Mi
ripropongo con una AU in cui Katniss è la nipote del Re di
Panem, è un
esperimento quindi siate clementi! Il contesto è sempre
quello di Hunger Games,
quindi un futuro post apocalittico, solo che al posto del presidente
c’è il re
e non ci sono gli Hunger Games, ma i Distretti restano invariati ( per
chi
fosse familiare con il termine è un Canon Divergence ).
La
storia è nata dall’ascolto, seguito da visione del
video musicale, di Princess
of China dei Coldplay ( mi frullava in testa da un po’ di
tempo ) e partecipa al
contest "Game of Judges: La chiamata alle armi" indetto da Encha e
Kaika sul forum di EFP.
Nota
per i lettori fedeli e per quelli nuovi: è consigliata la
lettura con la
soundtrack allegata (la trovate mano a mano nella storia ).
Detto
ciò, have fun!
The
Princess’s Guard
«
Non è che io non ci stia provando »
sussurrò lei.
I
suoi occhi azzurri le fissavano la bocca mentre con il pollice le
tracciava il
contorno del labbro inferiore. Con l’altra mano, poggiata
alla base della
schiena, l’aveva avvicinata a se; lui, seduto sul piccolo
davanzale della
finestra della sua stanza, era comunque più alto di lei in
piedi tra le sue
gambe; le mani di lei allacciate dietro il suo collo, i polpastrelli
toccavano
ogni centimetro di pelle lasciato scoperto dalla morbida sciarpa di
cotone che
faceva parte della sua divisa. Lentamente gli percorse la lunghezza del
braccio
con le dita, leggerissime, fino ad
arrivare al polso della mano che le sfiorava il viso, la
allontanò quel tanto
che bastava per poggiare un bacio leggero sul palmo e quindi sulle
nocche.
«
Peeta, lo sai che ti amo » un altro sussurro nello spazio
intimo che si erano
creati tra la finestra e le pesanti tende scure, il vetro era
increspato di
cristalli di ghiaccio, all’esterno i giardini del palazzo
ricoperti di neve e
il cielo sereno.
Quando
lui le baciò la tempia e poi la guancia riuscì a
vedere la luna e le stelle
ricamare il tappeto blu del cielo; dovette chiudere gli occhi per la
sensazione
di sorpresa e totale abbandono – languore
– quando le sue labbra le sfiorarono la pelle sensibile
dietro l’orecchio.
« Ti amo così tanto
».
Once upon a time somebody ran
Somebody ran away saying fast as I can
I've got to go, I've got to go
“Princess of China”
Coldplay feat. Rihanna
Circa
un anno
prima.
Nella
biblioteca del palazzo c’era un grande tomo rilegato in pelle
verde e adornato
di stupendi ricami dorati, al suo interno erano racchiuse tutte le
fiabe che
sua madre era solita leggerle prima di augurarle la buonanotte; quando
era
stata abbastanza grande da poter leggere da sola, il suo pubblico
preferito erano
suo padre e sua sorella. Mentre era concentrata nella lettura seduta ai
piedi della
culla di Prim insieme al Principe Ereditario, era convinta che nessuno
avrebbe
mai potuto scalfire la sua felicità, proprio come nelle
favole che leggeva,
c’era sempre un lieto fine.
Crescendo
aveva capito che non tutte le persone meritano un lieto fine.
Katniss
passò le dita sulle pagine ingiallite del libro mentre
prendeva posto alla
grande scrivania di mogano al centro della stanza.
La
biblioteca era uno dei luoghi che amava di più
dell’intero palazzo
principalmente perché era poco frequentata. Un servitore
entrò e le si avvicinò
per comunicarle che il Re desiderava vederla.
I
corridoi più remoti del Palazzo di Panem erano sempre molto
silenziosi, i
Pacificatori nelle loro divise bianche erano di guardi in ogni
corridoio
ventiquattrore al giorno.
La
protezione della famiglia reale una delle massime priorità.
Ad
accompagnarla alla sua destinazione solo il suono dei suoi passi
attutiti dai
pesanti tappetti e il fruscio del maestoso vestito contro il pavimento.
