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Autore: coldfingergurl    08/01/2015    6 recensioni
Non ricordava il volto di quello schiavo, ricordava solamente i suoi occhi e tutta la paura che quel tipo aveva provato nello stare fermo in mezzo a una stanza piena. Non aveva avuto il coraggio di guardarlo in faccia per bene, per memorizzare le sue fattezze, mentre sperava che il padre non lo costringesse davvero a fargli del male.
Quel mondo non aveva mai rappresentato una persona come Minho, lui non si era mai sentito parte integrante di quella società malata e immorale e non aveva mai considerato un’altra persona indegna di rispetto.
[OnHo]
Genere: Angst, Generale, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jonghyun, Key, Minho, Onew
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Alloooora, questa è una FF del tutto nuova e finita (esultate, nel caso non dovete aspettare anni prima di avere un capitolo nuovo) e dedicata alla mia Hyunnie ( Storygirl ) che ha aspettato mesi, visto che avrei dovuto finirla per Ottobre *coff*, per leggerla ♥. Non sono riuscita a finirla prima per vari motivi, ma principalmente perchè volevo fare una cosa decente e ormai sapete tutti che non riesco a scrivere qualcosa di corto, nemmeno per le one-shot... Ad ogni modo ho deciso di dividere questa storia in una mini-long, farla come OS non avrebbe avuto senso visto quanto è venuta lunga e quanto sarebbe stata troppo noiosa da leggere. 
Detto questo, lasciate perdere i titoli dei capitoli perchè tanto non hanno senso ♥ (come tutte le volte).



Non appena mise piede a terra, dopo una notte passata insonne, Minho si rese conto che la giornata non sarebbe stata migliore.
Aveva appena aperto gli occhi e come tutte le mattine si era apprestato a scendere dal letto appoggiando entrambi i piedi sul pavimento, una piccola abitudine che gli permetteva di alzarsi di buonumore nonostante la vita che conduceva (che di per sé non si poteva nemmeno definire tale, non faceva altro che tirare avanti come meglio poteva). 

“Jonghyun, Roo è di nuovo entrata in camera mia. Quante volte ti ho detto di legarla?”

La causa del suo malumore, e dei suoi piedi sporchi, era la cagnolina del suo coinquilino. Roo aveva il brutto vizio di uscire da camera di Jonghyun per vagare a casaccio per tutta la casa, si fermava solamente per fare pipì su ogni tappeto che trovava per strada oppure, quando le girava, campeggiava in camera di Minho. Jonghyun poteva pure definirlo un essere scorbutico e poco elastico, ma non era di certo lui quello che si svegliava con il caos in camera e con pozzanghere di pipì, quando gli andava bene era solo quella, in camera.

“Maledizione.”

Lo mugolò notando com’era messa la sua stanza, persino i vestiti erano caduti sotto gli attacchi di quel cane. Se avesse avuto una porta nella stanza niente di tutto quello sarebbe successo, ma no, il proprietario della casa dove abitava aveva deciso di togliere tutte le porte, tutte, prima ancora che Minho e Jonghyun la occupassero; purtroppo non poteva fare di testa sua perché quella casa non gli apparteneva, c’erano regole molto severe in quel quartiere e niente gli avrebbe permesso di ottenere dei favori extra.

Alzandosi dal letto, imprecando ad ogni passo che compieva, si avviò in bagno notando la tenda tirata, chiusa. Per avere un minimo di privacy Jonghyun aveva pensato di comprare delle tende colorate da poter usare come divisorio tra le varie stanze che avevano a disposizione, erano una bella decorazione anche se non servivano a tenere lontana Roo dalla sua stanza – ecco perché aveva suggerito al più grande di legarla durante la notte -.

“A-ah….”

Un gemito attirò la sua attenzione e, chinandosi per sbirciare sotto la tenda, notò due paia di gambe: il coinquilino si era portato a casa qualcuno, un ragazzo per la precisione.
Minho sbuffò sentendo la rabbia salire, quella scimmia stava occupando il bagno per fare chissà cosa con chissà chi, probabilmente uno dei ragazzi della sua gang o qualche ragazzino che aveva pagato, e sembrava non avere nessuna intenzione di interrompersi e andarsene in camera sua.

