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Autore: Hermione Weasley    09/01/2015    4 recensioni
Lei è in fuga da se stessa. A lui sono stati offerti due milioni di dollari per ucciderla. Ma le mire di qualcun altro, deciso a riunire sei persone che non hanno più niente da perdere, manderanno all'aria i loro piani.
-
“Chi cazzo è questo idiota?” Blaterò qualcuno.
“Un forestiere!” Decise un altro.
“Che razza di accento era quello?” Indagò un terzo.
Si sentì spingere bruscamente verso l'arena, senza poter far granché a riguardo. Quando le fu ad un misero metro di distanza, tra le grida che si alzavano dal gruppo, fu la voce bassa e pacata della donna a sovrastare tutte le altre.
“E' l'uomo che mi ucciderà.”

[Clint x Natasha + Avengers] [Dark!AU] [Completa]
Genere: Azione, Malinconico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Thor, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Capitolo 19 -

 

 

 

“Oh, andiamo amico... te lo sto chiedendo per favore. Dov'è che stiamo and-”

Il quarto o quinto cazzotto del viaggio gli impedì di completare la frase, permettendo però al dolore di riverberarglisi in onde concentriche un po' per tutto il corpo.

Non che ce ne fosse bisogno: era già abbastanza miracoloso che fosse uscito (più o meno) incolume dall'esplosione di quel maledetto edificio, ma gli amabili membri dell'HYDRA che si erano tanto preoccupati della sua salute si erano anche assicurati che ne portasse i segni... evidenti.

Per quanto si sforzasse di sgombrare la mente e riflettere su ciò che era accaduto, Clint non ricordava granché degli eventi della nottata a Point Hope. Sapeva di aver gettato quella dannata valigetta dalla finestra, di aver incoccato la seconda e ultima freccia rampino di cui disponeva, di aver cercato un bersaglio che facesse al caso suo, di averla scoccata... rammentava vagamente il bizzarro mescolarsi dell'aria gelida con il calore insopportabile che l'aveva scaraventato all'esterno. Poi nient'altro.

Era piuttosto sicuro di essere riuscito a lanciarsi nel vuoto prima che il grosso dell'esplosione lo investisse; se poi la sua freccia fosse stata in grado di raggiungere un edificio circostante e concendergli una via di fuga che non includesse uno schianto col terreno, questo non lo ricordava. Si era accorto di non avere niente di rotto, fatta eccezione per un paio di costole incrinate, ma sospettava che avessero più che altro a che fare con il pessimo temperamento degli uomini dell'HYDRA, che non con una qualche caduta da svariati metri d'altezza.

Oh, quello ormai era assodato: quei gran figli di puttana non sembravano stancarsi di prenderlo a pugni. Si era risvegliato ammanettato ad un cazzo di palo nel bel mezzo del complesso, con la sirena dell'allarme a tormentargli l'unico orecchio buono (e neanche quello se la stava passando troppo bene) e fiamme accecanti ad alzarsi da almeno tre dei blocchi che componevano la struttura, uomini che si muovevano in ogni direzione lanciando ordini e imprecazioni, furgoni che venivano spostati, auto, jeep.

Non ci aveva messo molto a capire di essere stato lasciato indietro: non ne faceva una colpa a nessuno se non a se stesso. Davvero l'unica scelta che aveva avuto era stata quella di assecondare le folli richieste del dottor Selvig? Com'era riuscito quello straccio di scienziato invecchiato prima del tempo a convincerlo a compiere un'azione tanto stupida? Per dei prototipi di cui non avrebbe mai capito il funzionamento e di cui – in tutta sincerità – non gliene fregava proprio un cazzo... Quello che gli importava, il suo unico obbiettivo era stato quello di portare a termine la missione, raccogliere le informazioni che il colonnello Fury sembrava avere sul conto di Barney e andarsene in qualche oscuro, remoto angolo del globo a leccarsi le ferite in attesa di una brillante idea per rimettere in piedi quel che restava della sua vita.

