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Autore: Amarida    05/01/2015    5 recensioni
“Ascolta, moccioso, io conosco Cas da anni, mi ha salvato la vita più di una volta, siamo, beh, siamo amici, eppure delle sue ali ho intravisto solo l’ombra un paio di volte, figuriamoci toccarle!” disse, con il tono più calmo e gentile che riuscì a trovare. Il bambino tirò su col naso e tornò a sorridere: “Però scommetto che ti piacerebbe!” disse. “Diamine, sì!” rispose Dean senza pensarci...
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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“Ti prego, ti prego, ti prego!”
 
Che l’Impala dei Winchester viaggiasse a velocità sostenuta lungo una strada semideserta della periferia americana, circondata soltanto da campi di sterpaglie punteggiati da rare fattorie, non era una novità.
Così come non c’era nulla di strano nel fatto che Dean si trovasse alla guida, un’espressione concentrata e un vago sorriso sulle labbra, e che suo fratello Sam gli sedesse accanto, cintura allacciata e una mano a sistemarsi i capelli in un gesto abituale.
 Anche il fatto che sul sedile posteriore dell’auto ci fosse un angelo in trenchcoat che rispondeva, soprattutto se chiamato da Dean, al nome di Castiel, era diventata quasi un’abitudine.
 
La vera stranezza consisteva nel fatto che, accanto all’angelo, sedesse un bimbetto di sei-sette anni il quale continuava a tormentarlo, le manine sporche di cioccolata saldamente ancorate all’orlo del suo trench: “Ti prego, ti prego, ti prego!”
 All’ennesima occhiata smarrita di Castiel nello specchietto retrovisore Dean si girò: “Adesso basta, moccioso: se ha detto che non può non può!” disse duro, per poi tornare a guardare la strada.
 
Il bambino si zittì con un principio di occhi lucidi.
In realtà, avrebbe avuto tutto il diritto di piangere, dal momento che fino a poco prima era prigioniero in un covo di vampiri che avevano intenzione di usarlo come dessert. Aveva visto sterminare i suddetti vampiri dai due cacciatori e da Castiel, il quale, dopo aver dato il meglio dei suoi effetti speciali, stendendone un paio con due dita in una vampata di luce, aveva pensato bene di dirgli chi fosse. Da quel momento, il bambino aveva dimenticando le sue sventure e non aveva più smesso di fargli la stessa domanda: “Allora hai le ali?” “Sì” “Wow! E sono grandi, bianche e morbide?” “Veramente sono nere, ma, beh, sì…” “Posso vederle, posso toccarle?” “No!” “Ti prego, ti prego, ti prego…”
 
“Dai, Dean, è solo un bambino!” intervenne Sam.
“E allora?” rispose il fratello glaciale: “Ascolta, moccioso, io conosco Cas da anni, mi ha salvato la vita più di una volta, siamo, beh, siamo amici, eppure delle sue ali ho intravisto solo l’ombra un paio di volte, figuriamoci toccarle!” disse, con il tono più calmo e gentile che riuscì a trovare.
 
Il bambino tirò su col naso e tornò a sorridere: “Però scommetto che ti piacerebbe!” disse.
“Diamine, sì!” rispose Dean senza pensarci. “Oh, merda!” esclamò appena si rese conto di quel che aveva appena detto.
Sam scoppiò a ridere, mentre il bambino fissava il cacciatore con uno sguardo di trionfo.
E Castiel? Beh, Castiel si era rannicchiato nella sua parte di sedile e aveva sgranato gli enormi occhi blu con una delle sue migliori espressioni smarrite: “Davvero?” esalò a voce appena udibile.
Dean ebbe pietà di lui: “Sono curioso, Cas, va bene? Non capita tutti i giorni di incontrare un angelo. Ma non importa: tanto non è possibile, vero? Vero?!”
 
Quando lo vide assottigliare lo sguardo e schiudere le labbra seppe di avere combinato l’ennesimo guaio: “Beh, in effetti, un modo ci sarebbe…” disse l’angelo.
“Cosa?!” domandò Sam stupito.
“Yeah, lo sapevo!” esclamò il bambino felicissimo.
 
