prologo:
la notizia.
Quella domenica di fine
maggio era una giornata veramente stupenda.
Dopo una settimana di piogge e vento il
sole era tornato a brillare, illuminando e asciugando ogni cosa. Il cielo
incombeva terso e di un azzurro profondo sulla città di Tokyo, cielo contro cui
si stagliavano alberi carichi di foglie vibranti creando meravigliosi intrecci.
L’aria era comunque già piuttosto calda, essendo primavera inoltrata.
I ragazzi sul campo da basket
nel parco del quartiere, però, sembravano non farci caso.
Pareva che si stesse disputando
un’accesa partita tra amici. Le due squadre erano miste e si sfidavano con
atteggiamento bonario. Il capitano di quella in vantaggio era una ragazza: era bassa e minuta, per essere una giocatrice di basket, ma questo non le creava
apparentemente problemi. Si muoveva agile e veloce come un gatto, spiccava
balzi eccezionali e centrava tutti, ma proprio tutti i canestri. Indubbiamente
ci sapeva fare.
Come se non bastasse, era
molto graziosa: snella, capelli lisci di un caldo color castagna e grandi occhi
nocciola, e un viso ovale dai lineamenti delicati. Chiunque la vedeva –
qualsiasi ragazzo – non poteva fare a meno di riservarle una discreta
occhiata di apprezzamento. Eppure, nonostante questo e i suoi sedici anni
suonati, Rumiko Ishida non era mai stata con nessuno e non era mai stata
baciata. Non se ne faceva certo un cruccio: lei aveva le sue passioni, i suoi
interessi, le sue amicizie. E aveva il basket. Che problema c’era, quindi, se
ancora non aveva avuto uno straccio di vita sentimentale? Per quello c’era
ancora tempo.
La partita stava volgendo al
termine: Rumiko si stava pericolosamente avvicinando al canestro degli
“avversari” nella sua solita corsa inarrestabile. Con una finta rapidissima la
ragazza lanciò la palla che, come prevedibile, centrò perfettamente il
canestro: avevano vinto.
– Rumichan! Bel colpo!
– trillarono le ragazze in panchina mentre giocatori e giocatrici si
abbracciavano e congratulavano tra loro e con i perdenti.
– Grazie! –
rispose lei gongolando.
– Mi raccomando,
vogliamo la rivincita. – puntualizzò il capitano dell’altra squadra.
E si dettero appuntamento per
la domenica successiva.
Ora sul campo quasi in ombra
erano rimaste Rumiko e le sue amiche. Improvvisamente una di loro indicò il
prato alle loro spalle, dove un uomo sui quarantacinque anni con indosso un completo chiaro stava palesemente
aspettando qualcuno:
– Rumiko, ma quello non
è tuo padre? – osservò Hikari.
Rumiko si voltò. In effetti
l’uomo in attesa era davvero suo padre, sebbene non fosse mai andato prima d'allora a vedere
una partita. La ragazza si preoccupò: se era lì per
riaccompagnarla a casa, questo significava che doveva parlarle.
– Ehilà, padre! Che
cosa ci fai qui? – gridò agitando una mano in segno di saluto.
– Complimenti, tesoro,
bella partita. – sorrise l’uomo ignorando la domanda.
– Padre. – ringhiò Rumiko con il suo celebre tatto: – Mi
spieghi perché sei venuto?
– Per riportarti a
casa, ovvio. – fu la risposta, ma il suo tono di voce forzatamente
spensierato non convinse affatto la figlia. – D’accordo, d’accordo. Il
fatto è che io e tua madre dobbiamo darti una notizia e volevamo che tu fossi a
casa al più presto.
Ora sì che c’era da
impensierisi. Rumiko aggrottò le sopracciglia: spero che non sia niente di
grave, si disse.
Prese la sacca sportiva da
terra e si rivolse alle compagne:
– Ci vediamo domattina
a scuola. Vi racconterò tutto. – promise.
Poi si allontanò con il padre
verso l’uscita del parco, seguita dagli sguardi allibiti delle altre. Benché
casa loro fosse lì a Nerima, a due passi dal campetto, il signor Ishida
era venuto in auto, segno inequivocabile che lui e la moglie avevano una gran fretta di parlare con Rumiko. Durante il breve tragitto la ragazza rimuginò
sulla fantomatica notizia. Magari uno dei nonni si era
sentito male ed era finito all’ospedale. Oppure sua madre era incinta.
L’idea le strappò una smorfia
per la quale subito dopo si sentì un verme: se la notizia era quella l’avrebbe
accolta con sollievo. Ma Rumiko aveva la sensazione che si trattasse di ben
altro.
