Capitolo XVI – Rivelazioni e scoperte
«Aspetta
un attimo, Vegeta, che ne sarà adesso dei miei studi sulla Luna? Credevo ci
tenessi particolarmente.»
«Certo,
Bulma; ma tengo molto di più alle sfere del drago. E, comunque, non ti ho affatto
chiesto di accantonare il progetto, ma solo di spendere qualche ora del tuo
preziosissimo tempo per portarmi da tuo padre.»
Bulma
era nei guai.
Di
nuovo.
Non
bastava che su di lei gravasse la colpa di aver ceduto alla lussuria con il
sovrano del popolo guerriero intenzionato a mettere le mani sugli oggetti più
preziosi del pianeta; ora doveva anche fare i conti con la troppa leggerezza di
suo padre, che aveva avuto l’ardire di svelare l’esistenza del radar cerca
sfere parlando con la segreteria telefonica.
In
tutto ciò, anche la stanchezza e la debolezza iniziavano ad avere un certo
peso.
La
scienziata era esausta e spossata.
Anche
se l’incontro sessuale con Vegeta aveva momentaneamente messo in secondo piano
le ore di sonno perse, ora che i brividi di piacere sul suo corpo si stavano a
poco a poco spegnendo, ella sentiva di nuovo le forze venirle a mancare.
Ragionare
in quelle condizioni non era affatto facile, nemmeno per lei.
Tanto
più che, dopo essersi concessa a lui senza opporre la benché minima resistenza,
Bulma non poteva di certo sperare ancora di poterlo
convincere con le buone.
Il
suo primo e unico tentativo, in fondo, si era concluso con un buco nell’acqua.
Già;
ma come avrebbe dovuto muoversi allora?
Poteva
davvero lasciare che Vegeta mettesse le mani sulle sfere del drago?
La
sua coscienza la stava implorando di non cedere al fascino di quel principe
megalomane, ma dare retta alla ragione piuttosto che ai sentimenti pareva in
quel momento quasi impossibile.
«Alzati
e rivestiti, scienziata. Non ho
intenzione di perdere troppo tempo.»
Vegeta
era già in piedi da qualche minuto.
Aveva
lasciato a Bulma il tempo di riprendersi e di
metabolizzare lo shock.
Sapeva
quanto la donna si stesse tormentando per la stupida leggerezza appena
compiuta.
Le
sarebbe convenuto mille volte rispondere a quel dannato telefono e ascoltare da sola le parole di suo padre.
La
fortuna, però, aveva deciso di girare dalla parte del principe.
Vegeta
non aveva mai creduto, fino ad allora, alla buona sorte, ma l’incontro fortuito
con la donna più intelligente che avesse mai conosciuto gli aveva in qualche
modo suggerito che, alle volte, il fato poteva essere benevolo.
Peccato
che, in cuor suo, sapeva che Bulma non avrebbe ceduto
tanto facilmente e che avrebbe tentato in qualche modo di impedirgli di mettere
le mani sulle sfere del drago.
Sarebbe
stato troppo semplice, altrimenti; e lui non aveva scelto la scienziata perché lei gli rendesse facile la vita.
Bulma,
dal canto suo, guardava con timore allo sguardo sprezzante del principe dei saiyan.
Doveva
impedirgli a ogni modo di mettere le mani sul radar e avrebbe dovuto farlo nonostante i
sentimenti che provava nei confronti di Vegeta.
Gran
bell’affare quello di fare sesso con lui!
La
cosa peggiore era che lo aveva fatto non solo per soddisfare il piacere fisico,
ma anche – e soprattutto – perché quel ragazzo la affascinava da morire.
Ma
era pericoloso, dannatamente pericoloso; e lei, in quel momento, aveva le mani quasi legate.
***
Crilin
sentiva che presto, dentro quella stanza, si sarebbe abbattuta una tempesta.
Bardack
non aveva fatto una piega quando aveva visto lui e Chichi
precipitarsi nella sua camera da letto, nonostante ci fosse anche Mamanu.
Quest’ultima,
però, anche se poteva vantare lo stesso sangue freddo del generale, non aveva
di certo la sua sfacciataggine.
Era
stata praticamente colta sul fatto; non
proprio, d’accordo, ma lo stato in cui versava la donna era inconfondibile.
Tutto
del suo aspetto fisico, nonostante fosse completamente vestita, lasciava
intendere che aveva appena consumato un rapporto sessuale: il lieve rossore
sulle gote, i capelli leggermente arruffati e il battito impercettibilmente
accelerato del suo cuore.
Un
terrestre normale non avrebbe mai potuto notare quest’ultimo dettaglio, ma lui
aveva imparato bene ad analizzare i cambiamenti del corpo umano in situazioni
di stress.
O
di piacere.
Egli
avrebbe fatto finta di niente, ovviamente.
Di
sicuro non avrebbe gettato altra benzina sul fuoco.
