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Autore: Blackmoody    18/11/2008    7 recensioni
Sedici anni, fornita di un aspetto assai grazioso e di una smodata passione per il basket, Rumiko Ishida si ritrova a fare i conti con uno dei clichés più frequenti nella vita di un'adolescente: l'improvviso trasferimento del padre, promosso a direttore bancario in una filiale nella prefettura di Kanagawa. E con tutti i licei dotati di rampanti squadre cestistiche ivi presenti, dove la vanno a iscrivere gli ignari genitori? Sì, ci avete preso: allo Shohoku. Da lì, il resto verrà da sé.
Mia vecchissima storia – leggera, devota e disimpegnata – che (ri)propongo finalmente al pubblico dopo un intensivo restauro: come and get the rookie sensation!
restyling 2O14
Genere: Commedia, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Hisashi Mitsui, Kaede Rukawa, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Ebbene, rieccoci qua, pronte a scrivere una nuova FF per la disperazione di tutti

prologo: la notizia.

 

 

 

 

Quella domenica di fine maggio era una giornata veramente stupenda.

Dopo una settimana di piogge e vento il sole era tornato a brillare, illuminando e asciugando ogni cosa. Il cielo incombeva terso e di un azzurro profondo sulla città di Tokyo, cielo contro cui si stagliavano alberi carichi di foglie vibranti creando meravigliosi intrecci. L’aria era comunque già piuttosto calda, essendo primavera inoltrata.

I ragazzi sul campo da basket nel parco del quartiere, però, sembravano non farci caso.

Pareva che si stesse disputando un’accesa partita tra amici. Le due squadre erano miste e si sfidavano con atteggiamento bonario. Il capitano di quella in vantaggio era una ragazza: era bassa e minuta, per essere una giocatrice di basket, ma questo non le creava apparentemente problemi. Si muoveva agile e veloce come un gatto, spiccava balzi eccezionali e centrava tutti, ma proprio tutti i canestri. Indubbiamente ci sapeva fare.

Come se non bastasse, era molto graziosa: snella, capelli lisci di un caldo color castagna e grandi occhi nocciola, e un viso ovale dai lineamenti delicati. Chiunque la vedeva – qualsiasi ragazzo – non poteva fare a meno di riservarle una discreta occhiata di apprezzamento. Eppure, nonostante questo e i suoi sedici anni suonati, Rumiko Ishida non era mai stata con nessuno e non era mai stata baciata. Non se ne faceva certo un cruccio: lei aveva le sue passioni, i suoi interessi, le sue amicizie. E aveva il basket. Che problema c’era, quindi, se ancora non aveva avuto uno straccio di vita sentimentale? Per quello c’era ancora tempo.

La partita stava volgendo al termine: Rumiko si stava pericolosamente avvicinando al canestro degli “avversari” nella sua solita corsa inarrestabile. Con una finta rapidissima la ragazza lanciò la palla che, come prevedibile, centrò perfettamente il canestro: avevano vinto.

– Rumichan! Bel colpo! – trillarono le ragazze in panchina mentre giocatori e giocatrici si abbracciavano e congratulavano tra loro e con i perdenti.

– Grazie! – rispose lei gongolando.

– Mi raccomando, vogliamo la rivincita. – puntualizzò il capitano dell’altra squadra.

E si dettero appuntamento per la domenica successiva.

Ora sul campo quasi in ombra erano rimaste Rumiko e le sue amiche. Improvvisamente una di loro indicò il prato alle loro spalle, dove un uomo sui quarantacinque anni con indosso un completo chiaro stava palesemente aspettando qualcuno:

– Rumiko, ma quello non è tuo padre? – osservò Hikari.

Rumiko si voltò. In effetti l’uomo in attesa era davvero suo padre, sebbene non fosse mai andato prima d'allora a vedere una partita. La ragazza si preoccupò: se era lì per riaccompagnarla a casa, questo significava che doveva parlarle.

– Ehilà, padre! Che cosa ci fai qui? – gridò agitando una mano in segno di saluto.

– Complimenti, tesoro, bella partita. – sorrise l’uomo ignorando la domanda.

Padre. – ringhiò Rumiko con il suo celebre tatto: – Mi spieghi perché sei venuto?

– Per riportarti a casa, ovvio. – fu la risposta, ma il suo tono di voce forzatamente spensierato non convinse affatto la figlia. – D’accordo, d’accordo. Il fatto è che io e tua madre dobbiamo darti una notizia e volevamo che tu fossi a casa al più presto.

Ora sì che c’era da impensierisi. Rumiko aggrottò le sopracciglia: spero che non sia niente di grave, si disse.

Prese la sacca sportiva da terra e si rivolse alle compagne:

– Ci vediamo domattina a scuola. Vi racconterò tutto. – promise.