Ma no. Selvig si era impuntato e Clint non aveva potuto far altro che cedere a quella stupida vocina che era tornata a farsi sentire dal giorno stesso in cui era entrato in quella dannata bettola di Florence, Arizona con l'intento di uccidere a sangue freddo una donna che neanche conosceva. Quella parte di lui che lo pungolava ogni santa volta affinché facesse la cosa giusta, quella che aveva imparato ad ignorare, a soffocare, a relegare in un luogo lontano da se stesso. La medesima che l'aveva messo nei guai più volte di quante avrebbe voluto ammettere. Perché sapeva che quella vocina era una gran puttana: ti mette nella merda, ti spinge a fare le cose più impensabili, ti fa andare così vicino a perdere tutto quanto, a rimetterci la pelle... ma nella sua esperienza, Clint ormai aveva capito che la sua coscienza (perché di quella si trattava, no?) aveva la pessima abitudine di dargli dipendenza. Perché sì, pensare sempre e solo a se stesso, prendere le decisioni semplici, quelle egoistiche, quelle che, sì, ti salvano il culo, ma poi col senso di colpa come la mettiamo? E' la via più facile da intraprendere, lì su due piedi, ma si fa ben presto irta e scomoda e spaventosa. Le scelte complicate invece, quelle giuste, lo facevano sempre finire nella merda... ma non si portavano dietro quel fastidioso groppo alla gola, o la gelida morsa che gli aveva stretto lo stomaco quasi incessantemente in quegli ultimi anni. Piuttosto una pace della coscienza.

Mentre il dolore di quell'ennesimo colpo si diradava lentamente, riducendosi ad un unico, sordo pulsare, Clint decise che – in fin dei conti – non si era pentito di essersi offerto volontario per recuperare quella stracazzo di valigetta. In questo modo l'unico a cui doveva rispondere in quel momento era proprio lui: non un accigliato colonnello Fury che gli chiedeva perché diavolo avesse lasciato indietro una parte così importante di quella missione; non un impallidito e ansante dottor Selvig trascinato via a forza perché le sue richieste non erano state ascoltate... no, l'unico di cui doveva tener conto al momento era se stesso. Quello era il solo scenario in cui una sua scelta non avrebbe fatto altro che mettere nella merda lui e nessun altro. Il che, per quanto assurdo suonasse, contando che era attualmente prigioniero di una manica di pazzi senza alcuno scrupolo, lo faceva sentire... bene.

“Cazzo, fermati!”

L'autista della jeep su cui avevano viaggiato in quell'ultimo paio d'ore aveva bruscamente arrestato il mezzo, imprecando a gran voce. Non che a Clint dispiacesse granché: se il viaggio in elicottero era stato stressante (tra cazzotti e continue promesse di defenestramento), quello sulla strada era stato persino peggio; tra asfalto dissestato e pessime abilità alla guida aveva rischiato di dare di stomaco almeno una decina di volta. E l'avrebbe persino fatto se non fosse stato piuttosto convinto che era tutta una complicata messinscena per dare ai quei gran figli di puttana una scusa qualunque per pestarlo a sangue... di nuovo.

“Che è successo?” La guardia che l'aveva sorvegliato (e preso a pugni) fino a quel momento si sporse verso i sedili anteriori.

Sebbene fosse legato mani e piedi e con una mobilità estremamente limitata, Clint riuscì ad intravedere un'auto abbandonata trasversalmente sulla carreggiata, la portiera del guidatore spalancata e...

“C'è una donna per terra,” biascicò il biondino seduto accanto al conducente.

“E a noi che cazzo ce ne frega?” Blaterò il suo carceriere, “togliamola di mezzo e andiamocene.”

“Sembra sia stata investita,” decretò l'autista, mentre – alle loro spalle – il clacson della seconda jeep, che faceva parte del convoglio punitivo che gli avevano affibbiato, arrivava ad assordarli. (Come se le sue povere orecchie non ne avessero già abbondantemente avuto abbastanza!)

“Secondo me è una puttana, guarda che ridicola pelliccia che ha addosso,” rise il biondo, beccandosi una violenta gomitata. “Che cazzo ho detto?”

“E' pieno giorno, non lo vedi?” L'uomo che lo stava sorvegliando si rivolse al collega con il tono di chi ne ha le palle piene. “Dobbiamo andarcene. Adesso. Va' a toglierla di mezzo, muoviti.”

