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Autore: KuraCchan    06/01/2015    0 recensioni
Chi era davvero Pansy Parkinson? Nemmeno lei, forse, lo sapeva veramente. Continuava a fissare la sua immagine riflessa sullo specchio, quell’immagine che aveva imparato a sopportare ogni mattina appena sveglia ed ogni volta che, casualmente, doveva guardarsi allo specchio, ma lei non si piaceva. Non riusciva a capacitarsene. Non riusciva a credere per davvero quello che la madre le ripeteva ogni minuto, ogni ora della sua vita. Si risvegliava ogni mattina in quella stanza della sua piccola casa dove abitava sola da ormai un paio di anni, dopo la sua uscita da Hogwarts e ogni mattina si ricordava quanto fosse stata bella la sua vita nella scuola si stregoneria e quanto non lo fosse nemmeno un poco in quel piccolo cottage di campagna dove si ritrovava a vagare per ore e giornate intere, nel ricordo di qualcosa che era sfumato. Via.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Corvonero, Draco Malfoy | Coppie: Draco/Pansy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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…Quando arriva la notte e resto sola con me, la testa parte e va in giro in cerca dei suoi perché…

Sostava sul suo letto. Il piumone era morbido, comodo, piacevolmente morbido. Aveva i capelli arruffati, sparsi -per quanto fossero corti- sul materasso, la frangetta era rivolta verso l’alto e si mostrava benissimo il suo viso perfettamente ovale, di un rosa chiaro che non sembrava di quel bianco malaticcio, ma era di un pallore quasi regale, da fare invidiare una principessa.
Ricordava perfettamente come sua madre le sfiorasse il viso, le ponesse i capelli dietro le orecchie e le mormorasse quanto fosse bella, quanto fosse fortunata ad aver preso il meglio dalle due famiglie, che già solo essendo purosangue, erano perfette.
Ma lei, sotto sotto, non si sentiva così bella e perfetta come le continuava a dire, spesso e volentieri, sua madre, suo padre, tutta la sua famiglia. Sentiva che dentro c’era qualcosa che no, non andava proprio. Ad un certo punto s’alzò, mordendosi le labbra, mentre i piedini delicati e nudi sfioravano il pavimento gelido della sua cameretta nei dormitori Serpeverde che si trovavano nei sotterranei, gelidi ancor di più rispetto a tutto il resto del grande ed ultracentenario castello.


-“Sai che strano, Harry? Ho letto che Serpeverde e Grifondoro, al tempo della fondazione della scuola, erano grandi amici. Chissà se tu e Malfoy non finirete per diventare migliori amici?



“Sveglia dormiglione, hai lezione, adesso!” Grifondoro teneva gli occhi forzatamente chiusi la testa appoggiata contro il rigido tavolo d’ebano che si trovava esattamente al centro della sala professori, e quel che mancava era un bel cuscino ed una copertina per allontanarlo fermamente da ogni impegno, quella settimana. Teneva la sua mano lunga e quasi scheletrica, stretta sulla spalla, non voleva fargli troppo male, ma di certo voleva fargli capire che era ora di svegliarsi.

Che le parole nell’aria, sono parole a metà. Ma queste sono già scritte e il tempo non passerà.

Era davvero ora di svegliarsi? Lei era già sveglia, la campanella di quell’antica sveglia ad orologeria che le aveva regalato una lontana zia aveva iniziato a suonare fastidiosamente. Aveva dimenticato di staccarla, giusto. Non era nemmeno scesa dal letto per una frazione di secondo, che si era rigettata su di esso per raggiungere e spegnere la sveglia. Qualcosa, dentro di lei, le diceva di non muoversi da quella posizione calda, piacevole, eppure decise di alzarsi di nuovo, poggiare i piedi contro il gelido marmo e guardarsi allo specchio, così, al naturale, senza trucco, senza abiti finemente stirati. Solo la vera lei: Pansy Parkinson.

“Mi chiedo come Biscialiscia riesca dopo tanti anni, a sopportare quello scanzonato di Godric.” Asseriva, in quell’istante, Helga Tassorosso, mentre sistemava, poggiando il vassoio di ceramica su un alto mobiletto che le consentiva di non piegarsi o sedersi, ma di fare tutto in piedi -per quanto poteva, senza inciampare, si sapeva che la professoressa Tassorosso avesse un totale massimo di massi oltre i quali o doveva fermarsi o sarebbe inciampata-, e quel tutto, in quel caso, era sistemare una ventina di muffin dentro il suo beneamato vassoio di ceramica. Rowena la guardava con un sorriso smagliante sul viso, adorava i suoi muffin e la sua bravura nel rendere tutti felici, nel riuscire a rendere equilibrate le parti, a placare gli animi, lo era stata fin da quando era un’adolescente, lo sapeva bene.
“Helga, Biscialiscia è sempre stato bravo con i bambini!”
Le due scoppiarono a ridere, mentre iniziava il conteggio dei passi della Tassorosso per non arrivare ad inciampare con i muffin e il vassoio di porcellana.


