'
si ripeté con convinzione.

***

L'aria filtrava piuttosto fresca dalle finestre del ristorante dove il suo capo aveva deciso di cenare.
Lei lo guardò di sottecchi, discretamente, controllando che tutto fosse in ordine. L'uomo era seduto al tavolo accanto con il suo ospite, il Capo di Stato di uno dei principali paesi produttori di petrolio, mentre lei e i suoi colleghi erano sparsi nella sala, mescolati tra gli avventori. E così, valutò lei, doveva essere anche per le guardie del corpo dell'altro. Dopo qualche anno nell'ambiente aveva imparato che, anche se legalmente era la polizia locale a fornire i servizi di sicurezza, ogni politico, sovrano o dittatore, viaggiava comunque con i propri uomini. Addestrati a tutto e forniti di armi non rilevabili ai metal detector.
Al pensiero, Ami si passò una mano sul lembo della giacca nella cui fodera erano nascosti i suoi shaken (1) di carbonio. Il nonno le aveva insegnato a lanciarli, dicendole che da grande sarebbe diventata un'ottima kunoichi (2).
'Le altre bambine giocavano con le bambole, io invece le usavo come bersagli.'
Sorrise amaramente. Avrebbe potuto mettere a frutto i risultati del suo addestramento una volta sola, senza nessuna seconda possibilità. E senza nemmeno sapere se ne sarebbe valsa la pena.
'D'altronde, cos'altro dovrei fare? Allontanarmi ed aspettare la morte seduta su una panchina, all'ombra dei pini marittimi? Il pensiero è dolce, ma non servirebbe a nulla. O forse potrei andare in Vaticano e morire tra le tombe dei Papi. Sarebbe scenografico, e tutti i turisti fotograferebbero il mio cadavere per pubblicare poi gli scatti su internet. Un'eternità su YouTube. Ridicolo...'
Si ficcò in bocca una cucchiaiata di dolce, faticando a mandarlo giù. Pur con difficoltà aveva cercato di mangiare come al solito, perché nessuno dei suoi compagni doveva avere l'impressione che ci fosse qualcosa di sbagliato in lei, men che meno il suo capo.
Ma la cosa più difficile era, ancora, ignorare le conversazioni che avevano luogo intorno a lei; sprazzi di esperienze che lei non avrebbe mai vissuto.
Qualcuno che si lamentava della moglie a casa le fece ricordare che forse era il caso che avvertisse i suoi parenti ancora in vita. Quanto meno il fratello. Ma scartò subito l'idea. Perché quello che aveva congegnato, da quando le era stato recapitato l'ikigami, la metteva con le spalle al muro. E di fronte ad una scelta ineluttabile. Se voleva essere ricordata dalle folle per più di un giorno, nessuno avrebbe dovuto sapere di quell'avviso.
La ciliegia del dessert le lasciò un retrogusto acido in bocca.
'D'altronde, io e mio fratello non ci siamo mai sopportati. Odiava che, in una famiglia che vanta famosi ninja, fossi io, una donna, la più portata per certe cose. Ma chissà, magari tra dieci anni la figlia che ha appena avuto mi ringrazierà. Lo faccio per lei, dopotutto.'
Il Primo Ministro posò il tovagliolo sul tavolo, dando il segnale di smobilitazione. Lei e il suo dirimpettaio si alzarono, seguiti dal resto del gruppo. Incrociò brevemente lo sguardo del suo capo, che le rispose con un secco cenno della testa.
Cortese e quasi umile per la carica che ricopriva, non era un uomo con il quale le dispiacesse lavorare; ma Ami non riusciva mai a dimenticarsi che lui era nato prima della guerra, ed era quindi figlio di una generazione che aveva conosciuto sì gli orrori del conflitto, ma anche il boom economico. E non la legge per la Prosperità Nazionale, che era entrata in vigore dopo la guerra.
Lo scrutò di sottecchi. 'Dopotutto, che differenza c'è tra te e i tuoi padri che mandarono innocenti giovani a morire al macello nelle trincee? Siamo meno di loro, è vero, solo uno su mille. Ma per quell'uno e la sua famiglia, che differenza vuoi che faccia? Mentre tutti gli altri vivono con una spada di Damocle sulla testa. Altro che impegnarsi al massimo come se ogni giorno fosse l'ultimo. Al contrario. Che senso ha studiare e cercare di dare il meglio, quando si ha la concreta certezza che il futuro è un terno al lotto?'
L'aria le portò i profumi della notte romana, e Ami sorrise per la prima volta da quel pomeriggio. 'Che domande idiote. È così e basta. E adesso so perché sono qui.'
Si chinò per entrare in macchina, senza diminuire il livello di attenzione e sempre più risoluta. Non avrebbe disonorato i suoi antenati guerrieri. Lei aveva una missione da compiere, ne era stata certa fin dall'infanzia. Qual era, gliel'aveva rivelato quel pomeriggio l'ikigami.