Ma
quante possibilità c’erano che Chichi si fosse bevuta
la storia del “Mamanu era qui per dirmi dove fossero
le sfere del drago”?
Probabilmente
molto poche.
E,
oltretutto, non era nemmeno certo del fatto che ella sapesse davvero chi le
avesse prese.
Perché
mai avrebbe dovuto, in fondo?
Possibile
che lei fosse in qualche modo complice del furto?
Lo
sguardo che Crilin lanciò a Bardack
pareva essere quasi implorante.
Egli
lo guardava negli occhi senza nascondere tutta la preoccupazione che aveva in
corpo.
Il
saiyan sapeva cosa il terrestre volesse dirgli:
“fa’che sia vero”; dal canto suo, però, il generale non mostrava alcun segno di
titubanza. Mamanu avrebbe parlato, ne era certo.
Quella donna non era così pazza da confessare alla figlia del marito di avere
una relazione extraconiugale.
Con
un saiyan, per giunta.
E
con il padre di Kakaroth.
A
Bardack veniva quasi da ridere pensando a quanto i
terrestri fossero patetici. Davvero ritenevano la fedeltà un valore tanto
forte?
A
lui non era mai passato per la testa di preoccuparsi per un tradimento, né
tantomeno aveva mai tentato di nasconderne uno. La madre dei suoi figli aveva
dovuto fare i conti più volte con situazioni del genere, eppure non aveva mai
battuto ciglio.
Improvvisamente,
però, si chiese se lui avrebbe reagito allo stesso modo se fosse stata lei a
tradirlo. Non che di quella donna gli importasse chissà quanto, ma l’idea di
essere sbeffeggiato dai suoi commilitoni non gli piaceva di certo.
Possibile,
però, che fino a quel momento non avesse mai riflettuto su una simile ipotesi?
Quel
maledetto pianeta e tutti i suoi abitando lo stavano deviando.
Egli
era un guerriero, un assassino, un generale di rango elevatissimo.
Aveva
combattuto guerre che quegli sciocchi scansafatiche umani difficilmente
avrebbero anche solo potuto immaginare.
Però,
loro avevano dei valori, e questi
ultimi trascendevano di parecchio l’orgoglio e il potere.
«Tu,
maledetta opportunista, vorresti farmi credere che sai chi ha rubato le sfere del drago?»
Le
parole di Chichi fecero tornare Bardack
coi piedi per terra e lo costrinsero a voltarsi di nuovo verso di lei.
Quella
ragazza pareva un fiume in piena.
La
bella principessina doveva aver subito un pesante colpo nel trovare la sua
matrigna in quella stanza. Anche se tra le due donne non c’era un rapporto
molto profondo, evidentemente la figlia di Giumaho
non aveva mai dubitato comunque della fedeltà di Mamanu
nei confronti di suo padre.
Già;
ma perché?
Possibile
che Chichi non sapesse che Mamanu
si era sposata solo per assecondare la volontà del suo genitore?
Di
certo, però, l’espressione con cui la principessa aveva apostrofato la sua
amante a Bardack non era piaciuta per niente.
Opportunista
Mamanu?
Se
veramente ella fosse stata tale, probabilmente a quell’ora avrebbe già avuto il
pieno controllo di Furipan da diversi anni.
Chichi
era accecata dal risentimento nei suoi confronti e questo Bardack
lo aveva capito chiaramente. Quelle due sarebbero potute diventare delle ottime
alleate se solo la legittima sovrana di quelle terre ormai perdute non avesse
in ogni modo ostacolato l’ascesa della moglie del padre.
Temeva
forse di perdere i suoi sudditi?
La
risposta era senz’altro sì.
Chichi
era in gamba e aveva un’incredibile forza spirituale – forse addirittura più
potente di quella di un saiyan – ma non era astuta
abbastanza da poter gestire da sola un regno. L’impulsività che la
caratterizzava cozzava non poco con il prototipo di sovrano ideale.
Mamanu,
invece, da quel punto di vista non era seconda a nessuno.
Bastava
vedere come aveva tenuto a freno gli animi degli abitanti di Furipan e come, per permettere loro di sopravvivere, li
avesse in qualche modo convinti a
collaborare.
Chichi
e suo padre erano completamente spariti durante i primi giorni di sottomissione.
Se
non ci avesse pensato la tanto detestata Mamanu,
effettivamente quegli sciocchi terrestri si sarebbero già ribellati e, dunque,
fatti eliminare.
La
mancanza di rispetto che Chichi dimostrava nei confronti
della matrigna lo irritava parecchio, ma ancor più gli dava ribrezzo il fatto
che quella donna non osasse battere ciglio.
Perché
diavolo non ne diceva quattro a quella scriteriata della principessa?
Che
gusto ci provava a farsi trattare a pesci in faccia, lei che, sola, aveva avuto
il merito di preservare l’incolumità degli abitanti di Furipan?
