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Autore: Nidham    09/01/2015    0 recensioni
Cosa succede quando perdi te stesso e ritrovarti significa affacciarsi su di un mondo che non avresti mai voluto conoscere? In una Parigi a metà tra il reale e il fantastico, Alexandra si farà strada verso verità impensate, attraverso incontri affascinanti e terribili, nemici pericolosi e amici impareggiabili, fino a decidere se varcare l'ultimo cancello e accettare un destino da cui sembra non esserci scampo.
Genere: Avventura, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questa, tra tutte, è la cosa più assurda che mi sia successa negli ultimi due giorni, ma è anche la più piacevole, se pur non la meno pericolosa, per cui evito di rovinare questi istanti di squisita beatitudine che la mia scarsa serietà e il mio inesistente autocontrollo mi hanno regalato, per gustarmi a pieno l'intenso sapore agrodolce delle sue labbra, il profumo prepotente del suo calore sul mio viso, la sensazione eccitante del suo fiato mischiato al mio, la consapevolezza istintiva di sentirmi completa, perfetta, nonostante non ne esistano spiegazioni.

Il bacio di Gabriel è delicato quanto lo sono le sue attenzioni, nascoste in maniera contorta sotto un ruvido strato di burbera collera: non è volutamente sensuale, anche se riesce a farmi tremare le gambe; non è gentile, anche se sembra donarmi tutto senza chiedere niente in cambio; non è prepotente, anche se mi afferra e mi incatena con la violenta intensità di un tornado. È tutto ciò che si potrebbe desiderare da un bacio e molto altro ancora, perché è più vero di un desiderio e più struggente di una banale melanconia.

Non saprei dire quanto sia durato, ma so per certo di non essere stata in grado di fare nessuna di queste considerazioni finché non ho allontanato di qualche misero centimetro il volto dal suo e non ho tirato un paio di profondi respiri in un clima di nuovo accettabile dove ritornare a vivere il presente.

Ho quasi l'impressione che sia stato un sogno, o un incubo, se penso a tutto il casino che potrebbe derivare dalla nostra avventatezza, ma le mie labbra sono ancora tumide e brucianti, il mio corpo inconsistente e teso come la corda di un violino, quindi do per buono di non essere svenuta e di non essermi immaginata tutto, soprattutto perché le stesse sensazioni che sto provando le vedo riflesse negli occhi socchiusi di chi le ha provate con me e adesso mi osserva indeciso e preoccupato, cercando di intuire la mia prossima reazione.

Vorrei rassicurarlo, ma giuro su Dio che non ho idea di cosa pensare, figuriamoci di cosa dire; in una situazione in cui non so neanche chi sono, mi sono lasciata andare a qualcosa che sarebbe stato difficile da intelligere anche nel pieno delle mie facoltà mentali: Gabriel mi piace, anzi mi piace molto, nonostante sia uno squilibrato iperprotettivo, ma soprattutto nonostante non abbia il becco di un quattrino e nessun interesse in tal senso. Perché mi piaccia non saprei dirlo con certezza e non so neppure se sia importante che lo capisca in questo momento, ma non rimpiango di aver agito con leggerezza e averlo baciato, vorrei solo sapere se si sia trattato di un gesto amichevole, privo di importanza, o, di un modo gentile per confortarmi in un momento strano e complicato, o, come mi è sembrato, di un preludio a qualcosa di molto più profondo e coinvolgente, non necessariamente legato al puro e semplice desiderio fisico e quindi non altrettanto scevro di complicazioni.

“Stai bene?” la sua voce sembra giungere da chilometri anche se la sua bocca è ancora quasi incollata alla mia.

Vorrei rispondere che è una domanda inopportuna, prima di rendermi conto di come si riferisse al mio precedente malessere e al disagio provocatomi dagli sbalzi umorali della mia casa, non al nostro bacio.

“Un po' confusa” ed io intendo, invece, per entrambe le situazioni. “Quando mi hai schiacciato alla parete?”

Potrei aggiungere: come ho fatto a non accorgermene? ma non vorrei si montasse la testa.

“Scusami” lo dice senza smettere di fissarmi, ma lasciandomi lo spazio per respirare.

