Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: SoltantoUnaFenice    08/01/2015    3 recensioni
Touma era immobile in quella posizione da chissà quanto. Le mani premute contro il lavandino, le braccia tese, le spalle contratte. Lo sguardo fisso sul proprio riflesso allo specchio.
Occhi negli occhi, stava fissando sé stesso così intensamente e così a lungo che ad un certo punto gli sembrò di non riuscire a riconoscersi più.
Tutto quello che voleva era capire cosa ci fosse di diverso, e perché non riuscisse a togliersi di dosso quella sensazione di strano e sbagliato che si portava dietro da tre settimane, da quando si erano scontrati con quel demone. Ma il riflesso nello specchio continuava a guardarlo in una maniera che lo faceva sentire come se tutti i piani verticali e orizzontali della sua esistenza slittassero e si inclinassero, fino a comprimerlo come dentro ad una scatola schiacciata.
Genere: Angst, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cye Mouri, Kento Rei Faun, Rowen Hashiba, Ryo Sanada, Sage Date
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Touma era immobile in quella posizione da chissà quanto. Le mani premute contro il lavandino, le bracia tese, le spalle contratte. Lo sguardo fisso sul proprio riflesso allo specchio.
Occhi negli occhi, stava fissando sé stesso così intensamente e così a lungo che ad un certo punto gli sembrò di non riuscire a riconoscersi più.
Tutto quello che voleva era capire cosa ci fosse di diverso, e perché non riuscisse a togliersi di dosso quella sensazione di strano e sbagliato che si portava dietro da tre settimane, da quando si erano scontrati con quel demone.
Era stato colpito, ma non era stato niente di grave. Eppure il suo cervello sembrava un ingranaggio grippato: continuava a girare, ma era come se slittasse a vuoto. Continuava a tornare a quel giorno.

Freddo.
Umido, polveroso, buio.
Un dolore sordo che si allarga dal polso e risale lungo il braccio, diventando pian piano più intenso man mano che i minuti passano.
Gli occhi che lentamente si abituano all'oscurità. Un chiarore appena accennato e caldo, dalle velate tonalità verde salvia.
Una mano che passa gentile sulla fronte.

Come stai? Ti ha colpito?”
La voce di Seiji che lo riporta indietro dallo strano sogno in cui è caduto pochi istanti prima, ma che sembra durare da un'eternità.

Touma si passò una mano sugli occhi, come se questo gesto potesse snebbiargli un po' la mente e fermare questo loop insopportabile nel quale la sua memoria si era bloccata.
Era quasi come quando si riprende conoscenza, e si cerca di risalire all'ultimo ricordo prima di addormentarsi o di svenire.
La sua mente si ostinava a ritornare lì, come se non riuscisse a ricordare nulla di quello che era successo dopo. E invece sapevaa che erano successe altre cose, e bene o male le ricordava. Sapeva che avevano combattuto, e ancora una volta se l'erano cavata. Il demone era scomparso poco dopo averlo colpito, anche se nessuno dei suoi nakama aveva saputo spiegargli esattamente come fosse andata.
Si erano separati poco dopo, ed era tornato velocemente a casa: il suo nuovo superiore ce l'aveva ancora con lui dalla storia del rapimento, e lui si sentiva costantemente osservato e messo alla prova. Touma pensò che prima o poi lo avrebbe mandato a cagare insieme a tutto il resto, ma per il momento non era ancora accaduto nulla di abbastanza importante da doverlo fare, e così si stava sforzando di rigare dritto ancora per un po'.
Il riflesso nello specchio continuava a guardarlo in una maniera che lo faceva sentire come se tutti i piani verticali e orizzontali della sua esistenza slittassero e si inclinassero, fino a comprimerlo come dentro ad una scatola schiacciata.
Si allontanò dal lavandino con uno scatto ed uscì in terrazza, perché gli sembrava di non respirare più.
Prese aria una, due, tre volte... respirava così velocemente e così a fondo che la testa cominciò a girare, e dovette buttarsi su una sedia.
Sentì di nuovo riaffacciarsi un attacco di panico. Non sapeva se fosse davvero quello, ma negli ultimi giorni ci era andato vicino diverse volte, ed ormai era sempre più difficile riuscire a ricacciarli indietro.
Per l'ennesima volta, affiorò il desiderio chiamare i suoi nakama e raccontargli tutto, ma Touma non voleva spaventarli.
Sapeva che la cosa avrebbe messo in moto una serie di telefonate incrociate che sarebbero culminate con una delegazione di qualcuno di loro che si presentava a casa sua per controllare come stesse realmente, e non voleva.
Non voleva distoglierli ancora una volta dalle loro cose, e non voleva che si preoccupassero per lui.
Non riusciva ad ammetterlo, ma stavolta non li voleva nemmeno attorno.
Era come se sentisse qualcosa di estremamente instabile e pericoloso dentro di sé, che gli faceva desiderare di rimanere solo. Ancor più solo del solito.

