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Autore: Herm735    06/01/2015    8 recensioni
Quando Callie Torres si trasferisce da Miami ad un paesino vicino Seattle le prime ragazze con cui stringe amicizia fanno parte della squadra di calcetto femminile del suo liceo, un mondo da cui Callie è subito affascinata. Liceo, primi amori, calcetto e Calzona.
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Addison Montgomery Sheperd, Arizona Robbins, Callie Torres, Meredith Grey, Teddy Altman
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Quando Callie Torres si trasferisce da Miami ad un paesino vicino Seattle le prime ragazze con cui stringe amicizia fanno parte della squadra di calcetto femminile del suo liceo, un mondo da cui Callie è subito affascinata. Liceo, primi amori, calcetto e Calzona.





È tutto qui

Dicono che è tutto qui.
Dicono che ogni tanto bisogna guardarsi attorno e cercare di memorizzare ogni dettaglio che ci circonda.
E c'è un motivo.
Il motivo è che è davvero tutto qui.
Ma non è sempre un male, non si intende sempre in senso negativo.
Alcune volte, è tutto solo qui. Da nessun'altra parte.
Esiste. Ciò che vogliamo, esiste. Da qualche parte, in questo mondo, ciò che stiamo disperatamente cercando dal giorno in cui siamo nati, esiste.

Sfiorai il muro che avevo davanti, tentando di imprimermi nella memoria la mia camera nei minimi dettagli.
Avrei mentito se avessi detto che quel posto mi sarebbe mancato.
Miami non mi sarebbe mancata, neanche un po'.
Era piena di tizi abbronzati insieme a ragazze in minigonna, che se ne andavano in giro cercando di far vedere a tutti quanto si sentissero importanti. Non sopportavo nessuna delle due categorie.
E, poco ma sicuro, non mi sarebbe mancata la mia camera. Qualsiasi altro posto con un paio di prese elettriche ed un bagno abbastanza grande, sarebbe stato perfetto come nuova camera da letto, per me.
Non avevo amici che mi sarebbero mancati.
Non avevo mai tenuto a nessuno abbastanza da sentirmi in obbligo di dire addio.
Miami era una città emotivamente priva di legami, per me.
Beh, ovviamente, avevo solo diciassette anni.
Mia sorella Aria non sembrava pensarla allo stesso modo. Tutta la sua vita, i suoi amici, il suo ragazzo, tutto era lì a Miami.
Non sembrava essere importante, secondo lei, il fatto che avrebbe dovuto comunque lasciare la città un anno dopo per andare al college.
A quanto ricordo, tutto ciò di cui era convinta era che la sua vita fosse finita.
Come facevo a saperlo?
“La mia vita è finita” mi ricordò entrando nella mia vecchia camera da letto.
“Già” risposi distrattamente.
Ecco come potevo esserne sicura.
Mia sorella aveva le lacrime agli occhi, il giorno che lasciammo la casa in cui eravamo nate e cresciute.
Non feci ritorno a Miami per molto tempo. Quel giorno, io e la mia famiglia, ci trasferimmo definitivamente in un paesino vicino Seattle.
La mia nuova camera da letto era più grande di quella che avevo nella vecchia casa. E, quando Aria vide quanto era grande la sua, sembrò completamente dimenticarsi di Miami, degli amici, del suo ragazzo.
Mia sorella era più grande di me di quindici, imperdonabili, mesi. Avrei voluto essere io la più grande, ma sfortunatamente dovevo sopportare il peso dell'essere nata quindici stupidi mesi dopo, lasciando che lei fosse sempre quella al comando. Quello sarebbe stato il suo ultimo anno di scuola superiore, ed il mio penultimo.
Il quartiere in cui ci eravamo trasferiti non era troppo lontano dalla scuola.
Sembravano esserci molti altri ragazzi nel vicinato, ma io, come al solito, preferivo stare da sola, non avere problemi, non avere amici.
Appena arrivati trovammo tutti gli scatoloni nel corridoio del primo piano, ma ci preoccupammo di distribuirli nelle varie stanze solo la mattina del giorno successivo.
Circa due ore dopo che avevamo finito di smistare gli scatoloni, indossai dei pantaloni corti ma larghi, mi allacciai le scarpette da ginnastica, ed uscii di casa.
Aria non aveva mai capito cosa ci trovassi di così interessante nel correre.
Scacciai il pensiero di mia sorella, capace di innervosirmi anche a metri e metri di distanza, e, dopo un breve riscaldamento, iniziai a correre.
Avevo le cuffie. Un'abitudine dura a morire.