Erano arrivati davanti alla
porta di casa, al quarto piano di un condominio in una zona residenziale del distretto. Appena entrati nell’appartamento la signora Ishida fece capolino
dalla cucina, salutandoli fin troppo festosamente:
– Rumi, Daisuke, eccovi
qui! Caro, glielo hai detto?
– Non ancora, non le ho
accennato nulla. È bene farlo insieme, Miyako. – ribattè il padre.
Sedettero tutti e tre sui
divani del luminoso soggiorno, cercando invano di apparire rilassati e a loro
agio. Poi la madre prese la parola:
– Dunque, Rumiko, io e
tuo padre dobbiamo annunciarti una cosa di estrema importanza. Forse non ti
farà molto piacere saperla, ma sappi fin da adesso che è inevitabile.
Rumiko si preparò al peggio.
L’inizio del discorso non prometteva nulla di buono.
– Riguarda il mio
lavoro. – precisò Daisuke con un’espressione seria sul volto.
– Non mi dirai
che ti hanno licenziato! – esclamò la ragazza balzando in piedi.
Lui sorrise inaspettatamente,
gettandola nel caos più totale:
– Al contrario. Ho
ricevuto un posto di direttore in una banca. – annunciò tutto contento.
– Cacchio, ma è
fantastico! – Rumiko lo abbracciò: – Le mie congratulazioni, padre.
I genitori si scambiarono un
sorriso, pur sapendo che non era ancora finita. La madre sfiorò una mano di Rumiko e
precisò:
– Però, tesoro, c’è un
piccolo particolare da tenere in considerazione.
Il cuore della ragazza
riprese a battere furiosamente: – Ovvero?
– Vedi, papà ha ovviamente
accettato l’incarico, – tirò un sospirone, – ma la banca in
questione non è qui a Nerima, non è qui a Tokyo: si trova a Kamakura nella prefettura
di Kanagawa, Rumiko.
Kanagawa. Kamakura.
Per un attimo la ragazza rimase a bocca aperta come un baccalà sotto sale,
incapace di spiccicare anche solo mezza sillaba, e infine esplose:
– Kamakura? Ma è una cittaducchia del cavolo a chilometri da qui! Volete dire
che ci dobbiamo trasferire?
La donna tentò di farla
ragionare:
– Rumi, tuo padre non
ha certo potuto rifiutare una simile opportunità, e noi due non possiamo
restare qui.
Rumiko si voltò verso di lei,
incavolata nera:
– E la scuola? E il tuo
lavoro, mamma? Non c’hai pensato? – urlò. – E io? Come faccio a lasciare la mia città, i miei amici, la mia
squadra?
– Fammi parlare!
– la rimbeccò l’altra; – Per quel che mi riguarda mi sono già
sistemata acquistando un fondo commerciale per proseguire la mia attività
di orafa. Per quel che riguarda te, ti farai certamente nuovi amici: sei una
ragazza socievole, lo sai, e questo ti aiuterà a conoscere tante persone. Per
la scuola non preoccuparti, ti abbiamo già iscritta a uno dei migliori licei di
Kamakura.
Rumiko la guardò come se
fosse un’aliena:
– Fatemi capire. Da
quant’è che papà ha accettato il trasferimento?
– Eh beh, –
farfugliò il diretto interessato, – in verità abbiamo aspettato due settimane
per dirtelo, tesoro.
La poveretta quasi cadde a
gambe all’aria sul tappeto:
– Mi prendete per i
fondelli? – berciò, esasperata. – Lo sapete da quindici giorni e me lo
comunicate solo ora? Siete pazzeschi!
Miyako e Daisuke si scambiarono
un’occhiata imbarazzata: avevano aspettato tanto, troppo, ma lei era sempre
presa dallo sport, sempre fuori casa con le amiche o chiusa in camera a sgolarsi
ascoltando musica…
– Questo non c’entra
nulla! – li interruppe Rumiko: – Se aveste voluto me lo avreste già
detto! Avevate soltanto paura della mia reazione.
C’era del vero. Comunque,
quel che era fatto era fatto.
La ragazza sospirò, cercando
di calmarsi: – Immagino che allora abbiate già pensato anche alla casa.
Suo padre annuì: – La
abbiamo già acquistata. A vederla nelle foto sembra molto bella e spaziosa.
Vedrai, ti piacerà.
Rumiko sorrise mestamente,
poi domandò quanto tempo avevano per il trasloco.
– Fra due settimane
saremo là. – rispose la madre; – Hai tutto il tempo per
abituarti all’idea di lasciare Nerima e salutare i tuoi amici.
A quanto pareva non c’era
proprio niente da fare. Ormai la decisione era stata presa, tutto era stato
pianificato e sistemato, e lei non poteva rovinare la carriera di suo padre:
per quanto desiderasse restare, Rumiko sapeva che era impossibile. Meglio
rassegnarsi all’idea.
