La neve scende copiosa, dietro la finestra rotta.
Un gatto, con i suoi occhi gialli, ossserva con fare perplesso, quel
bianco ostentato.
Muove le zampe, toccando il vetro.
Le ritrae prima che si tingano di rosso.
Tra il gelo si muove una figuira incappucciata.
Chi è quella figura, letttore?
Chi ha quel mantello nero?
Chi quel cavallo morente?
Si accascia il cavallo.
Cade il cavaliere dal mantello svavillante.
Si muove tra il bianco, danzando con il vento gelido.
Rabbrividisce il gatto rosso.
La macchia nera continua a imbrattare quel candore.
Il viso è nascosto, chino, bianco, immacolato, inquietante.
Rabbrividisce il gatto.
Il pelo si alza, come destato dal pericolo.
Scende dal suo davanzale (il gatto)
e si avvicina alla porta, che si apre, svegliata dal vento.
Fa freddo nella stanza riscaldata dal camino spento.
Il cavaliere dal cavallo morto entra con passo baldanzoso che non si
addice al suo mantello.
E il passo tetro?
Il passo fiero?
Il passo da principe nero?
Balla.
Balla con il gatto.
Balla con la neve.
Con il vento.
Con il gelo.
Balla abbracciato a se stesso il principe buffone.
Cercando di ripararsi
da solo
da quella solitudine desolante.
Ha paura.
Un principe non ha mai paura.
Ha paura, ti dico lettore.
Non ci credi?
Non ti senti solo, lettore?
Nella casa fredda
vuota
nel bosco
persa
nei mendri della favola?
Non rabbrividisci?
Sei tu, vero?
Sei il gatto o il principe?
O entrambi?
Chi sei, lettore, nella mia favola?
Chi sei?