***

Non dormì quella notte. Non volendo sprecare neppure un minuto di quelli che le erano ancora concessi, la passò invece con un collega che le faceva la corte da molto tempo. Per la loro professione non erano etici certi comportamenti tra compagni di lavoro, e non era nemmeno che le importasse di lui, o dell'atto in sé, ma era certa che se fosse rimasta sola sarebbe crollata. Ma, mentre l'uomo cercava di dare il meglio, Ami ripensò a ciò che avrebbe dovuto fare la mattina successiva. Quello che sarebbe successo dopo non le interessava, a patto che tutto andasse bene. In caso contrario, si sarebbe riservata il piacere di togliersi la vita prima della scadenza.
'A meno che i Carabinieri non mi ammazzino sul posto. Potrebbe anche succedere, visto il nervosismo tra le forze dell'ordine per la visita di domani.'
Che il Presidente iraniano avesse deciso di partecipare proprio a quella conferenza Ami lo considerava un segno del destino. Un altro segnale che le stava urlando che la statistica non l'aveva abbandonata, o così era determinata a pensare. Perché anche se chiunque altro, tutto sommato, le sarebbe andato bene, il fatto che Ahmadinej?d fosse una figura politica influente, e che avesse minacciato anche il suo paese, non poteva che farla felice. Il mondo si doveva accorgere di lei, e dei giovani della sua generazione, ed Ami era decisa a far sì che succedesse nel modo più spettacolare possibile.

Come avevano anticipato le previsioni meteo, la mattina successiva il sole sorse in un cielo perfettamente terso. Batteva con violenza, riflesso sui marmi scelti da Vittorio Cafiero per quello che avrebbe dovuto essere il Ministero per le Colonie, ed era invece diventato il Palazzo della FAO.
Senza perdere d'occhio il Primo Ministro ed i suoi colleghi, Ami sbirciò di sfuggita le linee imponenti e pulite della costruzione. L'architettura moderna non le piaceva, ma aveva visto di peggio, anche nella sua città.
'Decisamente, non è un brutto giorno od un brutto posto per morire' si disse, facendosi forza con quello che era l'antico motto della famiglia.
Con suo grande sollievo notò un repentino nervosismo tra le forze dell'ordine presenti, e un collega le passò all'auricolare l'informazione che il Presidente iraniano era arrivato.
Dovette sopprimere un sospiro di sollievo; tutta la mattinata era stata tormentata dalla paura che Ahmadinej?d avesse cancellato la partecipazione al vertice ma, adesso, almeno il primo tassello era andato a posto.
Entrò velocemente con il suo gruppo nel palazzo, alla testa della piccola delegazione che aveva al centro il Primo Ministro. Ami girò la testa e lo vide sorridere alla segretaria. Circondato dalle sue guardie del corpo doveva sentirsi protetto, certo che niente gli sarebbe potuto accadere, e lei era sicura che anche gli altri politici dovessero pensarla allo stesso modo.
Mise una mano in tasca lacerando la fodera e facendosi scivolare i due shaken nel palmo della mano. 'E non sapete quanto voi tutti vi sbagliate.'
Un gruppo numeroso cominciò a filtrare dalle porte, catalizzando l'attenzione della folla. La ragazza prese un bel respiro, studiando velocemente la posizione dei presenti e la distanza dal bersaglio. Non era qualcosa che i suoi shaken non potessero colpire, con un po' di destrezza.
Mentre tutti guardavano le porte, Ami estrasse la mano destra e incrociò le braccia davanti a lei, nascondendola nell'incavo del gomito sinistro. Si preparò la prima stella tra il pollice e l'indice, tenendo la seconda stretta tra le altre dita. Forse non le sarebbe servita, ma non voleva correre rischi.
D'improvviso vide un cerchio compatto di uomini oltrepassare le porte, ma dai ranghi non così stretti che non si potesse vedere l'uomo che proteggevano. Completo grigio chiaro e camicia panna, spiccava in un gruppo di guardie vestite di nero dalla testa ai piedi. Le labbra di Ami si stirarono in un ghigno controllato; un bersaglio ideale, anche per un cecchino alle prime armi.
"Signor Primo Ministro" esclamò, facendo voltare l'uomo verso di lei. Gli diede il tempo di guardarla bene in faccia, mentre dietro di lui l'obiettivo le arrivava a tiro. Quindici persone erano ferme immobili tra lei, il Primo Ministro, e l'iraniano. Uno scherzo per chi aveva imparato a colpire animali selvatici nelle foreste, schivando i rami degli alberi agitati dai temporali.
Di scatto estrasse la mano e lanciò lo shaken, imprimendogli un veloce movimento rotatorio. Non perse tempo prima di lanciare anche l'altro.
Dopo qualche secondo l'intera sala esplose in una cacofonia di urla. Ami si sentì trascinare a terra ma, nel mentre, poté scorgere il Presidente iraniano collassato tra le braccia di una guardia del corpo, con uno shaken conficcato in fronte e l'altro in gola. Sapeva di averlo ucciso anche se, dal suo punto di vista, era molto più soddisfacente la vista del suo stesso Primo Ministro, in ginocchio davanti a lei con la guancia insanguinata.