Stava per andare a farsi una
doccia quando le venne in mente una cosa: – Mamma, come si chiama il nuovo liceo
che frequenterò?
– È il liceo Shohoku,
tesoro. – rivelò Miyako.
– Ho saputo che è uno
dei migliori della prefettura. – aggiunse Daisuke.
– Aha. – borbottò
Rumiko, alla quale l’aspetto scolastico non interessava più di tanto, e fece spallucce girando i tacchi.
– E soprattutto, –
l’uomo fece una pausa effetto, – ho saputo che la sua squadra di basket
è tra le migliori otto della prefettura. – concluse, sogghignando
soddisfatto tra i baffi.
Rumiko si bloccò e lo fissò bissando la
precedente espressione da baccalà essiccato: – Prego?
– Non sto scherzando.
– garantì lui, le mani alzate come per difendersi.
La ragazza si illuminò in
volto, ridacchiando:
– Sapete, potrei anche
cominciare a pensare che questo trasferimento non sia poi una cosa tanto
malvagia.
E si diresse saltellando
verso il bagno, lasciando i genitori ad ammiccarsi con un sorriso d’intesa: lo
Shohoku e il suo ancora fantomatico club di basket avevano forse compiuto il
miracolo.
Rilassandosi sotto il getto
d’acqua tiepida della doccia, Rumiko riuscì a riordinare con chiarezza i suoi
pensieri confusi.
Ovviamente le dispiaceva
dover abbandonare la città in cui era nata e cresciuta e cui era molto
legata, e la prospettiva di non rivedere più Hikari, Miki, Mayumi e Miho, i
ragazzi della sua squadra e i suoi compagni di classe la rendeva triste.
Tuttavia iniziava ad avvertire una vaga punzecchiatura d'adrenalina alla base della schiena: le piaceva scoprire posti nuovi, e amava
le novità, i viaggi, le avventure.
Sarebbe rimasta in contatto
con i vecchi amici e non li avrebbe mai dimenticati.
L’unico timore che aveva era
di non riuscire a farsene di nuovi, di amici: sua madre affermava che sarebbe
stato facile per una come lei, ma l’insicurezza rimaneva. La cosa che più la
attirava dell’intera faccenda era quella storia della squadra di basket della
scuola: indubbiamente non avrebbe potuto farne parte, giacché s’immaginava che
fosse esclusivamente maschile, però…
– Però potrò conoscere persone
brasate come me! E poi chissà, magari tra loro ci sarà il ragazzo giusto.
Carino, simpatico e giocatore di basket. – blaterò ad alta voce.
In poche parole, il suo uomo ideale.
– Seh. Non farti troppe
illusioni, Rumiko Ishida. – si corresse severamente: – Scommetto
che alla fine non troverò proprio nessuno.
In quel momento non poteva certo
saperlo, ma la sua prima previsione si sarebbe rivelata quasi esatta.
Tensai’s approved / notes
Precisiamo subito una cosa:
l’assetto embrionale di questa storia risale nientepopodimenochè al lontano
2003, anno in cui ero ancora una
liceale immatura e con chissà quali idee malsane per il capo. Scrissi
questo prologo e i successivi sei capitoli e alle prime quattro righe del
settimo mi bloccai, colta da un furioso calo d’ispirazione circa la grandiosa opera
di Inoue-sensei. E la storia rimase a languire nella sua cartella.
Poi, qualche giorno fa, per un
motivo che se ve lo rivelo adesso mi prendete a pallonate in faccia, ho ritirato
fuori tutta la serie, me la sono riletta di gusto, ho preso a spulciare tra le
fanfics altrui e infine mi sono decisa: ho ripreso in mano la storia
laddove l’avevo abbandonata. No, anzi, non è esatto: prima ho rimodernato i vecchi
capitoli, rendendoli presentabili al pubblico ed eliminando le trovate dementi.
Quindi eccovela qui, fresca di
restauro e spero abbastanza piacevole da invogliarvi a leggerla e a farmela
proseguire.
Vi avverto, qui non c’è traccia
di yaoi – e nemmeno si fregia di una trama particolarmente originale, o
impegnata o che: è solo un leggero, scanzonato, delirante et femminile tributo
a un manga che non riesco a smettere di amare.
Il titolo originario ve lo
risparmio (ignobile vergogna adolescenziale!).
Quello attuale è tratto dalla
cover di Kid Rock di Sweet home Alabama, ovvero All summer long, che tra l’altro trovo
adattissima come colonna sonora per gli scleri dei nostri eroi.
Rumiko Ishida è, suo malgrado,
un personaggio di mia creazione.
Buon
divertimento e alla prossima! _Black