Il sorriso che rischiava di affiorargli sul volto, mentre il biondino scendeva dalla jeep, minacciò di fargli dolere sia l'occhio tumefatto che il labbro spaccato: decise molto prudentemente di evitare. Quegli stupidi bestioni tendevano a perdere la pazienza per il minimo (presunto) affronto e – in tutta sincerità – si era già stufato di essere usato come un fottuto punching bag umano.

“Che cazzo guardi, ah?” Lo redarguì violentemente la sua guardia personale, premendogli il pugno chiuso sotto la mascella, proprio in quel dannato punto che continuava a fargli un male del diavolo.

“Dovresti proprio imparare a darti una calmata,” non riuscì ad impedirsi di dire, “un po' di yoga, magari, che ne dici? Dicono faccia mirac-”

Va bene, quel cazzotto se l'era proprio andato a cercare.

L'autista si era messo a ridere, voltandosi solo per un istante nella loro direzione prima di tornare a fronteggiare il parabrezza. Clint avvertì distintamente il brusco cambio d'atmosfera.

“Dov'è finito quello stronzo di Pete?” Domandò con una certa urgenza, attirando l'attenzione dell'uomo che gli sedeva di fianco. “E' sparita pure la puttana.”

Il fatto che per colpa delle sue pessime condizioni fisiche non potesse godersi lo spettacolo di quegli stupidi gorilla che si lasciavano fottere da una prostituta investita, bè... quello gli faceva girare un po' le palle.

“Forse la sta nascondendo da qualche parte,” Clint lo vide indicare la fitta vegetazione che costeggiava la strada su entrambi i lati, “tra gli alberi, no?”

“Dove cazzo la sta portando allora?” L'autista si sporse verso il sedile del passeggero come nel tentativo di individuare il collega. “Doveva solo toglierla di mezzo non portarla a fare una fottuta scampagnata nei boschi.”

“Lo sai com'è Pete... le starà facendo la respirazione bocca a bocca.” La guardia che lo stava sorvegliando proruppe in una risata fragorosa e sguaiata che – stavolta, almeno – non riuscì a contagiare il conducente.

“Non ridere, Neil,” lo redarguì seccamente, “c'è qualcosa che non va.”

“Oh, non rovinarci la festa, va bene? Siamo già abbastanza nella merda col capo senza che ti ci metta anche tu con le tue sensazioni da stronzo,” dette un violento colpo alla portiera, come per scaricare la rabbia (lui l'aveva detto che non era poi così normale), “vado a prenderlo così la smetti di tremare come una fottuta checca, ah?”

L'autista si voltò per scoccare a Neil un'occhiata fulminante, prima di soffermarsi su di lui con aria contrita... sembrava volesse in qualche modo accusarlo di quell'imprevisto.

“Non guardare me,” si giustificò mentre il suo carceriere scendeva giù dalla jeep facendo un ampio gesto in direzione dei colleghi del secondo veicolo, “mi avete legato come un salame.”

L'uomo si limitò a fissarlo ancora per qualche istante quando un grido strozzato li raggiunse, subito seguito da due colpi d'arma da fuoco. Clint inorridì, gettandosi sul sedile posteriore per nascondersi alla vista, ricominciando a strattonare i legacci che gli immobilizzavano mani e piedi: quale che fosse la situazione, non aveva alcuna intenzione di farsi ammazzare senza opporre la benché minima resistenza.

Le urla si intensificarono e così gli spari e i tonfi sordi di corpi esanimi che cadevano a terra: possibile fossero appena caduti vittima di un'imboscata? E soprattutto: perché cazzo doveva sempre finire nel mezzo a situazioni del genere?

Tirò e fece forza finché le corde non si allentarono quel tanto che gli fu sufficiente per sfilare prima un polso martoriato e poi l'altro; passò immediatamente alle caviglie, ma non ebbe il tempo di applicarcisi che la portiera si spalancò e...

“N-Natasha?” Biascicò incredulo, improvvisamente convinto di essere svenuto – per l'ennesima volta! – e di star sognando. La donna si era improvvisamente stagliata contro la porzione del cielo ingrigito incorniciata dalla portiera.

