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Autore: ManuFury    07/01/2015    5 recensioni
Dal testo...
"Era a conoscenza del sopranome con cui era conosciuto in tutto il Reich e, forse, oltre.
Vampiro.
Era così che veniva chiamato: Il Vampiro.
E sapeva che qualcuno rideva di quell’appellativo, qualcuno lo disprezzava, qualcuno affermava che era un nomignolo derivato dalla sua carica: lavorava sempre di notte, sempre da solo.
"
(Questa storia ha vinto l'OSCAR per i Migliori Costumi agli "Oscars Efpiani 2016" indetto da SyginFreyadottir, Sif Styrjordottir e Thief Alchemist)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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[Questa storia ha ricevuto la Nomination per i Migliori Costumi (premio alla storia con la miglior descrizione fisica, possono accedervi fan fiction/originali dalle 500 parole in su) agli Oscar Efpiani 2016]
[La storia ha anche ricevuto L'OSCAR PER I MIGLIORI COSTUMI!]
Di cui ammetto di andare particolarmente fiera! *Q*




La divisa era adagiata compostamente sul letto rifatto, nera ombra tra le altre ombre, nient’altro che una macchia più scura nelle tenebre che avvolgevano come spesse coperte invernali la stanza.
Hadrian l’osservava in silenzio, non potendo fare a meno di pensare a quanto somigliasse a tutte le altre divise che, nel corso della sua lunga, lunghissima vita, aveva indossato; era solo un po’ più elegante di altre e dal colore diverso, ma l’essenza era la stessa: sapeva di battaglie vinte e perse, di coraggio e di onore, di sudore e sangue che si mischiavano alla polvere da sparo, alla terra, al ferro, alle urla che iniziavano come un’eco lontana e che aumentavano a dismisura. Una divisa sapeva di tante cose e, prima fra tutte, sapeva di guerra.
Il giovane la sfiorò con dita inguantate: toccò il tessuto del colletto, scendendo poi sulle spalline in rilievo dove erano stati ricamati i suoi attuali gradi.
Kriminalrat [1].
Sorrise, facendo scorrere la mano sulla giacca, correndo un attimo dopo sulla manica, accarezzando i bottoni lucidi che vedeva benissimo anche al buio e il suo sorriso si rafforzò: tutto era impeccabile, come sempre del resto.
Chiuse gli occhi azzurro ghiaccio e sospirò. Un sospiro lento e profondo, come se tutta la stanchezza del mondo fosse condensata in quel semplice gesto. E forse un po’ lo era: era stanco, Hadrian, terribilmente stanco per la piega che avevano preso gli eventi, sempre così terribilmente prevedibile, sempre così oziosamente uguale.
Alzò le palpebre, drizzando la schiena quasi di colpo, come se avesse ricevuto un’invisibile colpo di frusta tra le scapole.
“Dica, sergente.” Ordinò seccamente com’era da lui, senza nemmeno voltarsi verso la porta dietro alla quale poteva indovinare l’espressione del suo sottoposto: pura sorpresa. Se lo figurava a un passo dalla porta, con l’intenzione di alzare un braccio per bussare e invece era stato fermato prima ancora di formulare il pensiero.
Hadrian sorrise, era così divertente sorprendere i sottoufficiali, dimostrava che non era affatto arrugginito: che riusciva ancora a sentire chiaramente il battito cardiaco di qualcuno, anche a distanza di metri, che tra i mille rumori che le sue orecchie captavano, avvertiva distintamente quello di passi amici in avvicinamento.
“Capitano, signore. Il colonnello richiede la vostra presenza.” Affermò con voce alta e tirata, non osando nemmeno aprire la porta massiccia della stanza, circolavano troppe dicerie su quell’ufficiale e non voleva confutarle in prima persona.
Capitano.
Era un bel grado, quello. Hadrian trovava che gli si addiceva molto più di tanti altri che aveva avuto in passato: sapeva di comando, di potere, di campi di battaglia e di uomini che rispondono agli ordini gridati sopra il caos provocato dalle armi. Sapeva di potere, molto più che il grado di colonnello o generale.
“Riferisca al colonnello che arriverò il prima possibile, sergente.”
“Certo, Capitano, signore.” Rispose l’altro, facendogli il saluto benché la porta chiusa e girò rapidamente sui tacchi.
Capitano.
Era un grado che si addiceva più di quello di maggiore, com’era stato nella guerra precedente a questa: poca azione, tante scartoffie. Era meglio di tenente: un grado da ufficiale, ovviamente, ma non così importante, tanto da non venir preso sempre sul serio, specialmente dagli altri ufficiali [2]. Ed era ben migliore di tutti gli altri gradi che fossero più alti o più bassi non contava. Quello era il suo grado e fu il grado di suo padre.
Hadrian respirò a fondo, riflettendo su quei pensieri che correvano nella mente come puledri impazziti e chiuse di nuovo gli occhi: ascoltò i passi del sottoposto farsi sempre più lontani e veloci, sembrava quasi una fuga la sua, forse un po’ lo era, alimentata dalla paura che provava in petto e che gli faceva accelerare, seppur lievemente, il battito cardiaco.
Sorrise. Nient’altro che una mezzaluna che brillava vagamente derisoria nelle tenebre, poi uno scatto, fulmineo, la giacca della divisa afferrata con forza e indossata rapidamente. Sapeva bene, il capitano, che non era il caso di far aspettare troppo il colonnello.
 