È l'ultima parola che voglio sentire, la più inappropriata e ingiustificata.

“Non vedo di cosa.”

“No, infatti” sorride e ho voglia di baciarlo ancora, anche se adesso intorno a me è tutto tranquillo e non abbiamo scuse per abbandonarci all'irrazionalità. “Avevo paura di averti turbata.”

“Dopo tutto quello che sta succedendo, non credo sia così semplice” lo fisso sperando che dica cosa fare o cosa aspettarmi, ma credo anche lui stia provando a tirarmi fuori le stesse risposte. “Sappi che non ho intenzione di venire subito a letto con te.”

A volte credo che dovrei tenere la bocca ben chiusa, soprattutto quando non ho il cervello pronto a mandarle i giusti input, perché ne escono fuori affermazioni assolutamente inopportune che poi non so come rimangiarmi.

Arrossisce in maniera alquanto graziosa, riuscendo comunque ad apparire virile, mentre io vorrei sprofondare nel pavimento fino a raggiungere il primo piano e magari anche i garage seminterrati.

“Volevo dire che” provo a giustificarmi.

“Non avevo intenzione di” mescola le sue scuse alle mie.

Ci fissiamo da una distanza tanto ravvicinata che mi distraggo a fissare i suoi occhi confondersi e fondersi in uno solo, mentre la vista diventa appannata e le nostre voci mi rimbombano, incerte, nelle orecchie.

“Non sono un bruto pronto a saltarti addosso” bofonchia dopo un attimo.

“Non l'ho mai pensato. È solo che tutta questa storia è incredibile e preferirei essere padrona di me, prima di fare qualche scelta...” non so davvero che parola usare, ma sembra non ce ne sia bisogno, perché conclude perfettamente il mio pensiero.

“Da cui non tornare indietro?”

Suona un po' melodrammatico, ma anche appropriato; non credo di essere una verginella impaurita e, dato che non sono sposata, il sesso non deve aver rappresentato necessariamente un'unione per la vita, eppure qualcosa di indefinibile e fastidioso dentro di me mi suggerisce che, qualora andassi a letto con lui, non sarebbe solo per una sveltina divertente e mi coinvolgerebbe più di quanto non vorrei farmi coinvolgere in questo momento.

“Guarda che lo capisco” continua, senza più sfiorarmi, ma rimanendo saldamente piantato tra me e il resto del mondo. “E non avevo intenzione di disorientarti.”

“Mi hai baciato, non mi hai disorientato.”

Ok, un po' l'ha fatto, ma, per essere onesta con me stessa, è successo dal momento in cui ha bussato alla mia porta, quindi, un po' più, un po' meno fa poca differenza.

Alza gli occhi al cielo e si allontana, lasciando un vuoto intorno a me che non sembra derivare solo dal banale fatto che la stanza è piccola e lui la riempie completamente con la sua ingombrante presenza.

“La tua amica è ancora fuori dalla porta.”

E chi se la ricordava più Jasmine?

“E dobbiamo andare dal capitano.”

E chi se lo ricordava più anche il capitano? Ad ogni modo sono due ottime scuse per rimandare varie elucubrazioni mentali poco appropriate.

“Entra, Jas, scusami” la richiamo, mentre corro a lavarmi i denti e risistemarmi il trucco. Mai come ora devo mostrarmi presentabile e compita; è importante che il capitano continui a ritenermi una persona seria e presumibilmente affidabile. Non voglio mi tenga d'occhio, anche perché temo avrò varie faccende da nascondere alla gendarmeria, se continuerò a muovermi con Gabriel. “Non è stato carino cacciarti da casa.”
“Oh tranquilla” ridacchia, squadrando il mio bel fusto di sottecchi. “Non volevo solo fare da paralume.”

“E io non volevo dare spettacolo, ma ultimamente non sembro molto brava a seguire i miei buoni consigli.”

“Non lo siamo mai state, ma non è sempre stato un male.”

