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Autore: Hitsuki    05/01/2015    3 recensioni
{ introspettivo; avventura; malinconico/nostalgico; angst }
Delle stelle bianche si rincorrevano sulle note di un vento gelido, mentre alcune di esse le sferzarono il viso con veemenza; ricordavano molto gli schiaffi che si danno ai bambini irrequieti, sebbene era le neve in subbuglio e non lei - a dir la verità negava l'altalenante caleidoscopio di emozioni al suo interno: preoccupazione, curiosità, rabbia, meraviglia ma soprattutto tanta malinconia. La neve era prepotente, impetuosa, libera si librava come una piuma fra l'aria rarefatta e continuava la sua scalata verso il Cielo alla ricerca di onore e maggiore potenza. Gaia pensò rapidamente a una plausibile allegoria della neve, ma non riuscì a delinearne né i lineamenti né tantomeno il sesso; su una cosa però non aveva dubbi, se la neve fosse stata una persona di sicuro sarebbe stata molto nostalgica. ×
Si aprano le danze dei mortali rinchiusi in gabbie dorate, che inciampano nei propri Destini intrecciandosi in quelli altrui.
[ • Barocco!AU ]
[ • possibile innalzamento del rating ad arancione | iscrizioni ad OC chiuse. Grazie a tutti per aver partecipato! ]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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#prefazione ;

Eccoci con un nuovo aggiornamento. Ho davvero, davvero, fatto del mio meglio per aggiornare in estate, ma un problema ha bussato alla porta del mio cervellino: il tanto famigerato blocco dello scrittore. Ma non inteso come "Oh, cosa posso scrivere?", la trama l'avevo bene in testa, piuttosto mi ha dato serio filo da torcere il mio stile di scrittura. Inizialmente trovavo le mie descrizioni ancora da migliorare, ma il problema passò dopo un mesetto; il vero problema venne dopo. Trovavo le mie descrizoni inutili, troppo esagerate… troppo, semplicemente. E il troppo stroppia. Giusto per essere a tema: Barocco Rococò. Per fortuna il problema è passato, e ne sono uscita fuori meglio di prima! Lo spero, ahah. Quindi mi dispiace per non aver aggiornato in estate, ma in fatto di scrittura è stato un periodo un po' no. È ovvio che, in estate, anche l'ispirazione vuole una vacanza. Ah, quella maledetta! Spero comunque di rifarmi, sebbene come sempre i miei aggiornamenti saranno lenti! Innanzitutto le descrizioni di Firenze saranno più dettagliate, con particolari e nomi di Vie già esistenti - anche perché essendo andata, quest'anno, proprio lì (e amandola follemente~) ho preso appunti. Sto tentando di fare del mio meglio per dar l'idea di "Firenze" durante la lettura e non di una qualsivoglia città random—! Poi. Questa volta è il turno di Gaia Capoleti, OC di B i a n c a_ (ex T o u k o), già apparsa in precedenza; allegra, vivace e dalle emozioni "forti" - può passare dalla spensieratezza alla rabbia in poco. Approfondirò il rapporto fra Gaia ed IA in seguito, intanto in questo capitolo s'affermerà in particolare il rapporto fraterno fra Gaia ed, appunto, il fratello. A grandi linee - e qui B i a n c a_ mi ha dato carta bianca (chiedo perdono per la ripetizione orz), quindi spero di aver caratterizzato bene il fratello: ho optato per un rapporto in cui non mancano battibecchi per i caratteri testardi di entrambi, ma che in fondo nasconde molto affetto. La sorte dei genitori - anche qui, non essendo stata specificata ne ho scelta io una per loro ma è plausibile considerata l'epoca, quindi don't worry - l'ho voluta lasciare avvolta nel mistero, sebbene la scena piuttosto nitida e un po' cruda proprio come la neve, ma naturalmente verrà svelata in futuro. E sì, è un po' cruda, ma nulla di troppo traumatizzante,, massimo massimo, rating giallognolo tendente all'arancio. Be', buona lettura allora!

La morte tinge di scarlatto la neve immacolata.
Atto III — Il Profumo di Marzo { Memorie }

Gaia terminò di suonare e, come il cinguettio dei cardellini1 che sfuma con l'avvenire dell'inverno, cessò anche il timbro brillante e un po' grave del suo strumento musicale. Abili le mani s'erano posate con delicatezza e al contempo decisione sulle chiavi2, facendo riecheggiare in tutto il teatro la maestria della musicista che stendeva un'atmosfera di velato stupore negli occhi degli ascoltatori.
   Sorrise per un attimo, prese i lembi della gonna parzialmente ricoperta di pieghe disordinate e fece un breve inchino rivolta alla folla.
   