*
 
Mentre camminava in silenzio, Hadrian avvertiva sulla propria pelle occhiate furtive che prontamente si abbassavano appena lui faceva cenno di alzare il viso, avvertiva bisbigli stroncati a metà mentre lui procedeva per i corridoi e battiti cardiaci che aumentavano il proprio ritmo mentre passava, suonando come i tamburi durante una danza.
Quante altre volte nella sua vita gli erano capitate situazioni simili?
Tante. Troppe volte.
Una parte di lui era stanca di quella faccenda: delle occhiate, dei bisbigli, delle dita che si allungavano nella sua direzione quando passava. Ma c’era una parte di lui che, in un certo senso, ancora godeva di quel terrore che aleggiava tra i soldati e, puntualmente, un sorriso sadico ne incurvava le labbra sottili e pallide, senza che queste si tirassero abbastanza da scoprire i denti bianchi e perfetti. Era a conoscenza del sopranome con cui era conosciuto in tutto il Reich e, forse, oltre.
Vampiro.
Era così che veniva chiamato: Il Vampiro.
E sapeva che qualcuno rideva di quell’appellativo, qualcuno lo disprezzava, qualcuno affermava che era un nomignolo derivato dalla sua carica: lavorava sempre di notte, sempre da solo. Altri pensavano che fosse vicino a quella branca del loro movimento legato all’Esoterismo[3] perché più volte era stato visto in compagnia di importanti esponenti dello stesso.
Erano tante le chiacchiere che giravano sul suo conto e le storie che i militari si scambiavano durante le serate libere: tante versioni per descrivere la stessa cosa, ma nessuno aveva ragione.
Nessuno conosceva la sua vera natura: c’era chi sospettava, ma nessuno aveva davvero capito.
Hadrian Kramer uscì in quel momento dall’Ufficio Centrale di Spionaggio, Dipartimento A[4] e si trovò sulla strada principale avvolto dalle nere ombre di una notte scesa troppo in fretta. Non si guardò nemmeno intorno e si avviò per un vicolo stretto e buio, lo sguardo di ghiaccio rivolto a terra, troppi pensieri in testa che rumoreggiavano come uno sciame d’api.
Gli sembrava di vivere sempre lo stesso identico giorno, perfettamente uguale al precedente, copia prevedibile di quello successivo. Solo l’ambientazione cambiava e lo faceva troppo in fretta per lui, vedeva le epoche sfilargli di fronte come un ordinato esercito: Illuminismo, Rivoluzione Industriale, Epoche Napoleoniche, lotte armate e abolizione della schiavitù in America, una nuova Rivoluzione Industriale, una prima Guerra Mondiale e poi una Seconda. Eventi simili gli uni agli altri che si alternavano in un circolo vizioso e odioso che Hadrian aveva visto troppe volte.
Guerra e pace.
Guerra e pace che si alternavano come il giorno e la notte, come la morte e la vita, come la fame e la sazietà.
Ricordava chiaramente ogni istante vissuto in cui era stato caporale, sergente, tenente, maggiore, colonnello, generale; in cui aveva dato e ricevuto ordini, in cui aveva deciso vita e morte come un piccolo Dio sceso sulla terra. Ricordava le volte che era stato additato, ricordava sussurri perfidi e sibilanti come prodotti da serpenti.
Passò sotto la luce di un lampione, un’ombra mostruosa si proiettò sul muro al suo fianco e lo richiamò alla realtà, ricordandogli quando le strade delle città non erano illuminate dall’elettricità, ma da lampioni con candele oppure senza illuminazione alcuna. Scosse con decisione il capo era il momento di andare avanti, di fare quello per cui era nato e per cui era stato scelto.
Uccidere.
 