***

"Perché l'hai fatto? Posso capire che tu abbia voluto liberare il mondo da un vera mina vagante ma, anche se è morto, questo non fermerà la politica aggressiva del suo paese."
Il Primo Ministro scosse la testa, interrompendosi un secondo per guardarla come se la vedesse per la prima volta. Ami scrutò senza espressione il volto dell'uomo, per metà coperto da una garza. Le manette le facevano male, e la stazione dei Carabinieri dove l'avevano portata era fredda, ma non le importava.
"Cercherò di farti estradare chiedendo l'infermità mentale, anche se non sarà facile. E ti rendi conto che, da oggi, sei sulla lista nera delle peggiori organizzazioni terroristiche? Anche se nel mio ufficio stanno arrivando anche telefonate, ed e-mail, di persone che si vogliono complimentare con te."
Malgrado la medicazione il Primo Ministro sorrise. "Non posso negare che tu abbia reso un servizio al tuo paese e ai nostri alleati, anche se hai corso un rischio troppo grande. Ti rendi conto che avresti potuto colpire anche me?"
Ami ricambiò il suo sorriso, parlando per la prima volta da quando l'avevano arrestata. "Signor Primo Ministro, immagino che lei non abbia guardato tra gli effetti personali che mi hanno sequestrato, vero? Perché non ci dà un'occhiata? Sono lì sul tavolo, divisi in buste di plastica. Vuole girare, per favore, quella che contiene quel foglio?"
Gli occhi della ragazza non lo lasciarono un secondo, mentre prendeva in mano la busta in questione. Le venne voglia di ridere, quando un solo sguardo alla pagina sgualcita, lì contenuta, lo fece sbiancare. L'uomo si girò verso Ami, con lo sguardo vacuo che probabilmente doveva avere inalberato anche lei quando aveva ricevuto l'ikigami. O così le piacque pensare.
"Io non mi sbaglio mai, signor Primo Ministro. Com'è stato sapere che la morte l'ha sfiorata per davvero, per colpa di una legge del suo stesso paese, signor Primo Ministro?"
L'uomo non perse tempo a risponderle. Fuggì dalla stanza sbattendo la porta, mentre Ami abbassava la testa e, finalmente, si lasciava andare ad un pianto liberatorio.
'Leggerai il mio nome sui libri di scuola, nipotina mia.'

Ami Kitamura, di anni 24, morì serenamente in un tardo pomeriggio di inizio giugno, nell'ora stabilita, senza avere detto una sola parola, o avere fornito spiegazioni per il suo gesto.