Al
cospetto del Re Snow, suo nonno, solo pochi consiglieri e un vecchio
amico di
suo padre: Haymitch Abernathy. Quell’uomo, che capitava a
corte sempre più di
rado senza mai annunciarsi, non era nelle grazie del Re, come tanti
amici di
suo padre.
«
Mia cara, desidero comunicarti che d’ora in avanti ti
verrà assegnata una
guardia personale che ti seguirà ovunque » il tono
piatto e mellifluo del Re a
cui era ormai abituata da anni. Suo nonno era seduto sul trono, lei
inginocchiata al centro della sala del trono a metri da lui, il capo
chino in
segno di rispetto.
Come
se le
guardie ad ogni angolo del Palazzo non fossero abbastanza.
A
pochi passi da Haymitch, nascondo dalla penombra delle colonne di marmo
del
salone c’era un giovane uomo vestito di nero – una
divisa non molto diversa da
quella di un Pacificatore, priva però della loro corazza
– dai capelli biodi
accuratamente acconciati, ben rasato. Le spalle larghe e le braccia
dietro la
schiena in posizione di riposo. Gli occhi fissi su di lei.
Come
se non l’avessero
già privata di ogni libertà.
«
Sì, mio Signore » appena pronunciò
quelle parole si diresse verso l’uscita del
salone.
Non
era stata congedata, ma tutti erano a conoscenza del carattere poco
socievole
della Principessa. Finché il Re non se ne rammaricava, la
cosa non la toccava
affatto.
Haymitch
la intercettò a metà del corridoio subito fuori
la sala del trono.
«
Dolcezza, poteva andarti molto peggio ».
Did you break but never
mend?
Did
it hurt so much you thought it was the end?
Lose
your heart but don't know when
And
no one cares, there's no one there
The
Script “Flares”
Circa
undici mesi prima.
Tutti
gli anni per la Festa del Raccolto in ogni Distretto del
regno si organizzavano una serie di festeggiamenti a spese del Palazzo
Reale.
Tutti
tranne il Dodici.
Da
bambina attendeva con ansia i fuochi d’artificio; dopo dieci
anni dall’incidente che le aveva portato via Prim e suo padre
non riusciva
ancora a cancellare dalla mente il rumore dell’esplosione
delle miniere di
carbone.
Una
visita ai lavoratori, l’avevano chiamata. Quella visita si
era
trasformata in una tragedia: l’ira del sovrano, la pazzia e
il dolore della
figlia del Re che si era innamorata di un nobile di un Distretto
lontano da
Capitol, rivolte nei Distretti.
Lei
si ricordava solo che dalla casa natia del padre riusciva a
vedere il fumo che si levava dalle cave mentre fiumi di lacrime le
rigavano le
guance. E poi lo spettacolo pirotecnico era iniziato come se si stesse
seguendo
la normale tabella di marcia, perché nella foga nessuno
aveva avuto il tempo di
spegnere il timer che avrebbe dato il via ai fuochi.
Una
scia luminosa di colore dietro l’altra stava illuminando il
cielo sul mare, i suoni secchi delle esplosioni arrivavano attutiti in
cima
alla collina dove sorgeva la tenuta reale al Distretto Quattro.
Il
vetro del finestrone su cui aveva poggiato la mano era
freddissimo, il lato destro del suo corpo, esposto al camino acceso,
bollente. Le
mancava l’aria.
Non
riesco a respirare, non riesco a respirare, non riesco a
respirare…
La
sua guardia la seguiva da un paio di settimane. Non le aveva
rivolto la parola, continuava solo a seguirla.
Katniss
aveva bisogno di un attimo da sola, un minuto durante il
quale sarebbe potuto esplodere senza doversi preoccupare di essere
dignitosa
anche di fronte alle guardie o ai servitori. Si diresse nella stanza
che le era
stata assegnata con tutta l’intenzione di chiudere la porta e
piangere. Piangere
il Principe, piangere la Principessina, piangere la mancanza di una
madre
troppo ferita per poterle stare accanto.
E
lui la seguiva, i passi pesanti, quasi a voler farsi sentire,
farle sapere che la stava seguendo, perché lei sapeva
perfettamente quanto
invece quell’uomo riuscisse ad essere silenzioso – invisibile – se solo lo voleva.