“Il tuo essere scioccato è francamente offensivo,” ribatté quella, tirando fuori un grosso coltello serramanico per liberarlo dagli impedimenti alle caviglie.

Ma no, era proprio lì, in carne ed ossa... solo quando si rese conto della pelliccia di pessima fattura che indossava, comprese che la prostituta investita non era altri che lei, che doveva aver messo KO quell'idiota di Pete senza che nessuno di loro se ne accorgesse, che aveva molto probabilmente riservato lo stesso trattamento a quell'imbecille di Neil.

“Natasha, Barton, datevi una mossa!” Sentire la voce di Rogers, poi, gli provocò un'improvviso accesso di risa.

La donna ignorò molto convenientemente quello che aveva tutta l'aria di essere un attacco isterico, afferrandolo per un braccio per costringerlo a rimettersi in piedi e a scendere dall'auto.

“Forza, non abbiamo tutto il santo giorno,” si drappeggiò il suo braccio sulle spalle, sorreggendolo dietro la schiena, “ce la fai a camminare?”

“Credo d-di sì,” le assicurò, ma riuscì a malapena a muovere un passo che un capogiro improvviso, accompagnato da un terribile conato di vomito, arrivò a destabilizzarlo. “M-Merda.”

“Steve!”

“Ci penso io, tu guida!”

Clint sbatté le palpebre una, due, tre volte, ma le cose continuarono ad apparirgli confuse, irrimediabilmente mescolate. Le voci, anche quelle, sempre più ovattate e distanti. Il dolore tornò a tormentarlo più forte e violento di prima – possibile che avesse sottovalutato a tal punto le proprie condizioni? – facendogli perdere quell'ultimo briciolo di lucidità che gli rimaneva.

I pallini scuri che gli punteggiavano la vista si ingrandirono, congiungendosi gli uni agli altri, finché l'oscurità non l'ebbe inghiottito del tutto.

 

*

 

Si soffermò a qualche passo di distanza dall'ingresso dell'infermeria, rigirandosi tra le mani il plico di fogli che era miracolosamente riuscita a farsi consegnare da Fury: le appariva molto meno consistente di quanto si sarebbe aspettata... ma non stava a lei decidere.

Esitò ancora per un paio di secondi, facendosi distrattamente da parte per lasciar passare un gruppetto d'agenti impegnati in una fitta conversazione riguardo un argomento qualunque.

Si concesse un profondo respiro e, zaino in spalla, si decise a varcare la soglia dello stanzone che ospitava i degenti del quartier generale dell'ex SHIELD. Del tutto deserto, se non fosse stato per una donna vistosamente incinta addormentata sulla lettiga più vicina alla parete di fondo e per Clint che, invece, ne occupava una nella zona centrale (dopo la crisi della nottata appena trascorsa, infatti, Bruce aveva già fatto ritorno alla sua camera).

Natasha lo vide riaprire gli occhi nel momento esatto in cui si azzardò a muovere un passo nella sua direzione, le nocche bianche per la folle presa che aveva stretto attorno al fascicolo... come se quei pochi fogli avessero potuto ancorarla alla realtà, in qualche modo.

“Credevo fossi sordo,” esordì fermandosi ai piedi del letto, il tentativo di un sorriso ad incresparle le labbra.

“Lo sono,” biascicò Clint ancora intontito dal sonno e dagli antidolorifici, “ma l'orecchio che mi rimane funziona... straordinariamente bene.”

A parte l'ingombrante fasciatura che gli copriva quasi tutto il busto, sembrava stare bene; sicuramente meglio di quanto non avrebbe fatto se non fossero riusciti a strapparlo alle grinfie dell'HYDRA... non suonava come il tipo di organizzazione a cui piace fare sconti ai propri nemici. Tutt'altro.

“Come avete fatto a trovarmi?” Le chiese di nuovo, sforzandosi di rimettersi seduto con scarso successo.

“Sta' fermo,” lo redarguì con un'occhiataccia. “Localizzatore nascosto negli abiti che ci hanno procurato,” aggiunse un attimo dopo, appoggiando lo zaino a terra per avvicinarsi ancora un poco al fianco della lettiga.