*
 
Hadrian l’aveva avvertito avvicinarsi da chilometri, eppure non poteva fare a meno di apprezzare lo sforzo di quel giovane dall’andatura zoppicante: quel suo cercare di passare inosservato, di seguirlo senza essere visto, di spiarlo con risultati, però, così deludenti.
Il capitano sorrideva nel sentirlo fermarsi dietro l’angolo di una casa a pochi metri da lui, respirare l’aria in profonde boccate come a voler radunare tutto il coraggio di cui disponeva per proseguire il suo pedinamento.
Era un passatempo divertente, anche se non poteva perdere ancora del tempo, aveva una missione: doveva trovare un uomo, come sempre, e ucciderlo. Il come eliminarlo era affar suo e solo suo.
Scivolò come un’ombra in un vicolo laterale malamente illuminato, sparendo nelle tenebre grazie anche al nero nella sua divisa, la stessa che faceva tremare tutti alla sua visione, oscuro presagio di disgrazia e morte in quegli anni bui. Si acquattò nell’ombra, come il predatore che era, e attese un passo falso, gliene bastava uno solo.
Sulle prime il ragazzo esitò, fermo all’imbocco del vicolo, che si tormentava le mani protette dai guanti; poi avanzò indugiando quel tanto che bastava. Hadrian emerse dal suo nascondiglio di tenebre, le stesse che l’avevano sempre protetto, e afferrò il giovane militare per la gola, sbattendolo contro il muro alle sue spalle. Un cono di luce ne illuminò il viso: era giovane, giovanissimo, diciotto anni se li aveva, capelli biondi, occhi azzurri, azzurrissimi, attraversati dalle scure ombre terrore più puro. La paura, in verità, non aveva alcun odore come tanti amavano dire, ma aveva il suono di un cuore che batte impazzito, come dopo una lunghissima corsa.
Il capitano l’osservò in silenzio, sondando la divisa che indossava e riconoscendola come quella di un’altra costola del loro apparato: Dipartimento E, Contro-Spionaggio. Di grado era un semplice caporale, come il primo grado ricevuto da Hadrian, all’inizio della sua carriera militare; non la carriera nel Reich, ma quella che aveva iniziato secoli prima, quando la sua divisa era rossa come il sangue.
Immaginava quale fosse la sua missione: spiarlo, scoprire se era o meno un pericolo per il Reich, se era davvero quello che la sua natura notturna e solitaria lasciava intendere, oppure se fosse solo un fanatico dell’Esoterismo.
Lo guardò di nuovo, osservò quegli occhi così azzurri e spaventati e ripensò a degli occhi che erano dello stesso colore, ma che erano spenti: erano dello stesso colore degli occhi di uno dei suoi innumerevoli figli, nato morto, proprio come tutti gli altri venuti prima di lui[5]. Era stato l’unico a nascere con gli occhi aperti, così grandi e vitrei che sembravano accusarlo di quella fine giunta ancora prima dell’iniziazione alla vita, anche le labbra erano socchiuse, a pronunciare mute sentenze e maledizioni a non finire.
Il suo destino era anche quello: la solitudine.
