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Autore: Dew_Drop    09/01/2015    0 recensioni
“Prima d’ora non avevo mai sentito di un prete e di un poeta che si fossero improvvisati Holmes e Watson. Pertanto non sono disposto a credere che ciò sia successo”.
Eppure, in una Londra ormai prossima al Novecento, accadde davvero. Sulle tracce di un uomo che morì vent’anni prima di diventare un omicida.
[ I Classificata al Contest "Sangue e Pazzia", indetto da Yuko Chan]
Genere: Introspettivo, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo terzo - Questa sera alle 20.30




 

CAPITOLO TERZO:
QUESTA SERA ALLE 20.30



 
    Diana Powell li fece entrare anche se si stava affaccendando per chiudere. Il “negozio”, così come lo aveva chiamato Goldwine, era in realtà una saletta polverosa che in vetrina esponeva solo una variegata fantasia di cianfrusaglie. I mobili veri e propri si trovavano da tutt’altra parte, in un’ex fabbrica di cotone distante quattro o cinque isolati.
    «Molti cotonifici hanno chiuso, ora che ci sono le macchine a sostituire parte della manodopera», spiegò la donna con un sorriso amorevole, osservando Barrymore e Cecil da dietro il bancone. «Mio marito comprò quella struttura e vi sistemò i mobili. Ogni volta che da me si presenta qualcuno interessato a vederli, organizzo un appuntamento: in questo modo si indirizzano le scelte del cliente, posso capire cosa sta cercando e quanto vuole spendere. Quel ragazzo di cui mi avete chiesto mi aiuta a gestirne alcuni, e a lui ho affidato proprio il signor Sullivan. Che Dio l’abbia in pace. Non sempre Marcel ha però il tempo per aiutarmi, per quanto mi farebbe comodo.»
    Mentre parlava, gli occhi di Goldwine erano caduti sulle mensole che davano alla vetrina e, tra una coppia di lampade da una parte e un portagioie dall’altra, avevano inquadrato un pannello di legno a cui erano assicurati, in fila perfetta, alcune lame dall’aspetto poco piacevole. Diede di gomito a Barrymore, in un gesto appena percettibile. Non era uscito da casa sua dopo il tè con l’intenzione di arrecargli fastidi, dal momento che, prima di decidere per quella visita alla Powell, l’investigatore era stata chiaro: voleva che venisse con lui solo perché sarebbe stato in grado di riconoscere Redmayne nel caso in cui l’avesse visto, non certo per farsi aiutare nel suo mestiere. Eppure, quando Barrymore seguì il suo cenno e vide a sua volta quella collezione di lame, il primo istinto non fu quello di ammonirlo con un’occhiataccia, ma di voltarsi verso la donna e chiederle perché esponesse dei coltelli.
    «Non si tratta di argenteria, signore: sono coltelli per intagliare i mobili. Strumenti di lavoro
    Il tono di Diana Powell era paziente mentre spiegava che vendeva quelle lame solo a chi certificava di occuparsi di mobilia per professione.
    Intagliare. Quel verbo rimase artigliato nella mente di Barrymore anche quando tornarono fuori. Lungo la strada acciottolata si affrettavano quei londinesi desiderosi di raggiungere casa prima dell’acquazzone. L’aria era impregnata di fredda umidità e, tra la nebbia ora bassa dietro cui il sole era già tramontato, i lampioni di ferro rilucevano come aloni dipinti da un pittore impressionista. L’investigatore e Goldwine camminarono per un tratto in silenzio, due ombre fra le tante, i colletti dei soprabiti tenuti alti per concedere almeno un anello di calore. Si sarebbe potuto scambiarli per una stramba coppia di amici, uno più alto e l’altro più basso, uno dal passo sicuro e l’altro dalla camminata spiccia e confusa, quasi a saltelli. Annunciata da uno zoccolio e da una dondolante lanterna a gas, una carrozza sbucò fra i banchi di foschia e passò oltre di loro, infilandosi di nuovo nella nebbia come un vascello fantasma.