Eppure,
quando si trattava di rispondere per bene a lui, Mamanu
non si faceva di certo dei problemi.
Che
si sentisse in colpa nei confronti di Chichi?
Evidentemente,
sì; ma, di sicuro, non ne aveva motivo.
«Che
c’è, Mamanu, hai perso la lingua, forse? Ti ho fatto
una domanda. Lo sai oppure no, dove diavolo sono andate a finire le sfere del drago?»
«Chichi, abbassa la voc…»
«Taci,
Crilin. Non è con te che sto parlando.»
Bardack
arretrò di qualche passo e si avvicinò a Mamanu con
fare piuttosto scocciato.
Il
tono della principessa gli piaceva davvero poco e il fatto che quella ragazzina
sembrasse aver perso completamente la ragione lo costringeva in qualche modo a
prendere in mano la situazione.
Non
poteva e non doveva fallire.
Quel
nome, quello del ladro delle sfere del
drago, interessava anche a lui e, con le buone o con le cattive, la sua
amante lo avrebbe tirato fuori.
Ammesso
che realmente lo conoscesse; eppure, chissà perché, di questa cosa il generale
non riusciva proprio a dubitare.
«Te
lo ripeto anche io, Chichi. Abbassa la voce.»
Il
tono di Bardack era piuttosto perentorio, ma aveva
sortito più effetto su Crilin che non sulla
principessa, sebbene l’avesse comunque zittita.
Lei
non era una stupida, né tantomeno una persona ingenua.
A
chi diavolo voleva darla a bere quel saiyan?
Mamanu
non sapeva un accidente di niente sulla sparizione delle sfere. Egli lo aveva
detto solo per giustificare in maniera goffa la presenza di quella maledetta
donna lì dentro.
D’accordo,
Chichi non aveva mai avuto quel tipo di esperienza, ma di certo non era nata il giorno prima.
Lo avrebbe capito anche un cieco che Mamanu era lì
per Bardack e che, senza ombra di dubbio, quei due
non avevano trascorso l’ultima mezz’ora a chiacchierare del più e del meno.
Ma
con quale coraggio quella sgualdrina aveva osato tradire il marito nella dimora
di costui?
E
con un saiyan, per giunta.
Pensare,
però, alla razza cui apparteneva Bardack, l’aveva in
qualche modo frenata dai suoi propositi bellicosi. Quanto poteva definirsi lei
migliore di Mamanu se aveva intrapreso una tresca con
Kakaroth?
Anche
lui era un saiyan e, oltretutto, l’aveva ingannata
spacciandosi per un comune essere umano.
Lei,
però, non era di certo sposata.
Per
quanto la sua coscienza tentasse di dirle che le posizioni in cui si trovavano
non erano poi chissà quanto differenti, Chichi
continuava razionalmente a far presa sul fatto che nel suo caso non c’era di
mezzo alcun matrimonio.
Già;
peccato che, pur non sapendo esattamente il perché, ripensare a Kakaroth e ai baci che si era scambiata con lui l’aveva
fatta desistere dal continuare a inveire contro Mamanu.
In
fondo, se Crilin non fosse entrato in palestra
sorprendendoli, probabilmente lei e il suo sedicente protettore non si sarebbero fermati ai baci.
Quest’ultima
constatazione la fece rabbrividire.
E
anche tacere.
«E
tu, Mamanu, sbrigati a dire anche a loro come stanno
le cose. Non abbiamo chissà quanto tempo da perdere.»
Ella,
in quel momento, avrebbe voluto mandare al diavolo tutto e tutti.
Chichi,
Furipan, e anche Bardack.
Per
quanto sapesse che la sua eventuale assenza l’avrebbe fatta precipitare nella
depressione, la donna non poteva fare a meno di dirsi che la sofferenza era il
suo pane e quotidiano e che, dunque, la sua vita sarebbe andata avanti lo
stesso.
Poteva
andarsene sul serio, in fondo.
Poteva
dire di non conoscere quel nome e che
lei era lì solamente perché voleva vedere Bardack.
Tanto,
ormai, Chichi aveva già capito tutto.
Ma
lo amava.
Mamanu
amava a tal punto quel guerriero da non riuscire davvero a volere la sua
sparizione dalla sua vita.
Cosa
ne sarebbe stato di lei da quel momento in poi?
Chichi
l’avrebbe cacciata da Furipan e su questo non nutriva
alcun dubbio; ma come si sarebbe comportato il generale se lei avesse
continuato a tacere quel nome?
Probabilmente,
avrebbe perso anche lui.
Ne
valeva la pena?
Davvero
le sfere del drago erano più
importanti della sua felicità?
Una
volta tanto – una solamente – avrebbe voluto rispondere no.
«Parlerò
purché che la smettiate tutti quanti di inveire contro di me.»
L’espressione
di rabbia che si dipinse sul volto di Mamanu non
lasciava spazio a interpretazioni errate. Quella donna era sull’orlo di una crisi
di nervi e, probabilmente, tutta quella situazione era molto più grande di lei.