Un applauso via via sempre più concitato le provocò un lieve rossore sulle guance che tentò al più presto di celare; anche Margherita, la giovane donna precedentemente conosciuta, parve apprezzare l'esibizione - ne fu felice, era sicuramente una persona molto pretenziosa.
   
Le ciocche viola di Gano apparvero e con esse il suo volto soddisfatto che si fece strada sul palco; s'inchinò anche lui, prima rivolto agli ascoltatori e poi a lei.    
«È stato un onore» le disse, sorridendo - eppure, pensò Gaia, in quel momento Gano sorrideva solo con gli occhi e lei si sentì a disagio.    
«Il piacere è tutto mio» rispose raggiante, tenendo stretto fra le sue mani il suo strumento come una madre fa con il figlio in fasce; con un veloce movimento del capo si congedò, scese le scale che la fecero abbandonare il palcoscenico ed esclamò: «Grazie, grazie a tutti per aver ascoltato! Spero di essere stata una buona sostituta». Qualche risata si levò fra il pubblico, mentre gli applausi divennero ancora più miti come la personalità limpida della musicista. Ritornò sul palcoscenico, compiaciuta, scomparendo alla vista delle altre persone. A poco a poco la musica interpretata da Gaia divenne un debole spirito, e il Demone del silenzio sarebbe arrivato sorretto dal bastone dell'autorità se non fosse stato per Margherita.     
«Complimenti, la tua esibizione è stata davvero ottima». Margherita era sul palcoscenico e si diresse verso le quinte spostando la tenda vermiglia di velluto, pronunciando le parole non appena le sue iridi trovarono i capelli color miele di Gaia. Quest'ultima si voltò, dapprima leggermente stupita, poi compiendo un nuovo breve inchino e ringraziandola.    
«Felice di averti allietato!» l'altra non fece in tempo a rispondere che lei continuò. «Certo che questo periodo storico è perfetto per te. "Margherita" significa "perla" in greco e il nome "barocco" deriva dalla perla "barroco"3».
     
Margherita accennò un sorriso, facendo un breve cenno d'assenso con il capo. Stava per lasciare le quinte, ma di nuovo l'altra la interruppe. «Ah, potresti aiutarmi?».
   
Stavolta, lo stupore della giovane rimase impresso sul suo volto; traspariva dai suoi occhi una leggera nota di curiosità mista a dubbio. «Certo, tenterò di fare del mio meglio».
   
Gaia sorrise. «C'è un indovinello che mi ronza in testa da tempo, ma non riesco a trovare la risposta esatta. Qualsiasi cosa penso mi sembra imperfetta, incompleta; e visto che sembri perspicace, ne approfitto per chiedere il tuo parere».
   
Quando ella pronunciò le parole dell'indovinello dopo il consenso di Margherita, questi subito venne accolta da una ventata di memorie - aveva studiato in passato quell'indovinello, ne era certa. Era indubbiamente l'Indovinello Veronese, ma come acqua fra le mani la risposta all'enigma le sfuggiva.

