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Autore: ellephedre    07/01/2015    4 recensioni
Makoto Kino è innamorata. Gen Masashi la segue a ruota.
Con una relazione nata nella battaglia, non hanno più segreti tra loro, eppure hanno ancora molto da scoprire l'uno sull'altro. E non vedono l'ora di farlo.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Makoto/Morea, Nuovo personaggio
Note: Lemon, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Oltre le stelle Saga'
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corrente naturale 5

 

Note: questo capitolo era in origine presente nella raccolta 'San Valentino'. L'ho revisionato leggermente per questa ripubblicazione nella raccolta giusta e mi sono stupita enormemente nel constatare che per la maggior parte era già scritto bene, senza troppi orrori :D

 

 

Corrente naturale

di ellephedre

 

 

 

14 febbraio 1997 - San Valentino studiato

 

È il giorno dell'amore, canticchiò tra sé Makoto. Giorno di cioccolatini a forma di cuore.

Terminò di disegnare con la panna sulla torta di cioccolato fondente. Aveva scritto un solo numero sul dolce, in deliziose nuvole di bianco gustoso.

 

1

 

Assaggiò la coda di panna rimasta attaccata al beccuccio del sacco decoratore. Era densa al punto giusto e pronta a sciogliersi sulla lingua, semplicemente perfetta. La torta del primo mattino era pronta. La fece roteare sul piano girevole e corse a prendere il telefono.

Tornando in cucina col cordless già attaccato all'orecchio, rimirò la propria crezione.

Dall'altra parte della linea immaginò Gen che recuperava il cellulare dove lo aveva abbandonato, dentro il borsone da lavoro.

«Ehi...» le rispose lui a bassa voce, languido. «Ciao, Mako.»

«Buongiorno.» Erano le sette e mezza e lei lo aveva svegliato: il tono di Gen era tanto roco e lussurioso solo di mattina, quando lui era ancora innamorato del sonno appena abbandonato.

Lo sentì rilasciare uno sbadiglio rigenerante. «Buongiorno anche a te» le disse.

Makoto lo vide nella propria mente con gli occhi gonfi, che stiracchiava le braccia con movimenti che da lenti diventavano energici, il pigiama ancora caldo del letto. Si pentì di non aver imparato a teletrasportarsi. «Scusa per l'ora, ma ero impaziente di sentirti. Sai cos'ho qui per te?»

«Hmm... no.»

«Un dolce al cioccolato. Vorrei che iniziassi la giornata assaggiandolo, quindi mi chiedevo... Posso portartelo all'incontro col gruppo di studio, vero?» Verovero? Aveva imparato che se concludeva in quel modo una frase, Gen non riusciva a dirle di no.

«Eh?»

Lui non era ancora sveglio. «Oggi. So dove vi incontrate per terminare il progetto. Porto questa torta, ce n'è un po' anche per i tuoi compagni di studio.»

«Ah... certo.» Il suono di un sorriso le confermò che era tutto a posto. «Sei capitata a proposito con la chiamata, sai? Stavo lasciando suonare la sveglia, sarei arrivato in ritardo. Vado a farmi una doccia, ci vediamo là.»

«Okay!»

«Sono contento che vieni.»

Era naturale. «A dopo!»

Riattaccarono insieme.

Lei sarebbe stata stra-felicissima di incontrarlo di persona nel giro di un'oretta. Era il 14 febbraio, San Valentino: stava insieme a Gen insieme da poco più di due mesi. Avevano mancato di festeggiare a dovere il secondo mesiversario per mancanza di tempo, ma si sarebbero rifatti quel giorno. Lui non conosceva ancora il dettagliato programma di sorprese che lei aveva in mente.

Ridacchiando inscatolò la torta.

Nessun progetto di architettura l'avrebbe fermata!

  


  

«Davvero? Veramente oggi lui ha detto di non essere impegnato.»

Bastò quella dichiarazione a mettere in forse la giornata di Makoto.

«Come?» Posò la torta sul tavolo della biblioteca dell'università, nell'angolo del grande salone dedicato ai gruppi di studio e discussione.

Gen le aveva fatto sapere che si sarebbe incontrato lì con i due compagni di corso assieme a cui doveva terminare il progetto necessario a superare l'esame; aveva menzionato che uno di loro era una ragazza. Adesso Makoto l'aveva davanti, ma non riusciva a ricordare il suo nome.

Prima le aveva detto... 'Ciao, io sono Makoto'. E l'altra aveva ribattuto, 'Ciao, io sono Kimura' - ecco il nome - 'Tu sei...?'

Per Makoto la risposta era stata immediata e felice. Io sono la ragazza di Gen Masashi.