Mi chiedo come dovrò comportarmi davanti al capitano, che reazioni mostrare o che reazioni nascondere; in teoria dovrei solo essere sincera, anche perché, grazie all'amnesia, non c'è davvero niente che potrei dire in grado di mettermi nei guai, però ho scoperto alcune cose che potrebbero essere interessanti e vorrei sapere se potrebbero rivelarsi anche incriminanti per me o Emile. Non che debba difendere la sua memoria, che non ho, ma se fosse lui il responsabile di questi omicidi, io in che modo vi verrei ricollegata? E poi c'è anche la teoria di Gabriel secondo il quale più dirò alle autorità, meno avremo modo di scoprire cosa sia successo realmente. È un dannatissimo pasticcio.

“Vuoi accompagnarmi, Jas?” non so se lo dica per pura cortesia o per vigliaccheria insista. So che Gab sarà vicino a me nascosto in qualche modo incomprensibile, ma vorrei qualcuno fisicamente presente pronto a stringermi la mano, se le emozioni fossero troppo intese, o a tapparmi la bocca, se dovessi uscirmene con qualche sciocchezza.

Per fortuna la mia amica non si fa pregare, anche se l'idea non sembra entusiasmarla. La capisco, non l'ho invitata ad una gita di piacere e forse sono stata un'egoista, perché, alla fin fine, gran parte del casino in cui mi trovo è, direttamente o no, colpa mia.

“Io vi precedo lì” Gabriel mi ha osservato tutto il tempo con occhio critico e espressione imperturbabile; credo sappia che sono leggermente spaventata da quello che sto andando ad affrontare, ma ha il buongusto di non sbattermelo in faccia. “Tu non cercarmi, non agitarti cercando di capire dove sia. Sarò vicino se avrai bisogno di aiuto, ma non voglio che il capitano pensi che vi sto osservando.”

“Hai qualcosa da nascondere alla gendarmeria?” Jas non ne pare troppo turbata.

“Non più di te” e con questa bella battuta, senza neanche un gesto affettuoso o un risicato saluto, si chiude la porta alle spalle e mi lascia a fissare la sua assenza con uno strano rimpianto e una ben giustificata irritazione.

“Tipetto strano, eh?” la mia amica tenta di minimizzare e non sa nemmeno di quanto. “Però bacia bene?”

Fossi sincera, risponderei di sì, mille volte sì, anche meglio di quanto sarebbe consigliabile per la mia sanità mentale, ma ammetterlo comporterebbe tutta una serie di domande a cascata che non sono pronta ad affrontare, così mi limito ad una vacua alzata di spalle e cerco a tentoni le chiavi di casa, mentre, con l'altra mano, tengo in equilibrio il barattolo di vernice che voglio venga analizzato.

“Starei attenta con quella roba” rabbrividisce e non si offre di prenderlo, neanche vedendomi in difficoltà d'equilibrio, mentre cerco di infilarlo in una busta di plastica e poi in borsa. “Puoi non credermi, ma anche Gabriel è d'accordo con me nel dire che ha un'aura orribile.”

Solo a questo punto mi rendo conto che la partenza affrettata del mio brusco compagno potrebbe essere dovuta non alle sue cattive maniere, che comunque non sono in discussione, quanto al tentativo di esimersi dal darmi strampalati consigli che non avrei voluto, né capito, ma che, probabilmente, moriva dalla voglia di propinarmi.

“Sono certa che andreste d'accordo in quanto a stramberia.”

“Alex, non sono assurdità. Tutta questa faccenda di Emile dovrebbe averti aperto gli occhi. Ci sono cose che non si vedono, ma che, non per questo sono meno reali.”

“Esistono più cose in cielo e in terra ecc...?”

“Prendimi pure in giro, ma il simbolo su quella latta di vernice è esoterico, quindi chi l'ha usata era un credente, come me, e forse, se vuoi capirlo davvero, dovresti sforzarti di guardare anche un diverso punto di vista. Anche se non capisco perché tu debba occuparti di certe cose. C'è la gendarmeria per questo.”