Se pareba boves, alba pratàlia aràba
et albo versòrio teneba, et negro sèmen seminaba4
«Mh, ci penserò. Se troverò una risposta te lo farò sapere».
   «Grazie mille! Sono in Via dei Belli Sporti, numero quattordici.5 Vicino alla Basilica di Santa Trinita, puoi notare subito la mia casa perché la loggetta di intermezzo a destra ha una colonna di stile dorico e non ionico.6 Quando ci siamo trasferiti lì l'abbiamo trovata già così, e ancora non sappiamo il perché…».    Margherita annuì. «… Ti fidi così tanto delle persone?».
     La giovane rimase un attimo in silenzio ed abbassò lo sguardo, mentre artigli invisibili composti dalle sfumature rosse del sangue e bianche come la neve presero le sue spalle per trascinarla in un vortice di memorie. Alzò il capo ritornando allegra e spensierata. «Diciamo che mi sembri una brava persona e Carlo m'ha parlato davvero bene di te. Ho avuto modo di chiacchierare con lui e sembrate molto affiatati. È così?».
   Per un attimo le gote candide di Margherita si fecero purpuree, ma presto la tinta svanì facendo ritornare la carnagione chiara. «Sì… siamo in buoni rapporti. Bene, posso congedarmi. Penserò all'indovinello».
     «Grazie! Alla prossima!». Gaia alzò il braccio per salutare quella che si potrebbe definire una nuova amicizia, poi l'abbassò.     Era davvero così ingenua? Ripensò a quel giorno.
I colli dei suoi genitori erano decorati in modo macabro da una corda spessa e rigida, mentre i piedi non riuscivano a toccare la superficie di legno. Altri condannati li attorniavano, erano due che la bambina non aveva mai visto in vita sua; ma il loro sguardo vitreo e le labbra socchiuse volte ad innalzare una preghiera le strinsero il cuore in un morsa. Osservò la punta delle sue scarpe in cuoio poco dopo aver contemplato per l'ultima volta sua madre e suo padre e il fratello maggiore la circondò con un braccio ricoperto da polvere e fango misto a lacrime. Di sicuro s'era messo a piangere anche lui, nella sua stanza nell'ala Ovest ormai rovinata; ma di certo non versò lacrime per l'ampia camera del Castello ormai perduta - la sua sofferenza fu tutta diretta ai suoi genitori, le piante esotiche e le decorazioni dorate non gl'interessavano.
   Percepì un'altra mano e Gaia vide le dita del nonno districarsi sulla sua spalla come radici; Gaia comprese, e sotto la luce e il caldo afoso parve che i raggi del sole le iniettarono dei pigmenti biondi nelle iridi.
     Perché le suppliche degli amici della sua famiglia -  perfino degli amici provenienti dalla Spagna, quel Paese che proprio quell'anno Gaia avrebbe dovuto visitare per suonare il flauto traverso se non fosse stato per la morte dei genitori - non aveva saputo persuadere loro? Perché addirittura la folla, sangue del loro sangue, approvò una morte tanto ingiusta? E lei, quando avrebbe trovato una risposta a tutto ciò? Le venne la nausea pensando di nuovo a quello strano odore metallico che inebriava le narici e di nuovo: ai corpi abbandonati a una corda, alle lacrime versate silenziosamente dal fratello, alle punte rovinate delle sue scarpe e al sole che clemente, dal Cielo, osservava la loro fuga. Il Cielo che un giorno le donò Mia.
   Una serva di una famiglia in buoni rapporti con la sua, che decise di abbandonare per sempre le vie della sua città - della loro città - per seguirli a Firenze. Quella ragazza che tanto avrebbe voluto stretta a sé, ma che nessuno le avrebbe mai permesso di amare.
   Gaia era ricambiata. Lo sapeva.
     Il problema era che più le loro mani s'intrecciavano, più percepivano distante la speranza e il caldo sole di Napoli. Almeno potevano fuggire dal triste passato della famiglia Capoleti.
«Gano, io vado!».    
   «Certo, Gaia! A domani con il concerto alle otto in punto!». Avrebbe suonato con l'orchestra partecipando all'esecuzione di un'opera buffa.    
   La fanciulla aveva già inserito il flauto traverso nell'apposito contenitore e indossato la mantella nera; strinse il laccio di seta attorno al collo scacciando il più in fretta possibile il ricordo della corda degli impiccati, e in poco tempo il nodo si trasformò in un resistente fiocco. Uscì dalle quinte e si bloccò un attimo.
   Il palcoscenico era terribilmente maestoso, senza nessuno all'infuori di lei e il silenzio suo maestro d'orchestra. Quando ricominciò a camminare la suola delle scarpe le sembrò una dolce melodia senza accompagnamento, sola ma concisa, che tentava di affrontare l'enormità del teatro - le ricordò vagamente il ticchettio delle lancette di un orologio. Deglutì vedendo lo sguardo arcigno di una statua, rimase affascinata da un affresco Medievale raffigurante l'Ultima Cena - e qualcosa le fece pensare che quella sarebbe stata l'ultima volta in cui avrebbe avuto notti insonni, come in un requiem -, si preparò a spingere la porta in legno. Anche quel portone era spettacolare, tutto - dai cardini al legno stesso - brillava di esuberanza e spiccata grandiosità. Per poco i suoi occhi risplendettero di gioia di fronte alla bellezza di ciò che la circondava, e ancor più si meravigliò pensando a ciò che l'uomo poteva creare se armato di buona volontà.