Crilin
provò una gran pena nei suoi confronti.
Anche
se egli non conosceva affatto bene la moglie di Giumaho,
il ragazzo aveva sempre avuto l’impressione, fin dalla prima volta in cui
l’aveva vista, che ella portasse dentro di sé un grande dolore. Sapeva che lo stregone del toro l’aveva sempre
trattata coi guanti bianchi e che non le aveva mai fatto mancare nulla ma, a
poco a poco, Crilin aveva cominciato a dubitare del
fatto che quella fosse proprio la vita scelta da Mamanu.
L’aveva
osservata più volte, essendo anche lui costretto a frequentare la corte.
L’aveva
vista cucinare, pulire e parlare.
Quest’ultima
cosa, però, l’aveva sempre fatta fuori dal palazzo.
I
sudditi di Chichi le volevano un gran bene e le
portavano un enorme rispetto.
Era
con lei che si erano confidati quando i soprusi dei saiyan
cominciarono a diventare troppo oppressivi e a lei avevano dato ascolto quando
la donna li aveva implorati di non lasciarsi trasportare dalla rabbia e
dall’impulsività.
Effettivamente,
era stata in gamba.
Tuttavia,
Chichi non le aveva mai riservato quella riconoscenza
che la sua matrigna avrebbe meritato. Probabilmente, la ragazza era invidiosa e
gelosa di lei.
Crilin,
dal canto suo, era certo che Mamanu non meritasse un
simile trattamento ma, vista la posizione in cui anche egli si trovava – e
viste anche le circostanze – difendere a spada tratta la moglie di Giumaho non sarebbe stata di sicuro una mossa intelligente.
In
fondo, anche lei aveva le sue colpe e la sua presenza nella stanza di Bardack non poteva che confermarlo.
«Mamanu, ascoltami. Mi dispiace per il caos che si è creato,
sul serio. Mi scuserò all’infinito con te, se è questo che vuoi. Però, ti
scongiuro, se davvero sai che fine hanno fatto le sfere del drago, diccelo. Chichi deve
assolutamente rientrarne in possesso il prima possibile. Sono oggetti molto…»
«Lo
so, Crilin, lo so. Non immagini quante volte io abbia
ascoltato la storia delle prodigiose sfere
del drago. Ne ho quasi la nausea, credimi.»
«Non
sei nella posizione adatta per fare la stizzita.»
«E
tu non sei la persona alla quale devo rispondere delle mie azioni, Chichi. Comunque, è stato Tensinhan
a prendere le sfere. Non conosco bene quel ragazzo e non posso giurare che
avesse buone intenzioni, ma le ha lui. E adesso, vedetevela voi. Io non so
nient’altro.»
Mamanu
fece per andarsene ma, quando passò al fianco di Chichi,
quest’ultima la trattenne per un braccio.
«Pensi
forse di svignartela così?»
«Credevo
avessi una certa fretta di recuperare i tuoi
preziosi oggetti. E poi, te l’ho già detto, non devo rendere conto di
niente a te.»
Crilin
afferrò il braccio con cui la principessa aveva stretto la matrigna e fece una
pressione tale da indurre la ragazza a mollare la presa.
«Chichi, andiamo a recuperare le sfere, per favore. Penserai
dopo a… tutto
il resto.»
Dagli
occhi di Chichi iniziarono a sgorgare le lacrime.
Ella
ce l’aveva messa tutta per trattenerle, ma quelle maledette erano state più forti
di lei.
Ci
era rimasta male, molto più di quanto non avrebbe potuto immaginare.
Persino
la scoperta che Mamanu sapesse davvero chi avesse
preso le sfere del drago non aveva
contribuito affatto a distrarla. Dentro quella corte si erano consumate passioni
che lei stessa avrebbe voluto non carpire mai ed ella era stata protagonista di
una di queste tresche.
Fino
a pochi minuti prima, aveva creduto che il guaio peggiore lo avesse fatto lei
perdendo la testa per Kakaroth.
Ormai,
nemmeno riusciva più a mentire a sé stessa.
Si
era innamorata di lui, della sua forza smisurata, del suo ego sprezzante e dei
suoi modi tutt’altro che raffinati.
Avrebbe
dovuto odiarlo e temerlo, eppure, in quel preciso istante, l’unica cosa che
desiderava era piangere tra le sue braccia.
Sapeva
che lui l’avrebbe sbeffeggiata e avrebbe riso di lei – quanto poteva
importargli, in fondo, se suo padre si portava a letto Mamanu?
–, ma il conforto che avrebbe trovato piangendo sul suo petto sarebbe stato
decisamente più efficace di quello che le stava dando il gesto di Crilin.
Anche
lui le voleva bene e si era rivelato fin da subito un ottimo amico; ma non era direttamente coinvolto in quella storia.