E l’aria le mancava sempre di più,
il vestito troppo pesante, la collana troppo stretta attorno al collo.
Entrata
in camera cercò di togliersi il filo di perle dal colla
riuscendo solo a spezzarlo spargendo le piccole spere per tutto il
pavimento,
il respiro affannato, le lacrime che premevano per uscire.
«
Principessa… »
«
Vattene via! » gli urlò contro lei.
non
si era resa conto di aver afferrato il vaso di fiori che era
sul comò fino a quando non lo vide in frantumi sul
pavimento, una macchia scura
sul muro dietro l’uomo che la guardava con gli occhi
spalancati per lo stupore.
Pallido come un foglio di carta.
«
Vattene via… » sussurrò mentre si
accasciava a terra con le mani
sul volto a nascondere le lacrime.
«
Vattene via ».
Probabilmente
si era addormentata piangendo. Qualcuno l’aveva
adagiata sul letto e le aveva rimboccato le coperte. I pezzi di vetro e
i fiori
erano spariti dal pavimento.
L’immagine
che le restituiva lo specchio non era delle migliori,
aveva i capelli scompigliati e gli occhi gonfi e rossi.
Katniss
si liberò dall’abito pesante di velluto in cui si
era
addormentata e indossò una camicia da notte e una vestaglia
di seta, si
spazzolò i capelli e con le braccia conserte sotto il seno
andò a cercare la
guardia; la trova fuori dalla stanza, sempre in posizione di riposo.
Lo
sguardo che lui le rivolse era dolce ed era strano che lei
riuscisse a distinguerne questa sfumatura.
«
Io… Devo scusarmi » disse la ragazza con un filo
di voce.
«
Principessa non dovete » le rispose lui. Lo guardò
inumidirsi le
labbra, poi scuotendo la testa continuò a parlare:
« Lascia che mi scusi ».
Aveva
gli occhi chiusi come per cercare il modo migliore per
esprimere quanto le dispiacesse per avergli tirato quel vaso.
«
Potrei… » Katniss si schiarì la voce.
« Potrei far chiamare un hovercraft
e farti portare a casa tu. Potresti passare una giornata con la tua
famiglia… Io…
»
«
Anche se mi fosse concesso, non c’è più
nessuno ad aspettarmi a
casa » i tratti tesi del suo viso dicevano molto
più delle sue parole.
«
Mi dispiace » gli disse lei sincera, le dita che passavano
inconsciamente
tra i capelli.
«
Sono passati tanti anni ».
«
Non per questo fa meno male » a quel punto la Principessa lo
guardò nuovamente negli occhi.
«
No, mia Signora ».
Circa
dieci mesi prima.
«
Come ti chiami? » gli aveva chiesto lei non appena avevano
fatto ritorno dal
Distretto Quattro, subito dopo la Festa del Raccolto.
«
Peeta, mia Signora ».
«
Da
quale Distretto vieni, Peeta? »
«
Dodici. Distretto Dodici ».
L’aveva
guardata mentre tirava frecce a quel bersaglio per più di
un’ora. Non si era mosso nemmeno per un secondo, Katniss
avrebbe trovato la
cosa snervante se solo lui non avesse avuto gli occhi più
belli che avesse mai
visto.
Le
aveva chiesto di fargli vedere il suo arco, quello che suo
padre aveva intagliato per lei da bambina.
«
Fiori di Katniss » aveva detto lui. « Sul lago poco
fuori dal mio Distretto se
ne trovano a decine » le stesse parole che le aveva detto il
Principe Ereditario
quando glielo aveva regalato.
«
E’
molto bello, mia Signora ».
Poi
mentre si riposava sotto l’albero di un melo accarezzando il
legno del suo arco, lo sguardo triste, i pensieri nei ricordi di suo
padre,
Peeta le se era avvicinato con un dente di leone tra le mani.
«
Esprimete un desiderio, mia Signora » le chiese
porgendoglielo.
«
I miei desideri sono irrealizzabili ».
Somebody stepped inside your soul
Somebody stepped inside your soul
Little by little they robbed and stole
Till someone else was in control
“Trouble”
U2 feat. Lykke Li
Dieci
mesi prima.
Era
sicura che nessuno gli avesse parlato dei suoi incubi, di come
non riuscisse a dormire per una notte intera, dei pianti, delle urla.