    «La donna ha detto che non sempre il vostro amico ha tempo per aiutarla. Redmayne non vi ha mai detto cosa fa di mestiere o dove abita? Avete una sua fotografia?», domandò ad un tratto Barrymore, con l’atteggiamento disinteressato di chi sta meditando da interi minuti se porre o meno una domanda.
    «No, non siamo in stretta confidenza. Mi ha sempre e solo detto che occasionalmente aiuta Diana Powell.»
    «Lei non gli dà un salario per i suoi favori, quindi quell’uomo deve avere un altro lavoro.» Fra di loro ci fu un attimo di silenzio. Attorno, anche se in lontananza, si udivano il cigolio di qualche carrozza di passaggio e lo scalpitio di qualche passo non loro.        «Quanto a quelle lame, deve aver utilizzato qualcosa di simile per il suo lavoro nell’ufficio dell’americano. Da quel negozio avrebbe potuto sottrarre qualsiasi lama d’intaglio.»
    «E la pistola?»
    «Non è difficile trovare un rivenditore d’armi anche a prezzi stracciati. Fidatevi, Goldwine: ne ho arrestati parecchi, di quei personaggi.»
    Cecil gliela diede per vinta, benché fosse facile capire che non aveva ancora realizzato la seconda vita del suo fidato amico Marcel Redmayne. Si sentiva tremare le ossa al solo pensiero che per tutti quei mesi aveva frequentato un folle, che per tutto quel tempo aveva avuto accanto un uomo dal passato così controverso. Che, specifichiamo, gli aveva spudoratamente mentito quando invece da parte sua c’era stata sincera ammirazione. Scotland Yard non sarebbe mai venuta a capo di quella storia senza lui e padre Wilfred, ma certo era che avrebbe volentieri preferito rimanere estraneo ai fatti.
    «Non è detto che Redmayne si presenti all’Harnold, stasera», riprese Barrymore. «Ho però buoni motivi per credere che potrebbe farlo, considerata la follia di cui si è dimostrato capace una settimana fa. Sono consapevole che potrebbero esistere altre strade e che gli indizi sono, per così dire, piuttosto fantasiosi... ma non sarà un male se questa sera, fra il pubblico, ci saranno anche alcuni agenti in borghese. In fondo, alla faccia della settimana di  indagini, abbiamo trovato una sola pista, ovvero quella su cui voi e padre Wilfred ci avete portato. Tentar non nuoce. Verrete con me, Goldwine: se davvero il vostro amico ha intenzione di spararsi in bocca come fece a suo tempo lo zio, sarà fondamentale riconoscerlo prima che metta in scena il suo personalissimo ultimo atto. Anche il Marcel che conoscevate adora il teatro, non è vero?»
    La domanda fu quasi inaspettata. Cecil continuò a camminare, ma stavolta osservò l’investigatore per un attimo, direttamente, gli occhi verdi un poco dubbiosi. «Sì. O almeno è quanto mi raccontò. Anche io credo che Marcel sarà là, stasera.»
    «Padre Wilfred, prima che ci congedassimo fuori casa mia, ha detto che Redmayne ci sarà perché è anche lui un figlio di Dio, e Dio riporta tutte le cose al loro ordine naturale. Io dico che ci sarà perché nella mia ottica è solo il riflesso del suo trauma e perché, nel mio mestiere, la follia è il più facile ed immediato dei moventi. E voi, Goldwine? Voi perché ne siete sicuro?»
    «Può avermi mentito sulla sua identità», rispose Cecil, masticando l’indesiderato sapore dell’ansia, «ma non sul resto. Ci sarà perché è un artista; e gli artisti, Barrymore, quelli veri, quelli geniali, chiudono sempre in grandezza.»
 