     Con un po' di sforzo, la porta si aprì. Precedentemente aveva udito fra il pubblico che fuori nevicava e un brivido l'accolse: chissà com'era la neve? Se la immaginava decisa come la pioggia, densa come la grandine e leggera come i raggi solari. Era sicura che fosse trasparente, il riflesso di ciò che la circondava, proprio come la pioggia, ma si dovette ricredere.
   Delle stelle bianche si rincorrevano sulle note di un vento gelido, mentre alcune di esse le sferzarono il viso con veemenza; ricordavano molto gli schiaffi che si danno ai bambini irrequieti, sebbene era le neve in subbuglio e non lei - a dir la verità negava l'altalenante caleidoscopio di emozioni al suo interno: preoccupazione, curiosità, rabbia, meraviglia ma soprattutto tanta malinconia. La neve era prepotente, impetuosa, libera si librava come una piuma fra l'aria rarefatta e continuava la sua scalata verso il Cielo alla ricerca di onore e maggiore potenza. Gaia pensò rapidamente a una plausibile allegoria della neve, ma non riuscì a delinearne né i lineamenti né tantomeno il sesso; su una cosa però non aveva dubbi, se la neve fosse stata una persona di sicuro sarebbe stata molto nostalgica.
   Scesi gli scalini poggiò con titubanza i piedi sulla neve ma subito affondò; mise le mani sugli avambracci alla ricerca disperata di calore, rimpiangendo l'afa della sua città - di certo non era abituata a quel clima rigido e ferreo.
   Una coltre bianca ricopriva i tetti come un'enorme ragnatela ove le nuvole erano ragni minacciosi e pensò immediatamente al fratello pittore; avrebbe dovuto immortalare quel paesaggio denso di mistero, sebbene la neve pareva senza segreti era attorniata da una strana aura di riservatezza.
     I piedi si abituarono un po' al gelo di quella distesa e lentamente, passo dopo passo, vicolo dopo vicolo arrivò a piazza San Marco. Da essa di diramavano più vie e comparì davanti alla sua vista qualche persona diretta anch'essa verso casa.  Solitamente osservava la chiesa nella piazza con curiosità; la facciata era vuota, spoglia, e le piaceva pensare a quando sarebbe stata dipinta completando la chiesa. Considerando il proseguimento di essa, azzardava a pensare che sarebbe finita attorno al Settecento.
   Voltandosi verso la Via San Leopoldo7 si ricordò che il giorno dopo sarebbe stato meglio comprare qualche medicina, in particolare per il nonno; la Farmacia San Marco era gestita da persone aperte e gentili, dalle parole enfatizzate dal tipico accento locale, ben nota a tutti soprattutto per i vari elisir e l'alchèrmes - apprezzato, in passato, addirittura da Lorenzo il Magnifico. Era quindi una farmacia rinomata, con vari impacchi e preparazioni curative create fin dal lontano Quattrocento dai fedelissimi Domenicani. Ritornò sui suoi passi.
   C'era un giovane che mai aveva visto nella zona, ma non se ne curò particolarmente; doveva essere stato attratto dalle bellezze di Firenze, come molti degli artisti. Probabilmente Gaia s'era interessata a lui solo perché i suoi ciuffi corvini che spuntavano fuori dal cappuccio creavano un effetto contrastante con la neve.
    «Mi scusi!» il fanciullo le parlò e Gaia si destò un poco. Egli rimase interdetto, ma s'affrettò a rispondere: «N… non volevo spaventarla».
   «Ma no, ma no, si figuri!» poggiò una mano sulla testa, sorridendo imbarazzata. «Mi dica, di cosa ha bisogno?».
   «Mi sa dire dov'è Via di Belli Sporti?». Pareva piuttosto stanco, infatti fra le varie parole ci fu un intermezzo colmato con molti sospiri atti a riprendere fiato. Eppure sembrava una persona abituata a quel clima.
   «Guardi, sono diretta proprio lì. Se vuole, l'accompagno».
   Il vagabondo sorrise, giungendo le mani sprovviste di guanti. «Grazie mille! È davvero una persona affidabile».
   Gaia arrossì; in molti si complimentavano con la sua bravura nel suonare, ma in pochi elogiavano la sua gentilezza e disponibilità. Anche quel ragazzo sembrava una brava persona, sebbene un po' riservata.    
I due s'incamminarono, Gaia poco più avanti dell'altro, imboccando una strada adornata da negozi chiusi per la troppa neve.
«Ecco: Via de' Tornabuoni. È stato veloce, no?».    
«Sì. Grazie mille, non sapevo proprio quale fra le vie era esatta e m'imbarazzavo a chiedere alle altre poche persone nella piazza… m'osservavano tutte in modo diffidente».     
«Non ti preoccupare se ti squadrano dall'alto in basso, c'è gente che è fatta così». Subito portò una mano alla bocca quando vide che l'altro la osservò incuriosita: era così abituata a dare del tu che le veniva spontaneo! «Ehm… Mi scusi…».     