Sicuramente
in quel momento sembrava allarmato quanto lei, ancora
ansimante con la gola riarsa, la fronte madida di sudore e i capelli
che le
ricadevano scomposti sulle spalle e sul viso, poteva vederlo dai suoi
occhi
sbarrati per l’apprensione.
Peeta
era inginocchiato accanto al suo letto maestoso,
l’avambraccio sinistro affondato tra le lenzuola,
l’altro braccio proteso verso
di lei, quasi a volerla accarezzare. Katniss si raggomitolò
tra le coperte
dandogli le spalle, cercando di evitare quella scena patetica, cercando
di
evitare la pietà nel suo sguardo.
«
Normalmente non viene nessuno ».
La
luce della abatjour filtrava tra i drappeggi del baldacchino,
ma l’unica cosa si cui era veramente conscia era
l’ombra di lui proiettata
sulla parete di fronte a lei.
Se
chiudeva gli occhi riusciva ancora a vedere suo padre e sua
sorella inghiottiti dalle gallerie delle cave di carbone.
Mentre
prendeva respiri lenti e profondi sentì le sue dita
rimetterle a posto una spallina della camicia da notte e una carezza
leggera
sulla schiena, appena sotto il collo.
«
Volete che me ne vada? » le chiese lui con il tono
più gentile
che avesse mai sentito.
«
Ti prego, resta ».
Otto
mesi prima.
Quando,
il giorno del suo diciottesimo compleanno, suo nonno le
aveva comunicato che regnanti dai reami vicini avrebbero cominciato a
presentarsi a Palazzo per chiedere la sua mano, aveva annuito senza
protestare.
Le era stato detto che i corteggiamenti sarebbero durati fino a quando
il Re
non le avesse trovato un compagno ideale, il che in poche parole stava
a
significare che il suo matrimonio sarebbe stato a beneficio del regno.
Non
le sarebbe stato riservato un trattamento molto diverso da
quello a cui erano sottoposti i cavalli di razza custoditi nelle
scuderie.
Il
primo dei suoi corteggiatori le aveva chiesto di cantare. Lei
si era sentita mancare il respiro e se ne era andata dal salone in cui
ricevevano gli ospiti importanti. L’episodio si era ripetuti
altre due volte
prima che il Re intervenisse, richiedendo un colloquio privato con lei,
riversandole addosso tutta la sua rabbia.
Non
è questo il giusto comportamento per rendere onore a Panem e
alla famiglia
reale.
Katniss
aveva annuito mentre l’uomo le dava le spalle, la vista
annebbiata dalle lacrime che non si era lasciata sfuggire.
«
Sì, mio Signore ».
Seneca
Crane, il primo ad aver assistito al suo comportamento
indecoroso, le aveva chiesto nuovamente di cantare l’anno
successivo.
Lei
aveva esaudito il suo desiderio ad occhi chiusi, immaginando
che suo padre fosse lì a tenerle la mano, proprio come quando da piccola
cantavano l’inno di Panem
di fronte ai Distretti.
Panem
oggi, Panem domani, Panem per sempre.
Dopo
quella volta Effie aveva cominciato ad accompagnarla al piano
e di tanto in tanto sua nonno si fermava ad ascoltarla, ma lei
continuava ad
eclissarsi dal mondo che la circondava, nascosta dietro
l’oscurità delle sue
stesse palpebre.
Peeta
era stato nominato sua guardia personale da qualche mese
quando Seneca passò a Palazzo per una delle sue due visite
annuali; quando le
chiese di cantare però Katniss disse che per la canzone che
aveva intenzione di
cantare non c’era bisogno dell’accompagnamento del
pianoforte. Quel giorno
aveva intenzione di cantare qualcosa che non cantava da tempo, un brano
che le
aveva insegnato suo padre.
Il
sarto di corte per quell’incontro aveva confezionato un
vestito
senza spalline, di un arancione tenue che si confondeva con
tonalità del rosa,
seta ricamata e leggerissima sul suo corpo.
Quando
intonò la Canzone della Valle, tradizionale del Distretto
Dodici, non aveva occhi che per Peeta.