2
 


    La curiosità della gente era un altro di quei motivi per cui padre Wilfred faceva volentieri a meno di rinunciare alla tonaca. Trovava invadenti gli sguardi di quelli che indugiavano per un momento sul collare bianco che faceva capolino dal risvolto della giacca, neanche avessero mai visto un sacerdote vestire un completo e concedersi una serata fuori casa.
    L’Harnold era un edificio modesto se paragonato agli altri teatri di Londra. Era uno dei più piccoli, l’unica struttura in quel zona della città che aveva un aspetto dichiaratamente classicistico. Wilfred non era abbastanza appassionato di arte per sapere che le quattro colonne nel portico d’ingresso erano di gusto dorico, ma la sensibilità gli permetteva ugualmente di farsi piacere quell’ambiente così diverso rispetto alle botteghe e ai fabbricati lì attorno. La sera, le lampade a gas affisse sul cornicione tracciavano una linea di luce polverosa in una strada altrimenti buia. Era, per usare una terminologia più alla mano, il punto di ritrovo per chiunque abitasse in quel grappolo di quartieri di periferia.
    Mancava ancora mezz’ora all’inizio dello spettacolo, eppure il pubblico si prospettava già folto. Entravano coppie giovani e anziane, signore con gonne pretenziose, che ispiravano una moda forse un po’ datata ma pur sempre capace di fascino, uomini in gran completi che, in attesa di poter entrare in sala, chiacchieravano con quella loro parlantina provinciale rigirandosi in mano accendini di rame. Wilfred si chiese quanti di loro fossero in realtà poliziotti in borghese. Lanciò uno sguardo al grande orologio sulla parete e, leggendo i numeri in cifre romane, si domandò dove fossero Jonathan Barrymore e Cecil Goldwine. Dopo il tè, l’investigatore gli aveva raccomandato di non presentarsi all’Harnold, dati i rischi della situazione. Era un consiglio su cui il sacerdote aveva chiuso un occhio, considerato che, in attesa di scovare fra la folla uno dei due, se ne stava un poco in disparte nel salone d’ingresso del teatro, giusto davanti al manifesto che riportava il titolo dello spettacolo di quella sera.
    Troppo concentrato a sbirciare i volti di chi entrava, non si accorse che effettivamente qualcuno di sua conoscenza passò lì vicino. Lo riconobbe solo di sfuggita, voltandosi in un secondo momento, per via della sua camminata. Prima che potesse ricordarsi il suo nome, si sentì però chiamare da una voce a metà strada fra sgomento e stupore:
    «Padre Wilfred!»
    Tornò a guardare di fronte a sé e scoprì che, fra i tre, alla fine a farsi vedere era stato lui. A parlare era stato Goldwine, ritagliato in un completo scuro un po’ inadatto a un personaggio sbadato come lui: i suoi riccioli color caffè macinato erano un po’ troppo spettinati per sposarsi bene con quel tentativo di eleganza. Accanto a lui c’era Barrymore, l’espressione già scocciata benché a prova contraria nessuno gli avesse fatto alcun torto. Forse.
    «Padre, non vi avevo detto di restare a casa, stasera?», domandò l’investigatore, pizzicando la tesa del cappello che teneva in mano.
    «Un sacerdote non può forse andare a teatro?»
    Era una risposta in parte non voluta, ma padre Wilfred vide che ad apprezzarla fu almeno Cecil, che strinse le labbra in un sorriso e abbassò il mento per evitare che Barrymore notasse quanto avesse trovato la cosa divertente.