In quel momento era arrivata la risposta che non capiva, perciò se la ripeté in testa.

Veramente lui oggi ha detto di non essere impegnato.

Cercò di dare un senso alla frase.

La ragazza - Kimura - le offrì un sorriso interrogativo. «Hajima si incontrerà con la sua fidanzata stanotte, ma per Masashi non c'erano problemi, lui era libero. Ha detto che dovevamo finire entro stasera e che poteva restare tutto il tempo che ci voleva.» Scrollò le spalle. «Mah... si sarà dimenticato, no? A volte gli uomini sono così.»

Makoto avrebbe sorriso malamente assieme all'estranea se non avesse notato il modo in cui lei era tornata a sedersi, il gomito appoggiato sullo schienale della sedia e le gambe incrociate sotto la gonna corta. Kimura-san era una studentessa universitaria con la linea degli occhi accentuata di nero e le labbra velate di un rossetto chiaro. Lo sguardo era il suo punto di forza, intenso e sfrontato.

«O forse ha mentito di proposito» continuò soddisfatta. «A volte gli uomini fanno anche questo.»

Makoto era un'avida consumatrice di sceneggiati televisivi sin dall'età di dodici anni, quando la sua cara nonna le aveva fatto scoprire 'Amore per sempre', un drama di mezz'ora con cui si intrattenevano durante la cena. Nelle puntate dell'ultima settimana la protagonista Arisa aveva cominciato a temere un tradimento da parte del fidanzato. Il sospetto si era insinuato in lei nella puntata del lunedì e, arrivato venerdì, Arisa aveva fatto di tutto - complottato alle spalle di lui per coglierlo in flagrante, spettegolato con mezza famiglia allargata, contattato un'agenzia investigativa per indagare sulla faccenda - senza venire a capo di niente.

Makoto preferiva metodi più diretti. Aprì la confezione della torta. «Desideri un po' di dolce?»

La sua avversaria rimase interdetta. Sbatté le ciglia ricoperte da due strati di mascara.

Makoto armeggiò tranquilla con piattini e posate di plastica, fino a servire una fetta di dolce già tagliata: era una ragazza previdente e organizzata. «Favorisci pure, è uno dei miei dolci migliori. L'ho preparato per tutti e tre.»

Kimura lanciò una lunga occhiata alla torta di cioccolato, poi cedette alla tentazione. Dopo averne assaggiato un po', fu certa che non contenesse alcuna dose di veleno e lanciò un'occhiata affamata al resto del dolce - un grosso cuore a cui ora mancava un pezzo.

Le sarebbe piaciuto che quell'immagine corrispondesse a come si sentiva lei, ma niente da fare. «Buono, vero? Sto per aprire una pasticceria.» Si accomodò sorridente davanti all'estranea, a braccia incrociate. «Ho conquistato Gen prendendolo per la gola.»

Alla menzione di lui, Kimura la fissò.

«Che dire? Gli piacciono le ragazze dolci che sanno fare i dolci. A volte mi fa i complimenti dicendo che profumo di panna e fragola. Di te direbbe che hai il sapore di... un'insalata. Con tanto aceto.» Sorrise. «Ovviamente nei sogni in cui finite insieme e che fai solo tu.»

Kimura aprì la bocca piena di cioccolato.

«Aspetta aspetta, ecco un'altra cosa che gli piace di me: so far uso di violenza. Nell'ultimo anno sono arrivata al livello di un quarto dan di karate. Pratico judo, mi diletto di kung fu... Mi piace menare le mani. Mi permette di sfogare la rabbia, ho un problema di controllo. Un attimo sono tranquilla e quello dopo...» Scosse la testa.

Kimura non si muoveva più, neppure sbatteva le palpebre.

«Riesco a buttare a terra persino lui, capisci? Tutti quei muscoli e io» schioccò le dita, «lo stendo come niente. Ehh, ma gli piace, è un tipo di particolare.» Si alzò e allegra indicò il dolce. «Penso che ci siamo capite. Adesso mi porto via un pezzettino della torta, va bene?»

La sua ex avversaria si limitò a boccheggiare.

Makoto non le badò più e recuperò per davvero una fetta del cuore di cioccolato, la più grossa. La appoggiò su un fazzoletto pulito, quindi sistemò per bene la borsa sulla spalla e si diresse verso l'uscita.

Si fermò poco fuori le porte scorrevoli e attese, paziente.

Gen arrivò un paio di minuti dopo.

«Ehi!» Allargò le braccia felice e le venne incontro.

«Ciao» gli rispose lei, mostrandogli il palmo aperto. «Guarda cosa ti avevo portato.»