Correndo ebbi modo di osservare il quartiere. La nostra era, ad occhio e croce, grande quanto tutte le altre case.
Mentre correvo, cercai di isolare fuori tutti i pensieri indesiderati di quella settimana. Il fatto che ci eravamo trasferiti. Il fatto che mio padre avesse accettato un nuovo lavoro che lo avrebbe tenuto impegnato ancora più del precedente e probabilmente ancora più ore lontano da casa. Il fatto che l'ultimo film di Julia Roberts fosse stato un totale ed incondizionato fiasco.
Insomma, fu una settimana difficile, ma correre mi rilassò.
Dopo una ventina di minuti decisi di essere pronta a tornare indietro.
Già da lontano, vidi che nel giardino della casa affianco alla nostra c'era qualcuno. Erano indubbiamente giovani. Ragazze, se i miei undici decimi di vista non mi ingannavano.
Decisi di mantenere un profilo basso e ignorarle.
Cercai di non farmi notare.
Ma, ovviamente, ogni piccolo quartiere è come un piccolo paese. Non accade niente che passi inosservato all'occhio sempre attento dei vicini.
Erano tre ragazze, come avevo ipotizzato. Erano sedute sull'erba, parlando tra di loro in maniera sporadica.
Furono stupite dal vedermi rallentare in loro prossimità. Io tentai di non insospettirle, togliendomi le cuffie e sorpassando il vialetto della casa senza una seconda occhiata indietro.
Mi videro fermarmi del tutto davanti al vialetto di casa mia. Mi incamminai su di esso, tentando di ignorare il fatto che mi stessero guardando.
“Ehi” cercò di attirare la mia attenzione una delle ragazze, alzandosi e venendomi incontro dall'altro lato della siepe alta circa un metro. “Sei la figlia della coppia che ha comprato questa casa?” mi chiese genuinamente curiosa.
Io accennai un sorriso. “Callie Torres.”
“Meredith Grey” rispose subito lei, tendendomi la mano.
Mi pulii la mano sudata sui calzoncini, stringendo la sua subito dopo.
“Lei è mia sorella Lexie, lei è Cristina” disse, indicando le altre due ragazze sedute con lei sull'erba.
Io le salutai con un sorriso.
“Siete al liceo anche voi? Io sono al penultimo anno.”
Non riuscii a pensare a niente di più intelligente da dire.
“Anche io e Cristina. Lexie è un anno più piccola.”
Io annuii di nuovo.
“Allora, una corsa a quest'ora. Avevi dello stress da smaltire o sei una sportiva?” chiese Cristina, con fare molto diretto.
“Entrambe” risposi io, sorridendo di nuovo timidamente. “Ci siamo trasferiti da Miami, quindi non è stato semplice, direi anzi un bell'accumulo di stress. E ho una piccola passione per il calcio.”
“Davvero?” Meredith si interessò subito. “Io e Cristina eravamo nella squadra della scuola l'anno scorso.”
“Avete una squadra femminile a scuola?”
Lei annuì. “In che ruolo giochi?”
Feci spallucce. “Non ho un vero e proprio ruolo. Ma preferisco in attacco.”
“Magari ti piacerebbe unirti a noi. Avevamo in programma una partita questo pomeriggio, ma ci manca un giocatore” mi invitò Cristina.
Guardai Meredith, assicurandomi che per lei non fosse un problema. Mi sorrise, annuendo.
Io ricambiai il sorriso. “Mi piacerebbe.”
“Facciamo così, io e Cristina ci cambiamo, visto che tu sei già pronta, e andiamo al campetto con qualche minuto di anticipo, così ti facciamo vedere com'è. Giochiamo per un'ora, cinque contro cinque, poi ti riaccompagno a casa. Se la nostra compagnia non ti avrà ancora stufato, questa sera andiamo a prendere una pizza con le altre ragazze. Faresti conoscenza con qualcuno del nostro stesso anno.”
“Mi farebbe piacere.”
Entrai in casa, posando il cellulare e le cuffie. Dissi a mia madre che un paio di ragazze mi avevano invitato ad una partita di allenamento e le dissi che sarei tornata più tardi. La salutai velocemente ed uscii. L'espressione scioccata che aveva quando le dissi che avevo già conosciuto qualcuno della mia età mi fece piuttosto irritare.
Circa un quarto d'ora dopo io, Cristina e Meredith – che aveva guidato – eravamo dentro un piccolo campo perfetto per le partitelle cinque contro cinque.