Lui con Mamanu e Bardack
non aveva niente a che fare.
Per
quanto potesse dispiacergli per la sofferenza della principessa, egli aveva davvero come priorità le sfere del drago.
Chichi,
invece, non ne era più così certa.
Ora
anche Bardack sapeva chi le aveva prese e, di sicuro,
avrebbe fatto in modo di entrarne in possesso prima di lei.
E,
magari, avrebbe anche finito con il consegnarle al principe.
E
poi?
Cosa
ne sarebbe stato di lei e di Kakaroth?
Quest’ultimo
aveva in qualche modo tradito il suo
popolo e il suo sovrano.
Chichi
ancora non aveva ben compreso il motivo che aveva spinto quel saiyan a nascondere le sfere a Vegeta e a suo padre ma,
evidentemente, ciò non poteva che essere indice di una frattura nei rapporti
tra lui, il generale Bardack e il sovrano della
stirpe guerriera più temuta dell’universo.
«Chichi, non fare così, ti prego. Lascia stare Mamanu e pensa alle sfere
del drago!»
«Sai
anche dove le ha nascoste?»
La
voce di Bardack, praticamente impassibile, aveva
zittito Crilin e aveva messo una pietra sopra al suo
tentativo di placare la principessa.
Chiaramente,
il generale si era rivolto a Mamanu, ma quest’ultima
si era ben guardata dal girarsi verso di lui.
Gli
occhi della donna erano poggiati ancora su Chichi e
sulle sue lacrime, delle quali, però, la matrigna sembrava non volersi
preoccupare.
Evidentemente,
quella donna aveva raggiunto il culmine dell’esasperazione e, forse, il fatto
che la figlia di suo marito avesse smascherato la sua relazione con Bardack aveva contribuito a toglierle un macigno dalla
coscienza.
«No,
non lo so. Mi dispiace, ma questo dovrete farvelo dire da lui.»
«E
allora, bisogna trovarlo alla svelta» aggiunse Bardack.
«Se solo non avesse anche lui il potere di azzerare la sua aura, sarebbe molto
più facile rintracciarlo.»
«Eppure,
durante il torneo non era in grado di farlo. Forse…
Forse gliel’ha insegnato Yamcha.»
Le
parole di Crilin ricordarono a Chichi
che Kakaroth sospettava proprio dell’allievo di Muten.
Era
lui che il saiyan stava cercando il giorno prima ed
era per scovare Yamcha che si erano fatti sorprendere
dal padre del protettore.
Il
cambio di espressione della principessa non passò inosservato al generale che,
anzi, diede man forte ai suoi sospetti.
«Temo
che quell’imbecille di mio figlio sia andato proprio a cercare questo Yamcha.»
Crilin
si voltò verso Bardack con aria abbastanza stupita,
ma, pochi istanti dopo, non poté non riflettere su ciò che gli aveva confessato
la principessa circa i sospetti di Goku.
«In
effetti… Sì, credo che sia possibile.»
Il
suono del cellulare di Crilin, però, lo distrasse di
nuovo e attirò l’attenzione di tutti i presenti.
Il
ragazzo, per la verità, nemmeno ricordava di averne uno.
Bulma
glielo aveva regalato per poter rimanere in contatto con lui quando il
guerriero non era a palazzo. Il giovane allievo di Muten
aveva sentito più volte la scienziata lamentarsi del fatto che Vegeta avrebbe
voluto avere Crilin a disposizione praticamente
ventiquattro ore su ventiquattro, ma gli altri impegni del ragazzo, quelli a
cui lo aveva costretto Napa, non gli permettevano di
risiedere stabilmente a corte.
Ecco
perché la brillante donna con cui aveva lavorato negli ultimi tempi aveva
deciso di donargli un telefono di quelli portatili.
Per
la verità, fino a quel momento lo aveva usato una sola volta e il ragazzo
nemmeno ricordava bene la circostanza.
Forse
a Bulma serviva un aiuto extra per un collaudo?
Forse;
ma, in quel preciso istante, la cosa non gli interessava più di tanto.
Ciò
che importava era che la scienziata gli aveva appena mandato un messaggio.
Crilin
ancora non aveva imparato bene a usare quell’aggeggio, ma era abile abbastanza
da saperlo gestire discretamente.
Mollò
il braccio di Chichi e infilò la mano in tasca alla
ricerca della piccola scatola elettronica.
La
afferrò e aprì il messaggio.
I
suoi occhi si sbarrarono dal terrore.
«Oh,
cavolo!»
«E
adesso che ti prende, terrestre?» proferì Bardack,
con tono piuttosto irritato.
Il
ragazzo si voltò verso il saiyan, indeciso sul da
farsi.
Sarebbe
stata una buona idea svelare a tutti i
presenti il contenuto del messaggio?
Probabilmente,
no.
Tuttavia,
se c’era qualcuno che avrebbe potuto fare qualcosa, costui era proprio Bardack.