Lui adocchiò la torta, confuso. Con un passo in avanti lei gliela spalmò tutta sulla faccia.

Godette nel vederlo soffocare di cioccolato.

«I fazzoletti sono di là.» Marciò via lapidaria, rifiutandosi di ascoltare richiami attutiti da strati di pan di spagna.

Da bravo testardo Gen si pulì con una manata e cominciò a inseguirla di corsa, ma, da guerriera professionista, lei lo seminò con un unico salto laterale.

Dilettante.

Lo osservò prendere la direzione sbagliata. Soffocando uno stupido groppo alla gola, scese dall'albero in cui si era nascosta e se ne andò.

   


   

Rispondi.

Col telefono attaccato all'orecchio Gen massaggiò l'apertura delle narici. Gli veniva da starnutire, nel naso gli era rimasto del cioccolato. Afferrò il fazzoletto e si pulì velocemente.

Il telefono dell'appartamento di Makoto continuava a squillare a vuoto.

Hajima era arrivato in tempo per vederlo mentre tornava indietro, diretto verso il bagno degli uomini. Non aveva ancora smesso di ridere.

«Dimenticarsi di San Valentino... Come hai fatto a non vedere le pubblicità in giro?»

Gen strinse i denti. «Tu pensa al progetto, dobbiamo finire oggi. Io non ho pensato che a questo durante tutta la settimana, non ho visto nessuna pubblicità. Oggi per me era mercoledì, il 14 del mese, mancano ancora tre settimane al primo esame. Lavoravo di giorno, studiavo di notte. Non mi ricordavo del dannato San Valentino!» Si zittì mentre premeva il bottone di fine comunicazione sul telefono. Reinoltrò in automatico la chiamata.

Rispondi.

Makoto non poteva essere andata a scuola se era venuta a trovarlo così presto di mattina, e senza uniforme. Dov'era finita?

Hajima lo guardava solidale. «Non se la sarà presa tanto. O si sarà sfogata con la torta.»

Kimura ebbe la decenza di guardare per terra. Le era già mancato il buon senso di astenersi dal chiedere una nuova fetta di dolce, oltre che il cervello per comportarsi con dignità. Quando all'inizio lo aveva visto entrare col collo striato di cioccolato, aveva commentato 'Ma è un mostro!' e Gen aveva capito di non avere due sorelle per niente: riconosceva puzza di guai da una sola frase.

Si era fatto raccontare parola per parola tutto quello che Kimura aveva detto a Makoto. Non aveva nemmeno dovuto buttare minacce sul piatto: si era sporto in avanti, le mani piantate sul tavolo, e Kimura aveva confessato tutto tremando.

Il problema era più grave di una semplice dimenticanza, benché si trattasse del giorno San Valentino. Makoto era convinta che lui avesse cercato di rendersi disponibile per un'altra donna. O no? Lei non poteva credere sul serio a una storia tanto ridicola. Inoltre si era fatta valere da dio - da dea - con Kimura.

Ma ora non rispondeva al telefono, né a casa sua né al negozio, dove aveva appena fatto installare la linea.

Gen non poteva muoversi da lì - doveva terminare quel dannato progetto, dato che il giorno dopo ne aveva un altro ancora da portare avanti, con un altro gruppo di lavoro. Ma anche se avesse potuto muoversi, cosa avrebbe risolto? Sarebbe andato in giro per Tokyo a cercarla a vuoto?

Non esisteva un metodo per localizzarla senza sapere... Fermò il pensiero e si alzò in piedi.

A volte essere legato a Giove aveva suoi vantaggi.

Fece scorrere sul tavolo i fogli che aveva tirato fuori, verso Hajima e Kimura. «Qui c'è la mia parte di lavoro, studiatevela e dite se vedete problemi. Vado a fare una chiamata.»

    

«Pronto?»

Gen tirò un sospiro di sollievo. «Ciao, Kumada. Puoi farmi parlare con Hino?»

Ci fu un momento di silenzio. «Gen?»

«Sì.» Gli aveva detto che preferiva essere chiamato Masashi, ma Yuichiro Kumada non lo ricordava mai.

«Ciao» disse lui. «Ah... perché?»

«Devo trovare Makoto.» Venne colpito da un'idea. «Non è lì, giusto?»

«Non è qui. Voglio dire, non lo so. Anzi, non è possibile che sia a casa. In realtà nemmeno io ci sono.»

Aveva bevuto? «Stai rispondendo al telefono.»