I dissolve in trust
I will sing with joy
I will end up dust
I'm in heaven
“Haven”
Depeche Mode
Sei
mesi prima.
Quella
sera Cato era più insopportabile del solito,
l’aveva
intercettata non appena suo nonno l’aveva liberta dagli suoi
obblighi
ufficiali.
Peccato
che i suoi obblighi non finissero mai.
Cato
faceva parte di una delle nobili casate del Distretto Due e,
come la maggior parte della sua famiglia, peccava di arroganza e
superbia,
soprattutto perché suo padre era uno dei più
stretti collaboratori del Re;
proprio per questo motivo la presenza del ragazzo a corte non era un
evento
straordinario, Katniss era abituata alla sua presenza fin da bambina.
Negli
ultimi anni Cato si era convinto che se fosse riuscito a
farla innamorare di lui il trono sarebbe stato suo; non aveva la
più pallida
idea di come si dovesse trattare una donna quel ragazzo.
L’aveva
seguita sul balcone, quando aveva cercato di isolarsi dal
resto del ricevimento, l’illusione di qualche attimo di
libertà.
Prima
della sua presenza avvertì le sua dita fredde percorrerle la
colonna vertebrale lasciata scoperta dal vestito di chiffon verde.
Katniss si
allontanò dal ragazzo subito di qualche passo,
l’espressione inorridita e gli
occhi sbarrati.
Cato,
nel suo completo elegante e nella sua giacca argentata, era
terribilmente bello, da togliere il fiato, avrebbe aggiunto, se non
avesse
avuto quello sguardo feroce.
«
Fai sempre la preziosa, principessina » la risata che aveva
accompagnato le sue parole non aveva niente di genuino. La raggiunse
nuovamente, passandole le nocche delle dita lungo il contorno del viso
e del
collo.
Katniss
chiuse gli occhi per la repulsione. « Lasciami stare
».
«
Se solo ti lasciassi toccare, ti farei capire che non sei tanto
diversa dalle altre » le sussurrò lui
all’orecchio.
Avrebbe
voluto spingerlo via da lei, lontano e fuggire dal
Palazzo, fuggire da tutti.
«
Ti chiedo solo una notte ».
Labbra
ruvide sull’angolo della bocca.
«
Signore, devo chiederle di allontanarsi dalla Principessa »
la
voce di Peeta a pochi metri da loro.
Grazie!
Cato
non si mosse di un passo, lo guardò solo con la coda
dell’occhio.
«
Ora » aggiunse la guardia portando una mano alla fondina dove
teneva la pistola, la voce minacciosa.
Lei
non aspettò nemmeno un secondo di più e
rientrò nel salone con
tutta l’intenzione di andarsi a rifugiare nella sua camera.
I
passi di Peeta costanti dietro di lei, nel corridoio dove la
luce era soffusa e i Pacificatori di guardia sempre più rari.
«
Credo di doverti ringraziare » disse piano lei.
«
E’ solo il mio dovere, mia Signora ».
Le
sfuggì un sorriso, quella guardia le era stata
più amica di
chiunque altro a corte. Era strano che un sottoposto la facesse sentire
in quel
modo.
Arrivati
sulla soglia della sua stanza rimase qualche secondo a
guardarlo prima di augurargli la buonanotte. In quegli ultimi giorni
lui aveva
evitato di guardarla negli occhi e quando capitava arrossiva
violentemente. Lei
aveva tentato di fargli capire qualcosa, lo aveva mandato a prenderle
il suo
libro di fiabe e gli aveva detto di leggerle la sua fiaba preferita.
«
Pagina settantaquattro, “La Principessa e il
Soldato”. Leggila per me, per
favore ».
Il
tutto mentre era immersa nella sua vasca da bagno, e il fatto che lui
avesse
visto poco più che la sua schiena non contava nulla. La
storia parlava di una
Principessa e un soldato che si innamorano perdutamente e fuggono dal
regno del
Re malvagio che teneva prigioniera la Principessa.
«
Siete incantevole » le confessò lui prima di
guardarsi intorno
nel corridoio e baciarla.
Dovette
chiudere gli occhi per la sensazione di totale abbandono
che la sua presenza le trasmetteva, ma a quel punto lui si era
già allontanato
da lei.