“Non ci ho mai provato, ma credo che se mi concentrassi convogliando parte della mia grazia nelle ali riuscirei a renderle visibili e tangibili per qualche minuto ad occhi umani senza danneggiarli…” spiegò l’angelo tranquillo. Dean lo avrebbe volentieri strangolato: Cas non avrebbe mai imparato a mentire e, come sempre, toccava a lui trovare una soluzione.
“Non se ne parla! Non abbiamo tempo: dobbiamo riportare il bambino ai suoi genitori. E poi, siamo in mezzo al nulla: credete passerebbe inosservato un tizio con quattro metri di ali sul ciglio di una strada?”
 
“Sono otto metri, credo…” chiosò Castiel. Dean lo fulminò con un’occhiata.
“Ehi, guardate laggiù” disse Sam “sembra proprio una fattoria abbandonata: forse potremmo…”
“Diamine, Sam, ma tu da che parte stai?!” lo assalì Dean esasperato, ma poi imboccò la strada sterrata che conduceva alla costruzione, cosa che fece letteralmente saltare di gioia il bambino sul sedile posteriore.
 
Castiel non fece commenti. Non disse nulla nemmeno quando scesero dall’auto, parcheggiata sul retro della costruzione. Li seguì in silenzio quando fecero tutto il giro della fattoria per controllare che fosse deserta e non ci fosse nulla di strano. Non si scompose nemmeno quando Dean scassinò la serratura di un ampio capanno per gli attrezzi completamente vuoto, fatta eccezione per qualche balla di paglia ammuffita. Si limitò ad annuire quando Dean gli chiese se il posto poteva andar bene.
 
“Ascolta” gli disse il cacciatore posandogli una mano sulla spalla “non sei obbligato a farlo, ok? Non c’è bisogno che assecondi i desideri di un bimbetto rompiscatole...”
Castiel lo guardò inclinando appena la testa: “Ma…”
“… e nemmeno i miei!” esclamò Dean comprendendo con un brivido, l’obiezione dell’angelo “sei libero di mandarci tutti a quel paese, lo sai, vero?”
“Sì, lo so” rispose Castiel serissimo.
“E quindi?” l’incalzò Dean.
Castiel sorrise dolcemente: “Non mi farà male” disse “solo, per favore, potete voltarvi e chiudere gli occhi finché non ve lo dico?” concluse rivolto a Sam e al bambino i quali, nel frattempo, avevano spostato due balle di paglia e vi si erano seduti sopra in attesa. Quindi aggiunse a bassa voce, perché solo Dean potesse sentirlo: “Devo essere sicuro di aver stabilizzato l’energia altrimenti potrei incenerirvi…”, spiegò, con la solita, surreale pacatezza. E Dean, anziché preoccuparsi, sorrise: una gabbia di matti, ecco cos’era la sua vita, pensò, prima di raggiungere gli altri già girati di spalle. Acchiappò rudemente il bambino e gli posò una mano sugli occhi, per maggior sicurezza e rimase in attesa.
 
Udì soltanto un lieve fruscio come di stoffa ripiegata, intravide una luce azzurra oltrepassargli le palpebre e sentì che la temperatura all’interno del magazzino era salita all’improvviso di tre-quattro gradi.
“Ecco, potete guardare.”
“Sì!” gridò il bambino liberandosi dalla stretta di Dean e correndo verso l’angelo, subito seguito da Sam. Dean impiegò qualche secondo prima di decidersi ad aprire gli occhi, e sentì il bambino esclamare: “Wow, sono bellissime, e grandissime e calde e morbide e…”.
“Ehi, vacci piano, moccioso non è un giocattolo!” lo rimproverò voltandosi. Poi, per un paio di minuti rimase assolutamente senza parole.
 
Castiel si era seduto a gambe incrociate nel bel mezzo del magazzino. Accanto a lui, ripiegati con cura, giacevano il trench, la giacca e la camicia; dava loro le spalle e dalla sua schiena si aprivano due immense ali di un nero lucente con riflessi bluastri circonfuse di un alone di luce azzurra.
Il bambino saltellava da un punto all’altro delle grandi ali – forse erano qualcosa più di otto metri, valutò Dean – affondando le mani tra le piume, arruffandole, accarezzandole, e tracciando il profilo delle penne remiganti, con Sam che tentava di stargli dietro per contenere il suo entusiasmo; ma anche lui, Dean lo vide chiaramente, di tanto in tanto accarezzava le ali dell’angelo, con la scusa di sistemare un poco lo scempio causato dal passaggio del bambino.
 