    «Ho già il biglietto», aggiunse Wilfred, e sollevò la mano in cui lo aveva. «Quanti agenti avete sguinzagliato?»
    «Abbastanza. L’ispettore capo McArthur non è stato troppo felice di sapere che ho voluto scomodare alcuni dei suoi uomini per portarmeli a teatro. “A perdere tempo”, ha detto.»
    «Saranno armati?»
    «Certo, considerando che quasi per certo stasera succederà qualcosa. I controlli sono molto rigidi in qualsiasi teatro, e la stessa cosa vale per l’Harnold, per quanto piccolo. Una coppia di agenti perquisisce gran parte degli uomini che entrano», fece Barrymore. Nella luce calda della sala d’ingresso, il suo volto esprimeva un’incurante e blanda forma di cordialità. Incredibile ma vero, pensò il sacerdote, non senza una punta di cristiana ironia. «Solo chi ha un distintivo può permettersi di entrare armato. È però possibile che il nostro diavolo raggiri i controlli e riesca lo stesso ad entrare. Secondo le ricerche che stiamo portando avanti, l’unico Marcel Redmayne che ci risulta è un bambino di cinque anni. Credo quindi che abbia davvero cambiato nome, una volta adottato. Per questo voi, Goldwine, starete con me. Nel caso in cui lo vediate, ditemelo. Vi piace William Schwenck Gilbert
    Cecil sbirciò alle spalle di padre Wilfred. Il manifesto raffigurava un uomo, in alta divisa militare, che teneva una postura signorile e quasi militaresca benché fosse circondato da donne e uomini imploranti. “The Pirates of Penzance”, recitava il titolo; e, più sotto, “I am an orphan boy”. «Preferisco Wilde», affermò il giovane dopo un momento.
    «Avete portato con voi anche quel ragazzo?», domandò a quel punto padre Wilfred, rivolto a Barrymore. «Non ricordo il suo nome. Quello che mi accompagnò nel vostro ufficio.»
    «Peter? Peter Moore?» Barrymore diede un leggero schiaffo al cappello, come a volerlo spolverare, poi se lo calcò di nuovo in testa. «Certo che no, padre. Lui è ancora un cadetto. È un apprendista, deve farne di strada prima di potersi occupare di situazioni a così alto rischio.»
    Il sacerdote lo osservò per un momento, improvvisamente basito, prima di lanciare un’occhiata al piccolo corridoio che portava all’ingresso della sala. «L’ho visto», disse. «L’ho visto, Barrymore. È entrato poco prima che arrivaste voi.»
    Scattò un brivido, nel silenzio. Sulle prime Barrymore non si mosse, solo sostenne il suo sguardo con un cipiglio strano, in volto, lo sguardo di chi si accorge di aver fatto un errore imperdonabile, di chi realizza poco alla volta un orrore involontario e profondo. Quel ragazzo era cadetto da poco tempo, troppo poco perché lo conoscesse davvero, e poteva portare con sé un’arma senza destare sospetto. Non si dedicava alla giustizia a tempo pieno; poteva quindi permettersi di fare lavori saltuari, perché no?, come aiutare una povera donna con il suo negozio di mobili. L’ispettore McArthur l’aveva pescato da un’accademia e l’aveva messo alle sue dipendenze, per, come aveva detto, “abituarlo al mestiere”. Non conosceva quasi nulla del suo passato e del loro primo incontro ricordava solo una cosa. Solo la frase che, mentre si stringevano la mano, Peter Moore gli aveva detto con un timido sorriso sfilato sulle labbra. “I miei genitori adottivi desideravano tanto che vestissi l’uniforme”, aveva detto. “Lo desideravano davvero tanto, signore.”
«Moore», bisbigliò. E il secondo dopo si era già gettato nel corridoio, verso la sala.
 


