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Autore: KevinTheLegendKiller    09/01/2015    1 recensioni
Tratto dal testo:
La mia prima storia horror. Spero vi piaccia.
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ore 23:45:

 

Era qualcosa tipo 5°C.

Non a caso era Inverno.

Ah, l’Inverno.

La stagione di certo più tumultuosa, fredda, inquietante, talvolta, ma un periodo anche capace di emozionare, regalare gioia (soprattutto ai bambini, eccitati tutti per il periodo natalizio in arrivo, ma anche per le grandi nevicate e per l’assenza della terribile scuola).

Molti se lo godono l’Inverno.

Io no.

Ricordo ancora quella vigilia di Natale di molti anni fa. Non vi dico quanti anni fa ma solo "molti" anni fa.

Ero in macchina con la mia ragazza di allora, intenti a festeggiare il nostro primo anno insieme.

Si chiamava Maria e...no questa non è una storia romantica.

Purtroppo non lo è.

Tornando a quella notte; la stavo riportando a casa in macchina.

Ero giovane, incosciente, spensierato.

Non come ora. Sono dovuto crescere molto in fretta.

Troppo in fretta.

Ero alla guida, ma avevo la vista alquanto annebbiata.

Avevo bevuto troppo vino, andavo ad alta velocità e il mio corpo non se ne accorgeva.

A un certo punto presi male una curva, sfilando dritto per dritto.

Ricordo che l’auto si ribaltò sotto, rotolando per diversi metri.

Alla fine di tutto, la macchina era ribaltata su un fianco, il fianco dove ero seduto io alla guida, con me riverso sulla portiera che toccava il suolo. Maria aveva gli occhi spalancati e respirava in maniera molto affannosa, si è ripresa dopo un minuto circa, chiedendomi dove fossimo in quel momento. Le risposi semplicemente che non lo sapevo.

Uscimmo dalla macchina (ovviamente dal lato di lei, perché il mio lato era culo a terra, se posso dirlo) e incominciammo a perlustrare la zona.

Io mi ero ripreso, ho dovuto, e identificai la suddetta zona.

Era una selva che era stata chiusa tre mesi prima per motivi non dichiarati dal sindaco della città.

Guardai verso l’alto.

Il cielo era grigio cenere.

Ciò era strano, perché quel tratto era appena sotto la strada dalla quale eravamo precipitati e dalla strada si vedeva il cielo color blu notte.

Per quel che si poteva vedere, visti gli sprazzi di nuvole, come dovrebbe essere di notte, d’altronde.

Sulla strada nevicava, mentre in quella selva il cielo era inquitantemente grigio e non scendeva neppure la neve, sebbene ricordassi che anche al momento della caduta stesse nevicando, e pure forte, e c’era neve sulla strada e sulla macchina.

E, anzi, guardando meglio, non si vedeva neppure la strada sotto le nostre teste.

C’erano solo tronchi d’albero, dannatamente alti, che non si vedeva dove finissero nell’immensità di quel cielo morto.

Ne guardavi uno e li avevi visti tutti, talmente erano simili.

Inquietantemente simili.

Cercai di mettere a fuoco quanto stavo vedendo e il giramento di testa, provocato dal freddo, mi fece perdere per un attimo il contatto visivo con Maria.

Mi girai e la cercai, ma non la vidi, anche perché sembrava che non mi spostassi nemmeno, vista l’uguaglianza sconcertante del paesaggio lugubre che si trovava davanti ai miei occhi.

La temperatura sembrava scendere man mano che i secondi passavano.

Non ce la facevo a resistere e mi misi a chiamarla a gran voce.

Lo feci per tre minuti circa.

Nessuna risposta.

Nessun suono.

 La mia voce era sempre più balbettante e inibita dal freddo man mano che andavo avanti.

 

A un certo punto mi zittii completamente e arrestai ogni mio singolo movimento: mi era parso di sentire un rumore provenire sotto di me.

Voltai lentamente la mia testa verso il terreno sotto i miei piedi.

Era irregolare, sembrava ci fosse qualcosa sotto.

E io ci stavo sopra.

Lentamente mi chinai su quell’oggetto che non riuscivo a distinguere. Doveva essere incavato in più ripiani del terreno.

Il tempo pareva essersi fermato, ormai ero per terra chinato e il mio peso corporeo era completamente raccolto sul mio ginocchio sinistro, il quale in precedenza si era leggermente sbucciato nell’incidente.

E non era l’unica cosa uscita non indenne da quell’incidente.

Anche la mia mano destra si era fratturata e con questa adesso stavo levando il terriccio per vedere cosa ci fosse lì sotto. Il mio corpo in quel momento era un ingranaggio che sarebbe potuto scattare alla minima anomalia.

 

 

 

E da lì a poco, scattò.

 

 

 

C’era un corpo, ma di esso avevo scoperto solo i due occhi.

Assatanati, rosso sangue, le pupille appuntite e completamente aperti per la mancanza delle palpebre.

Il sangue mi si raggelò nelle vene con la stessa velocità con la quale la temperatura sembrava scendere.

Urlai l’anima.

Scappai.

Era inutile.

Mi fermai con il cuore in gola e la mano insanguinata che faceva più male di prima.

Il posto era sempre quello.

Stessi alberi.

Stesso terreno con una buca in centro.

 

 

 

 

 

 

Un attimo…

Il terreno non aveva una buca in centro prima.

Non feci tempo a realizzare ciò che, indietreggiando, urtai qualcosa.

 Tastai il suddetto oggetto.

Non era un albero, sembrava un corpo.

Mi girai ed era lei.

 

 

 

Gli occhi che avevo visto prima.

 

 

Erano i suoi.

 

 

Non feci in tempo ad urlare, anzi non feci in tempo a fare nient’altro.

 

 

Ero paralizzato.

 

 

Congelato.

 

 

La temperatura calava sempre più.

E con lei anche il mio essere un umano.

Non potevo fare niente, se non restare lì.

 

 

 

A guardare quegli occhi che a loro volta fissavano me.

 

 

 

 

E così fu.

 

 

 

 

 

Così rimasi.

 

 

 

 

 

 

 

Anche oggi….


 

   
 
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