“Jonghyun, puoi continuare in camera tua? Devo farmi la doccia!”

Cominciò a battere il piede sul pavimento in maniera nervosa, perché diavolo era finito nella stessa casa di quel delinquente? Se fosse stato per lui avrebbe diviso l’appartamento con un ragazzo tranquillo, con qualcuno che rispettava gli spazi altrui.
Jonghyun non gli piaceva proprio, aveva quell’atteggiamento arrogante che lo mandava su tutte le furie, non aveva nessun tipo di responsabilità, per non parlare della totale mancanza di tatto e di decenza.
Quando era capitato in quel quartiere, Minho non sapeva cosa aspettarsi, non sapeva come funzionassero le cose in quella parte della città e si era ritrovato immerso in un mondo del tutto nuovo e differente. 
Uno stile di vita difficile da comprendere per uno abituato a vivere nel comfort.

“Devi farlo, dimostra a tutti che sei un vero Choi.”

Le parole di suo padre continuavano a tormentarlo, non faceva altro che ripeterle nella sua mente da anni, giorno dopo giorno.
Al compimento dei suoi vent’anni, come tradizione delle famiglie ricche come la propria, in regalo aveva ricevuto il suo primo schiavo. Suo padre glielo aveva comprato in uno dei mercati più famosi e costosi della città, quel ragazzo era un purosangue – come venivano definiti i figli di due schiavi – e, secondo l’uomo, Minho avrebbe dovuto apprezzare un dono del genere.

“Prendilo e facci vedere di cosa è capace questo scarafaggio.”

Le feste di compleanno si trasformavano in veri e propri incontri sessuali: il festeggiato aveva il dovere di umiliare il proprio schiavo, il primo di una lunga serie, davanti a tutti gli invitati. 
Minho si era rifiutato di farlo, si era dichiarato contrario a una cosa del genere perché fermamente convinto che tutte le persone, anche gli schiavi, meritavano del rispetto; peccato che quel suo gesto di bontà lo aveva portato alla situazione attuale.
Suo padre non aveva digerito l’affronto, non aveva preso minimamente in considerazione quello che provava il figlio nel vedere un ragazzo della sua stessa età al guinzaglio e in catene, costretto a vergognarsi di quello che era… Quell’uomo aveva pensato solamente alla disgrazia che un figlio come Minho avrebbe portato e, senza battere ciglio, lo aveva cacciato di casa spogliandolo della sua identità. 
Non ricordava il volto di quello schiavo, ricordava solamente i suoi occhi e tutta la paura che quel tipo aveva provato nello stare fermo in mezzo a una stanza piena. Non aveva avuto il coraggio di guardarlo in faccia per bene, per memorizzare le sue fattezze, mentre sperava che il padre non lo costringesse davvero a fargli del male.
Quel mondo non aveva mai rappresentato una persona come Minho, lui non si era mai sentito parte integrante di quella società malata e immorale e non aveva mai considerato un’altra persona indegna di rispetto.

“Jonghyun, lo so che sei là dentro!”

“Maledetto rompiscatole.”

Sbuffò spazientito: Jonghyun occupava il bagno e lui era il rompiscatole?
Non avrebbe mai smesso di trovare il più grande irritante, immaturo, egoista e, soprattutto, spaventoso; lo stile di vita che conduceva, per scelta o per costrizione, lo rendeva inquietante e pericoloso, Minho non voleva avere niente a che fare con uno come lui e lo avrebbe evitato se avesse avuto la possibilità di scegliere con chi andare a vivere.
Sapeva che alcune persone provenienti dal Nucleo, la parte più ricca della città, usufruivano dei servigi delle gang dei quartieri malfamati ma Minho non era mai entrato in contatto con uno di loro, la paura di venire ucciso e poi derubato era sempre stata troppo forte (anche per quel motivo avrebbe voluto una porta in camera, chi gli assicurava che Jonghyun non avrebbe tentato qualcosa del genere? Lo avrebbe potuto uccidere mentre dormiva!).