Poi si allontanò con il padre verso l’uscita del parco, seguita dagli sguardi allibiti delle altre. Benché casa loro fosse lì a Nerima, a due passi dal campetto, il signor Ishida era venuto in auto, segno inequivocabile che lui e la moglie avevano una gran fretta di parlare con Rumiko. Durante il breve tragitto la ragazza rimuginò sulla fantomatica notizia. Magari uno dei nonni si era sentito male ed era finito all’ospedale. Oppure sua madre era incinta.

L’idea le strappò una smorfia per la quale subito dopo si sentì un verme: se la notizia era quella l’avrebbe accolta con sollievo. Ma Rumiko aveva la sensazione che si trattasse di ben altro.

Erano arrivati davanti alla porta di casa, al quarto piano di un condominio in una zona residenziale del distretto. Appena entrati nell’appartamento la signora Ishida fece capolino dalla cucina, salutandoli fin troppo festosamente:

– Rumi, Daisuke, eccovi qui! Caro, glielo hai detto?

– Non ancora, non le ho accennato nulla. È bene farlo insieme, Miyako. – ribattè il padre.

Sedettero tutti e tre sui divani del luminoso soggiorno, cercando invano di apparire rilassati e a loro agio. Poi la madre prese la parola:

– Dunque, Rumiko, io e tuo padre dobbiamo annunciarti una cosa di estrema importanza. Forse non ti farà molto piacere saperla, ma sappi fin da adesso che è inevitabile.

Rumiko si preparò al peggio. L’inizio del discorso non prometteva nulla di buono.

– Riguarda il mio lavoro. – precisò Daisuke con un’espressione seria sul volto.

– Non mi dirai che ti hanno licenziato! – esclamò la ragazza balzando in piedi.

Lui sorrise inaspettatamente, gettandola nel caos più totale:

– Al contrario. Ho ricevuto un posto di direttore in una banca. – annunciò tutto contento.

– Cacchio, ma è fantastico! – Rumiko lo abbracciò: – Le mie congratulazioni, padre.

I genitori si scambiarono un sorriso, pur sapendo che non era ancora finita. La madre sfiorò una mano di Rumiko e precisò:

– Però, tesoro, c’è un piccolo particolare da tenere in considerazione.

Il cuore della ragazza riprese a battere furiosamente: – Ovvero?

– Vedi, papà ha ovviamente accettato l’incarico, – tirò un sospirone, – ma la banca in questione non è qui a Nerima, non è qui a Tokyo: si trova a Kamakura nella prefettura di Kanagawa, Rumiko.

Kanagawa. Kamakura. Per un attimo la ragazza rimase a bocca aperta come un baccalà sotto sale, incapace di spiccicare anche solo mezza sillaba, e infine esplose:

– Kamakura? Ma è una cittaducchia del cavolo a chilometri da qui! Volete dire che ci dobbiamo trasferire?

La donna tentò di farla ragionare:

– Rumi, tuo padre non ha certo potuto rifiutare una simile opportunità, e noi due non possiamo restare qui.

Rumiko si voltò verso di lei, incavolata nera:

– E la scuola? E il tuo lavoro, mamma? Non c’hai pensato? – urlò. – E io? Come faccio a lasciare la mia città, i miei amici, la mia squadra?

– Fammi parlare! – la rimbeccò l’altra; – Per quel che mi riguarda mi sono già sistemata acquistando un fondo commerciale per proseguire la mia attività di orafa. Per quel che riguarda te, ti farai certamente nuovi amici: sei una ragazza socievole, lo sai, e questo ti aiuterà a conoscere tante persone. Per la scuola non preoccuparti, ti abbiamo già iscritta a uno dei migliori licei di Kamakura.

Rumiko la guardò come se fosse un’aliena:

– Fatemi capire. Da quant’è che papà ha accettato il trasferimento?

– Eh beh, – farfugliò il diretto interessato, – in verità abbiamo aspettato due settimane per dirtelo, tesoro.

La poveretta quasi cadde a gambe all’aria sul tappeto:

– Mi prendete per i fondelli? – berciò, esasperata. – Lo sapete da quindici giorni e me lo comunicate solo ora? Siete pazzeschi!

Miyako e Daisuke si scambiarono un’occhiata imbarazzata: avevano aspettato tanto, troppo, ma lei era sempre presa dallo sport, sempre fuori casa con le amiche o chiusa in camera a sgolarsi ascoltando musica…

– Questo non c’entra nulla! – li interruppe Rumiko: – Se aveste voluto me lo avreste già detto! Avevate soltanto paura della mia reazione.

C’era del vero. Comunque, quel che era fatto era fatto.

La ragazza sospirò, cercando di calmarsi: – Immagino che allora abbiate già pensato anche alla casa.

Suo padre annuì: – La abbiamo già acquistata. A vederla nelle foto sembra molto bella e spaziosa. Vedrai, ti piacerà.

Rumiko sorrise mestamente, poi domandò quanto tempo avevano per il trasloco.

