Ci
sono volte in cui il tuo sguardo si posa su qualcosa, totalmente a
caso, e
nella tua mente comincia a farsi strada un intricato groviglio di
ricorsi. A
voi non è mai capitato?
Io
ero seduto nel bar che gestisce la mia fidanzata, come tutte le
mattine, e
stavo bevendo il mio consueto caffè macchiato, quando dalla
porta entrò una
donna facendo tintinnare il campanello appeso di fianco
all’insegna. Un bambino
le teneva stretta una mano e nascondeva il nasino gocciolante e
arrossato dal
freddo nella manica del cappotto di lana.
Un
sorriso solcò le mie labbra e ripresi a sorseggiare il
caffè guardando fuori
dalla vetrina.
-Che
vi servo?- chiese la mia ragazza alla donna e al bambino.
-Per
me un espresso, e porti un succo alla pera per lui.-
-Certo,
volete accomodarvi?-
-Volentieri!-
La
donna si sedette nel tavolino davanti al mio e il bambino la
seguì salendo
sulla sedia con le ginocchia. -Mamma, mi prendi un cioccolatino?-
-Vedremo,
se fai il bravo!-
La
mia ragazza arrivò portando il richiesto alla coppia.
–A voi-
-La
ringrazio. Matteo, cosa si dice?-
-Grazie
signora!-
-Prego.-
Prima
di cominciare a bere il caffè la donna si tolse il pesante
cappotto nero e lo
appoggiò sullo schienale ricurvo della sedia; e fu allora
che lo vidi. Il suo
ciondolo a forma di libellula, con al centro il diamantino blu e i
brillanti
azzurri sulle ali. I ricordi mi assalirono come un’onda
anomala e mi riportarono
indietro a quindici anni fa, ad un pullman delle ore 13.40 e ad un posto sempre vuoto
di fianco a me.
Tutti
i pomeriggi la stessa storia, sempre la stessa routine. Alle 13.35
arrivava il
pullman e c’era la lotta per salire e prendere i posti,
restare in piedi non
era un’idea concepita. Io salivo sempre quasi per ultimo, non
avevo voglia di
immischiarmi in quella rumorosa ressa, ne di prendermi spintoni per un
posto
che tanto alla fine c’era per tutti.
Io
andavo a scuola in una città piuttosto lontana da dove
abitavo, quindi non eravamo
in molti a prendere quel bus. Partiva dalla stazione e dopo essere
passato per
due paesi entrava nel mio, lasciandomi alla solita e grigia fermata in
Via
Volta, sotto un gabbiotto di metallo arrugginito che, in teoria,
avrebbe dovuto
proteggere dalla pioggia.
Alle
ore 13.40 il pullman partiva dalla stazione e percorreva le affollate
strade
cittadine per fermarsi ad altre due fermate prima di iniziare il suo
percorso
verso i paesi; ed era proprio all’ultima fermata che saliva
lei.
Una
ragazza bassa e magrolina con una lucida chioma castana e due occhi da
cerbiatto. La prima volta che la vidi salire era il…sesto
giorno di scuola
della prima liceo. Lei salì guardandosi attorno per cercare
un posto vuoto, per
poi sedersi rassegnata sui gradini del bus. L’autista
accortosi del posto
libero di fianco a me la invitò ad accomodarsi, lei mi si
avvicinò e garbatamente
mi porse la più semplice delle domande
–è libero?- io annuii e tolsi il mio
zaino nero dal sedile, poggiandolo tra le gambe per farla accomodare;
lei
sorrise e si sedette togliendosi lo zaino bianco e verde dalle spalle.
Accadde
lo stesso il giorno dopo, e quello dopo ancora, e così via
per tutti i giorni.
Una
volta la vidi estrarre il libretto scolastico e scoprii che frequentava
il
secondo anno al Boccaccio, un liceo classico, quindi aveva un anno
più di me.
Ricordo
ancora la sua fermata, era la seconda nel paese prima del
mio…esattamente in
via Dante Alighieri, di fianco al negozio del ferramenta.
Ogni
giorno lei saliva, si sedeva e scendeva, non parlavamo mai, le uniche
parole
erano – Posso?-
-certo!-
Poi
io infilavo le cuffiette nelle orecchie e lei prendeva il suo libro
dallo zaino
e iniziava a leggere. Il primo che le vidi in mano fu il “De
ira” di Seneca “Con
traduzione e commento”, non potei non sorridere, una
studentessa del classico
che leggeva Seneca era come uno studente delle scienze umane che
leggeva Freud
o uno che studiava per diventare geometra che si metteva a leggere il
“De
architectura” di Vitruvio…troppo normale per
essere preso sul serio.
Passarono
i giorni e gli anni, ma le abitudini non cambiarono. Lei saliva, mi
domandava
se il posto era libero e si sedeva leggendo, ormai chiedeva per
cortesia, ma
sapeva che quel posto al mio fianco era sempre libero per lei. Eravamo
tacici
compagni di bus.
Quando
lei era assente ricordo che mi sentivo solo, e so che anche per lei era
così perché
un giorno, l’indomani del mio periodo d’assenza per
malattia, lei si sedette
dicendomi –per fortuna sei tornato, iniziavo a pensare che
avessi cambiato
scuola- non lo diedi a vedere, ma in quel momento provai
un’immensa gioia, senza
saperne neanche il motivo.
Una
volta mi accorsi del ciondolo a forma di libellula che portava al
collo, era
piccolo ma donava particolarmente sul suo collo sottile; ovviamente non
le lo
dissi mai.
Averla
accanto al ritorno da scuola era l’abitudine,
un’abitudine che fui costretto a
perdere il mio ultimo anno.
Lei
aveva concluso la scuola, ma io dovevo ancora affrontare il mio anno
più impegnativo.
Altre
persone mi domandarono –è libero?- e la mia
risposta fu sempre –Certo!- ma ogni
volta era una persona diversa. Mai nessuno fu come lei, nessuno
riuscì mai a
prendere il suo posto e quello dei suoi libri troppo colti per me.
Non
la rividi mai più e mai conobbi il suo nome.
Eppure
ora avevo davanti quel ciondolo. Alzai lo sguardo verso il viso della
sua
proprietaria e sorrisi d’impulso. Gli stessi capelli scuri,
gli stessi occhi
profondi. Avrei voluto avvicinarmi e domandarle –è
libero?- ma magari lei non
si ricordava neanche di me, preferii non rischiare.
Gettai
uno sguardo all’orologio che segnava le 8.35. Mi alzai e mi
avviai al bancone
del bar.
-Amore,
io vado al lavoro, ci vediamo stasera.-
-Certo
caro, buon lavoro!-
-Grazie-
Mi
baciò e io mi allontanai, ma non prima di aver afferrato
qualcosa dal contenitore
sul bancone. Passai di fianco alla donna e al bambino, lasciando sul
tavolino
un piccolo cioccolatino dalla carta dorata. Richiusi la porta del bar
alle mie
spalle ricambiando il sorriso riconoscente del bambino e quello
sorpreso della
madre…forse non mi aveva dimenticato.
Note
dell’autrice:
Ciao,
volevo cimentarmi in una OS un po’ più tenera
prima di iniziare la serie che
avevo in mente.
Questa
storia mi era venuta in mente mentre tornavo a casa sul pullman e
pensavo che
molti dei volti che sono abituata a vedere dall’anno prossimo
non ci saranno
più…o meglio io non ci sarò
più (spero) e mi chiedevo se mai qualcuno di loro
si ricorderà del mio volto.
So
che non è un capolavoro di OS, ma spero comunque di avervi
fatto piacere. :)
Giuls