Quando la figura mezza nuda del più grande si stagliò davanti a lui, deglutì intimidito da quello sguardo duro e severo.
Jonghyun poteva avere gli occhi come quelli di un cucciolo abbandonato, poteva dare l’impressione di essere indifeso – se non si faceva caso ai suoi numerosi tatuaggi, simboli e numeri che indicavano la sua posizione all’interno del proprio clan – ma bastava una sola occhiata per rendersi conto di quanto sbagliata fosse la prima impressione.

“D-devo usare la doccia…”

Non avrebbe voluto balbettare davanti all’altro ragazzo, a quel modo gli stava facendo capire che aveva il terrore di lui e che lo temeva a causa di quel poco che sapeva della sua vita, che comunque avrebbe fatto impaurire chiunque.
Jonghyun non disse nulla, stava fissando il povero Minho con occhi glaciali e con un’espressione scocciata (almeno era capace di un’altra espressione, non aveva solo quella da gangster).

“Lo avevo capito.”

“Andiamo Jjong, lascialo stare, non vedi che lo hai spaventato?”

Il compagno, il trastullo momentaneo, di Jonghyun era apparso da dietro il coinquilino abbracciandolo, iniziando poi ad accarezzargli il petto con fare lascivo. 
Minho poteva vedere quelle dita affusolate passare sulle linee dei tatuaggi impressi sui pettorali di Jonghyun e si sentì a disagio, aveva l’impressione che quei due volessero metterlo in imbarazzo di proposito. 
Notò dei tatuaggi diversi da Jonghyun, il nuovo arrivato doveva far parte di un’altra gang perché nella parte rasata della testa era presente una specie di uccello – disegno che Jonghyun non aveva, in quanto il suo clan si identificava con una vipera -.
Come facevano quei due a frequentarsi? I vari gruppi si odiavano e si facevano la guerra per un quartiere o per l’altro, per sostanze illegali o per gli schiavi, vedere due membri di clan diversi spassarsela era una cosa rara e strana.

“Sono Kibum, tu devi essere Choi Minho, uhm? Jonghyun mi aveva accennato al suo coinquilino facoltoso.”

Le persone dei bassifondi non si presentavano mai con il proprio cognome, non ne avevano quasi mai uno perché non crescevano in mezzo a una famiglia e spesso prendevano quello del capobanda o della persona che li aveva accolti in orfanotrofio. Minho aveva perso l’appartenenza alla propria famiglia quando il padre lo aveva cacciato di casa, la sua situazione era una cosa completamente diversa… Lui aveva conosciuto sua madre e suo padre, aveva avuto qualcuno che si era preso cura di lui e che lo aveva cresciuto, mentre quei due chissà quante difficoltà avevano dovuto sopportare e superare(sicuramente non avevano avuto la possibilità di avere una vita migliore, altrimenti non avrebbero mai deciso di fare parte della malavita).

“Non perdere tempo a parlare con lui ‘Bum, abbiamo cose più interessanti da fare.”

Odioso.
Odioso, era l’unica parola con cui avrebbe descritto quella scimmia. Avrebbero dovuto tatuargli quella, non un serpente.
Kibum ridacchiò alle parole di Jonghyun, gli baciò il collo prima di passare a succhiare e mordicchiare il lobo del suo orecchio provocandogli un lungo gemito; Minho non riusciva a staccare gli occhi di dosso da quei due, perché? Si sentiva un guardone e la cosa lo metteva a disagio, non aveva mai provato del vero piacere nell’osservare due persone che si baciavano o che si coccolavano, quindi perché si sentiva accaldato in quel momento?
Non era mica normale.
Una mano di Kibum scivolò verso l'estremità dell'asciugamano di Jonghyun, stretto alla sua vita, e Minho deglutì, distolse lo sguardo sentendosi imbarazzato e a disagio; non era cosi che credeva avrebbero reagito! Lui voleva semplicemente farsi una doccia, li aveva interrotti per una buona causa.