Non posso dire che il suo ragionamento sia insensato, in nessuna delle sue parti. Ci rimugino mentre scendiamo le scale e ci sto ancora pensando quando svoltiamo in Rue des 3 Frères. Mi chiedo se abbia mai cercato di comprendere Emile e il suo modo di vedere il mondo, o se non mi sia limitata a giudicarlo un eccentrico o un pazzo, facendolo sprofondare ancora di più in una solitaria paranoia. Tutti gli eventi strani che si sono verificati ultimamente hanno senza dubbio una spiegazione razionale, anche se non l'ho trovata proprio per ciascuno di loro, ma potrebbero anche essere letti in chiave arcana, facendone derivare comportamenti e fobie ben più in linea col personaggio tormentato del mio amico, quindi potrebbe non essere sbagliato mettermi nei suoi panni, per capire come calzino. Il guaio è che tutto questo va contro ogni mio principio e ogni mia credenza e devono essere convinzioni ben salde, perché, nonostante non ricordi una mazza del mio passato, non ho nutrito mai un solo dubbio, dopo il mio risveglio, in merito all'esistenza di stregonerie, fantasmi e maledizioni.

Quasi cado sui nastri gialli lasciati dai gendarmi per delimitare la zona dell'incidente. Smetto di fissarmi i piedi e raccolgo il coraggio a due mani, temendo e sperando di vedere qualcosa che infranga la barriera di nulla che circonda la mia mente e pregando di non venirne sopraffatta.

L'edificio è un cadente caseggiato a tre piani, palesemente malmesso anche per cause precedenti all'esplosione, in angolo con le scale di Rue Drevet. La facciata, dove non è annerita dal fumo, mostra vivaci e adesso inappropriati murales dai colori sgargianti, che risalgono in tonalità più sobrie fino alle finestre del primo piano, anch'esse bloccate da pannelli di plexiglass con i sigilli. Il caseggiato sembra disabitato da anni, forse per questo non ci sono state altre vittime, ma sembra anche talmente fragile sulle fondamenta che mi chiedo come abbia potuto resistere all'urto senza mostrare altro segno che una porta sfasciata e vetri infranti.

A parte l'ormai nota sensazione di dejavù che mi dà tutta Parigi, non c'è niente, in questo luogo, che rievochi ricordi particolari dentro di me; forse avverto appena un briciolo di ansia e lo stomaco mi sembra abbia compiuto una rotazione strana nel mio ventre, ma potrebbe essere tutto frutto della mia immaginazione, influenzata da ciò che mi aspettavo di dover trovare quaggiù, o forse sto solo cercando di convincermi a provare qualcosa che ritengo dovrei provare, ma che non è altro che una finzione poco efficace.

Il capitano se ne sta appoggiato, flemmatico e inamovibile, ad un cartello di divieto di sosta sull'altro lato della strada, fumando indifferente una sigaretta, per quanto sia certa che stia osservando ogni mia seppur minima emozione. Indossa lo stesso cappotto antiquato che aveva in ospedale e guanti neri, probabilmente di pelle, che non sembra si preoccupi di rovinare con la cenere del mozzicone che aspira fino all'ultima boccata. Il suo volto, alla luce del sole, appare segnato da numerose rughe sulla fronte e intorno agli occhi, probabilmente dovute a qualche vizio di espressione, più che all'età, che non mi pare troppo avanzata. Ha labbra sottili e ferme, un naso importante, credo rotto almeno in un paio di punti, in passato, sopracciglia scure e folte perfettamente arcuate a sottolineare l'intelligenza e la profondità dello sguardo. Non sembra affatto un uomo pericoloso, eppure sono certa che non vorrei averlo come nemico.

“Capitano” lo squittio di Jasmine mi perfora il timpano. “Non crede che sia poco prudente fumare qui? Potrebbe esserci ancora qualcosa di infiammabile.”

“Allora non fumerei” la sua voce è impassibile quanto i suoi occhi, mentre butta la sigaretta nel tombino. “Piacere di rivederla, signorina De raven. Mi sembra di trovarla in forma migliore.”

Annuisco, come conferma e come saluto, chiedendomi di nuovo se non dovrei riferirgli della mia miracolosa guarigione, ma l'aria contrariata di Gabriel mi ferma anche solo col pensiero.

Sto iniziando a dar troppo retta a quel maniaco.

“Dalla sua espressione direi che questo luogo non le ricordi niente.”

“No, mi dispiace” e sono sincera, almeno per metà.

