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Autore: Eliatheas    18/11/2008    2 recensioni
Cari fratelli,
alzarmi io vorrei da questo letto, ma il tormento – terribilmente forte come non era mai stato – mi sfinisce e ancorata mi tiene a questo odiato giaciglio.
Non si tratta solo di un dolore del fisico, che mi strazia e mi spossa, ma anche di un dolore dell’anima e del cuore.
Il mio povero cuore ha sopportato così tante avversità, forse troppe, che ora non ce la fa più, si arrende all’ardua impresa di affrontare anche questo terribile dolore e, pian piano, diminuisce i suoi già fievoli battiti.
[Decameron ~ Lisabetta da Messina]
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Qui multum amat pauca dicit ~  

Cari fratelli,
alzarmi io vorrei da questo letto, ma il tormento – terribilmente forte come non era mai stato – mi sfinisce e ancorata mi tiene a questo odiato giaciglio.
Non si tratta solo di un dolore del fisico, che mi strazia e mi spossa, ma anche di un dolore dell’anima e del cuore.
Il mio povero cuore ha sopportato così tante avversità, forse troppe, che ora non ce la fa più, si arrende all’ardua impresa di affrontare anche questo terribile dolore e, pian piano, diminuisce i suoi già fievoli battiti.
Rammento con dolore i momenti in cui il mio cuore volava, felice, nell’immensità del mio amore e mi sfinisco.
Tanto belli erano quei momenti! C’era il sapore del pericolo, del rischio, e c’era l’immensa felicità che mi invadeva il cuore quando il mio amato Lorenzo mi stringeva forte la mano.
Lorenzo.
Il suo era un nome così musicale e bello che ora, pronunciato dalle mie labbra straziate dal dolore, sembra un terribile scherzo.
Il suo ricordo mi tormenta spesso, in questi giorni in cui non posso fare altro che attendere che Dio venga a prendermi. E’ un ricordo tormentato e piacevole allo stesso tempo, perché il mio cuore sente la sua mancanza, ma sa che fra poco potrà rivederlo, giovane e bello come era quando mi stringeva la mano.
Perché mi avete fatto questo, cari fratelli? Perché, ciechi nell’insensibilità del vostro animo, mi avete privato della mia ragione di vita? Paura di uno scandalo che avrebbe rovinato i vostri affare?
Cerco senza sosta una giustificazione al vostro comportamento, ma non ne trovo, perché non ce ne sono.
Rammento con dolore il giorno in cui vidi il mio adorato Lorenzo per l’ultima volta. Allora non potevo sapere che non sarebbe più tornato e mi limitai a salutarlo con una leggera carezza – rubata di nascosto voi, fratelli miei – sul suo bel volto.
Se ne andò con un sorriso radioso e non tornò mai più, il mio amato Lorenzo.
E quando vi chiesi, cari fratelli, perché il mio Lorenzo non tornasse, voi mi faceste chiaramente capire che lui non sarebbe tornato.
Il mio cuore ricorda ancora il doloroso tormento di quei giorni e le mie gote sono ancora arrossate dalla lacrime, lacrime del mio amore disperato.
E poi Lorenzo mi apparve in sogno, con i vestiti fradici e il volto sconvolto, eppure tanto bello.
Mi disse, con dolore, che voi, i miei amatissimi fratelli, lo avevate ucciso, lontano dagli occhi della gente. Mi diede le indicazioni per trovarlo e mi pregò, con le lacrime agli occhi, di non invocare più il suo nome.
La mattina seguente mi recai nel luogo indicatomi dal mio amato e iniziai a scavare, aiutata solo dalla forza della disperazione. E quando trovai il suo corpo sconvolto, le lacrime offuscarono i miei occhi, ma sapevo che non potevo piangere. Eppure, quelle lacrime inesistenti bruciavano sulle mie gote.
Avrei voluto stringere tra le braccia quel corpo che un tempo era stato il mio Lorenzo e potarlo con me, ma non potevo. Con un coltello mi decisi a tagliare la testa dal corpo e portai a casa, stringendola al petto come a voler riportare il mio amato da me.
La infilai in un vaso, avvolta in un panno, e vi piantai sopra del basilico, che innaffiai con le lacrime che mi bruciavano il viso.
E quel basilico crebbe, bello e meraviglioso. Crebbe più bello di ogni altra pianta presente su questa Terra, crebbe sulle macerie del mio amore disperato, innaffiato dalle lacrime del mio cuore straziato.
E voi, i miei adorati fratelli, prendeste il mio vaso, me lo rubaste e lo teneste per voi. Inutile implorarvi, voi eravate insensibili alle mie lacrime disperate. Mi ammalai e non sono più guarita.
Ve ne siete andati da poco, fratelli, e mi avete abbandonata qui, malata e straziata da un tormento che non mi dà pace. Mentre il rammentare questi momenti mi provoca una fitta di dolore, mi chiedo se si possa morire per amore e mi rispondo di sì.
Amore e morte sono strettamente legati, in una macabra unione. Se questo era il mio destino, morire per un amore disperato, avrei preferito non esser mai nata.
Ahimè, cari fratelli! Sento la vita scivolare velocemente via da me e voglio concludere questa lettera prima il nostro Dio mi chiami a sé.
Addio, fratelli miei. Spero riusciate a pentirvi del vostro orribile gesto e che possiate ricordarvi di me come una fanciulla felice e spensierata e non straziata dal dolore.
Addio.

Vostra Lisabetta.

 

Angolo Autrice

Tema di italiano. Sì, lo so. Questi temi mi ispirano.
Questo era l’ultima lettera di Lisabetta ai fratelli prima di morire, basata – ovviamente –sulla novella di Boccaccio.

La frase del titolo “Qui multum amat parca dicit” – letteralmente: Chi ama molto parla poco – è di una mia compagna di classe che l’ha trovata sul suo diario di scuola in italiano e del professore di italiano, che l’ha tradotta in latino.
Si riferisce, ovviamente, al mutismo doloroso della povera Lisabetta.

Non l’ho scritta in Italiano del Trecento perché non ci sono riuscita. Se un giorno mi verrà la voglia di cimentarmi in questa impresa, lo farò. Ma non ora.

Spero vi piaccia.

   
 
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