Ne aveva vista troppa in vita sua: suo padre era capitano dell’esercito e non era mai a casa, alla sua morte avvenuta con gloria sul campo di battaglia, sua madre si era data all’alcool, diventando sempre più distante. Hadrian allora cercava di colmare quei vuoti con il calore del corpo di altre donne e, qualche volta, anche di altri uomini, finché Lei non era arrivata. Bella e algida come una regina d’altri tempi, gli occhi color dell’indaco, freddi come il ghiaccio e con l’anima più marcia di quella di un cadavere. Ed era stato un attimo: il calore della passione del momento, poi un dolore al collo e tutto era iniziato; i giorni erano diventati tutti uguali, scanditi da una notte eterna dove solo la luna e le stelle ti fanno compagnia.
La solitudine che sentiva in petto, là dove il cuore aveva smesso di battere, si era allargata come una pozza di sangue a terra, amplificandosi oltre ogni dire, perché, Hadrian lo sapeva, si sarebbe perpetuata nei secoli infiniti che aveva ancora da vivere. Non ci sarebbe stato nemmeno il calore momentaneo che un figlio avrebbe potuto donargli, c’era solo la fredda solitudine che, alle volte, poteva essere ben peggiore della morte.
Guardò ancora il giovane che aveva bloccato al muro, talmente terrorizzato da non respirare, osservava i suoi occhi enormi e vedeva la voglia di vivere scorrerci dentro con tanta forza da travolgerlo come un fiume divenuto troppo grosso per essere trattenuto da una diga.
Il tonfo di un corpo buttato lasciato cadere a terra e le spalle di Hadrian che si presentavano davanti agli occhi lucidi e impauriti del ragazzo.
“Sparisci.” Sibilò solo e quello non se lo fece ripetere due volte. Si alzò di scatto, come una molla carica e scappò a gambe levate.
Hadrian l’ascoltò allontanarsi sempre più, prima di tornare sui suoi passi, la mente che voleva essere concentrata solo sulla missione, ma che non ci riusciva. Ripensava alla sua vita, se così poteva ancora chiamarla, sempre uguale, ai secoli che correvano troppo in fretta per lui, al mondo che cambiava senza che riuscisse ad adattarsi.
Sospirò, buttando fuori la stanchezza che ne incurvava lievemente le spalle e proseguì.
 
*
 
“Colonnello! Colonnello!”
“Cosa vuole, caporale? Non vede che sono impegnato?”
“Lo so, signore. Ma ho informazioni, su di… Lui.”
 
*
 
Il capitano Hadrian Kramer scivolò all’interno della casa senza un rumore: l’aveva fatto per tanto tempo e non aveva perso il suo tocco. Si muove sicuro nel buio della casa, solo un’ombra tra le altre ombre, avvertendo il battito calmo e rilassato di un cuore al piano di sopra, dove c’erano le camera da letto.
Era solo. Una buona cosa per lui, odiava sempre sporcarsi le mani con del sangue che non gli apparteneva.
Si avventurò per la casa, senza nemmeno guardarsi attorno, non sprecando il suo tempo a contemplare i pregiati mobili intagliati o le cornici d’oro e d’argento che ornano quadri dai disegni grottesche. Hadrian aveva solo una missione e doveva portarla a termine il prima possibile e nel modo migliore che conoscesse, come sempre.
 