«
Scusatemi » sussurrò mentre si allontanava di
qualche passo.
Katniss gli afferrò la mano e lo trascinò
all’interno della stanza e lo baciò.
Le
labbra che si muovevano a
tempo con quelle di lui, per minuti, forse ore.
Non
si era mai sentita più
viva che in quel momento.
Circa
quattro mesi prima.
Plutarch
Heavensbee era uno dei consiglieri più fidati del Re, era
entrato a far parte della vita di corte da pochi anni, eppure in quel
breve
lasso di tempo si era guadagnato la fiducia di suo nonno in un modo che
lei non
sarebbe riuscita a fare nemmeno in una vita intera.
L’uomo
era pomposo a tratti, scaltro, astuto nel parlare, tutte
qualità utili a Palazzo; non era tra le persone che
preferiva, ma di certo non
lo disprezzava. Gli piaceva osservare i ricevimenti, gli incontri
politici da
lontano, come se fossero una sua opera d’arte, spesso aveva
tentato di farle
capire a cosa si riferisse.
Le
sorsero in mente frammenti di conversazioni che aveva avuto con
lui nel tempo.
Se
tutto si fermasse per un istante, se tutti in questa stanza fossero
immobili, i
colori brillanti, le forme sgargianti… Nessuno riuscirebbe a
dire che ci sia
qualcosa fuori posto. Non trova, Principessa?
Nei suoi confronti era
sempre stato gentile, piacevole, dall’aria bonaria.
Quella
sera, nel suo completo blu notte, l’uomo era estremamente
elegante, a parte qualche chilo di troppo portava addosso i suoi
cinquant’anni
più che bene e senza l’aiuto delle alterazioni cui
erano soliti i cittadini di
Capitol. Quando le aveva chiesto di ballare non aveva potuto rifiutare.
«
Il Re le ha rivelato chi sarà il suo sposo? » le
chiese l’uomo,
come se stesse parlando del tempo e non della sua vita.
Le
concesse il tempo di una giravolta su se stessa prima di dover
rispondere. Katniss sperò vivamente che Plutarch non si
accorgesse che le
sudavano le mani.
«
Punterei tutto sul Conte Crane, se mi fosse concesso »
rispose
lei guardinga.
«
Il persistente Conte Crane » aggiunse sarcasticamente
l’uomo.
Il
suo cavaliere le sorrise mentre riprendevano a muoversi con
eleganza tra le coppie che li circondavano.
«
Politicamente parlando, ci garantirebbe una relativa pace, al
confine est, e una maggiore protezione » aggiunse cercando di
far intendere al
suo interlocutore che non le erano oscuri i piani del Re.
«
Certamente, certamente ».
«
In oltre è l’unico che abbia mostrato un
po’ d’umanità » quello
lo disse più per convincere se stessa.
Solo
un occhio esperto noterebbe che non tutto è al suo posto. Il
mio talento è
quello di camuffare il vero. Qual è il suo?
«
Quella sua guardia, crede che verrà con voi, dopo il
matrimonio?
»
Il
tono leggero con cui il consigliere aveva introdotto il nuovo
argomento non combaciava con la sua espressione intensa. Con lo
sguardo,
Katniss, cercò Peeta, trovandolo in piedi accanto
all’ingresso del salone
intento a parlare con una guardia dai tratti familiari.
Katniss
desiderò che quel ballo lo avesse concesso a lui,
desiderò
di essere stretta tra le sue braccia in un lento affettuoso, la guancia
premuta
sul suo petto, le mani di lui sui fianchi, in un abbraccio dove i
confini tra i
loro corpi si perdevano.
Era
certa di essere arrossita, il sopracciglio inarcato di
Plutarch ne era una conferma.
Non
ne ho idea, Plutarch.
«
Sarebbe un peccato privare la nipote del Re di un legame sicuro
con il Palazzo. Giusto? » continuò a parlare
l’uomo, lo sguardo fisso su Peeta.
Lei si limitò ad annuire, terrorizzata che qualcuno sapesse
più del dovuto.
Io,
invece, ne ho una vaga idea!
«
Cercate di vedere questo matrimonio come
un’opportunità e non
come un sacrificio » Plutarch aveva incrinato leggermente la
testa per poterla
guardare negli occhi. « Il popolo vi ama, mia Signora
».