"Continuiamo in camera tua, uhm?"

Con un cenno del capo il coinquilino afferrò Kibum per un polso e lo trascinò in camera sua. L’asciugamano che indossava cadde a metà strada tra il bagno e la sua stanza e Minho sospirò cercando di tenere gli occhi lontani dal sedere di Jonghyun.
Rimase a fissarli per un po', troppo sconvolto da quello che aveva appena visto - e provato - per muoversi immediatamente e nascondersi in bagno.
Prima di andarsene con Jonghyun, Kibum gli aveva lanciato un'occhiata strana, lo aveva guardato con un'espressione maliziosa e si era sentito andare a fuoco solo per quello sguardo. Doveva stare attento però: se l'altro ragazzo era in un qualche modo legato a Jonghyun, lui non poteva di certo mettersi nel mezzo e lasciarsi andare con quel tipo dagli occhi felini e magnetici. Il suo comportamento era stato provocatorio, ma chi gli assicurava che non ci fosse sotto una trappola o qualcosa del genere? Quei due facevano parte di due clan, non doveva fidarsi delle loro azioni.

"Maledizione..."

La sua vita era diventata un inferno nel momento in cui avevano deciso di farlo vivere con Jonghyun.
Aveva sperato in qualcuno di più decente, in qualcuno nella sua stessa situazione magari, ma no, i Selezionatori avevano deciso di lasciarlo nelle grinfie di quella scimmia... Sicuramente si erano divertiti parecchio nell'affidare un Choi alle cure di uno come il più grande. 

Rimase dentro la doccia pochi minuti, il getto d'acqua gelida che gli trafiggeva il corpo come mille lame. Per tutto il tempo non aveva fatto altro che udire gemiti e grida provenire dalla camera di Jonghyun,  Minho aveva dato per scontato il non riuscire a farsi la doccia in pace per due motivi: l'acqua calda che era finita e Jonghyun impegnato a fare sesso.
Aveva sopportato l'acqua fredda giustificandosi con il beneficio che ne avrebbe ricevuto il suo corpo, ma non sarebbe mai potuto rimanere in casa con l'altro ragazzo che mugolava e urlava come un ossesso (ma forse quello che urlava era Kibum... Non che gli interessasse, ovvio).
Doveva uscire da quella casa altrimenti avrebbe pregato gli altri due di farlo partecipare; era un pensiero di cui si vergognava, partecipare a una scopata a tre non era la sua attività preferita ma era passato un secolo dall'ultima volta che aveva fatto sesso… Quasi non ricordava nemmeno più come si facesse!

Si asciugò velocemente prima di correre in camera per vestirsi, finendo per incappare in un Kibum nudo, molto nudo.
La bocca di Minho si seccò a quella visione, riusciva a malapena a deglutire spostando gli occhi dal volto del ragazzo alle parti più basse del suo corpo: era davvero bello.

"Stavi uscendo?"

Kibum lo chiese piegandosi in avanti per recuperare l'asciugamano che Jonghyun aveva fatto cadere poco prima, se lo avvolse attorno alla vita e ghignò soddisfatto di sé; sembrava sapere quale effetto avesse avuto su di lui e Minho si sentì un completo idiota per essere rimasto impassibile.

"S-si, devo andare a fare un giro e..."

"Io e Jonghyunnie abbiamo fatto baccano, eh? Mi dispiace, credevamo fossi già uscito."

Certo, come no...
Nonostante la palese menzogna, Kibum stava usando un tono di voce pacato e davvero dispiaciuto: quel ragazzo sarebbe stato capace di uccidere e far ricadere la colpa sulla vittima. 
Non riusciva a capire quali fossero le intenzioni del nuovo arrivato, era una persona ambigua e a lui non piacevano le persone così, a quale gioco stava giocando?
Perché sembrava trarre godimento nel vederlo frustrato e a disagio?

"Puoi dire a Jonghyun di legare il suo cane? E' venuta nuovamente in camera mia stanotte.”