*
 
“Come non ha intenzione di procedere? È impazzito per caso?”
“Si calmi caporale e cali i toni, soprattutto in mia presenza.”
“Ma… ma con le prove che le ho portato! Mio nonno mi ha mostrato una fotografia di quando era militare e c’era quell’essere con lui, era un maggiore e si chiamava Hadrian Sauer, ma sono certo che è lui! Inoltre, con quello che ho visto in quel vicolo!”
“Caporale…”
“Ma signore! È un vampiro! È quella la sua vera natura e senza dubbio alcuno!”
 
*
 
Hadrian osservava l’uomo dormire tranquillo come un bambino nel suo letto, nella sua bella casa in centro, pensando di essere al sicuro; ma nessuno era davvero al sicuro, mai.
Lo studiava e provava a immaginarsi come fosse la sua vita: lo faceva sempre, non che fosse un sentimentale oppure uno di quelli che si faceva problemi nell’uccidere qualcuno, al contrario, era figlio di militari, la guerra e la morte scorrevano nelle sue vene ancora prima che diventasse quello che era adesso, era nato per uccidere, poco importava quale fosse il motivo per cui lo faceva.
Si avvicinò ancora, pensando a quante altre volte si era trovato a quello stesso punto, quanti altri momenti erano stati simili a quello: lui in piedi a fianco a un letto occupato sempre da persone diverse che dormivano tranquille oppure che si agitavano in preda agli incubi, il finale, però, era uguale e scontato, era sempre il medesimo, non c’erano sorprese.
Il capitano ci pensava, qualche volta, al fatto che ormai niente potesse più sorprenderlo, sopravviveva da troppo tempo, i suoi occhi avevano visto troppe cose perché qualcosa potesse essergli oscuro, perché qualcosa potesse incrinare il ghiaccio con cui circondava il suo corpo e il suo spirito maledetto.
Rifletté ancora su tutte le volte che si era trovato in quella situazione, sul perché lo faceva e sulla sua esistenza così piattamente uguale. Sospirò senza emettere suoni che potessero tradire la sua presenza.
Il movimento fu rapido e indolore: un taglio preciso del suo affilatissimo coltello militare e la carotide dell’uomo si aprì come una cerniera, riversando all’esterno il sangue scarlatto di un uomo di trentasette anni, caldo e corposo; sangue che sapeva di cose buone, guerre passate a sudare sotto il caldo di estati che non finivano mai e di vita che scaldava il freddo che aveva dentro.
Usava sempre il trucco del coltello per uccidere i suoi obiettivi, per sviare eventuali sospetti e per non lasciare segni.
Hadrian rimase immobile un attimo, prima che le sue labbra si bagnassero di quel liquido rosso scarlatto che gli permetteva di vivere la sua non-vita.
 
*
 
“Non posso tollerare una cosa simile, signore! Quello è-“
“Adesso basta, caporale! Un’altra parola e la faccio incarcerare!”
“Colonnello, come può non capire? Quell’essere… è davvero un Vampiro! Ne sono certo: è un abominio del mondo, un-”
“Le rivelerò un segreto, caporale. Qui a nessuno importa quale sia la vera natura del capitano Hadrian Kramer, intesi? È una macchina perfetta per i nostri scopi: rintraccia i nemici del Reich e li uccide senza lasciare tracce; come lo faccia sono affari suoi, a noi basta il risultato. Che poi sia un diavolo, un angelo oppure un vampiro non è di nostra competenza, chiaro?”
“Cristallino, signore.”
 