“Un'idea di Stark?”

“Pare di no.” Non era sicura di volergli dire che il colonnello non le era parso neppure troppo contento di dover condividere con lei quell'informazione: se non avesse insistito per andarselo a riprendere, il dettaglio di quell'infernale aggeggio capace di individuarli tutti su una qualsiasi mappa, se lo sarebbe molto probabilmente tenuto per sé.

“Ma non vi ha mandato lui...,” mormorò Clint, improvvisamente più serio e accigliato. Natasha lo guardò mentre si stropicciava il viso, trattenendo a sento una smorfia di dolore quando le sue dita ritrovarono l'occhio ancora nero, il labbro spaccato, lo zigomo gonfio. Si decise a scuotere il capo in segno di diniego, senza aggiungere nient'altro. “Perché siete tornati indietro?” Insisté lui, confuso. “O almeno... lo so perché Rogers è tornato indietro, ma tu?”

Lo sguardo dell'uomo la obbligò ad abbassare gli occhi e poi a distoglierli altrove, a fingere particolare interesse per la donna incinta che respirava silenziosamente in fondo alla stanza.

Perché era tornata indietro? Non ne aveva idea. Perché l'idea che li avessero trascinati fin lì, adescati con la promessa di informazioni sul loro passato o sui loro cari, per poi essere scaricati senza il benché minimo ripensamento nelle mani dei nemici... bè, non le era andato giù. Per niente. E in più c'era stato qualcos'altro, qualcosa che aveva reso l'idea di andare avanti senza Clint più insopportabile del previsto. Dopotutto non si conoscevano da due settimane al massimo? Invocare un qualsiasi legame affettivo sarebbe stato ridicolo, impensabile. Eppure era bastato tanto così ad instaurare tra di loro un certo rispetto, di questo si trattava: una lealtà cieca che li aveva indissolubilmente avvicinati l'uno all'altra. Un'affinità forse. Niente di più... niente di meno.

Certo, quella sensazione che aveva rischiato di prendere il sopravvento più d'una volta – il fatto che l'uomo che era stato inviato ad ucciderla riuscisse pure a scatenarle reazioni di cui avrebbe volentieri fatto a meno – non se n'era mai andata del tutto. Ma il tacito patto di aiuto reciproco, quello si era imposto su tutto il resto. E Natasha non aveva potuto far altro che rispettarlo fino in fondo, quali che fossero i pericoli che avrebbe dovuto correre per attenervisi.

“Natasha,” Clint la richiamò all'attenzione, il tono di voce improvvisamente più basso, caldo, confidenziale.

“Non potevo lasciarti indietro,” si costrinse a rispondere.

“Potevi,” arrivò lui a contraddirla impietosamente.

“No,” scosse vigorosamente il capo. “Non potevo lasciarti indietro... tu, per me, l'avresti fatto.”

“Non esserne tanto sicura.” Si era adombrato di nuovo; adesso anche lui sfuggiva all'inquisizione dei suoi occhi.

“Avresti dibattuto con te stesso e poi l'avresti fatto.”

“Tu sai sempre tutto, non è vero?”

“Oh no, faccio finta di sapere un sacco di cose. Ma di questa... di questa sono certa.”

Rimasero in silenzio per qualche istante finché Natasha non si decise a porgergli il fascicolo che ancora teneva tra le mani.

“Ho convinto Fury a lasciarmelo fare,” spiegò semplicemente, invitandolo a prendere il plico.

“Che cos'è?”

“Il motivo per cui ti sei lanciato in una missione suicida, ricordi?”

Ci aveva messo un po' a persuaderlo, ma alla fine il colonnello aveva permesso che fosse lei a consegnargli la ricompensa per la sua partecipazione all'operazione di Point Hope. Clint le scoccò una lunga, incerta occhiata, quasi stesse valutando se voleva esserne davvero a conoscenza oppure no. Dopo un minuto buono in cui l'arciere non doveva aver fatto altro che discutere con se stesso, allungò una mano sfilandole delicatamente la cartellina dalle dita.