“Ok, Callie. Abbiamo bisogno che tu ci sappia fare. C'è questa ragazza, irritante in un modo quasi fuori dal normale, che riesce sempre ad essere la migliore. Un talento naturale. Lei ed il calcio sono stati inventati dalla stessa persona” mi raccontò Cristina mentre si riallacciava le scarpe. “Quindi, ho bisogno che quest'anno ci sia qualcuno più bravo di lei.”
Le avevo viste giocare solo per due minuti, dalla panchina in cui stavo posando la borsa, ma due minuti mi erano bastati.
Le sorrisi. “Centrocampista sinistro. Ho indovinato?” Cristina mi guardò un po' stupita. “E tu sei il destro” aggiunsi, guardando Meredith. “Siete veloci e brave a controllare la palla.”
Entrambe annuirono.
“Cavolo. Se sei brava sul campo quanto lo sei con la teoria...” Meredith lasciò la frase in sospeso, un sorrisetto soddisfatto le aleggiava sulle labbra.
“Ehi ragazze” le salutò Lexie. Io la guardai, perplessa. “Sono venuta con April” mi spiegò, indicando la ragazza con lei.
La rossa mi salutò con un cenno della mano.
“Ok, Callie, le squadre sono un tantino...diciamo epiche. Siamo molto competitive. Perché la piccola Lexie-pedia, è un centrale sinistro, come me, mentre April, destro, come Mer” mi fece sapere subito Cristina.
“Nella nostra squadra” continuò Meredith “gioca anche lei” disse indicando con un cenno della testa una ragazza che stava arrivando.
“Miranda” la salutò April allegramente.
Lei alzò una mano nella sua direzione. “Non iniziare ad irritarmi, non sono neanche arrivata, ancora, Kepner” poi si accorse della mia presenza. “Chi è la novellina?” chiese, tono piatto.
“Callie Torres” mi presentai.
Lei mi salutò con un gesto della testa.
“Penultimo anno anche tu?”
Io annuii.
“Ruolo?”
“Oggi, attaccante” intervenne Cristina.
“Oh, davvero? Beh, sei fortunata ad essere nella mia squadra, allora” mi fece sapere, tirando fuori dalla borsa un paio di guanti da portiere.
Io deglutii. La ragazza davvero sapeva come fare paura.
“In porta è la migliore” mi fece sapere Meredith. “Dovevamo bilanciare le squadre, visto che loro hanno il Capitano.”
Io aggrottai la fronte. In quel momento arrivarono altre tre ragazze, due bionde ed una rossa.
“Salve ragazze” salutò una delle bionde. “Tu devi essere la nuova. Piacere, Izzie Stevens.”
Le strinsi la mano.
“Non prendertela quando il Capitano ti farà sfigurare così tanto che non vorrai più uscire di casa, è solo che lei, sai, è fatta così” continuò la rossa. “Addison Montgomery” si presentò dopo.
“Non ascoltarla” mi fece sapere l'altra ragazza. “Teddy. Altman.”
Strinsi anche la sua mano.
“Allora, chi è questo capitano che semina così tanto terrore?” chiesi, incuriosita.
“Sarei io” una voce mi fece voltare.
Una ragazza, probabilmente la mia stessa età, bionda, calzoncini neri simili ai miei, maglietta bianca in contrasto con quella rossa che stavo indossando quel giorno, capelli legati. Per un secondo non riuscii a pensare.
Quella ragazza mi aveva tolto il fiato.
Anche se, è giusto dirlo, la stessa cosa feci io a lei.
Ci osservammo in silenzio per qualche secondo, prima che il mondo ricominciasse a scorrere.
“Allora, Callie, le squadre sono queste – e rassegnati al fatto che rimarranno sempre queste in allenamento. Noi abbiamo Miranda in porta, Addison come difensore, io a destra, Cristina a sinistra e adesso te in attacco. Loro hanno Izzie in porta, Lexie a sinistra, April a destra, Teddy dietro in difesa e...”
“...e il capitano in attacco” conclusi.
Meredith annuì.
“Non preoccuparti se per oggi farai schifo. Non ti butteremo fuori. Almeno non subito.”
Risi della schiettezza di Cristina.
Qualche minuto dopo eravamo pronti ad iniziare la partita.
Mi trovai al centro del campo, faccia a faccia con il Capitano. Tra di noi, solo un pallone ed una riga bianca sull'erba. Nient'altro.
“Callie Torres.”
Le tesi la mano. Lei, senza esitazione, e senza distogliere gli occhi dai miei, la prese.
“Arizona Robbins.”
“Ricapitolando, la palla è questa cosa tonda, e devi fare goal in quella porta. Tutto chiaro?” mi prese in giro Addison.