Kumada liberò una risata. «Sì! Abbiamo installato un aggeggio che direziona le chiamate da me quando in casa non c'è nessuno. Basta premere un bottone, è ingegnoso. Ha insistito Rei per comprarlo, dice che servirà adesso che anche lei sarà sempre fuori. Per via dell'università.»

Gen non aveva capito niente.

«Se sto ricevendo la chiamata io» spiegò Kumada, «significa che il maestro sta meditando e Rei è uscita. Quindi Makoto non può essere a casa nostra. Hmm, l'hai persa?»

«Sì.» Forse Makoto era con Hino?

«È San Valentino.»

«Ormai lo so.»

Kumada scoppiò a ridere. «E io che pensavo di essere l'unico ad avere dei problemi. Comunque, per risolvere chiama Alexander.»

«Che me ne faccio di Golden Boy?»

«Niente, ma è San Valentino. Sarà assieme ad Ami. Ed Ami ha-»

«Il suo computer. È vero, grazie.» Riattaccò.

Solo qualche secondo dopo si ricordò di non avere il numero di Alexander Golden Boy Foster. Ritelefonò a Kumada e tre minuti dopo stava chiamando il ragazzo di Mizuno.

«Pronto?»

«Sono Gen, mi servirebbe parlare con Ami.»

Da parte di Golden Boy vi fu un momento di silenzio. «Chi ti ha dato questo numero?»

«Kumada» strinse i denti Gen. «Per parlare con Mizuno. Di Makoto.»

Altri due attimi muti.

«Se vuoi parlare con Ami, prima parli con me.»

Dannazione. «Mizuno non è con te, giusto?»

«No e per questo sono di cattivo umore. Noto che sei nella stessa condizione, salute compare. Ora, vuoi continuare a perdere tempo o mi dici cosa vuoi da lei?»

«Voglio che mi dica dov'è Makoto.»

«Saltato l'appuntamento?»

Gen detestava dipendere dalle persone. Dipendere da Foster, poi... «Mi ha frainteso su una cosa e ora ho bisogno di trovarla.»

«Questa è divertente. Che le hai fatto di tanto grave da dover ricorrere a poteri Sailor per recuperarla?»

«Non sono affari tuoi.»

«Allora nemmeno il numero del telefono portatile di Ami sarà affare tuo.»

Giusto, anche Mizuno ne aveva uno. Ormai era prezioso. «Occhio per occhio. Che le hai fatto tu?» Non si sarebbe umiliato da solo.

«Io niente, ci siamo imposti di studiare da settimane. Sto studiando, sta studiando anche lei. Ci vedremo solo stasera.»

Lo studio era una maledizione comune. «Makoto pensa che io abbia detto a un'altra ragazza che non sono fidanzato. Credo. E si è arrabbiata perché mi sono dimenticato che era San Valentino. Forse.»

«Cosa?»

La risata gli provocò un battito sordo dentro la testa. «Fuori il numero di Mizuno.»

«O hai detto a un'altra donna che non eri impegnato o non lo hai fatto, non ci sono vie di mezzo.»

C'erano! «Ho usato proprio quella parola, 'impegnato'! Mi riferivo a oggi, ho detto che non era impegnato oggi e perciò avevo del tempo per studiare, solo per questo. Sono stufo di parlarti della mia vita.»

«Sono sadico quando sono triste e solo. Uno che dice di non avere impegni nella giornata di San Valentino sta sostenendo di essere single.»

Gen si impose calma. «Sì. Ma Makoto non ci crede veramente.»

«Perché?»

Gli spiegò sinteticamente quello che lei aveva detto a Kimura, solo per non perdere altro tempo e ottenere il dannato numero di Mizuno.

«Non hai ancora capito perché Makoto è arrabbiata?» Golden Boy se la stava spassando.

«Non mi interessa quello che pensi.»

«Le hai rovinato San Valentino. Ti aveva preparato una torta, è venuta a portartela alle nove di mattina e ha trovato un'altra tizia che ti ronzava attorno e tu che nemmeno ricordavi che giorno era.»

Gen fu costretto a riflettere.

«Il numero di Ami è... Hai da segnare?»

«Sì.» Prese nota delle cifre. «Grazie» bofonchiò alla fine.

Seguì un sospiro. «Che l'amore sia con te.»

Gen rimase con la cornetta attaccata al telefono. «Per tutto il tempo hai parlato come una ragazza. Quando sei depresso, perdi anche le palle?»

Al telefono Golden Boy sorrise. «Fottiti.»

Ecco una conversazione da uomini, rise Gen.

Riattaccarono.

      

Alla fine si rivelò tutto inutile: Mizuno si limitò a dirgli che Makoto era arrivata al negozio.