«Bulma mi ha mandato un messaggio. C’è scritto: Vegeta ha scoperto l’esistenza del radar
cerca sfere e vuole a tutti i costi sottrarlo a mio padre. Tra pochi minuti,
raggiungeremo la città dell’Ovest e la Capsule Corporation. Fa’ qualcosa!»
Quando
Crilin alzò gli occhi dal cellulare per osservare i
presenti, colse sui loro volti lo sbigottimento.
Evidentemente,
oltre a non sapere dell’esistenza di un dispositivo elettronico in grado di
ritrovare le sfere del drago, neppure
avevano idea che la scienziata di corte ne possedesse uno.
Per
la verità, la notizia aveva sconvolto anche lo stesso Crilin.
Bulma
gli aveva accennato un paio di volte ad alcuni progetti di suo padre
riguardanti proprio le prodigiose sfere, ma non era mai scesa nei dettagli ed
egli non aveva mai capito che il dottor Brief stesse
lavorando proprio a un radar in grado di localizzarle.
Ma
come aveva fatto Vegeta a venirne a conoscenza?
Era
stata lei, incautamente, a rivelarglielo?
In
un attimo di rabbia, Bardack chiuse una mano a pugno
e colpì una parete, polverizzandola all’istante e lasciando basito il povero Crilin.
«Razza
di imbecille, perché non mi hai detto subito che la scienziata aveva un radar
cerca sfere?»
«Ma,
io… Io non lo sapevo, lo giuro!»
«E
allora perché ha mandato proprio a te questo messaggio, terrestre?»
«Non
ne ho idea, credimi. Magari ha pensato che potessi darle una mano.»
Bardack
ritrasse il pugno dal muro e assunse un portamento controllato.
«Sai
perlomeno dove accidenti si trova la Capsule Corporation?»
«Sì,
certo. Ci sono stato più di una volta.»
«Perfetto.
Allora, sbrigati a darmi le coordinate. Io vado a cercare il principe e la
scienziata, tu invece dovrai scovare questo Tensinhan.
Vedi di fare alla svelta, però.»
Chichi
rimase per un attimo basita, sconvolta anche lei dalla notizia.
Bulma
non le aveva mai detto nulla a riguardo del radar cerca sfere, nonostante ella
fosse la legittima custode di quegli oggetti.
Perché
le aveva taciuto una cosa del genere?
L’aveva
messa nei guai, in quel modo.
Se
ne fosse entrata a conoscenza prima, avrebbe potuto evitare tutte le spiacevoli
situazioni in cui era incappata negli ultimi due giorni.
E,
magari, non avrebbe mai scoperto la tresca tra Mamanu
e Bardack.
In
quel momento, persino Bulma le sembrava responsabile
per ciò che aveva incautamente visto entrando in quella stanza.
Ella
sapeva che, razionalmente parlando, avercela con il mondo intero non avrebbe
attenuato la sua delusione, eppure non riusciva a non pensare a quanto il
silenzio della scienziata avesse contribuito a far precipitare gli eventi.
Gli
ordini appena elargiti da Bardack, poi, non
contemplavano affatto Kakaroth.
Perché
il generale non si preoccupava anche di trovare suo figlio?
Forse,
avrebbe dovuto lasciare il più in fretta possibile quella stanza e andare dal
suo protettore.
Una
strana sensazione la stava pervadendo e, per qualche strano motivo, l’istinto le suggeriva che Goku stava per
commettere un grave errore.
Doveva
andare da lui e doveva farlo subito, al costo di mollare lì Crilin
insieme a Bardack e a Mamanu.
Non riusciva assolutamente a localizzarlo poiché aveva ancora l’aura azzerata,
ma l’energia negativa del ragazzo che amava stava aumentando.
Perché?
Forse
aveva trovato Yamcha?
Se
così fosse stato, l’allievo di Muten sarebbe stato
davvero in guai seri.
«Ehi,
aspetta. Vuoi andare tu alla Capsule
Corporation?»
«Esattamente,
terrestre.»
Crilin
rimase sbalordito a quella conferma.
L’idea
di Bardack aveva un senso, certamente, ma egli, al
suo posto, non avrebbe mai fatto una cosa del genere.
Cosa
passava per la testa di quell’uomo?
E
perché, nonostante egli fosse un saiyan, Crilin non riusciva a dubitare del fatto che, una volta
trovati Vegeta e Bulma, Bardack
non avrebbe dato al suo principe il suo aiuto?
«E
come la mettiamo con il tuo principe? Non avrai forse intenzione di metterti
contro di lui?»
Bardack
rimase in silenzio per qualche istante.
Per
la verità, non sapeva nemmeno lui cosa volesse realmente fare.
Una
cosa era certa: ormai la situazione gli era sfuggita di mano e, qualunque fosse
stato il destino a cui sarebbe andato incontro, egli non aveva la benché minima
intenzione di sottrarsi alla sua sorte.