*
 
“Mi faccia indovinare, caporale, il colonnello non l’ha ascoltata, non è così?”
Quelle parole arrivarono con la forza di una coltellata alle orecchie del giovane militare appena uscito dalla base, il suo corpo atletico rabbrividì interamente mentre si voltava di scatto.
Kramer teneva gli occhi chiusi, la schiena appoggiata al muro dietro di lui e le braccia incrociate, come se fosse in meditazione. Sembrava la persona più rilassata al mondo, al contrario di lui che in quel momento era teso come una corda di violino. Per un attimo il ragazzo accarezzò l’idea di scappare, rifugiarsi nell’edificio che aveva lasciato da poco e chiedere aiuto, ma sapeva che sarebbe stato inutile. A esseri del genere non si poteva sfuggire.
“Sa, caporale, lei è nuovo e non poteva sapere che al colonnello interessarono i risultati più che il mezzo con cui essi vengono realizzati.” Mormorò ancora, aprendo gli occhi, così azzurri che parevano brillare nel cono d’ombra nel quale era rifugiato.
Il giovane rabbrividì ancora a guardarli: dentro ci vedeva una freddezza estrema che voleva, però, nascondere una grandissima pena, una sofferenza che era difficile, se non impossibile, da descrivere a parole. Erano i sentimenti di chi non ha più la forza di vivere e si limita, giorno dopo giorno, a sopravvivere, lui li conosceva bene quei sentimenti: sua sorella aveva avuto lo stesso sguardo pochi mesi prima di suicidarsi, non potendo sopportare che il frutto di una violenza crescesse e si agitasse ancora nel suo ventre.
“Come si chiama, caporale?” Chiese ancora il capitano, senza nemmeno aprire gli occhi, restando immobile nella sua posizione.
“Von Hinten, Achill. – Rispose il giovane, osservando attentamente l’altro. – Non vuole uccidermi perché ho raccontato di lei, capitano Kramer?”
Nell’aria una risata sinceramente divertita mentre il capitano alzava la testa, appoggiando la nuca al muro dietro di lui.
“E perché dovrei? Ho già avuto per questa sera.” Sorrise, ma sempre con quel sorriso a denti coperti.
Rimasero entrambi in silenzio, per diversi attimi.
“Cosa vuole da me, capitano?”
“Niente, Achill. E non faccia quella faccia, sono sincero; non uccido mai i miei commilitoni, anche quelli come me hanno un codice d’onore da rispettare.” Sorrise bonario verso il ragazzo che ancora lo guardò, parzialmente allibito, non erano quelle le cose che si sentiva dire in giro su quelle creature che erano senza pietà e senz’anima.
“Immagino che… d’ora in avanti sarò anche al suo servizio, capitano.” La voce di Achill era mesta, rassegnata, ma sotto un certo verso quasi grata.
“Sì, se vogliamo dire così. – Alzò gli occhi azzurri al cielo blu scuro che, in lontananza, iniziava a rischiararsi, segno inequivocabile che l’alba non era lontana. E l’alba era bellissima e letale per quelli come lui. – Certo, per quello che potrà servire il suo silenzio Achill, già tutti mi chiamano Vampiro.”
Hadrian sorrise amaramente e fece un cenno col capo verso il ragazzo, prima di staccarsi dal muro, avviandosi per la sua strada. Il ragazzo rimase in silenzio, guardandosi gli stivali lucidissimi, incerto su quello che era giusto fare.
“Aspetti! – Lo chiamò a un certo punto e quello si voltò verso di lui, facendo oscillare appena i capelli nerissimi. – Com’è?”
“Com’è cosa, Achill? La morte?”
“No. Intendevo… la vita eterna.”
Sulle labbra pallide dell’ufficiale un nuovo sorriso amaro.
“Una routine snervante. Il mondo gira troppo velocemente e tu se lì che ti fai trascinare, senza riuscire a stare al passo con i tempi. È un po’ come andare a nuotare in uno di quei torrenti di montagna, dove la corrente diventa troppo forte e tu non puoi fare altro che farti trasportare. Combattere, reagire, tentare di contrastarla è solo un’inutile spreco di energie. Il senso è più o meno quello.” E quel sorriso amaro era sempre sulle sue labbra, rafforzato dalla stanchezza che si leggeva nei suoi occhi.
Il giovane abbassò appena il capo, prima di rialzarlo e guardarlo ancora.
“Arrivederci, capitano.”
Hadrian non rispose, solo sorrise per davvero mostrando per la prima volta i canini bianchissimi e affilati, anche se meno rispetto a quello che Achill si era aspettato.
Capitano.
Suonava proprio bene quella parola.
Racchiudeva la sua vera natura, più della parola Vampiro.
 