Tolta la leggera curiosità, il ragazzo le sorrise un poco. «Ma no, di cosa?  E comunque, c'è davvero gente che non sa cos'è l'umiltà; suvvia, bisogna perdonarla. Come dice la Bibbia: "Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli", anche se rimango del parere che i Peccatori si trovino all'Inferno».     
«Già». Non sapeva bene cosa dire, né cosa spingeva il vagabondo a dar perdono alle umiliazioni della vita, e l'unica cosa che riuscì a pronunciare esalò pesantemente dalle labbra per la sua troppa puerilità e la forza della neve che la sopprimeva, quel "Già" appena accennato.    
«Bene, io allora dovrei andare». L'incappucciato mosse con disinvoltura i piedi, nonostante la neve sempre più fitta. «So dove dirigermi, era solo la via che mi dava filo da torcere. Grazie ancora».    
«Arrivederci! Ah, posso sapere il tuo— il suo nome?».    
Rimase un attimo in silenzio, smettendo di camminare ed abbassando il volto. Il suo cappuccio seguiva il movimento della neve dirigendosi verso Est, ed egli lo dovette trattenere con una mano - non possedeva neppure dei guanti, Gaia se ne accorse solo in quel momento - per reprimere la sua ribellione. Gaia fece per parlare, ma finalmente l'altro rispose.
     «… Corrado8». Mosse i piedi più velocemente tentando invano di correre, mentre il cappuccio riuscì a scivolare dalle sue mani mostrando dei capelli color carbone se non di un nero ancora più lucido; probabilmente erano levigati dall'ossidiana. Li portava corti se non per qualche ciuffo che quasi sfiorava le spalle, ma stranamente Gaia li percepiva quasi femminili nel loro incorniciare il suo volto. Per un attimo vide l'intera figura con fattezze e gesti più femminili che maschili, fra quei fiocchi di neve che giocavano con la verità e la falsità - se mai quelle due cose fossero esistite per davvero.
     Scrollò le spalle, smettendo di pensarci. «Io mi chiamo Ga—».
   Scomparso.
   Quel certo Corrado era già verso il tortuoso cammino che lo portava a una meta a lei sconosciuta. Ancora una volta si ritrovò ad alzare incertamente le spalle, sorridendo impercettibilmente.
   Gaia si voltò ed s'aspettò di trovarsi davanti il portone del teatro, per poi ricordarsi che la porta della sua casa era ben altro. La maniglia era lucida e brillante, dorata come il Pomo d'Oro di Venere, ma la neve la ricopriva via via sempre più insistentemente col suo gelido risplendere creando delle impercettibili chiazze umide sulla superficie; la porta non era priva di intarsi ma essi erano ben lungi da quelli del teatro - certamente creati da un artista dall'estro superiore alla media. Non apprezzava il legno utilizzato per intagliarla, le pareva troppo scuro e buio. Evitò altri pensieri - grazie perlopiù all'appoggio della neve, che trasportò chicchi bianchi sul suo corpo con maggiore forza -, portò la mano su quella porta dal legno mai apprezzato e diede un colpo prolungato ed uno più secco, arido, così veloce e inafferrabile che nessuno provò mai ad ascoltarlo seriamente. La porta s'aprì e la neve investì il fratello di Gaia che girò la maniglia per farla entrare.
   «In fretta, in fretta!» si ritrovarono a dire all'unisono, la prima quasi gridando e l'altro sussurrando tanto che il vento gli rubò il fiato. Con un balzo Gaia venne accolta dall'atmosfera casalinga e rinascimentale della casa, mentre l'esterno veniva abbandonato con l'ausilio della porta chiusa frettolosamente dal fratello.
   «Lorenzo, non avevo mai visto la neve! È così… così…».
   «… Tangibile?». Effettivamente, la neve aveva qualcosa di magico; non aveva mai visto, né tantomeno provato sulla pelle, un evento atmosferico che fosse così crudo e realistico da portare i fiocchi di neve stessi in un'altra dimensione. Se Gaia provava a correre fra la fredda coltre biancastra, veniva incatenata dal terreno impassibile e lei rabbrividiva; e la neve sembrava un uomo acido, anziano, severo e arcigno. Se tentava di sfiorarla con la punta delle dita, essa a contatto con il suo calore si scioglieva; e la neve pareva una bambina fragile tanto da diventare da acuminata scheggia a gelida goccia d'acqua. Allora cos'era, esattamente, la neve?    
   «… Inafferrabile». Gaia avrebbe voluto gridare e urlare e inveire contro quell'evento atmsferico, ma era impossibile per tutta l'ammirazione che coltivava nei suoi confronti. E allora avrebbe voluto sfogarsi ancor di più, ma ancor di più il tutto le pareva un Paese di Cuccagna. Come in un ciclo le due emozioni principali si susseguivano ritmicamente, sotto la guida del battito frenetico del suo cuore.
     «Mh…» Lorenzo era dubbioso, ma non volle aprire un dibattito sulla neve - forse ebbe gli stessi pensieri di Gaia - archiviando quella discussione superflua. Era nel suo spirito avere sempre qualcosa da ridire, ma col tempo i pennelli scalfirono un poco il suo carattere ribelle rendendolo più versatile e quieto. «Però tu la neve l'hai vista, una volta, anche se non te lo ricordi».