Di
sicuro, non avrebbe permesso a Vegeta di fare qualcosa di cui, prima o poi, si
sarebbe pentito.
Perché,
ne era certo, il sovrano dei saiyan avrebbe tratto
molti più vantaggi da quel pianeta governandolo con le buone che non
sottomettendolo con la sua forza e con l’ausilio delle sfere del drago.
Ciò
che contava per Bardack era che i saiyan
ne riprendessero al più presto il possesso e il controllo; alla loro gestione
avrebbe pensato in un altro momento.
«Quello
che ho intenzione di fare io non ti riguarda. Fa’ quello che ti ho detto, Crilin.»
Il
giovane allievo di Muten avrebbe voluto replicare, ma
fu distratto dall’ennesimo evento inaspettato.
Chichi
era fuggita via, di corsa, da quella stanza.
Dove
avesse intenzione di andare, nessuno poteva saperlo.
***
Condor
ne aveva viste tante, troppe, in quei pochi giorni.
Non
solo i suoi due allievi si erano lasciati soffiare il posto di protettore della principessa, ma aveva
dovuto persino assistere alla reale venuta dei malvagi.
O
saiyan, come amavano farsi chiamare quegli
energumeni.
Certo,
a quel torneo aveva partecipato anche lui, ma nemmeno per un istante aveva
davvero sperato di vincere.
La
giovinezza, ormai, lo aveva abbandonato da parecchio e con essa se n’era andata
anche la forza che un tempo lo contraddistingueva.
Muten
era sempre stato una spanna sopra a lui e, anche se durante il loro ultimo
incontro lo aveva battuto, Condor sapeva che ciò era stato dettato unicamente
dalla fortuna.
O,
magari, dal desiderio del suo avversario di non infierire su di lui.
Ma
Tensinhan e Jaozi erano
forti sul serio.
Egli
aveva scommesso tutto su quei ragazzi e quei due ingrati lo avevano ripagato
facendosi battere come dei principianti.
D’accordo,
Son Goku si era rivelato essere un saiyan, ma rimaneva
il fatto che non aveva notato una grande differenza tra il livello di
combattimento dei suoi allievi e quello degli allievi di Muten.
Tra
l’altro, da quando erano giunti i malvagi,
egli nemmeno li aveva più visti.
Se
aveva imparato a conoscere bene Tensinhan,
probabilmente quel ragazzo stava architettando qualcosa.
Già;
ma cosa?
E
contro chi?
L’idea
di essere tagliato fuori dai piani del suo allievo prediletto gli faceva
enormemente rabbia.
Condor
aveva istruito alle arti marziali quel giovane promettente come meglio non
avrebbe potuto fare. Conosceva perfettamente il valore di quel guerriero e
aveva imparato anche a interpretare le sue azioni.
Era
chiaro: la sconfitta gli bruciava parecchio e ancor di più Tensinhan
soffriva per il fatto che, allo stato attuale, era assolutamente impotente.
Peccato
che ciò non bastava a giustificare appieno la sua sparizione.
Condor
era preoccupato.
Il
fatto che i suoi allievi non si fossero presi la briga di andarlo a cercare
subito dopo il torneo lo aveva messo in allarme.
La
cosa più strana, però, era che nemmeno di uno degli allievi di Muten si avevano notizie da giorni.
Continuare
a rimuginare su queste cose lo aveva per un attimo distratto, tanto che
l’anziano maestro non aveva nemmeno notato di essere finalmente giunto a
destinazione.
Da
quanto tempo non desiderava mettere piede all’interno del palazzo di Furipan?
Il
fatto, poi, che quel luogo fosse stranamente quasi deserto non aveva fatto
altro che accrescere la sua bramosia.
Giumaho
non era nel salone, così come non c’erano nemmeno sua figlia e sua moglie.
E
che ne era stato dei saiyan?
Possibile
che si fossero allontanati a bordo di quell’elicottero che aveva scorto pochi
minuti prima?
Certo,
era assurdo: quei guerrieri sapevano volare.
E
allora perché munirsi di un simile mezzo di trasporto?
E
per andare dove?
A
Condor tutta quella faccenda suonava strana e, dunque, gli piaceva ben poco.
Che
fosse stata Bulma a lasciare il palazzo?
Possibile;
anzi, forse era quasi certo.
In
fondo, lui la conosceva piuttosto bene, non fosse stato per altro che era la
figlia di uno degli scienziati più strampalati e geniali del pianeta.
Il
desiderio di andare a fondo in quella vicenda lo spinse a dirigersi verso
quello che sapeva essere il laboratorio del palazzo. Aveva origliato parecchie
volte le chiacchierate tra Crilin e Muten e, tra le righe, aveva colto parecchi dettagli sulla
struttura interna di quell’enorme dimora.
Non
poteva sbagliare: il laboratorio doveva essere dalla parte opposta rispetto a
dove si trovava lui in quel momento.