 
 
***
 
HOLA! ^_^
 
Ok, adesso che ho dormito come si deve (più o meno) posso dedicarmi alla scrittura di Note Decenti... u_u
Premetto che non sono un'amate dei Vampiri e ho sempre scritto pochissimo su di loro (perché ho sempre paura di renderli troppo umani o troppo diversi dalle creature fantastiche che, in verità, sono); senza contare che nei film di Vampiri e Licantropi tifo sempre per i Licantropi! E' più forte di me... amo i canidi... *//////*
Passando a cose serie... ho scritto questa storia in due giorni e dico due... modificandola all'ultimo minuto, visto che, in teoria, Achill doveva morire... poi, visto che ho alcuni amici tra i militari, ho pensato al forte cameratismo che li lega e quindi non me la sono sentita. Proprio del cameratismo parla Hadrian quando dice di avere un certo "codice d'onore", è per questo che non ha ucciso il ragazzo. Ho pensato che sì, i Vampiri sono esseri privi di emozioni e tutto il resto, ma dei principi, un certo codice devono averlo anche loro... Hadrian poi, che calca i campi militari da sempre, l'ha ancora più marcato. Ecco spiegato perché non ha ucciso Achill (e anche perché ho diversi seguiti in mente con loro due! *Q*).
Ho ipotizzato che Hadrian sia nato attorno al 1700 e abbia conbattuto durante la Guerra d'Indipendenza Americana (quando parla delle divise rosse, per intenderci) e poi si è fatto trascinare da una guerra all'altra come un'ape sul miele... è militare nel midollo, quindi non poteva tirarsi indietro... u_u
Inoltre, lo confesso, un Vampiro durante il periodo nazista era il mio sogno proibito... insomma, mi pare perfetto con tutte le dicerie che circolavano in quel periodo! *Q*
Poi, magari, voi avrete un pensiero diverso dal mio e ben venga... u_u
Ok, adesso dovrei aver detto davvero tutto... spero che la storia vi sia piaciuta e che un giorno passerete a leggere il seguito! ;)

Oltre a questo vorrei solo dire che questa storia partecipa a diversi Contest e Challenge:
 
> Al Contest: “Children of the Night” indetto da My Pride.
> Alla Challenge: “La sfida dei duecento prompt” indetta da msp17 con il prompt 135) Vampiro (originalità portami via! XD).
 
Ok, non è molto, ma per ora è tutto!
Ci sentiamo domani per le vere note, intanto, se avete voglia di donare l’8% del vostro tempo, sarete sicuri di non ricevervi un morso in piena notte… u_u
Grazie dell’attenzione e a presto! ;)
ByeBye

 
ManuFury! ^_^
 
 
[1]  Kriminalrat è il corrispettivo del grado di Capitano nella Gestapo.
 
[2]  Questo solo secondo alcune mie fonti nell’Esercito Italiano, non sono certa che sia così anche negli altri paesi, ma come idea mi piaceva quindi l’ho tenuta.
 
[3]  Con questo termine ci si riferisce a quella branca del Nazismo che studiava gli aspetti mistici e magici, spesso legati alle religioni. In seguito alla Seconda Guerra Mondiale è diventato una forma di culto religiosa o qualcosa di simile.
 
[4]  La Gestapo era divisa in vari Dipartimenti, ognuno legato a una “specializzazione” diversa. In particolare il Dipartimento A era quello legato ai Nemici del Reich: comunisti, contro sabotaggio, reazionari, liberali e poi c’era la sezione omicidi, quella di Hadrian, per la cronaca. u_u
 
[5] I vampiri sono praticamente dei morti viventi, quindi ho ipotizzato che i figli (perché sì, io penso che possano averli... u_u) nascano morti proprio per questo dettaglio.
  
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