 

 

Seiji era in piedi davanti al mobiletto che ospitava il telefono, in casa di Satsuki. Sospettava che la sorella usasse ormai quasi sempre il cellulare, e che continuasse a mantenere una linea fissa solo per lui, per le telefonate che le chiedeva di poter fare ogni tanto. Pensò che non fosse giusto continuare a disturbarli in quel modo, e che avrebbe potuto far trasferire la linea nel suo appartamento.
Forse avrebbe potuto addirittura comprare un cellulare: Kuni-chan gli aveva suggerito che avrebbe potuto accenderlo solo quando doveva telefonare, e sarebbe stato quasi come non averlo. L'idea in effetti sembrava accettabile e Seiji stava cominciando a valutare seriamente di farlo.
Nel frattempo rimaneva in piedi davanti al telefono a cercare di decidere se fosse il caso o meno di telefonare a Touma e sentire come stesse.
Erano diversi giorni che si sentiva inquieto. Ogni volta che pensava al suo nakama non poteva fare a meno di provare uno strano malessere, e più tempo passava, e più si convinceva che ci fosse qualcosa che non andava.
Aveva fatto anche dei sogni, e sopra ad ognuno di essi incombeva un celo nero e grave, carico di nuvole dai riflessi violacei.
Il telefono iniziò a squillare, e Seiji rispose, anche se probabilmente sarebbe stato per Satsuki o per Takeshi.
“Pronto?”
“Seiji?” La voce di Shin sembrava sorpresa.
“Ciao Shin. Non dovresti mostrarti così stupito di sentirmi, se telefoni per parlare con me.”
“Di solito risponde tua sorella...”
a voce era seria e incerta, e Seiji ebbe un brutto presentimento. Non era da lui lasciar cadere così una provocazione.
“Va tutto bene, Shin?”
“Io sto bene. Però... hai parlato con Touma, di recente?”
“No. E' successo qualcosa?”
“Beh, l'ho chiamato ieri. Era un po' che non si faceva sentire, e mi sembrava strano. Ho provato diverse volte, ma mi ha risposto solo la sera. E' strano, in genere richiama appena vede la chiamata, tra un'ora e l'altra di lezione.”
“Ti ha detto il perché?”
“No. Anzi, si è arrabbiato quando gliel'ho chiesto. Ha risposto a monosillabi, e aveva una gran fretta di buttar giù. Mi ha liquidato in tre minuti, e... Seiji, sono sicuro che non stia bene. Non sembrava nemmeno lui.”
“Forse è preoccupato per qualcosa, sai che al lavoro non ha vita facile, ultimamente. Proverò a parlarci, ma tu stai tranquillo, d'accordo? Vedrai che non è nulla. A forza di star sempre solo, starà dimenticando le elementari regole della buona educazione.”
“D'accordo. Speriamo che sia così... Mi farai sapere qualcosa?”
“Certo.”
“Grazie. A presto, Seiji.”
“A presto.”
Seiji mise giù la cornetta. Scese al dojo con l'intenzione di allenarsi un po', ma la sua mente era lontana, persa in un luogo sovrastato da un cielo plumbeo e soffocante.

 

Touma aveva una immagine in mente. Era qualcosa che aveva visto anni prima in un documentario sul comportamento degli animali: una mosca, colpita a morte dal veleno di un ragno, avvolta nella ragnatela.
Gli era rimasta impressa perché l'insetto sembrava incapace di capire di essere in trappola. Non si era dimenato per fuggire. Aveva cominciato invece una serie di gesti privi di senso, come ad esempio passarsi più volte le zampe sul muso, come avrebbe fatto per lavarsi.
L'aveva visto ripetere questo gesto una, due tre, volte, mentre il ragno aspettava che morisse.
Touma ripensò alla dissertazione dell'etologo sulla reazione illogica della mosca, probabilmente causata dal veleno.
Mentre si aggirava per casa, si rese conto di essere esattamente come quella mosca: per quanto gli fosse ormai evidente che le cose non andassero bene, non poteva fare a meno di alzarsi la mattina, prepararsi, andare al lavoro.
Continuare a dormire, mangiare, pensare... portare avanti questo guscio inutile di apparenza, quando l'unica cosa che gli appariva vera, era di essere morto.
Il nucleo più interno era morto, ma tutto il resto di sé si rifiutava di capirlo.
Si allontanò dalla finestra con uno scatto nervoso e urtò uno dei due vasi che erano sulla lunga mensola del salotto. Lo afferrò prima che cadesse con un gesto istintivo e rimase a fissarlo, stretto nella mano.
Aveva sempre amato quei due vasi di ceramica Raku dalle delicate sfumature cangianti. Li aveva comprati con uno dei primi stipendi: sapeva di aver speso un po' troppo, ma i riflessi azzurrati e bianchi gli ricordavano il cielo.
Provò una sorta di terrore nel rendersi conto che, se anche fossero caduti a terra e fossero andati in mille pezzi, non gliene sarebbe importato nulla.
Fissò le striature dello smalto, e tra l'una e l'altra gli sembrò di vedere comparire ricordi dolorosi, intrisi di rosso scarlatto.
Non avrebbe saputo dire per quanto tempo fosse rimasto così, ma quando tornò in sé vide davvero il sangue mischiarsi ai toni luminosi della ceramica.
Forse era stato il dolore alla mano ad averlo riportato alla realtà, perché il vaso si era spezzato in due, ed il profilo tagliente della spaccatura gli aveva ferito il palmo.

  
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