“Vuoi bere?” Gli chiese, avvicinandogli la bottiglietta d'acqua appoggiata sul comodino.

“Perché?” La domanda gli era uscita in tono inaspettatamente ostile. “L'hai letta?” Sembrava la stesse accusando di averlo voluto preparare ad una qualche... tragedia.

“No che non l'ho letta,” ribatté astiosamente a sua volta.

Clint fece per replicare, ma qualcosa doveva avergli suggerito che continuare su quella linea non sarebbe servito a niente e che dar voce al proprio nervosismo con quella tattica – per altro piuttosto scadente – non l'avrebbe portato da nessuna parte.

“Mi andrebbe un po' d'acqua...,” si corresse, addolcendo il tono e accettando la bevanda dalle sue mani. “Avresti dovuto leggerla,” aggiunse dopo essersi concesso un paio di piccoli sorsi, “almeno mi potresti dire se devo aprirla o meno.”

“Posso farlo adesso, se vuoi.”

“No... no, odio essere un vigliacco.”

“Non sei un vigliacco.” Sbagliava o era rimasto indietro per esaudire le richieste di un uomo – il dottor Selvig – che neppure conosceva pur di permettere a tutti loro di abbandonare il complesso il prima possibile? Nessuno, neanche l'esimio capitano Rogers si era offerto di assecondare le condizioni imposte dallo scienziato; nessuno tranne lui. Il meccanico barra arciere barra ladro che arrotondava lo stipendio mensile con qualche lavoretto extra... era stato lui a correre il rischio di rimetterci la pelle.

“Quello che dici, Nat,” rispose con un mezzo sorriso, restituendole la bottiglietta prima di rifarsi serio e spostare tutta la sua attenzione sul fascicolo. Natasha lo vide inspirare ed espirare un paio di volte, fare una smorfia al dolore alle costole che ne conseguì; infine rompere il sigillo di stoffa e aprire la cartellina con mani tremanti.

Trattenne il fiato quasi fosse stata lei quella sul punto di ricevere informazioni determinanti sulla vita (o la morte) di un parente... non che avesse realmente una qualche cognizione su come ci si dovesse sentire ad avere una famiglia. Una famiglia vera. Forse era per quello che non aveva potuto lasciarlo indietro: prima di Clint nessuno aveva mai fatto niente per lei, non in mancanza di un qualche tornaconto personale, comunque. Un tornaconto personale che l'uomo aveva piuttosto rifiutato; quei dannati due milioni di dollari che gli avevano offerto per la sua testa...

“Che c'è scritto?” Finì per chiedergli, la voce ridotta ad un soffio, il disperato tentativo di decifrare l'espressione compunta con cui stava passando in rassegna i documenti contenuti nel fascicolo.

“Che è stato fatto prigioniero,” mormorò lui dopo un lunghissimo attimo di silenzio.

“Da chi?”

“Un gruppo di terroristi, pare. Potrebbero...,” lasciò la frase in sospeso ancora per qualche secondo, come meditando su ciò che aveva appena appreso. “Potrebbero averlo portato dalla loro parte.”

“E poi?”

“Poi danno... il suo ultimo avvistamento. Mumbai,” gli venne inspiegabilmente da ridere. “Barney in vacanza nella fottutissima India, te lo immagini?”

Natasha si ritrovò a ricambiare il suo sguardo perso, amaramente divertito, senza sapere come rispondere adeguatamente a quella domanda.

“Che hai intenzione di fare?” Domandò, anche se in cuor suo già sapeva cosa doveva girargli per la testa.

“Devo trovarlo,” esalò, rifacendosi nuovamente serio. Mise da parte il fascicolo, decidendosi finalmente a guardarla dritta negli occhi. “Anche tu sei in partenza, no?”

Dovette trattenersi dal nascondere lo zaino sotto al letto, perché sarebbe stato stupido, perché Clint non era uno da lasciarsi prendere in giro tanto facilmente... e soprattutto, forse, perché era l'unico a cui valesse la pena dirlo. Il solo a cui sarebbe importato.

“Mio padre è ancora vivo,” formulò cautamente, riempiendo il silenzio che era andato riempiendo il poco spazio che li separava.

“Credevo che...”