“Forse, entrando, avremo più fortuna” non sembra deluso, ma temo sappia dissimulare bene le sue sensazioni.

Mentre toglie i nastri che bloccano l'ingresso, Jas mi prende la mano.

“Sei sicura?” mi guarda come se sperasse in un rifiuto che sarei anche tentata di darle, ma che non mi aiuterebbe se non per un effimero sollievo momentaneo.

“Certo” mi mostro tanto convinta da risultare sfrontata. “Che ho da perdere?”

“Lei si unisce a noi, signorina?” ancora una volta il suo tono è neutro e comincia a darmi sui nervi.

Jasmine esita, ma infine annuisce, sconfitta e desolata.

“Sì, accompagno la mia amica” deglutisce. “E' questo che fanno gli amici, no?”

Sembra quasi a caccia di una scusa per tirarsi indietro, ma forse sono solo malfidata. Vorrei dirle che non deve immolarsi su nessun altare immaginario per farmi contenta, posso cavarmela benissimo da sola, tanto più che, probabilmente, per me, si tratterà solo di passeggiare tra polvere e cenere ormai fredda, visto che non ho più molta fiducia in qualche repentino recupero di memoria. Ma il capitano mi precede, tarpandole ogni possibilità di fuga.

“Certo, è questo che fanno gli amici” si volta a fissarla con intensità. “Mi ripeta dov'era la notte dell'incidente, per favore.”

Il cambio improvviso di argomento la lascia spiazzata, così intervengo a riempire il vuoto che si sta propagando come olio su una chiazza d'acqua stagnante.

“Non l'aveva già interrogata e aveva deciso che fosse innocente?”

“L'ho già interrogata” si volta verso di me, permettendo a Jas di tirare un tremolo respiro. “E ho deciso che lei è innocente” mi indica con decisione. “Della sua amica non sono ancora sicuro. Ha cambiato più volte alcuni dettagli nella sua deposizione.”

“E' perché non ricordavo bene” adesso Jas sembra solo indignata. “Insomma, mi era quasi esploso un edificio davanti e credevo che la mia migliore amica fosse morta.”

“Mi faccia vedere dove si trovava, con precisione.”

Jas sbuffa, ma si dirige a grandi passi verso Rue Vieuville, fermandosi a circa trenta metri da noi, davanti ad un negozio di vestiti.

“Ero proprio qui, con in mano una bottiglia di spumante e la voglia di piangere o urlare, mentre i paramedici e i pompieri mi spintonavano e mi urlavano di spostarmi.”

“Quindi eri invitata anche tu all'inaugurazione?” solo ora ripenso a quello che mi avevano detto in ospedale, ovvero al fatto che lei e non so chi degli altri due fossero arrivati dopo l'intervento dei pompieri, e lo ricollego, un po' sorpresa, a tutto ciò che ho scoperto sulla mia intenzione di tenerli fuori di questa storia. Certo, Emile lo conoscevano anche loro e probabilmente volevano essergli vicini in un momento così importante per la sua carriera, sarebbe stato impossibile escluderli, tanto più che non dovrei aver avuto motivo per farlo. Un conto era lasciarli all'oscuro sulle mie bizzarre indagini, un altro non invitarli alla prima mostra di un amico.

“In realtà non ero tra gli ospiti” mi guarda offesa. “Io ero invitata per aiutare.”

Questo è già più in linea col mio personaggio: perché spendere soldi per il personale, quando puoi utilizzare schiavi semi-volontari? A questo punto posso solo ringraziare Dio che siano arrivati in ritardo.

“Era sola?” il capitano non ha perso il filo del suo pensiero.

“A parte le decine di persone che affollavano la strada, sì” mi guarda, intuendo la mia perplessità. “Philippe e Marcel si erano rifiutati di lasciarsi coinvolgere. Sarebbero venuti più tardi, usciti da una festa al Favela Chic. D'altra parte avevi detto anche tu che a Emile non sembrava importasse niente che ci fossimo o no e avevi cercato di giustificarlo come facevi sempre, ultimamente, dicendo che gli artisti sono tutti strani e sociopatici.”

