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Autore: wiston87    09/01/2015    0 recensioni
Gordon si ritrova rinchiuso in una gabbia di matti e circondato da un orda di grossi occhi mutanti.
Se la caverà?
Genere: Dark, Horror, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Avete fame? Ho preparato delle prelibatezze squisite per voi! Solo per voi! Per la mia cara Lisa ed il nostro graditissimo ospite!”.
Teneva le mani poggiate su di un carrello al di sopra del quale aveva poggiato un enorme pentolone cromato. Tolse il coperto col gesto leggiadro di una magia funambolica, e in un battibaleno Gordon si sporse per vedere il contenuto. Quale grido angosciato non si impadronì di lui quando gli cadde l’occhio sul traboccante lerciume lì contenuto! Centinaia di occhi delle dimensioni di palline da golf lo fissavano famelici da dentro la pentola. A parte la pupilla, erano bianchi per il 90% del loro corpo, con un lieve allungamento marrognolo nella zona retrostante, quella che in un corpo sarebbe stata rivolta al cervello. Le pupille erano diversificate in cinque o sei colori tipo, marrone arancio giallo, anche verde, però erano piuttosto opachi e coprivano una vasta gamma di sfumature, al punto che per alcune era impossibile dire se fossero arancio o rosse, verdi o blu.
Abbiamo detto che Gordon se ne sentì fissato: era naturale pensarlo dato che erano occhi, seppur illogico dato che erano certamente morti. Quel termine aveva la stessa valenza di quando si dice che la Gioconda pare seguirci con lo sguardo. Ma questa constatazione crollò inesorabilmente non appena, vinte le resistenze interiori in forza della curiosità, si sporse in avanti ancora: le pupille seguirono il suo movimento, tutte assieme, in contemporanea. Cacciò un grido stridulo come non mai, più forte ancora di quella volta che al campo scuola, all’ultima sera, i compagni burloni gli avevano fatto trovare un paio di scarafaggi vivi nel letto.
Pensate: di che doveva lamentarsi, del fatto che ci fossero quegli occhi serviti per pranzo, oppure del fatto che fossero vivi? Lì per lì opto per la seconda opzione, non fosse perché se la prima era solo sintomo di pazzia a livelli astronomici, questa seconda violava molti capisaldi della biologia, e della logica in primis. 
Balbettò: “quei… quei cosi sono vivi!”.
“Freschi e appena raccolti!”, rispose Barak come fosse la cosa più normale di questo mondo. “È normale che si muovano ancora un po’, ma che vuoi farci? Così sono più succulenti. Ne vale veramente la pena”. Ne afferrò uno e, avendo cura di non farselo scivolare di mano per com’era viscido, se lo cacciò in bocca al volo. Masticandolo, produsse un rumore sordo come di caramelle gommose.
“Ma dove li hai presi? Cioè… cioè… non sapevo che si mangiassero…”.
“Ah! Non esistono dalle vostre parti? Dimenticavo, sono una specialità locale. Lisa non te ne ha parlato? I corridoi ne sono pieni, traboccano! Sono sulle pareti, sul soffitto, tra i grumoli di muffa secca. Strisciano per terra come vermiciattoli!”.
“Strisciano?!?”.
“Non tutti, ovviamente. Però…”, ne prese uno e lo strizzò lievemente ai poli, ne spuntò una piccola protuberanza verdognola come la coda di una lucertola. “Lo vede? Con questa possono strisciare in tutti gli angoli, si nascondono dove meglio possono, questi infami. E quando sono in tanti prendono coraggio, e allora rischi pure di rimanerci secco. Ma sono talmente buoni che il gioco vale la candela!”. Se lo ficcò avidamente in bocca, facendo infine spuntare la codina, come uno spaghetto bislungo. Quando lo mandò giù, stavolta intero e senza neanche un morso di accompagnamento, a Gordon parve di sentire un ronzio che chiedeva pietà da parte dell’occhio ingurgitato. Ma forse era solo un impressione. Come avrebbe potuto emetterlo, sprovvisto com’era di corde vocali? Ciò nonostante aveva avuto quel che gli occorreva, l’ultimativa conferma della pazzia di Barak. Occorreva impuntarsi e trattarlo come meritava: senza mezze misure.
“E lei si aspetta che noi mangiamo questo schifo? Se lo può scodare! Dove ha preso tutti quegli occhi? Me lo dica”.