“Anch'io,” convenne seccamente, impedendogli di terminare la frase.

“Finirai il lavoro?” Le domandò, mitigando in qualche modo l'espressione. La sua solidarietà non le era proprio d'alcun aiuto, eppure l'idea che qualcuno capisse, riusciva a farla sentire un po' meno sola.

“Non lo so,” rispose a mezza voce. “Ma non posso fare nient'altro se prima non ho risolto quel problema.”

“Cercherà di blandirti, lo sai? Di... convincerti,” mormorò lui. “E tu rischierai di caderci... di nuovo.”

Per quanto avesse voluto contraddirlo, Natasha sapeva che aveva ragione. Non era forse stato proprio quello il modus operandi di Ivan? Dispensatore di carezze e cazzotti (metaforici e non) in perfetto equilibrio, per far in modo che non si allontanasse mai del tutto, mettendo però in chiaro chi era che comandava... chi prendeva le decisioni. Era rimasta avvinta in quella ragnatela di concessioni ed abusi finché l'odore di carne bruciata, trascinato dal vento di San Paolo, non sembrava averla riscossa, riportata alla realtà. Era paradossale che un'assassina come lei, una spia il cui nome in codice richiamava quello di un ragno velenoso e letale, si fosse ritrovata a ricoprire il ruolo della preda più che del predatore... per quasi tutta la sua vita.

“Se non riesco a tagliare fuori Ivan, non posso fare nient'altro,” decretò, quasi inudibile.

“Lo capisco,” convenne Clint, l'aria turbata, “ma sta' attenta, va bene?”

“Tu che farai?” Gli ritorse la domanda, soccombendo all'urgenza che la stava spingendo ad allontanare da sé il focus di quella discussione.

“Non posso tornare a Waverly,” disse con una leggera scrollata di spalle (di nuovo, si ricordò di non muoversi solo quando l'aveva già fatto). “Dubito che la signora Drakov abbia intenzione di lasciar perdere,” biascicò con una smorfia insofferente.

“Me ne occupo io,” le parole le erano uscite di bocca prima di poterci riflettere.

“Occupartene?” Clint non sembrava aver compreso fino in fondo le sue intenzioni.

“Avresti potuto uccidermi, ma non l'hai fatto,” gli rammentò.

“Sono stato io a sottrarmi all'incarico,” puntualizzò lui di rimando, “non è affar tuo.”

“Ho ucciso sua figlia. E' me che vuole, non te.”

“Toglierai di mezzo anche lei?”

“Lo saprò quando l'avrò vista,” replicò cripticamente. “Tu dovrai rimanere qui finché non avrò sistemato la questione.”

“Non se ne parla.” Il rifiuto di Clint arrivò categorico e perentorio.

“Non essere stupido,” si sporse verso di lui, “se vuoi veramente recuperare tuo fratello dovrai raccogliere tutte le informazioni disponibili.”

“Sono tutte qua dentro,” le rammentò, tamburellando l'indice sul fascicolo abbandonato tra le pieghe della coperta.

“Ne sei proprio sicuro?” Le bastava piantare il seme del dubbio perché quello mettesse radice nelle sue convinzioni... tutto quello che le importava era che l'arciere rimanesse al sicuro finché la questione Drakov non fosse stata risolta. Nient'altro. “I mezzi che hanno qua sotto non puoi trovarli da nessun'altra parte.”

“Stai cercando di manipolarmi, Nat?” L'accusò lui, improvvisamente più divertito che indignato.

“Sta funzionando?” Rilanciò, ottenendo un ampio sorriso incredulo in risposta. “Dammi due settimane. E' tutto quello che ti chiedo.”

“Perché t'importa tanto che quella pazzoide non mi ficchi una pallottola in fronte?”

“Perché mi piace pensare di avere un posto dove tornare quando avrò finito con Ivan,” rispose semplicemente, lasciando che Clint potesse accertarsi della sua sincerità solo guardandola negli occhi. Togliere di mezzo suo padre e lasciarsi alle spalle l'ex SHIELD avrebbe significato ritrovarsi di nuovo sola al mondo. Quel viaggio, però, le aveva insegnato che non doveva necessariamente essere così, che – se solo l'avesse voluto – poteva avere un'alternativa. “E poi avrai bisogno d'aiuto per ritrovare tuo fratello.”