   «Lo so, lo so…». E dire che era nata a marzo. Per quanto avrebbe voluto essere accolta da raggi filtranti attraverso le finestre aperte, purtroppo lei venne incoronata da una lieve nevicata - dal debole pulsare che accompagnava il suo lieve respiro. Era vincolata alla neve e un giorno ne avrebbe compreso il motivo. «Dov'è Mia? E il nonno?».
   «Mia sta cucinando, è meglio non disturbarla». Gaia tentò di non digrignare i denti, ma un meccanismo naturale rese vani i suoi sforzi. Era proprio in quei momenti che Mia e Gaia erano più libere dal Peccato, da Lorenzo, dal nonno e dalla neve. C'era un'aura chiamata "Amore" ed attorniata dal loro respiro tanto debole come quello di Gaia quando nacque, che le proteggeva dalla fragilità e dalla durezza esterna. Lorenzo continuò, senza accorgersi di tutto ciò. «Quanto al nonno, è ancora a letto». Subito la ragazza si preoccupò, i suoi occhi ebbero delle sfumature gialle e le nocche sbiancarono.
   «Che è successo? Sta male? Lorenzo, rispondi!» stava per alzare il tono della voce, ma il fratello l'ammonì.
   «Ma no, se per una volta mi lasciassi finire di parlare!» tentò di rimproverarla, ma dagli occhi si notava che era divertito. Gaia arrossì perdendo le sfumature giallognole e sussurrando uno "scusa" accennato fingendo anch'ella di essere arrabbiata. Lorenzo sospirò affettuosamente. «Gli piace la neve. Forse è per quello che ha subito provato simpatia per te».
   Gaia sussultò, ancora più contornata da tinte cremisi sulle guance, osservando imbarazzata il fratello nuovamente divertito. «E davvero al nonno piace la neve?».
   «A quanto pare. In fondo anche lui è un po' malinconico… e poi… poi, i nostri genitori, sai…». Silenzio imbarazzante e subito Lorenzo si discostò dal discorso appena spuntato dalle sue labbra, ingoiando i tristi ricordi. «Ah, non pensiamoci! Dai, va' ad aiutare Mia se proprio vuoi, ma prima va' dal nonno. Voglio vedere se stavolta impari a cucinare!».
   Gaia incrociò le braccia sotto al seno, inarcando un poco le schiena e scaricando tutto il suo peso solo sui talloni. «Quanta spavalderia! Vedrai, ti preparerò una leccornia che ti renderà avido delle mie prelibatezze».
   Continuarono un poco a scambiarsi battibecchi fraterni, ma Gaia si fece sempre più distante e le parole divennero immediatamente un'eco soppresso dalla neve. La neve. Gaia strinse un poco le palpebre e il suo campo visivo divenne più sfocato, ma la neve continuava brillante a bussare alla finestra per volerla tormentare maggiormente. Era una sfida, per caso? Se lo fosse stato, Gaia avrebbe già perso in partenza.
   Voleva tanto la primavera, la gioia di vivere, la leggerezza del proprio corpo, il potersi librare nell'aria anche lei come la neve in un clima più tiepido ma dal sole non troppo cocente. Sognava di poter rivedere la primavera proprio in quel momento.
   E così, sperò di poter al più presto percepire il Profumo di Marzo.
***
notes ;
• 1 — "il cinguettio dei cardellini"; non è stata una scelta casuale, infatti il flauto traverso venne utilizzato da Vivaldi per imitare il canto dei cardellini nell'opera "Il cardellino".
• 2 — "chiavi"; i tasti del flauto traverso.
• 3 — "Margherita […] barocco"; citando Wikipedia, perché non ho voglia di spiegarlo io: "Deriva dal portoghese barroco, con riferimento ad una perla irregolare". È una delle tre ipotesi cui deriva "barocco" e subito ho pensato a questo accenno al nome Margherita.
• 4 — "Se pareva […] seminaba"; "Teneva davanti a sé i buoi, arava bianchi prati, e un bianco aratro teneva e un nero seme seminava". Per più informazioni, here. (ammetto che sono curiosa di sentire le vostre risposte all'indovinello ohohoh)
• 5 — "Via dei […] quattordici"; Via de' Tornabuoni. Ho scelto il numero quattordici in riferimento alla presa della Bastiglia nella Rivoluzione Francese: così come la Rivoluzione fu una delle grandi svolte storiche avvenuta in un periodo storico non troppo lontano, la svolta arriverà stravolgendo la quiete con l'arrivo della neve.
• 6 — "loggetta […] ionico"; la casa di Gaia è stata costruita durante il periodo Rinascimentale (ma è tutta di pura fantasia, non esiste veramente), e buona parte delle costruzioni avevano le loggette disposte sopra (con le colonne in stile corinzio), a metà (di stile appunto ionico) e sotto (dorico, dove alloggiava la servitù). Per farvi un'idea, click (sì, mi sono ispirata a Palazzo Rucellai).
• 7 — "Via San Leopoldo"; darà vita, unendosi alla Via Larga, a Via Cavour.
• 8 — "Corrado"; è l'OC di Claireroxy, Angela, che è obbligata - nel capitolo dedicato a lei naturalmente approfondirò - a fingersi un ragazzo.