Con un sorriso raggiante, Kibum gli disse di non preoccuparsi per Roo e che avrebbe riferito l'accaduto a Jonghyun - che puntualmente se ne sarebbe fregato -. Se ne andò qualche istante più tardi, richiamato dalla voce di Jonghyun, lasciando Minho di nuovo da solo e perso nella propria eccitazione.

Meglio andarmene .
Gli altri due avrebbero ricominciato a fare sesso molto presto e lui non aveva nessuna intenzione di rimanere ad ascoltare o, peggio, supplicare di partecipare.
Uscì di casa a gran velocità, l'idea di allontanarsi il più possibile lo aveva portato a non guardare dove stava andando né a prendere in considerazione una meta in cui dirigersi (non c'era niente di decente da quella parte della città, solo locali malfamati, roba che poteva frequentare uno come Jonghyun).

Mentre stava scappando dai due criminali che occupavano la sua abitazione, qualcosa, o meglio, qualcuno gli finì addosso facendolo rantolare per terra miseramente.
Stava già per gridare a quello sconosciuto di stare più attento, ma le parole gli morirono in gola non appena posò lo sguardo sulla figura cavalcioni su di sé.
Era un ragazzo della sua età, presumeva, con i capelli miele sistemati in un caschetto che gli circondava alla perfezione il viso.
Minho lo stava osservando come incantato, catturato da quei lineamenti dolci e quelle labbra carnose. L'altro ragazzo ricambiava il suo sguardo sbattendo le ciglia in confusione, sicuramente si stava chiedendo perché uno sconosciuto lo stesse studiando a quel modo. 

"Mi dispiace esserti venuto addosso." 

La voce di quello sconosciuto lo fece rabbrividire, nel senso più positivo del termine. Non se l’aspettava così melodiosa e gentile.

"Non importa, avrei dovuto guardare dove stavo andando."

Una volta alzato da terra, Minho notò qualcosa brillare al polso di quello sconosciuto: era un bracciale metallico, uno di quelli indossati dagli schiavi del Nucleo.
Com'era possibile che uno schiavo si fosse spinto fin laggiù? Non potevano lasciare la dimora dei padroni, figurarsi il Nucleo!
Quel tipo doveva essere pazzo, avventurarsi a quel modo nella parte povera della città, il suo bel bracciale in mostra e quell'aria da innocente; era stato fortunato a scontrarsi con Minho piuttosto che con uno come Jonghyun, dello schiavo non sarebbe rimasto assolutamente nulla in quel caso. 
I malavitosi erano famosi per le rapine, le torture e le sevizie nei confronti dei ricchi, che spesso si perdevano nei quartieri malfamati, e nei confronti degli schiavi che andavano in giro ricoperti di ricchezze. Una volta aveva visto Jonghyun prendersi cura di uno schiavo e ancora oggi aveva gli incubi se ci pensava.
Il bracciale avrebbe dovuto segnalare la posizione degli schiavi ai padroni, erano talmente stretti ai loro polsi che nessuno riusciva a toglierli se non con una chiave o con la rimozione della mano (cosa che accadeva spesso quando lo sfortunato di turno incontrava un membro di un clan).

"Non puoi stare qui, se qualche delinquente ti vedesse... Vieni, andiamo a mangiare qualcosa, sarai al sicuro dalla strada."

"Perché dovrei fidarmi di te?"

Sbuffando, Minho afferrò quel tizio per la mano e lo trascinò con forza verso la fine della via in cui abitava, la fontana della piazza di fronte ai loro occhi.
Da quel punto si riusciva a vedere la luce abbagliante del Nucleo, delle volte Minho usciva di casa nel bel mezzo della notte per dirigersi in piazza e osservare da lontano quella che era stata la sua casa; gli mancava, lo doveva ammettere, ma sapeva di essere stato cacciato perché si era dimostrato un essere umano e non un animale.
Lo schiavo sembrò soccombere alle azioni di Minho e si lasciò trasportare fino all’entrata di una bella taverna, lontana dal viale stretto e pericoloso in cui era incappato prima di finire addosso a quel tipo strano.

“Io sono Minho, a proposito, tu?”

“J-Jinki.”
   
 
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