– Fra due settimane saremo là. – rispose la madre; – Hai tutto il tempo per abituarti all’idea di lasciare Nerima e salutare i tuoi amici.

A quanto pareva non c’era proprio niente da fare. Ormai la decisione era stata presa, tutto era stato pianificato e sistemato, e lei non poteva rovinare la carriera di suo padre: per quanto desiderasse restare, Rumiko sapeva che era impossibile. Meglio rassegnarsi all’idea.

Stava per andare a farsi una doccia quando le venne in mente una cosa: – Mamma, come si chiama il nuovo liceo che frequenterò?

– È il liceo Shohoku, tesoro. – rivelò Miyako.

– Ho saputo che è uno dei migliori della prefettura. – aggiunse Daisuke.

– Aha. – borbottò Rumiko, alla quale l’aspetto scolastico non interessava più di tanto, e fece spallucce girando i tacchi.

– E soprattutto, – l’uomo fece una pausa effetto, – ho saputo che la sua squadra di basket è tra le migliori otto della prefettura. – concluse, sogghignando soddisfatto tra i baffi.

Rumiko si bloccò e lo fissò bissando la precedente espressione da baccalà essiccato: – Prego?

– Non sto scherzando. – garantì lui, le mani alzate come per difendersi.

La ragazza si illuminò in volto, ridacchiando:

– Sapete, potrei anche cominciare a pensare che questo trasferimento non sia poi una cosa tanto malvagia.

E si diresse saltellando verso il bagno, lasciando i genitori ad ammiccarsi con un sorriso d’intesa: lo Shohoku e il suo ancora fantomatico club di basket avevano forse compiuto il miracolo.

 

 

Rilassandosi sotto il getto d’acqua tiepida della doccia, Rumiko riuscì a riordinare con chiarezza i suoi pensieri confusi.

Ovviamente le dispiaceva dover abbandonare la città in cui era nata e cresciuta e cui era molto legata, e la prospettiva di non rivedere più Hikari, Miki, Mayumi e Miho, i ragazzi della sua squadra e i suoi compagni di classe la rendeva triste. Tuttavia iniziava ad avvertire una vaga punzecchiatura d'adrenalina alla base della schiena: le piaceva scoprire posti nuovi, e amava le novità, i viaggi, le avventure.

Sarebbe rimasta in contatto con i vecchi amici e non li avrebbe mai dimenticati.

L’unico timore che aveva era di non riuscire a farsene di nuovi, di amici: sua madre affermava che sarebbe stato facile per una come lei, ma l’insicurezza rimaneva. La cosa che più la attirava dell’intera faccenda era quella storia della squadra di basket della scuola: indubbiamente non avrebbe potuto farne parte, giacché s’immaginava che fosse esclusivamente maschile, però…

– Però potrò conoscere persone brasate come me! E poi chissà, magari tra loro ci sarà il ragazzo giusto. Carino, simpatico e giocatore di basket. – blaterò ad alta voce.

In poche parole, il suo uomo ideale.

– Seh. Non farti troppe illusioni, Rumiko Ishida. – si corresse severamente: – Scommetto che alla fine non troverò proprio nessuno.

In quel momento non poteva certo saperlo, ma la sua prima previsione si sarebbe rivelata quasi esatta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tensai’s approved / notes

Precisiamo subito una cosa: l’assetto embrionale di questa storia risale nientepopodimenochè al lontano 2003, anno in cui ero ancora una liceale immatura e con chissà quali idee malsane per il capo. Scrissi questo prologo e i successivi sei capitoli e alle prime quattro righe del settimo mi bloccai, colta da un furioso calo d’ispirazione circa la grandiosa opera di Inoue-sensei. E la storia rimase a languire nella sua cartella.

Poi, qualche giorno fa, per un motivo che se ve lo rivelo adesso mi prendete a pallonate in faccia, ho ritirato fuori tutta la serie, me la sono riletta di gusto, ho preso a spulciare tra le fanfics altrui e infine mi sono decisa: ho ripreso in mano la storia laddove l’avevo abbandonata. No, anzi, non è esatto: prima ho rimodernato i vecchi capitoli, rendendoli presentabili al pubblico ed eliminando le trovate dementi.

Quindi eccovela qui, fresca di restauro e spero abbastanza piacevole da invogliarvi a leggerla e a farmela proseguire.

Vi avverto, qui non c’è traccia di yaoi – e nemmeno si fregia di una trama particolarmente originale, o impegnata o che: è solo un leggero, scanzonato, delirante et femminile tributo a un manga che non riesco a smettere di amare.

 

Il titolo originario ve lo risparmio (ignobile vergogna adolescenziale!).

Quello attuale è tratto dalla cover di Kid Rock di Sweet home Alabama, ovvero All summer long, che tra l’altro trovo adattissima come colonna sonora per gli scleri dei nostri eroi.

Rumiko Ishida è, suo malgrado, un personaggio di mia creazione.

 

Buon divertimento e alla prossima! _Black

 

 

  
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