A quelle parole il viso di Barak passò dalla notte al giorno. Come quello di chi avesse dipinta in volto la gioia per la vittoria della lotteria di capodanno, salvo poi accorgersi un nanosecondo dopo che il premio consisteva nell’esser fritto vivo, con la mano che già gli vien condotta sulle braci ardenti a cinquecento gradi. Si mise a gridare impazzito: “IO! Mi sono rotto la schiena per farvi trovare un pranzo così accogliente, e lei adesso lo rifiuta così scortesemente? Senza pensarci due volte? Con tutta la gente al mondo che crepa di fame, ha pure il coraggio di essere così schizzinoso? Ah?”. Per un attimo, parve che la sua rabbia stesse calando, ma si stava solo trattenendo. Era la carica della miccia appena prima del gran fuoco d’artificio. Così come certi giocatori di poker piuttosto avventati rovesciano il tavolo quando si convincono che la partita sia stata truccata, lui mise impulsivamente le dita sotto al contenitore e lo rovesciò addosso al muro gridando: “e allora mangiate la vostra merda se vi piace tanto! Schifosi parassiti bastardi!”.
Ansimava come avesse fatto tre giri attorno ad un campo di calcio. Il muro era una chiazza bordeaux con spaurite tracce di bianco, lo schifo per definizione. Alcuni occhi si rantolavano a terra come girini semimorenti, altri erano in poltiglia, non più dissimili dalla comune polpa di pomodoro. Gordon ebbe una fulminazione scaturita da quanto detto poco prima da Lisa sugli schizzi che gli psichiatri mostravano ai pazienti per analizzarli: immaginò di prendere quella chiazza sul muro e mostrarla ad un presunto schizofrenico e sentirsi rispondere: “mi ricorda un migliaio di occhi spappolati”, e vederlo portar via a forza etichettato come pazzo furioso quand’era invece l’unico ad aver azzeccato.
Temendo un ulteriore rappresaglia fuori dalle righe, Gordon si affrettò a notare ed afferrare l’enorme cesoia da quaranta centimetri che giaceva solitaria sul carrello. Aveva le lame coperte di ruggine, cospicue macchie di sangue fresco più alcune incrostate decisamente più vecchie. Prima non aveva potuto vederla perché era dietro al pentolone. Probabilmente era con quella che Barak aveva estratto gli occhi, ma a chi?
“Mi stia lontano!”, gli gridò brandendola faticosamente con le due mani. Era molto pesante e la lunghezza non facilitava di certo il compito, dato che così aveva il baricentro lontano dal punto d’appoggio. “Non osi avvicinarsi o le… gliela ficco in pancia! Guardi che lo faccio veramente!”.
Barak tentò uno scarto sulla destra per cercare di arrivargli dietro, sfruttando la sua maggiore agilità. Gordon fu abbastanza solerte da riuscire ad applicare il suo proposito: lo prese di striscio sul fianco sinistro. Non un gran taglio, ma sufficiente a fargli abbassare la cresta, e fargli perder sangue, ossigeno, forze.
Lisa aveva indietreggiato sconvolta, con la mano davanti alla bocca e lo sguardo fisso sui due in lotta, quasi indecisa su chi fare il tifo. Meglio le proprie catene oppure la libertà dal mostro? Lungi dall’esser questa una scelta banalmente fruibile, è bene notare che sono dai più preferibili le prime quando la cosiddetta libertà acquisita coincide poi con la nullità della propria esistenza, ovverosia alla congenita incapacità di creare da sé uno scopo. Indietreggiando era giunta contro la parete di occhi spappolati: quando ne pestò un paio se ne ritrasse sgomenta. Ondeggiava tra i due orrori maldisposti avendo ben cura di star nel mezzo come male minore.
Gordon gridò: “che mi dice di sua figlia? Lisa mi ha detto cosa le ha fatto! L’ha chiusa nell’obitorio, quella povera piccina!”. Per la rabbia non riuscì a trattenersi dal conficcargli un'altra limata di striscio, all’altezza della coscia. “Mi dica come raggiungerlo, che corro immediatamente a recuperarla!”. Stava per aggiungere: e appena sono fuori di qui la denuncio e via dicendo, ma si trattenne. Era stupido andare a cercare complicazioni, solo per prendersi una piccola rivalsa verbale.
Barak era ora semisdraiato accanto al tavolo. Cercava invano di rialzarsi usando il braccio sano per far leva. Mugugno goffamente: “lei non capisce, c’è un equivoco, Lisa…”.
“Capisco benissimo! Mi dica quel che lo ho chiesto o queste”, sollevò le cesoie a mezz’aria, “le uso per tranciarle le palle!”.
Barak deglutì, con le pupille ribaltate quasi rivolte al soffitto.
“Allora?”, ripeté Gordon infiammato, quasi sul punto di realizzare il suo malsano proposito di castrazione.
“Se proprio ci tiene… la porta è dietro all’armadio a muro. Vada e non si azzardi a tornare. Non è stato un ospite gradito!”.