Gen scelse un approccio telefonico: se fosse andato di persona avrebbe perso due ore tra andata, spiegazioni e ritorno, col risultato di togliere due ore alla serata che poteva ancora trascorrere insieme assieme a Makoto. Avrebbe finito entro le sette, lo giurò a se stesso.

Lo squillo della chiamata si interruppe e lei rispose. «Ciao. Ho dato solo a te questo numero.»

Gen l'aveva già sentita arrabbiata e Makoto non era mai stata tanto tranquilla e... letale. «Ciao. Hai fatto bene a terrorizzare Kimura. Era un'illusa.»

«Mi chiami per parlarmi di un'altra ragazza?»

Era partito col piede sbagliato. «Mi ero dimenticato che giorno era oggi, per questo ho detto a quei due che questo mercoledì non avevo impegni.»

«Va bene.»

«La torta era... buona.» Anche in faccia a lui.

Makoto fece silenzio «Ci avevo scritto sopra 'uno'. Era il primo dei quattro dolci che volevo darti oggi. Sto mangiando il numero due, sono dei biscotti. Te li avrei portati per merenda al pomeriggio.»

Makoto che faceva fuori un dolce era all'apice della propria ira - o delusione. «Mi dispiace.»

Lei emise un suono confuso. «Dispiacerà a te. Il quarto dolce era solo crema di cioccolato. Pensavo di lasciartela mangiare dal mio stomaco.»

... cosa?

Makoto sbatté una mano contro una superficie dura. «Sono arrabbiata!»

«Sai che è tutta la settimana che ho in testa solo lo studio.»

«Lo so! E non mi interessa se non è colpa tua, ma oggi - a San Valentino - non dovevo trovarmi davanti una stupida che mi dice che ti sei dimenticato apposta di che giorno è!»

«Lasciala perdere, l'ho messa al suo posto! Mi dispiace se ti sei arrabbiata, non volevo-»

«Avevo tanti piani!» Makoto abbassò di colpo il tono della voce. «Avevo preparato... tante cose. Era il nostro primo San Valentino...»

Oh no, non così. Non con quel tono affranto, quando lui era lontano e non poteva fare altro che usare le parole per farsi perdonare. «Abbiamo la serata, mi libererò in tempo. È una promessa.»

Il silenzio di lei non fu incoraggiante. «No, non lavorare di fretta. Il resto non conta.»

Quella conversazione stava diventando come lo schianto di un treno al rallentatore. «Per favore, torna qui al pomeriggio, come avevi programmato.»

Makoto non disse niente.

«Se non fosse per questo dannato progetto, verrei io da te e staremmo insieme ogni minuto che manca da qui e mezzanotte. Torna, voglio vederti.»

«Gen... Non ti preoccupare. Pensa al progetto, ci vediamo stasera.»

Lei non lo aveva capito. «Non lo sto dicendo per te, Makoto. Torna indietro più tardi, seguiamo i tuoi piani. Se è San Valentino, è anche il nostro giorno.»

La breve risata di lei fu un suono di salvezza. «Guarda che non ti lascio lo stesso leccare il cioccolato via da me.»

«In pubblico? Anche io sono contrario.»

Il fragore della sua allegria mise tutto a posto.

«Nemmeno dalla bocca?» insistette lui.

«Neppure da quella» ribadì Makoto, la sua voce un invito a provarci. «Allora...» Tornò insicura. «Vengo dopo?»

«Sì.»

Al telefono Gen udì un sospiro rapido, sollievo e impazienza.

«Ciao.»

«Ciao.»

    

«Questo» Makoto baciò il biscotto, «è l'ultimo rimasto.» Lo appoggiò sulla bocca di Gen, decisa a salutarlo solo in quel modo. I contatti erano vietati.

Lui addentò un pezzo della massa di farina e cioccolato e le prese la mano prima che lei potesse spostarla. Riuscì a farle fare un passo nella sua direzione, ma Makoto si ritrasse in tempo per evitare l'abbraccio.

Si trovavano in un angolo nascosto dell'ingresso del salone studio, dove quella mattina gli aveva macchiato il viso di cioccolato.

«Sei ancora arrabbiata?»

«No.» Adesso pensava a un gioco, una sorta di prova di forza per se stessa. Per tutti e due. «Mi dispiace per la torta.» Aveva esagerato. Si sarebbe scusata anche dieci volte se fosse stato necessario.

«Te l'ho detto, era buona.»

«In faccia?»

Gen scrollò le spalle. «Era anche meglio della violenza con cui hai minacciato Kimura.»

Sorrisero insieme.

«Non ho mai visto una rissa tra donne a causa mia» fantasticò lui.