Dean, invece, circumnavigò in silenzio le ali senza nemmeno sfiorarle e si andò a sedere di fronte all’amico per osservarlo: l’angelo aveva gli occhi chiusi, sembra concentrato, ma tranquillo.
“Cass, ehi, Cass, stai bene?” gli domandò Dean a voce bassa.
“Oh, ciao Dean” rispose semplicemente l’angelo aprendo gli occhi, “sto bene”.
“Ascolta, puoi anche smettere ora: il moccioso l’abbiamo accontentato ed è il caso di ripartire…”
L’angelo lo guardò stupito e deluso: “Non… non ti piacciono?” disse esitante.
“Cosa diavolo?! No, no, Cas, ma che dici, le tue ali sono una delle cose più belle che io abbia mai visto solo, solo che… non c’era bisogno che tu lo facessi, davvero.”
“Ma tu hai detto…”
“Lascia perdere quello che ho detto! Non voglio che tu sprechi energia solo per compiacere un bambino!” sbottò Dean.
“E te…” disse l’angelo come fosse ovvio e, quando Dean stava per replicare lo zittì con un gesto della mano: “Ascolta me, ora: è meno difficile di quel che pensavo e nemmeno troppo faticoso. In realtà, queste non sono le mie ali ma, diciamo, una loro versione assai verisimile proporzionata al mio attuale aspetto, perché altrimenti…”
“No, Cass, ti prego, risparmiami la lezione sull’anatomia degli angeli!”
“Scusa. Quel che voglio dire è che, dopotutto, sono felice di aver esaudito il desiderio di Jonathan…”
“Chi?”
“Il bambino, Dean, si chiama così: non dirmi che l’hai dimenticato!”
Dean fece un sbuffo scocciato e colpevole che strappò a Castiel un mezzo sorriso.
“Gli sto regalando un ricordo felice che scaccerà via buona parte della paura che ha provato oggi e che lo aiuterà anche in futuro. Immagina, Dean, se la notte in cui tua madre è stata uccisa ci fosse stato un angelo a consolarti, forse le cose sarebbero state migliori.”
 
Dean guardò Castiel negli occhi e si trovò davvero a pensare come sarebbe stato affogare il dolore tra le ali di un angelo, lasciarsi avvolgere dalla luce e dal calore delle sue immense ali: non sarebbe bastato, ovvio, ma chissà, forse ora sarebbe un uomo non migliore, no, ma forse meno stanco e meno privo di speranza. Si riscosse giusto un attimo prima di diventare vergognosamente sentimentale: “Forse hai ragione, Cass, ma, quanto a me, il passato è passato, e mi sembra che quei due si siano già divertiti abbastanza: è ora di andare!” disse rialzandosi. Anche Castiel lo imitò, suscitando grida di protesta da dietro la sua schiena: “Nooo, dai, per favore: altri cinque minuti!”.
“Sei proprio sicuro che non vuoi toccarle?” Chiese Castiel perplesso.
“Non ho più sette anni” disse Dean.
“E quindi?” replicò l’angelo imperterrito.
“E quindi niente: il gioco è finito, grazie tante, si torna a casa!” esclamò il cacciatore rivolgendosi al bambino e a Sam, ma, mentre aggirava di nuovo le ali per tornare da loro, allungò una mano a sfiorarne il bordo superiore, morbido, caldo e compatto: una sensazione di pace e di forza lo pervase scendendogli fino al cuore. Castiel si voltò a guardarlo decisamente sollevato, e Dean ritirò di scatto la mano: dannato angelo!
Afferrò il bambino per una spalla e suo fratello per un polso e li fece di nuovo voltare. Vide di nuovo la luce tra le palpebre e sentì che tutto era tornato più freddo e più buio prima ancora di riaprire gli occhi.
 
“Andiamo?” domandò allora Castiel. Le ali erano scomparse e lui era tornato ad essere il solito Castiel, con la cravatta allacciata storta e l’aria da impiegato di banca.
Poco dopo erano di nuovo a bordo dell’Impala come se niente fosse accaduto: Dean guidava in silenzio, Sam smanettava con l’autoradio in cerca di musica decente e, nel sedile posteriore, il bambino dormiva tranquillo aggrappato all’angelo, mezzo avvolto nel suo trench, stringendo tra le dita una piccola piuma nera: sembrava decisamente felice. Dean sorrise ad entrambi dallo specchietto retrovisore.
Anche lui, dopotutto, era felice.
 
.......
Dovevo stirare, invece ho passato un pomeriggio su questo. E anch'io non ho più sette anni. E nemmeno quindici.
A dirla tutta, ho l'età di Dean.
Abbiate pietà!
C
  
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