note finali ;

… Olè! Come potete notare (cioè, lo spero) inserisco dettagli che rendono l'ambientazione più realistica; perché il lettore deve capire che la storia è nel Seicento (1688, per la precisione), insomma. È dovere dello scrittore rendere bene questa cosa. E io adoro il Seicento e il Settecento. I mean, il Seicento/Settecento (anche se il Settecento rimane imbattibile, Seicento scuss) è il mio periodo storico preferito in assoluto. Ma evitando, come già scritto ho avuto questo blocco che mi permetteva di scrivere solamente fanfiction "semplici" e dai temi meno seri. E ho, adesso, anche una perfetta connessione ad internet illimitata. Ahhh, meno male! Il mio computer Adaloaldo (figlio di Agilulfo e Teodolinda, fratello di Gundeperga, potete ben immaginare quanto sia egocentrico) approva. Plus, ho gli esami e non vedo l'ora di finirli lmao Maaa sono più forte che mai! Ho vinto io, blocco dello scrittore, tch. Ho scritto questo capitolo in pochi giorni (ma per vari motivi non l'ho potuto pubblicare subito, grrr), revisionandolo e aggiungendo qualche descrizione nei punti più privi di esse e revisionandolo un'ultima volta tutto ben benino, ma purtroppo l'ho pubblicato solo un mese dopo. Senza contare l'impaginazione. A proposito, l'impaginazione del capitolo precedente è "sballata"? No, perché se la apro vedo tutto il testo centrato e non so se accade solo a me perché attiro la sfortuna o altro. Uhm. Direi che la finisco qui, ma sappiate che ritornerò con nuove idee in serbo /wooo/ Ho già qualche idea per il prossimo capitolo. Il problema sarà STENDERE le idee, ma ho già scritto qualcosa. Sic. Sono LENNNNNta, perché Lenno Kagamine è il mio amorino. ♡ (........ Ma sono io o i capitoli stanno diventando più lunghi— meno male,,,) Bien, grazie mille per aver letto eee al prossimo capitolo.~

Hitsuki

  
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