«Non ci sarebbe stata nessuna rissa. Avrei vinto io per K.O. al primo colpo.»

«È vero.»

Makoto si ritrovò abbracciata, il respiro di Gen sulla bocca e il proposito della distanza svanito come neve al sole.

«L'avresti distrutta» le surrussò lui.

Lei allontanò le labbra in tempo per evitare il bacio, ma non abbastanza in fretta per impedire un contatto leggero che le infiammò i nervi della bocca.

Femminuccia. Va bene essere dolce, ma non diventare così malleabile.

Gen la guardò per un momento e capì tutto quanto. Le tenne ferma la testa con le mani - le dita che volevano scioglierle i capelli - e si prese quello che volevano entrambi.

Fu un bacio caldo, umido, intenso come una carezza su tutto il corpo, così piacevole da farla sciogliere.

Tirandosi indietro, Makoto quasi si pentì. «Vado a casa.» Si liberò dall'abbraccio e gli lanciò un sorriso veloce.

Gen stava assaggiando il gusto rimasto sulle labbra. «Va bene. Arrivo alle otto.»

«Al negozio, passa da lì.»

Si salutarono con uno sguardo.

  


  

Il problema era un non problema, concluse in serata Makoto.

Non ce l'aveva con Gen per aver attirato una piattola, né per essersi dimenticato di San Valentino. Non ce l'aveva più con lui, semplicemente: capiva le circostanze, quanto lui fosse stato impegnato e con la testa occupata durante l'ultima settimana.

Le era rimasto solo da chiedersi perché fosse pronta a cadere ai suoi piedi nel giro di pochi secondi, dopo appena qualche parolina giusta - bella, certo, ma che non richiedeva molto sforzo.

A Gen piaceva che lei fosse dolce, ma anche forte. Anche lei si piaceva di più quando si conquistava da sola qualcosa.

Perciò, San Valentino mio, piani cambiati: non sarai un giorno di concessioni, ma di conquista.

Terminò di accendere la seconda candela rosa, il fusto lungo coordinato allo stile dei due piatti già serviti.

Il tavolo di casa sua avrebbe creato un'immagine più romantica rispetto al tavolino nuovo del negozio, semplice e leggero, ma nel suo appartamento sarebbero stati pericolosamente vicini al letto - un luogo troppo invitante dopo che aveva parlato a Gen della sua idea con la crema al cioccolato. Non gli aveva detto che intendeva usarla anche su di lui, ma quella sarebbe stata solo un'altra delle esperienze che intendeva prendersi e assaporare a tempo debito.

Il campanello nuovo del negozio suonò.

Dietro la porta di vetro Gen aveva inclinato la testa, le mani infilate in un paio di pantaloni diversi da quelli che aveva indossato durante il pomeriggio, scuri e ben stirati. Anche la camicia e la giacca erano spuntate fuori dal nulla.

Dove hai preso questi vestiti? Doveva averglieli portati all'università una delle sue sorelle; erano ragazze generose e disponibili quando si chiedeva loro una mano.

Lei voleva esordire chiedendo a Gen com'era andato il progetto, ma quella era una domanda da Makoto quotidiana e aveva tanto tempo per trovare risposta.

A sua volta indossava qualcosa di diverso dal solito, un abito rosa pallido che le fasciava il corpo, bello da vedere anche abbandonato a terra. Più tardi, da un'altra parte.

Aprì la porta, appoggiandosi all'anta. «Benvenuto.»

Gen guardò il suo viso, poi tutto il resto di lei. «Ciao» disse con riverenza.

Makoto gli indicò il tavolo. «La cena è servita.» Per evitare il tocco della sua mano si mosse lungo un immaginario cerchio, rimanendo inaccessibile e misteriosa.

Il tintinnio della porta che si chiudeva regalò una nota di atmosfera alla penombra.

Spostò una sedia, invitandolo a prendere posto.

Lui sorrise. «Sei la padrona del ristorante?»

Lei annuì. «Sei il primo ospite stasera. Voglio trattarti molto bene.»

«Il primo?» Gen si accomodò, seguendola con lo sguardo come se la stesse già toccando - come se la stesse già stringendo tra le braccia.

Makoto sentì un formicolio lungo tutta la schiena. «Ci sono altri pretendenti. Ma ho scelto di averti per primo, e se sarai il migliore...»

Lui aveva appoggiato il mento sul palmo della mano. «Lo sarò.»

Per concentrarsi Makoto guardò il cibo. «Oggi la casa offre roastbeef inglese, purè di patate e insalata come contorno. Una cucina esotica per un ospite speciale.» Sistemò il tovagliolo sulle gambe e usò il telecomando della saracinesca, chiudendo l'entrata. «Per un po' di privacy» sorrise. «Il locale è aerato da una finestra aperta nell'altra stanza.»