“D'accordo” evidentemente Renaud ha trovato soddisfacente la sua risposta, o forse non ha interesse a continuare il suo pseudo-interrogatorio in strada. “Entriamo.”

Sparisce oltre la soglia, in un'oscurità che sembra troppo densa per essere naturale. Ora che il momento è arrivato mi sento molto meno coraggiosa, ma se il locale non fosse sicuro, il capitano non ci avrebbe portato qui, quindi non ho concretamente nulla da temere.

Mi costringo a fare un passo avanti, ma mi fermo quando un muro di fiamme inesistenti e incandescenti mi sbarra il cammino, in un'illusione che mi ghermisce la pelle quasi fosse reale e pericolosa.

Solo le mani di Jas sulle spalle mi impediscono di indietreggiare e coprirmi di ridicolo.

La puzza è indescrivibile e mi raggiunge ad ondate sempre più penetranti, facendomi lacrimare gli occhi. Non riesco a decifrarne gli odori, ma è densa, nauseabonda e, al tempo stesso, pungente.

“Abbiamo trovato tracce di zolfo” il capitano è nel centro di una stanza dalla forma irregolare, vagamente simile ad un trapezio rovesciato, con il pavimento coperto di striature scure di fuliggine e le pareti, scrostate e non verniciate da almeno vent'anni, annerite da lingue di tenebra. Ci sono vari cumuli di macerie irriconoscibili e niente che possa far credere che ci fosse qualcuno di vivo lì dentro solo pochi giorni prima. “Non nella mostra, nel suo fautore.”

La mia amica rabbrividisce, io sono solo confusa: non so se sia o meno un materiale infiammabile.

“Lo è” il capitano risponde prima che mi accorga di aver espresso apertamente il mio dubbio. “Anzi, molto infiammabile ed è uno dei componenti dei razzi o delle bombe carta. Il guaio è non l'abbiamo trovato sulle sue mani o sui vestiti, ma nel sangue.”

“Un po' come le altre analisi in cui avevate trovato traccia di vernice?”

“Esatto. A dar credito ai risultati il vostro amico era il ricettacolo di una serie piuttosto assurda di elementi velenosi.”

“Non c'era da stupirsi che avesse dato di matto.”

“Uno nostro esperto psicologo ha supposto che sniffasse vernice o, addirittura, la leccasse per entrare più in contatto con le sue opere. Per il poco che ha potuto vedere del suo lavoro, l'ha descritto come il frutto di un genio o di un folle.”

“Ma non avete modo di far riaprire il sito con i suoi dipinti?”

“No” è irritato, ma non con me. “C'eravamo già rivolti alla polizia postale perché ripristinasse dei backup, se ci fossero stati. Abbiamo anche... suggerito di inoltrare le richieste ai motori di ricerca che, a volte, tengono copie dei siti, ma non credo troveremo niente.”

Non posso che dirmi d'accordo. Sembra che qualcuno abbia voluto cancellare dalla faccia della terra qualsiasi cosa riguardasse Emile e il suo lavoro.

“Non potrebbe essere opera di qualcuno invidioso di lui? Un rivale, magari.”

“Dovrebbe essere un tipo potente, o almeno con una buona dose di denaro. Ad ogni modo l'unica, ormai, che potrebbe sapere se avesse avuto dei nemici tanto folli siete voi, signorina.”

La mia amnesia capita proprio a puntino. Il che mi fa riflettere. Quell'uomo interessatosi a me di recente, quello Xavier, così ricco e oscuro, che Gabriel odia tanto e che pare traffichi anche in settori illegali, potrebbe essere in qualche modo coinvolto in questa faccenda. Anzi, quel medicinale sconosciuto che mi hanno iniettato in un ospedale in cui è persino assurdo che mi abbiano portato potrebbe aver causato questa perdita di memoria così comoda per chiunque fosse implicato negli incidenti. È una teoria assolutamente priva di fondamenta concrete, ma non di logica ed è anche un buon motivo per andare a conoscere questo magnate della finanza così misterioso.

 

 

Buon anno a tutti!! Dopo la pausa natalizia, rieccomi a tediarvi con un altro brano, che spero possa piacervi. Come sempre, un sincero grazie a chiunque continui a seguire questa storia ^_^

  
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