Tre
mesi prima.
«
Non devo averti fatto una bella impressione la prima volta che
mi hai vista ».
La
considerazione le era sfuggita dalle labbra mentre era intenta
a rileggere la sua fiaba preferita. Peeta le dava le spalle, esaminava
i libri
di storia riposti sugli scaffali dall’altra parte della
stanza.
«
Insomma…indisciplinata, decisamente poco gradevole, no?
» a
questo punto la sua voce era diventata poco più di un
sussurro. Lo vide
distogliere l’attenzione dai libri che stava esaminando e
fare qualche passo
verso di lei.
«
Ti ho a malapena considerato i primi giorni in
cui…»
«
La prima volta che vi ho vista, » la interruppe lui.
« Ero
ancora un bambino. Durante la Festa del Raccolto di
quell’anno la famiglia
reale era al Distretto Dodici, voi avete intonato l’inno di
Panem insieme al
Principe Ereditario; eravate vestita di rosso e portavate due trecce
» mentre
parlava i suoi occhi azzurri non avevano lasciato quelli di lei nemmeno
per un
momento. « E’ la cosa più bella che
abbia mai visto nella mia vita. Bè… Fino ad
ora ». Era anche arrossito.
Katniss
dovette abbassare il capo per nascondergli il suo di
rossore, si morse le labbra reprimendo un sorriso insensato,
compiaciuto.
Quando riportò lo sguardo su di lui, Peeta le era di fronte.
«
Posso baciarvi? » anche quello un sussurro, perché
nessuno
doveva sentire.
Nessuno
poteva sapere.
«
Per favore ».
Un
mese prima.
La
data del matrimonio era stata fissata.
Era
stato scelto lo sposo.
Seneca
passava a farle visita sempre più spesso,
perlopiù
passeggiavano nei giardini, lei non parlava molto, lui le raccontava
storie del
suo regno.
I
passi di Peeta li
accompagnavano ovunque.
Una
settimana prima.
«
Vi siete lasciata baciare ».
Peeta
le dava le spalle. Non
sapeva se il dolere che sentiva all’altezza del petto fosse
dovuto al fatto che
non la guardasse in faccia o a quello che lo aveva costretto a vedere.
«
E’ il mio futuro sposo »
non era sicura che la potesse sentire, la voce un sussurro flebile.
Riusciva
a vedere il profilo
della mascella serrata, le mani strette a pugno. Era furioso.
«
Mi avete fatto guardare »
e ancora si rifiutava di guardarla.
«
Mi dispiace ».
«
Non è vero ».
Si
chiedeva come era
possibile che lui la capisse meglio di chiunque altro, come in
così pochi mesi
le fosse entrato sotto la pelle come veleno, raggiungendo ogni singola
fibra
del suo corpo, della sua mente.
Non
era dispiaciuta che
Peeta l’avesse vista baciare Seneca, voleva fargli assaggiare
la sua stessa
medicina, fargli sentire come si era sentita quando l’aveva
visto flirtare con
Delly.
Voleva
ferirlo.
«
Ti ho visto con Delly »
disse Katniss, il tono più duro di quello che avesse voluto.
Lui si voltò a
guardarla, aveva la fronte corrugata. Iridi talmente azzurre che
avrebbe voluto
annegarci.
«
Io… » cominciò a parlare
lui, ma lei lo fermò immediatamente con un gesto della mano,
il capo chino. «
Non devi spiegarmi niente » ogni parola era come vetro sulle
labbra.
E
poi sapeva solo che il suo
corpo era schiacciato tra il legno intagliato della porta e Peeta, la
sua bocca
sulla sua.
Bollente.
«
Voglio solo voi » e ancora
baci sulle tempia, sulla guancia, sul collo. « Solo voi, mia
Signora ».
Parole
disperate e sincere
che le gonfiavano il cuore. « Voglio solo voi ».
«
Katniss » sussurrò lei
insinuandogli una mano tra i capelli per portarlo più vicino
e baciarlo.
Ancora.
«
Katniss » disse lui
staccandosi dalle sue labbra quel tanto che bastava per pronunciare il
suo
nome.