Gordon pensò che se uno da una risposta tanto spocchiosa anche quando ha il coltello dalla parte della lama (e che lama!), deve essere per forza di cose o molto coraggioso o completamente pazzo. Si voltò verso Lisa e le domandò: “è corretto? Dietro all’armadio c’è un passaggio che conduce all’obitorio?”. Lei gli fece un impercettibile segno di assenso con la testa.
Si avviò all’armadio e lo contemplò per alcuni istanti. Era di tipo rustico, con tante rifiniture scolpite che ricordavano vagamente dei fiori rampicanti. Si avviò sul lato destro e la spostò con poca fatica. Il pavimento di sotto era polveroso e senza impronte, segno che era stato calpestato recentemente. Ma quello era il meno: sulla porta erano inchiodate decine di assi spesse e nodose, che ne impedivano l’apertura interna.
Si voltò con sguardo basito verso Barak. “E questa che roba è? Come mai la porta è inchiodata?”.
“Trattasi della porta di servizio che conduce all’obitorio, proprio come hai chiesto. Abbiamo dovuto prenderci le nostre precauzioni affinché… a nessuno venisse in mente di venire a violare la nostra privacy”.
“E tu dove sei passato per andarci? Non certo da qui, il passaggio non è stato usato di recente!”.
“Dal passaggio ufficiale per gli addetti dell’ospedale, ovviamente. Ma dal momento che a quanto ne so tu non sei membro, dovrai accontentarti del passaggio pubblico. Suvvia, non fare quella faccia, che ti cambia? Schioda le assi e passa. È tanto semplice!”.
Gordon avrebbe voluto impuntarsi ed insistere fino alla nausea per poter passare dall’altra parte, ma aveva il lontano sospetto di quanto non ne valesse la pena. Quel Barak era testardo come una pietra. Tanto più gli conveniva passar subito, dal momento che il puzzo degli occhi maciullati cominciava a rendere l’aria parecchio pesante. Più passavano i secondi e più non vedeva l’ora di abbandonare la stanza. Tuttavia… ci fu un momento in cui fu quasi sfiorato dal sospetto che Barak volesse ficcarlo in quel corridoio a tutti i costi. Se solo avesse dato ascolto a quel sentore!
Barak Continuò soprappensiero, come per levargli di dosso l’ultimo residuo di speranza che si potesse fare altrimenti: “tanto più che la mia porta si apre solo con le impronte digitali della mia mano, e per colpa delle tue sforbiciate non riuscirò ad alzarmi per le prossime tre ore. Dubito fortemente che tu voglia portarmi in spalla!”.
“Lascia stare! Dove posso trovare un martello per estrarre i chiodi dalle assi?”.
“Nel secondo cassetto a partire dal basso dell’armadio che hai appena spostato”.
Gordon l’aprì e dovette rovistare parecchio tra cacciaviti e bisturi prima di trovare il martellone sgualcito, pensante come uno di quelli per picchiare il bronzo sulle incudini.
“Scusa il disordine”, lo apostrofò Barak quasi sbeffeggiandolo, “lo usiamo come capanno per gli attrezzi. E… nel caso te lo stessi chiedendo, è un caso che il martello si trovi proprio lì, così vicino al luogo di utilizzo. O meglio, la verità è che… è molto poco maneggevole perché non era stato messo lì per quello scopo!”.
Gordon usò il martello per togliere e spannare i chiodi in fretta e furia, e dopo sette minuti e mezzo aveva già aperto la porta. Passò dall’altra parte.
Dopo neanche cinque passi in avanti, un rintronare selvatico proveniente da dietro lo fece sobbalzare. Qualcuno stava già inchiodando le assi impedendogli qualsiasi ritorno, casomai ne avesse mai avuto bisogno. E a giudicare dalla potenza impressa, non poteva proprio trattarsi di Lisa. Ma come, Barak non aveva appena finito di dire che non poteva alzarsi?

Per tutti i successivi dieci passi era rimasto convinto che il motivo di quella chiusura rapida era che Barak voleva levarselo di torno per sempre, avendo preso paura con la sua sfuriata. In fondo, sotto quella coltre di caparbietà, era un vigliacco della peggior specie. Non valeva minimamente la pana di prendersela per la presa in giro delle impronte digitali e del non potersi alzare. Apparteneva a quella specie d’uomini di cui Dante diceva: “non ti curar di loro ma guarda e passa”. Il che per lui significava: se in vita ci si fermasse a cincischiare ogniqualvolta si incrociano simili individui, si rimarrebbe intrappolati in tante piccole bolle di aria fritta, tale è il loro numero. Tanto meglio mostrare superiorità con l’indifferenza invece che con rivalse che a ben vedere lasciano il tempo che trovano.