Io le sorrisi, abbastanza sicura di me. “Farò del mio meglio per tenerlo a mente” le risposi, voltandomi verso Arizona nuovamente.
“Inizia pure” mi offrì, facendo un passo indietro.
Cristina mi si avvicinò, pronta a dare il calcio di inizio.
Io mi voltai, dando le spalle ai miei avversari e facendole cenno di avvicinarsi.
Le sussurrai qualcosa, lei annuì, perplessa.
“Sei pazza. Completamente” mi comunicò. “Mi piace.”
Ricambiai il mezzo sorriso che mi stava offrendo.
Cristina fece ciò che le avevo chiesto. Batté il calcio d'inizio, passandomi la palla tra i piedi. Io ero leggermente spostata a destra rispetto al centro del campo. Nessuno mi venne incontro, come avevo previsto, visto che ero la povera, nuova ragazza. La visuale era completamente libera, il campo da cinque molto piccolo. Neanche dieci metri da dove mi trovavo alla porta. Allungai la palla in avanti, superando di neanche mezzo passo la linea di metà campo, visto che i goal segnati dalla propria metà campo non sono validi nel calcetto. Izzie Stevens non si mosse neanche, quando la palla le passò affianco ed entrò nella porta, dandoci il primo goal di vantaggio.
Mi voltai verso Addison.
“Non riesco a ricordare. Era quella la porta giusta?”
“Se fossi il tipo di persona che tocca la gente, adesso ti abbraccerei” mi fece sapere estasiata Cristina.
Arizona si fece avanti, preparandosi a battere dal centro.
“Impressionante. Ma quello è solo un trucco. Perché non vediamo come te la cavi quando si gioca davvero?”
Io non mi feci scoraggiare, mostrandole un piccolo sorriso compiaciuto.
“Qualsiasi cosa tu voglia.”
Lei ricambiò il sorriso provocatorio, battendo la palla verso April.
La ragazza era veloce, ma ancora inesperta. In un secondo riuscii a rubarle il pallone, lanciando Meredith verso la porta. Lei si trovò ad affrontare Teddy in un uno contro uno, che evitò grazie a Cristina, completamente libera, che ricevette un passaggio dall'altra parte del piccolo campo. Anticipando l'intervento difensivo di Arizona effettuò un cross al centro. Io segnai, di testa, il secondo goal della partita.
“Così è abbastanza vero?” chiesi ad Arizona, passandole accanto. Le sorrisi, facendole sapere che la stavo solo provocando.
Lei annuì.
“D'accordo. Iniziamo a fare sul serio, allora.”
C'era un motivo per cui Arizona Robbins veniva chiamata il Capitano, anche quando si trattava solo di una partitella come quella.
Lo capii quando riuscì a scartare con facilità prima Cristina, poi Meredith ed infine Addison, tre giocatrici niente male, portandosi in porta, e segnando con una precisione quasi surreale.
“Abbiamo fatto arrabbiare mammina” commentò Cristina ad alta voce.
“Ah. Ho appena iniziato. 2-1” ci ricordò, passandomi il pallone. “Palla vostra.”
Quella volta fui io a battere, passando il pallone a Meredith, che scartò Lexie con facilità, passandomi la palla. Mi trovai davanti Teddy. Esitai solo per un secondo, decidendo poi di lanciarmi nell'uno contro uno, dove non riuscii a saltare Teddy. Aveva fatto un lavoro dannatamente buono, bloccandomi tutte le vie d'uscita. Poi la sentii arrivare. Arizona stava raddoppiando la marcatura.
Perfetto, pensai.
Appena fui sicura che fosse abbastanza vicina da non intralciare Cristina, feci scivolare la palla all'indietro, tenendola sotto la pianta del piede. Quando la sentii attaccarmi, calciai lateralmente, facendole prendere il vuoto. La palla scivolò verso Cristina, che non perse tempo nell'andare a rete.
Izzie non era una giocatrice a livello della squadra, chiunque lo avrebbe notato. Forse non prendeva il calcio seriamente, o forse era solo nuova. Non avrei saputo dirlo, allora.
“Come hai fatto a sapere che ero dietro di te?” mi chiese, sinceramente affascinata.
Io le sorrisi. “Puro e semplice istinto.”
Quando Teddy e Arizona si furono scaldate sul serio, tirarono fuori qualche azione davvero sbalorditiva, così come Meredith e Cristina. Io tendevo a giocare più da sola. Non ero ancora abituata all'idea di una squadra.