«
Voglio solo te » mani che
si intrufolavano sotto la gonna del vestito, calde come tizzoni ardenti
sulla
pelle. Le fece piegare un ginocchio contro il suo fianco, spingendole
il bacino
contro il suo.
E
voleva lei.
Solo
lei, solo lei.
Si
rese conto che stava
piangendo solo quando Peeta le passò il pollice sulla
guancia.
«
Portami via da quì… Ti
prego, portami via ».
Continuò
a supplicarlo di
fuggire, accoccolata contrò di lui, seduti sul pavimento
mentre le carezze e i
baci di Peeta la calmavano.
«
Se fossi certo che la pena
ricadesse solo su di me, vi porterei via subito ».
If you go...
If you go your way and I go mine
Are we so...
Are we so helpless against the tide?
“Every
breaking wave” U2
Un
mese dopo.
Il
portico che costeggiava i giardini del Palazzo era fin troppo
illuminato per una mattina di fine inverno, il sole allungava le loro
ombre sul
muro in modo da far pensare che stessero camminando a fianco a fianco e
non che
lui la seguisse a un paio di metri di distanza.
La
Principessa sapeva che sarebbe stato meglio affrettare il passo
e portare a termine quel compito il più in fretta possibile,
ma come poteva
farlo se il cuore le batteva all’impazzata e
l’unica cosa che desiderava era
fuggire da quel luogo?
Fuggire
da quella vita.
In
lontananza, attorno al gazebo bianco, vicino alle fontane,
riusciva a vedere tutti i nobili del regno, adornati da abiti
sgargianti e dai
copricapi più bizzarri; dovette cercare qualche secondo con
lo sguardo prima di
individuare il Re conversare amabilmente con quello che, da
lì a poco, sarebbe
diventato il suo sposo.
Il
suono asincrono delle sue scarpe eleganti e degli stivali di
Peeta sul marmo le davano un senso di sicurezza fasullo. Come se non
stesse
succedendo niente di insolito.
Fuggire
tra le braccia dell’uomo che la seguiva costantemente ovunque.
Arrivata
sul sentiero lastricato di pietra dovette sollevare
leggermente la gonna del vestito, nel farlo notò un dente di
leone solitario
tra i ciuffi d’erba accanto al selciato: si chinò
a raccoglierlo.
Il
pizzo delle maniche del vestito le pizzicava la pelle e il
corsetto era troppo stretto.
Katniss
girò su se stessa per poter parlare con Peeta. «
Esprimi
un desiderio » disse lei porgendogli il fiore.
Lui
fece roteare lo stelo tra il pollice e l’indice per qualche
secondo prima di inserirlo nel bouquet di rose bianche che Katniss
stringeva
tra le mani.
«
Il mio desiderio è irrealizzabile ». Le sue stesse
parole, mesi
prima, quando lui le aveva fatto la stessa domanda.
Doveva
sembrare profondamente affranta perché la guardia aggiunse:
« Vorrei che foste mia ». Un sorriso amaro ad
increspargli le labbra.
«
Io sono tua » disse pianissimo lei guardandosi attorno per
accertarsi che nessuno li ascoltasse.
«
No, mia Signora ».
Dita
che le sfioravano le mani in movimenti che dovevano sembrare
totalmente casuali.
I
violini avevano già cominciato a suonare la marcia nuziale.
«
Io sono suo. La mia vita, il mio cuore » continuò
Peeta facendo
un passo indietro, le mani dietro la schiena e l’accenno di
un inchino.
Panem
oggi, Panem domani, Panem per sempre.
Le
mancava l’aria.
«
Sempre ».
Angolo
dell’autrice.
Che
ve ne pare? È un po’ frammentario, me ne rendo
conto, ma è un esperimento
narrativo a cui vorrei far seguire un’altra storia e mi
farebbe davvero piacere
sapere cosa ne pensate. Se vi è sfuggito qualcosa, se aveste
preferito qualcosa
di diverso…
Io
ne sono abbastanza soddisfatta, nella mia testa è come un
film,
scena dopo scena e comunque avrei voluto scrivere di più,
spiegare meglio non
so nemmeno se mi sto spiegando in questo momento!
Ok,
ora vi lascio, grazie mille per essere arrivati/e fino in
fondo.
Ciara.