Eppure, non appena svoltato l’angolo, si rese malamente conto di aver azzeccato solo la prima metà della verità, ed il suo bel castello fatto di carte ed elucubrazioni forbite crollò con un debole soffio di vento. Se era vero che Barak gli aveva sbarrato la via del ritorno, ciò andava ricondotto a qualcosa da cui sarebbe ragionevolmente dovuto fuggire, ponendolo in tal modo in un vicolo cieco.
Che cosa? Uno schiuma verde fosforescente come formaggio ammuffito al plutonio contornava le quattro mura del corridoio per la lunghezza di cinque/sei metri. Migliaia di bollicine scoppiettanti come acido in ebollizione, e sotto quella spessa coltre semitrasparente c’erano altrettanti occhi rapaci iniettati di sangue, ben più grossi di quelli che Barak aveva tentato di servigli a pranzo. Era evidente che ovunque costui fosse andato a procurarseli, non era però passato di lì: quelli sembravano come impazziti, completamente fuori controllo. Come una pianta carnivora lasciata libera di alimentarsi senza limite per lungo tempo e divenuta sterminatrice quando si fa ritorno. Era probabile allora che Barak sapesse benissimo della loro presenza, e che l’avesse spinto di lì deliberatamente, e che quelli assi inchiodate avessero come unico scopo quello di non far passare nella loro stanza la banda di pericolosi occhiuti.
Gordon si chiese come aveva potuto essere così stupido da cadere nel trabocchetto: sarebbe bastato un pizzico di acume per intuire come non fosse affatto normale avere una porta sprangata, e che qualcosa di terribile doveva nascondersi al di là di essa. Un'altra voce ruggì dentro di lui obiettando a quell’autocommiserazione dell’ultimo minuto, consapevole del fatto che pure nelle più bizzarre previsioni non avrebbe mai potuto supporre una cosa del genere, tanto più che Barak gli era parso un pazzo totale e le assi inchiodate potevano facilmente esser scambiate per paranoia rivolta ad i suoi mostri immaginari. 
Già se lo immaginava al successivo incontro davanti agli inquirenti che l’avrebbero accusato di complicità nella sua morte, sbiascicare con un sorriso ipocrita: “ma come, che colpa ne ho io? Mi ha chiesto la strada per l’obitorio ed io glie l’ho indicata. Avevo anche provato ad avvertirlo sugli occhi assassini ma lui non mi ha dato ascolto!”.
Uno di essi si sollevò a mezzo metro da terra, ancora attaccato alla schiuma con una vena sottile e sanguinolenta che usava come leva per issarsi. Era del diametro di una palla da biliardo, e sembrava gonfiarsi come nutrito da quel suo appoggio biologico. Iniziò a scrutare Gordon con la curiosità di una telecamera a circuito chiuso nel mentre sta riprendendo il presidente che tradisce la moglie, ed uno a caso di quegli scatti potrebbe valere milioni.
Gordon lo fissò con altrettanta curiosità, ma non appena l’occhio gigante scattò in avanti battendo ritmicamente la palpebra, non seppe trattenersi dall’indietreggiare. In una frazione di secondo, decine di altri occhi lievemente più piccoli si svegliarono dal loro torpore, dapprima scrutandolo, e poi cominciando subito ad inseguirlo. Gordon si voltò e cominciò a correre come non aveva mai fatto: soltanto un momento prima di svoltare l’angolo riuscì a voltar la testa di un decimo di grado ed avvedersi in un singolo fotogramma dei migliaia che gli stavano venendo addosso come proiettili, o come i tentacoli impazziti di un enorme piovra mutante.
Fugacemente, si domandò se avrebbe potuto sorpassare quella zona melmosa semplicemente camminandoci sopra di corsa, invece di fermarsi e dar tempo agli occhi di svegliarsi con tutto comodo. Maledisse un milione di volte la propria indecisione.
Quando arrivò a toccare la porta d’ingresso con i polpastrelli, fu tentato di far ciò che fino ad un minuto prima non avrebbe mai osato neanche pensare: supplicare Barak di fargli strada, in nome di Dio e di tutto ciò che aveva di più caro. Un altro pensiero gli passò per la testa: come aveva potuto pensare che un uomo capace di rinchiudere la figlia nell’obitorio avesse al tempo stesso il buon cuore di non combinare un astuto scherzetto a chi avesse espresso la volontà di andarla a liberare? Ma soprattutto, riferendosi allo stato presente, come poteva illudersi che quello stesso uomo che aveva appena rimpinguato la porta con le assi chiodate, gliela aprisse in ottemperanza al suo grido d’aiuto disperato? Per di più, prescindendo completamente dalla sua eventuale compassione, forse nemmeno un savio avrebbe aperto, perché così facendo avrebbe inondato la zona di quegli occhi incazzati. Tanto per ribadire il concetto: quelle assi sbarratici servivano a qualcosa sin dall’inizio.
  
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