…Prosegue nella sua corsa, si prende quello che resta ed in un attimo esplode e mi scoppia la testa. Vorrebbe una risposta ma in fondo, risposta non c’è…

Chi era davvero Pansy Parkinson? Nemmeno lei, forse, lo sapeva veramente. Continuava a fissare la sua immagine riflessa sullo specchio, quell’immagine che aveva imparato a sopportare ogni mattina appena sveglia ed ogni volta che, casualmente, doveva guardarsi allo specchio, ma lei non si piaceva. Non riusciva a capacitarsene. Non riusciva a credere per davvero quello che la madre le ripeteva ogni minuto, ogni ora della sua vita. Si risvegliava ogni mattina in quella stanza della sua piccola casa dove abitava sola da ormai un paio di anni, dopo la sua uscita da Hogwarts e ogni mattina si ricordava quanto fosse stata bella la sua vita nella scuola si stregoneria e quanto non lo fosse nemmeno un poco in quel piccolo cottage di campagna dove si ritrovava a vagare per ore e giornate intere, nel ricordo di qualcosa che era sfumato. Via.
Sentì un alito di vento, fuori dalle finestre ben chiuse. Fuori nevicava come mai aveva nevicato e soffiava anche un ventaccio. Ebbe un brivido di freddo, ma si strinse nella vestaglia e si andò a sedere, tranquilla, nella poltrona della stanza da pranzo. Vicino alla poltrona si trovava un lungo mobile di marmo e legno. Ne aprì un cassetto e da esso estrasse uno degli annuari che Colin Canon aveva organizzato, fotografando tutti gli studenti di Hogwats. Di nascosto -non si sarebbe mai fatta vedere da Draco e gli altri- gli aveva chiesto di comprarne uno, il ragazzino glielo regalò.
Quella era stata l’ultima volta che l’aveva visto, ricordava bene.
Ne sfogliò le pagine leggermente incartapecorite da quel gelido tempo e si ritrovò nella sezione dei Serpeverde. Rivide il suo amato Draco, ebbe un tuffo al cuore. Non lo ricordava così bello, certo. Non l’aveva nemmeno più rivisto, dopo la fine della scuola, ebbe un brivido, voltando la pagina. Finivano lì i Serpeverde che Colin era riuscito a fotografare, e nella pagina dopo, dopo un suo autoscatto sorridente, l’aveva visto: Harry Potter. Quasi ringhiò, nel vedere il suo volto.


-“Dai Harry! L’abbiamo fatta noi la foto, adesso tocca a te!”- Hermione lo spinge verso il muro bianco della Classe di Babbanologia, Colin stringe raggiante la sua fotocamera ed Harry mostra un sorriso quasi seccato. Il lampo esplode dall’obiettivo. Foto scattata.