Lui guardò senza motivo il pavimento. «Chiedo scusa, mi è caduta una cosa.» Si chinò di lato e sparì col busto sotto al tavolo.

Makoto si sentì accarezzare su una gamba e soffocò una risatina.

Gen tornò su. «Recuperata» sussurrò.

Lei cercò di mantenersi seria. «Cosa avevi perso?»

«Una persona. Sapevo che era ancora lì, ma dovevo sentirla.»

«Non ti preoccupare.» Strappò delicatamente un petalo dalla rosa rossa che svettava dentro il vaso sottile al centro del tavolo. «Qui hai tutto quello di cui hai bisogno.» Soffiando forte fece volare via il petalo, nella sua direzione.

«Ah, è arrivata la mia ragazza. Ciao.»

Makoto sorrise. «Ciao.»

  

«Decorazioni rigide» commentò Makoto, mostrandogli i risultati dei suoi sforzi pomeridiani, disposti su tutto il bancone nel locale cucina.

Candele anche lì, notò Gen.

Makoto gli stava indicando delle formine bianche. «Mi serviranno per i dolci che esporrò in vetrina. Saranno quelli a presentarmi ai miei clienti. Ho iniziato a fare qualche prova con questa pasta bianca di zucchero che si chiama Satin Ice. Oggi l'ho usata per costruirci fiori e colombelle.»

A Gen venne da pensare: c'era qualcosa di sbagliato se trovava sexy la parola 'colombelle'? Forse era il modo in cui si erano mossi i capelli di lei mentre parlava: la ciocca ondulata accanto alla sua guancia gli chiedeva di intrecciarla attorno al dito e non lasciarla più andare.

Makoto si chinò in avanti, donandogli la vista della schiena, il tessuto rosa e morbido che aderiva al suo corpo abbracciandole le natiche rotonde.

Lei scoprì un vassoio al centro del bancone. «Questa invece è la torta numero tre, quella che ho preparato per noi due. Da mangiare durante la settimana» sorrise. Non gli diede il tempo di commentare: afferrò uno dei cuori rosa della decorazione e glielo infilò in bocca. «Buono, vero?»

Vero sì. Vero tutto quello che le sarebbe uscito dalle labbra.

Makoto gli causò un lamento assaggiando il dito con cui gli aveva porto il dolce.

Districandosi senza sforzo dall'abbraccio che lui cercò, fece un passo indietro. «Non mi hai parlato del tuo progetto. Ora l'hai finito?»

«Sì.» Dovette concentrarsi per ricordare i dettagli. «Abbiamo mantenuto la struttura a stella. Romantico, hm?»

Makoto sgranò gli occhi. «Abbiamo?»

«Kimura non c'entra niente. Neanche Hajima. Ho detto abbiamo perché mi hanno corretto sui dettagli, ma il progetto è mio.»

Lei sembrò stranamente sollevata. «Struttura a stella, hm?»

«Dovevamo immaginare una città del futuro. Tanto valeva essere creativi e audaci. È stata una buona idea quella di riprendere il mio vecchio disegno.» Continuava a dirselo da solo, ma era fiero di quel lampo di genio. «Pagherà in sede di valutazione finale.»

Makoto sorrise al nulla. «Sì, per l'esame.»

«Cos'hai da ridere?» indagò lui.

«Niente.» Makoto lo toccò sulle spalle, indugiando nella carezza. «Mi piaci molto con questi vestiti.»

Finalmente avevano finito di rincorrersi. Era stato un bel gioco, ma il premio finale era migliore. «Mi stai facendo dire qualcosa di cui mi pentirò, ma... amo il rosa. Su di te, almeno - è la mia unica scusa.» Fece scorrere la mano sulla gamba di lei, tirando su il tessuto.

Invece di socchiudere gli occhi, Makoto si morse un labbro. «Attento, è delicato.»

«Lo so.»

«No, è veramente delicato. L'ho cucito io, non molto bene.»

L'aveva fatto lei?

Makoto indicò l'abito. «Era più lungo» sussurrò. «Liscio. Aveva uno scollo diverso.» Si toccò con reverenza il seno. «In questa settimana l'ho accorciato per creare queste piccole onde, poi mi sono messa a pensare a come tagliarlo sul petto. Ho scelto di tenerlo su con una spalla sola. Ne è valsa la pena, solo che...» Finì col sorridere a bassa voce. «Poi rovino tutto raccontandoti questi particolari e annoiandoti a morte.»