“Tu non verrai con me da nessuna parte!” Il piacevole stupore che gli aveva acceso gli occhi era stato nuovamente sostituito da un'indispettita irritazione.

“Staremo a vedere.” Adesso veniva da ridere anche a lei.

Lo guardò mentre rimetteva insieme i fogli nella cartellina, per poi appoggiarla di nuovo sul comodino, un vago disagio ad aleggiare tutt'attorno.

“Che ne sarà degli altri?” Finì per chiederle, come per prolungare quello scambio (che – l'avevano capito entrambi – sarebbe stato l'ultimo per un bel po') il più possibile.

“Banner e Stark hanno intenzione di allargare i laboratori... forse trasferirsi in un'altra base SHIELD,” lo informò, “Odinson ha deciso di restare sotto richiesta di Selvig. Mentre Rogers...”

“... Rogers rimarrà qui in pianta stabile,” completò per lei.

“Qualcosa del genere. Fury aveva bisogno di un poster boy per questo posto,” commentò con un mezzo sorriso.

“E il colonnello? Non ha neanche tentato di fermarti?”

“Non sa che me ne sto andando.”

“Non gli piacerà.”

“Perché credi che lo stia facendo?”

Si rimise in piedi rispondendo ad un inconsapevole istinto, gettandosi lo zaino sulle spalle come a decretare la fine di quella conversazione.

“Come farai a contattarmi?” Clint, fattosi nuovamente serio, stava ancora cercando di rimettersi seduto.

“Troverò un modo.”

“Natasha...”

“Smettila di preoccuparti.” Gli si avvicinò rapidamente, premendogli delicatamente una mano sulla spalla nuda per convincerlo a restare disteso. Restò per qualche attimo a fissarlo dall'alto in basso, studiando distrattamente le linee del suo volto martoriato, trattenendo le dita sulla sua pelle scoperta per un attimo di troppo. “Ti troverò.”

“E' questo che mi preoccupa,” la prese in giro lui, districandosi in qualche modo dall'impaccio del momento.

“Sei un fottuto stronzo, lo sai?”

“Oh, dimmi qualcosa di nuovo.”

Natasha assecondò il bizzarro rimescolio che le aveva preso lo stomaco, chinandosi su di lui per premere le labbra sulle sue, in un brusco, ma casto bacio.

Durò per quella che le parve un'eternità, ma che non erano stati altro che pochi secondi. Dopodiché si scostò, il fantasma di un sorriso ad illuminarle il volto. Non si fermò ad osservare l'espressione che gli si era dipinta sul viso, né a sentire cos'avesse da dirle... si limitò a godersi quell'inspiegabile sensazione di trionfo che minacciava di impossessarsi di lei da un momento all'altro...

… o quasi.

“Tecnicamente quello non era dire un bel niente!” Le parole di lui la raggiunsero mentre usciva dalla stanza.

L'illusione di essere finalmente riuscita a zittirlo si sfaldò passo dopo passo.

Per una volta tanto, però, decise che non le importava.

 

__________________________________________

Note:
Anche stavolta non molto da dire su questo capitolo (il primo dell'anno!), il penultimo, che conclude la vicenda prima dell'epilogo del ventesimo. Natasha ha un po' di cose in sospeso da sistemare, ma la questione SHIELD non si concluderà del tutto (sennò poi chi lo sente Fury?). Lo stesso vale per Clint, e per gli altri Vendicatori (meno recalcitranti degli altri due XD)
Anyway, rimando tutti i deliri conclusivi al prossimo capitolo :) Intanto ringrazio la sclerobetasocia Eli (mi sono appena resa conto che questo capitolo te l'ho mandato mentre eri in Grecia... e ora si crepa di freddo e tutte cose) e i lettori vecchi & nuovi! I vostri commenti mi fanno sempre piacere, quindi grazie :3
Un po' in ritardo, ma auguri di buon anno :P
Grazie per essere arrivati fin qui e al prossimo ed ultimo aggiornamento!
S.
  
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