“Dai, Biscialiscia, smetti di essere così categorico!”
“No.” Rispondeva Serpeverde guardandola dritta negli occhi. Nel desiderio di fulminarla con il solo sguardo. Una mano carezzava delicatamente la propria barba che sembrava sempre più un pizzetto troppo lungo, e nero come la pece.
La discussione proseguiva per ore ed ore. Rimanevano tutti e quattro, chiusi a chiave, dentro una stanza eptagonale. In ogni muro trovavamo un quadro di un mago storico e un po’ storto, rimaneva a guardarli, ogni tanto si appisolava, russava o addirittura parlava nel sonno, ma loro non se ne curavano. Si limitavano ad urlare, darsi addosso. Godric rimaneva in silenzio, le braccia conserte rimanevano strette al petto. Godric non poteva di certo contraddire le colleghe, dato che la pensava esattamente come loro, ma allo stesso tempo era ben cosciente che sofferenza Salazar, il suo migliore amico, avrebbe potuto provare. Magari avrebbe provato con le buone, doveva solo aspettare il momento giusto per alzarsi, stringergli un braccio e chiedere, per un istante, un momento di privacy fra loro, così da poter provare a convincerlo.
Le due donne si ritirarono nell’anticamera e Godric puntò i suoi occhi nei suoi: “Salazar, non pensi potrebbe essere un’idea migliore permettere anche ai babbani diventati maghi di potere entrare. Devono anche loro avere la loro possibilità, non credi?”
Salazar ebbe un moto di stizza, strinse le braccia e tese i muscoli. “Io… Com’è possibile che… Sono ore che discutiamo, non hai proferito parola nemmeno per difendermi. Ed adesso… Ed adesso fai tanto il santarellino e… e dai ragione a quelle due… a quelle due oche che hanno passato queste cinque ore a starnazzare motivazioni senza senso… Io mi fidavo di te.”
“Salazar, riflettici su. Magari inizi a comprendere che permettere ai mezzosangue e ai babbani con qualità magiche di poter entrare qui dentro, a studiare da noi, non farà altro che arricchirci, culturalmente, potremmo avere abbastanza denaro da potere assumere nuovi docenti, ampliare il palazzo… Riflettici su.”
“…” Forse stava piangendo dentro. Forse stava soltanto architettando un piano per abbattere il castello con quelle due galline dentro, forse sentiva solo la sofferenza dell’essere stato tradito dal proprio migliore amico. Un amico dello stesso valore di quel fratello che non aveva mai avuto. “Me ne vado.” Annunciò, senza guardarlo in faccia. Chiuse la porta delicatamente, scese le scale. Chiuse la porta a chiave. Quella era l’ultima volta che i due amici si rivolsero la parola.


…Lo stomaco ha resistito, anche se non vuol mangiare, ma c’è un dolore che sale, che sale e fa male…

Quei tre avevano anche fatto una foto di gruppo. Potter con quei suoi occhialetti da sfigatello e quella cicatrice che l’avevano reso tanto importante. La secchiona babbana dai capelli arruffati che sembravano quasi un nido per quaglie, e il rosso. Anche la foto puzzava di Weasley. Quella domanda sorse spontanea: “Cosa aveva, questo sfigatello occhialuto, in più di me?”
E poi un’altra domanda: “Come mai interessava così tanto a chiunque.”
Un’altra ancora: “Perché Draco l’aveva preso di mira?” Perché proprio lui e non mille tanti altri molto più banali e facili da sovrastare con la propria bellezza, il proprio amore, rispetto, fedeltà nei suoi confronti. Ogni mattina lei si chiedeva mille e mille volte, il perché di quell’interesse di Draco nei confronti di Potter. Ogni giorno, quando lei ascoltava i mille e più piani di Draco per bombardare di cacca di Troll, o mettere delle lumache vive nella pasta di Harry Potter, sentiva il proprio stomaco rigirare. Cosa aveva lui in più di me? Cosa. Cosa.

Era proprio invidiosa di tutte quelle attenzioni che Draco prestava per dar fastidio a Potter. Aveva passato gli ultimi tre o quattro anni a scervellarsi sul perché e sul per quale motivo, ma non aveva ben compreso, ancora, che doveva godersi quei momenti di gioia con lui. Quei momenti quando Tiger e Goyle li lasciavano volutamente soli, quei momenti nei quali la ragazza si ritrovava ad addormentarsi sulla sua spalla, o lui si ritrovava disteso con la testa sulle sue gambe, le sue mani che carezzavano delicatamente quei capelli del color dell’oro più pregiato.
Non sapeva che non sarebbe stato suo. Ed ora, riguardava la foto che un giorno di piena estate, Draco stesso le aveva inviato. Una foto di lui, con indosso un meraviglioso abito nero, la cravatta dei colori della sua amata casata, che la stessa Pansy gli aveva regalato, stretto ad una donna bellissima, la sua neo-sposa: Asteria Greengrass.
Sicuramente migliore di lei. Questo non era da dubitare. Ma nonostante tutto si trascinò in cucina e poggiò una mano su quell’apparecchio metallico appeso al muro. Carezzò il freddo metallo e compose quel numero che sapeva a memoria. Attese due minuti.
Squillava.
“Buonasera, sono Asteria Malfoy, con chi parlo?” rispose una vocetta stridula e leggermente irritante, fastidiosa, pungente.
“Buonasera, signora Malfoy. Sono una sua vecchia compagna di scuola, c’è Draco?”

La vita può allontanarci, l’amore poi continuerà…


Note dell' Autore
Spero vi sia piaciuta, prima di tutto.
Le citazioni in grassetto sono tratte dalla canzone "La Notte" di Arisa.
Ci tengo a precisare che le citazioni in grassetto della canzone di Arisa sono state aggiunte IN SEGUITO alla stesura completa della fanfiction. E' tutto frutto di un puro caso. <3
  
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