L’anziano
maestro corse alla svelta verso quel luogo a lui sconosciuto e spalancò con
vorace curiosità la porta della stanza interdetta.
Come
aveva supposto, lì dentro non c’era nessuno; tuttavia, sulla logora scrivania dove
la scienziata lavorava, ancora erano sparpagliati diversi fogli.
«Che
diavolo è questa roba?» sussurrò a sé stesso il vecchio Condor.
Quelle
carte giallognole, usurate dallo scorrere del tempo, recavano su di esse
calcoli improbabili e disegni di difficile interpretazione.
La
mano di Brief su alcuni di quei fogli era
inconfondibile: tutta quella roba era stata scritta di suo pugno dal
proprietario della Capsule Corporation e, per qualche strano motivo, sua figlia
aveva deciso di appropriarsene e di aggiungere dei dettagli.
Perché?
Più
osservava quei calcoli e quei disegni e più si convinceva del fatto che essi
riguardavano la Luna.
La
vecchia Luna.
Ormai,
erano trascorsi almeno una quindicina di anni da quando il satellite naturale
della Terra era esploso del nulla.
Che
senso aveva mettersi a studiare la sua conformazione geologica, ammesso che di conformazione geologica si trattasse?
E
perché, soprattutto, farlo proprio in quel momento?
Bulma
non era stata trattenuta a corte per lavorare agli ordini dei saiyan?
Se
così fosse stato, allora dovevano essere stati loro a ordinarle di mettere mano
a quella roba.
Ciò,
però, non faceva che rendere il tutto ancora più complicato.
Condor
sparpagliò i fogli sulla scrivania e provò ad accendere il computer, ma il
tentativo finì in un buco nell’acqua.
«Ah,
quella maledetta ha inserito una parola chiave!»
Il
maestro, allora, tornò a rovistare tra i progetti cartacei alla ricerca di
qualche dettaglio chiarificatore.
Doveva
venirne fuori, in un modo o nell’altro.
Doveva.
Gli
occhi, alla fine, caddero su un dettaglio che aveva inizialmente trascurato.
Era
una scritta in rosso, piuttosto piccola ma comunque ben visibile.
Come
gli era potuta sfuggire?
L’uomo
lesse con attenzione ciò che vi era impresso sopra.
«Onde Bluetz»
sussurrò Condor a mezza bocca. «Ma che diavolo significa?»
Il
burbero e anziano guerriero alzò per un momento gli occhi e sospirò in preda
alla preoccupazione.
Forse,
era giunto il momento di mettere momentaneamente da parte i risentimenti nei
confronti di Muten e di informarlo sugli studi di Bulma e di suo padre.
Se
agli occhi dei saiyan quella roba sembrava
interessante, evidentemente, benché lui non capisse il significato di quei
calcoli, questi ultimi non dovevano celare niente di buono.
CONTINUA
Angolo dell’autrice
Ben
ritrovati!
Puntuale,
come avevo promesso, ho pubblicato anche il sedicesimo capitolo di questa
storia.
Be’,
chiaramente non posso non ringraziarvi per la pazienza e la comprensione che
avete dimostrato nei miei confronti.
Vi
ho ricompensati con un capitolo abbastanza corposo, privo di amoreggiamenti ma
ricco di piccoli colpi di scena e spero che ciò abbia contribuito a rendere più
sopportabili gli intermezzi introspettivi. A tal proposito, ci tengo a
precisare – come ho già fatto altre volte – che i miei personaggi, protagonisti
compresi, non sono perfetti, ma, al contrario, hanno delle sfaccettature molto umane. Chichi,
in particolare, in questo capitolo non ha dato il meglio di sé, giudicando
l’atto del tradimento di Mamanu nei confronti di Giumaho senza riflettere per nulla sul fatto che ella non
ha mai desiderato spontaneamente quel matrimonio. Non è stata affatto
comprensiva, in fondo, ma trovo che una qualunque figlia avrebbe reagito allo
stesso modo sapendo che la moglie del proprio padre avesse una relazione extraconiugale.
Anche Mamanu, dopotutto, sta iniziando a vacillare e
a perdere la calma, oltre che il suo autocontrollo.
Piccole
e doverose anticipazioni.
Nel
prossimo capitolo tratterò, molto probabilmente, del fatidico incontro tra Bulma e Vegeta e i coniugi Brief.
Lo so, fino a questo momento la storia non ha ancora avuto risvolti comici – o
tragicomici – ma credo che sia giunto l’ora, dopo ben sedici capitoli, di
inserire un intermezzo ilare. Insomma, cercherò il più possibile di rendere IC
i genitori di Bulma e, dunque, di alleggerire un poco
la trama, rimanendo fedele al puro stile Dragon Ball.
Spero
vivamente di non fare pasticci!
Intanto,
vi ringrazio come sempre per aver letto il capitolo.
Siete
meravigliosi!
9dolina0