Mi piaceva il modo perfetto di Addison di stare in difesa. Rimaneva sempre a proteggere la porta, salendo solo quando sembrava capire che stavo disperatamente cercando di passare la palla a qualcuno che non fosse marcato. Io e la rossa sviluppammo da subito una certa sintonia. Niente a che vedere con ciò che successe nella nostra prima partita a nove. Ma quello fu solo diversi giorni dopo.
La partitella finì 9-7.
Io avevo segnato sei goal, due Cristina, uno Meredith. E Arizona ne aveva segnati sette, tutti quelli della sua squadra.
Sapevo bene che l'unico motivo per cui avevamo vinto era che Miranda era formidabile tra i pali, altrimenti Arizona avrebbe segnato almeno una decina di goal.
“Beh, bella partita. È stato un piacere giocare con voi” dissi loro, cercando di apparire gentile e di scrollarmi di dosso l'insicurezza che mi seguiva ovunque non avessi tra i piedi un pallone.
“Ehi, woh-woh-woh. È stato un piacere?” ripeté Cristina. “Non pensarci nemmeno, Rockstar. Tu sei la mia nuova punta, quindi vedi di non usare tempo al passato” mi corresse immediatamente.
“Ovviamente intende nostra nuova punta. Cristina ha un concetto di proprietà molto...particolare” tentò di farmi capire Addison.
Rockstar era la sfortunata scritta che avevo sul retro della maglietta rossa che stavo indossando quel giorno.
Perché sfortunata?
Perché Cristina continuò a chiamarmi Rockstar. Per molto, molto, molto tempo.
“Bella partita” mi sussurrò Arizona Robbins, passandomi accanto e camminando all'indietro per guardarmi negli occhi.
Io annuii sorridendole con incertezza. “Non sono neanche all'altezza del paragone” le risposi con una sincera scrollata di spalle.
“Per ora” sussurrò lei in risposta.
“Ok, allora, la squadra della scuola ha undici titolari e quattro riserve” iniziò a spiegarmi Cristina.
“L'anno scorso l'allenatore si ostinava a far giocare le ragazze dell'ultimo e del penultimo anno anche se erano incapaci, mettendo in campo solo Arizona anche se era più piccola, e facendole fare il capitano. Abbiamo perso il campionato anche se Arizona ha giocato alcune partite fenomenali. Ma quest'anno la storia sarà diversa. Abbiamo una nuova allenatrice, e Lexie, April e Izzie si uniranno alla squadra. Senza contare che la seconda punta l'anno scorso era una specie di elfo alta circa mezzo metro e veloce quanto un bradipo” continuò schiettamente Miranda.
“Mentre tu, mia carissima, carissima Callie” mi disse Addison passandomi un braccio attorno alle spalle “ci hai fatto vincere una partita contro il Capitano.”
“Partitella” la corresse Arizona.
“Come ti pare. Abbiamo comunque vinto” replicò la rossa, continuando a camminare con un braccio attorno alle mie spalle.
“Allora, stasera casa Grey? I genitori di Mer e Lexie-pedia sono fuori città” propose Cristina.
Ci fu qualche assenso.
“Verranno anche Derek e i suoi amichetti senza cervello?” chiese Addison.
“Probabilmente” rispose Meredith con una scrollata di spalle.
“Allora credo che io passerò.”
“Oh, Addison ha una cotta per Sloan. Quanto sei carina, Addie” la prese in giro Teddy.
“Io non ho affatto...”
“Ok, andiamo, tanto stasera verrai, che tu lo voglia o no. Non mi lascerai da sola con Alex, e sappiamo che quella è la fine che farò se non ci sarai tu, visto che ad un certo punto Teddy e Henry spariranno misteriosamente come succede sempre” replicò Arizona.
“Cosa? Io e Henry non...”
“Sì, sì, risparmiatelo” la zittì Cristina. “Allora, Star, sei dentro?”
“Perché no” risposi distrattamente.
Non sapevo chi fosse questo Alex con cui Arizona non voleva rimanere sola, ma non mi piaceva.
Lentamente le altre uscirono dal campo di calcio.
Io mi guardai attorno, pensando che quello era esattamente il posto in cui avrei voluto passare la maggior parte del tempo.
“Callie, andiamo!”
Con un sorriso, mi voltai e seguii Addison.

Dicono che è tutto qui.
E forse hanno ragione.
A volte trovi quello che stavi cercando in un posto in cui non ti saresti mai aspettata di poterlo trovare.
Come al centro esatto di un campo di calcio.
Però è tutto qui. Esiste. C'è.
Tutto ciò che dobbiamo fare è tenere gli occhi aperti e non lasciare che ci passi davanti agli occhi senza che neanche ci lasci provare a prenderlo.
È tutto esattamente qui. Solo e soltanto qui.





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