***

Due giorni dopo


"È assurdo, ti rendi conto che avrebbe potuto far scoppiare una guerra?"
Kengo Fujimoto vide il suo capo portarsi alle labbra un'ennesima dose di sakè, mentre al televisore sopra di loro scorrevano le immagini di un programma sul caso Kitamura. I giornalisti si erano buttati come sciacalli sul fratello di lei, il quale non faceva altro che maledire la sorella per l'incoscienza del gesto che, tra le altre cose, li aveva privati della pensione spettante ai famigliari di un destinato al decesso.
"Eppure dovrebbero saperlo" esclamò di nuovo Ishii. "Che chi commette un omicidio nelle ventiquattr'ore perde il diritto alla pensione."
Vicino a lui, la psicologa dell'anagrafe scosse le spalle. "Non credo che le interessasse. Il profilo psicologico di quella donna rivela che era affetta da megalomania, con la fantasia ricorrente di entrare nella storia. Avrà creduto di riuscirci ammazzando uno dei tanti dittatorucoli in circolazione, un po' come succede in quei libri di fantascienza..." la voce impastata dall'alcool deragliò, e la donna appoggiò il capo sul tavolo.
"Libri?" chiese Kengo, indeciso se ascoltare il telegiornale o le chiacchiere dei suoi colleghi. Adesso lo schermo mostrava un'imponente manifestazione davanti alla Dieta, mentre dentro i rigidi protocolli del cerimoniale erano rotti da rappresentanti che sembravano insultarsi.
"Erano piuttosto famosi quando ero giovane" gli rispose Ishii. "Raccontavano di gente che tornava indietro nel tempo con l'intento di ammazzare Hitler, così che la Seconda Guerra Mondiale non dovesse mai scoppiare."
"Ridicolo" gli fece eco la dottoressa Kubo, imbastendo un discorso sorprendentemente coerente per una nel suo stato. "Quella guerra ha avuto ragioni profonde che esulano dall'esistenza o meno di una sola persona. Anche se lui fosse morto, la guerra difficilmente avrebbe potuto essere evitata."
"Ma non puoi negare che lui sia stato il catalizzatore" ritorse Ishii, ingollando altro sakè. "L'esistenza di quella persona ha cambiato la storia. È indubbio."
Le telecamere del telegiornale ora inquadravano il Primo Ministro, insistendo impietosamente sulla medicazione che ancora campeggiava sul suo viso.
Kengo lo guardò negli occhi. L'uomo non sembrava essersi ancora ripreso da quello che gli era successo.
'Voleva essere ricordata come un'eroina, ma si è guadagnata la fama di una pazza omicida. Eppure era davvero questo che voleva? La voce al telefono era dura e competente, non certo quella di qualcuno che perde la calma in quel modo. Ne succedono di cose strane ai destinati al decesso: persone che si vendicano dei torti subiti, gente che si suicida immediatamente, altri che impazziscono; ma lei era un soldato, abituata dopotutto ad avere a che fare con la morte giornalmente.'
Mentre i suoi colleghi sprofondavano nell'oblio alcoolico Kengo focalizzò la sua attenzione sul Primo Ministro. I giornalisti, adesso, lo stavano tempestando di domande.
"Il Gabinetto ha convocato la Dieta urgentemente. Questo è un problema che non può essere più rimandato..."
Qualcuno nel locale strillò, e Kengo si perse la domanda successiva. Ma vide, per un attimo, un lampo di nervosismo nello sguardo del Primo Ministro. Qualunque cosa gli fosse stata chiesta, la risposta fu veemente.
"Si rende conto di quanti sono i minori di ventiquattro anni che in questo paese guidano i treni, lavorano nelle centrali nucleari, e sono impiegati in ogni genere di attività pericolosa? Che facciamo, li lasciamo tutti a casa per impedirgli di fare sciocchezze? Vorrebbe dire deresponsabilizzare un'intera generazione. Il contrario di quello che si voleva ottenere quando la legge per la Prosperità Nazionale fu introdotta."
I vicini di tavolo di Kengo improvvisarono una sessione di karaoke, rendendo inudibile il televisore. Ma al ragazzo non importava, aveva già sentito abbastanza e, finalmente, il gesto di Ami Kitamura gli parve acquistare un senso logico.
'Hai ucciso l'iraniano davanti al Primo Ministro per fargli capire quanto facilmente la cosa sarebbe potuta accadere a lui, non è vero? Deve essere stato uno shock sapere che da quel momento in poi la sua vita sarebbe stata appesa ad un filo, per qualcuno che non ha mai sperimentato sulla propria pelle gli effetti della legge per la Prosperità Nazionale. Il Primo Ministro è sempre stato uno dei più accaniti sostenitori, e chissà quanti politici che pensano lo stesso ora si sentiranno nel mirino di chi, come quella ragazza, non ha niente da perdere.'
Sullo schermo campeggiarono di nuovo le immagini della folla. Erano prevalentemente giovani e, aguzzando le orecchie per superare i canti sguaiati dei vicini, Kengo poté sentire il nome che scandivano, e che spiccava sui cartelli che le telecamere cercavano disperatamente di non inquadrare, senza successo.
L'uomo sollevò il bicchiere, brindando a quel nome.
'Buona permanenza sui libri di storia, Ami Kitamura.'

***


Note
1 Shaken: dardi a forma di stella, scagliati manualmente imprimendo al proiettile un moto rotatorio.
2 Kunoichi: ninja di sesso femminile.

Grazie a Shainareth per la paziente opera di betaggio ^^

  
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