3



    Quasi tutti i posti a sedere erano occupati. Sbucando dall’altro lato del corridoio tanto di corsa da rischiare di urtare una signora dall’aspetto vezzoso, Cecil temette di aver perso Barrymore di vista. La saletta non era sterminata e chi non era già accomodato si attardava lungo i passaggi per fare quattro chiacchiere, ostruendogli la vista. Padre Wilfred, il fiato un po’ più corto del suo, lo raggiunse un secondo dopo.
    «Lo vedete? Per Dio, trovatelo.»
    Il ragazzo dovette alzarsi sulle punte dei piedi e scrutare i dintorni a mento alto prima di individuare il cappello di chi cercava. Penultimo settore a destra, verso la metà. A una trentina di metri dal palco. Non perse tempo ad annunciarlo, perché ripartì di corsa infilandosi non troppo gentilmente in un gruppetto di uomini in frac. Il sacerdote gli filò dietro, mormorando qualche scusa di cortesia a testa bassa.
    L’investigatore se li vide venire addosso mezzo minuto dopo. Attorno a sé aveva radunato alcuni dei poliziotti in borghese, e altri ancora, notando l’improvviso movimento dei colleghi, si chiamavano a vicenda. Alcuni fra il pubblico, i più vicini a loro, li osservavano con curiosità, con gli sguardi velati da un filo d’ansia e di mal sopportazione. Evidentemente si stavano chiedendo perché mai quegli uomini facessero così tanta confusione.
    «Voi», si precipitò Barrymore, vedendoli arrivare. Scostò senza complimenti uno dei suoi in borghese e si parò di fronte a loro. «Uscite. Tutti e due.»
    «Uscire?» Cecil non riusciva a credere a quel che aveva appena sentito. Per un attimo pensò che l’animato e allegro mormorio all’interno del teatro gli avesse confuso le idee. «Marcel è un mio amico. Forse posso convincerlo a non farlo; forse posso...»
    «Non potete proprio nulla. Non è un vostro amico, nemmeno porta più quel nome. Alcuni agenti lo stanno già cercando fra la folla. Se è davvero l’agente Moore, sa di quest’operazione. Può aver origliato il mio incontro con padre Wilfred, può sapere del vostro coinvolgimento e per questa ragione potrebbe persino volervi morti entrambi.»
    «Barrymore...»
    «Non adesso, non anche voi, padre.»
    «...Barrymore, sul palco!», lo ignorò Wilfred, gettando l’indice alle sue spalle.
    Allora l’investigatore si voltò, e con lui tutti gli agenti. Come se gli sguardi si fossero seguiti a effetto domino in una corsa rovinosa e fulminea. Anche alcuni fra il pubblico avevano alzato gli occhi, con una curiosità quasi divertita. Ignara.
    «Signore e signori!», declamò il giovane che si era issato sul palcoscenico. In piedi al centro, teneva le braccia spalancate e il suo sorriso, lì sotto le luci della ribalta londinese, riluceva della geniale eloquenza di un direttore d’orchestra. Alle sue parole, gran parte dei presenti fece silenzio e lo osservò con aspettativa. Un atteggiamento leggero, forse deliziato da quella che aveva tutto l’aspetto di un’improvvisazione. «Signore e signori, il mio nome è Peter Moore e questa sera ho preparato per voi uno spettacolo U-N-I-C-O!»
    L’attimo dopo aveva infilato la mano all’interno della giacca e ne aveva estratto una pistola. Il volto sempre vittorioso, sempre fiero, come se dal pubblico si aspettasse rose e applausi.
   Quel che invece seguì fu improvviso e selvaggio panico. Le donne strillarono quasi all’unisono, correndo verso le uscite; alcune, insieme ai mariti o ai compagni, si buttarono dietro i posti a sedere, impacciate nelle loro gonne per le grandi occasioni. D’istinto, padre Wilfred aveva afferrato Goldwine per un braccio prima che questi potesse correre lungo il passaggio fra i sedili. Barrymore si mosse e sfilò la pistola, spianandola contro il palco, e lo stesso fecero i suoi con un ritardo di un secondo.
    «Moore!», gridò sopra tutti, le mani ferme sul calcio dell’arma.
    Peter Moore, vent’anni prima Marcel August Redmayne, sembrò non sentirlo. Si era già portato la canna della pistola in bocca.
    Il colpo partì dopo un altro battito di ciglia.



        * * * 


Ho passato una settimana molto intensa in Veneto causa vacanza a casa di un'amica. Spero quindi non sorprenda il motivo per questi miei ritardi nell'aggiornamento. In ogni caso, prossimamente pubblicherò l'epilogo, con tanto di elenco riguardo le "coincidenze" tematiche e non che ho sparpagliato a mo' di indizi e spunti di riflessione.
Ancora una volta, mi scuso per essere di così poche parole (?). Non sono troppo abituata a commentare ciò che scrivo, lo ritengo un po' forzato - così ancora una volta lascio i commenti a voi, se ne avrete <3.

Dew_







   
 
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