Costruttrice. Quando Makoto aveva un'idea, buttava giù le fondamenta e costruiva da sola quello che le serviva. Se ancora non andava bene, lei la cambiava a piacimento.

Le accarezzò la parte nuda della schiena. «Oggi non abbiamo cenato a casa tua.»

Makoto esitò nel rispondere, poi gli concesse uno spiraglio. «Ho pensato che potesse essere diverso... qui.»

«Perché qui dobbiamo aspettare?» Lei sapeva benissimo a cosa si riferiva.

«Forse.» La vide scrollare le spalle, trattenendo un sorriso sull'angolo della bocca, dove sapeva di rossetto, cibo, zucchero e Makoto.

Era furba, riconobbe lui. Geniale.

La intrappolò tra sé e il tavolo. «E se aspettiamo prima di rientrare a casa tua?»

Makoto comprese solo quando lui iniziò a spostare via gli strumenti di lavoro dal bancone, dietro la sua schiena. Aveva contribuito lui stesso al montaggio di quel piano da cucina, perciò sapeva che era solido e in grado di reggere il peso di entrambi. «Hai avuto l'idea di questo posto, hai preparato la cena, hai creato l'atmosfera... Lascia che ora contribuisca.»

«Non hai pazienza.» Ma lei aveva ricambiato la sua stretta e ora stava cercando di sedersi sul tavolo.

«Non ti ho mai fatto vedere quanto posso andare piano. Sarà questo il giorno.»

Le uscì un sorriso soffice.

Lui rimaneva conquistato quando lei non lo prendeva sul serio: la loro esperienza era molto diversa nei numeri, ma identica quando stavamo insieme. Ogni volta che voleva spogliarla, toccarla dappertutto e privarla di ogni ragione, cadeva dentro la sua stessa trappola. Era la cosa migliore che gli fosse mai capitata.

Makoto stava lasciando una scia di baci lenti lungo la sua gola. «Sai che mi sono dimenticata di accendere una cosa?»

Accendere?

Lei afferrò un telecomando e puntò un angolo della stanza. Partirono dei suoni.

Musica. Altra atmosfera.

Gen fissò lo stereo posato sopra il piano cottura.

Makoto ridacchiò a bassa voce. «Ho esagerato? Ma se mi dimostri che ci sai fare anche in quest'occasione, hai vinto tu.»

Gen abbassò lo sguardo su di lei. Makoto aveva le guance arrossate nonostante l'audacia dimostrata. Era allegra, viva di fronte ad una serata piena di possibilità.

L'aveva giocato. «Sapevi che sarebbe finita così.»

«Oh, no. Ma conosco i miei polli, i miei dolci e i miei Gen. So che effetto possono farmi. Sono venuta preparata.» Lei si sdraiò, i capelli sparsi sul tavolo, gli occhi che brillavano.

Domani ti dirò quanto sei bella.

«Sono al plurale?» le chiese. Si chinò su di lei.

«Sei tanti e uno solo.» Makoto lo baciò. «A volte non ti ricordi di San Valentino e sei insensibile. Spesso dici di non essere romantico.» Gli diede un secondo bacio. «Ma mi assecondi nelle mie sciocchezze. Dici di essere pratico e poi immagini città a stella.» Altro bacio e una risata. «Domani scoprirò una cosa nuova di te, vero?»

«Vero sì.»

«Ora puoi amarmi?»

«Lo faccio già.»

Non parlarono più.

 

14 febbraio 1997 - San Valentino studiato - FINE

 

 


 

NdA originali del 16/02/2012 : 

Olè, non sono finita nel rating Rosso! Forse alcuni di voi lo avrebbero preferito :D Per questa storia dal titolo originalissimo ho voluto provare a concentrarmi sul romanticismo più puro.

Forse lo avrete intuito dalle conversazioni di Gen con Yuichiro e Alexander, ma avrei altre idee per questa giornata di San Valentino. Sono ancora vaghe, quindi per ora dichiaro la storia chiusa. Quando avrò tempo e ispirazione, dopo aver scritto cose più importanti (Verso l'alba, cough) scriverò perché Alexander è sadico e depresso e perché Yuichiro sente di avere problemi con Rei. Gli episodi avranno un sapore simile a questo. Per Usagi e Mamoru è meglio che prima scriva la fine di Verso l'alba, capirete in seguito ;)

Dimenticavo: qui ho inserito un importantissimo indizio futuro che ho in mente da un trilione di anni. Avrete ulteriore delucidazioni con l'epilogo di Verso l'alba :)

Grazie di aver letto! Se avete un pensiero su questa storia sarà un premio enorme per me!

ellephedre

   
 
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