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Autore: Jessica Fletcher    10/01/2015    6 recensioni
In breve, la storia della madre naturale di Christian, come ha avuto il bambino, come si è ritrovata a battere e a drogarsi.
I suoi pensieri e le sue sensazioni.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Christian Grey
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ella

Ella



Ed eccolo lì, il mio bambino.
Seduto per terra con il viso appoggiato sulle ginocchia, nascosto fra le mani.
Quel bastardo lo ha picchiato, di nuovo, ancora. E io, io non sono riuscita ad intervenire in suo aiuto, non ne ho avuto il coraggio, non ne ho avuto la forza.
E ho lasciato fare, complice colpevole, di tanto odio, di tanta ferocia.
Io che sono allo stesso tempo vittima e carnefice.
Io che non so cosa fare, non riesco a rinunciare alla roba, anche se so che è per colpa della roba che mi trovo in questa condizione disperata; insieme con la mia piccola creatura.

Ho avuto Christian giovanissima, avevo 17 anni ancora da compiere.
Ero sola al mondo almeno così mi sentivo. Mio padre era morto alla mia nascita e mia madre si era risposata con un uomo arido e senza scrupoli, che ne aveva fatta la sua schiava. Io per loro era come se non esistessi.
Avevo creduto di aver trovato affetto e comprensione da un compagno  di scuola, ci eravamo messi insieme, avevamo fatto l'amore, era stata la prima volta per entrambi. E, come risultato, mi ero ritrovata incinta. Quando l'aveva saputo lui, il padre, non si era più fatto vedere. Ogni volta che lo cercavo, trovavo davanti qualcuno dei suoi familiari, la padre, il padre, perfino il fratello maggiore, che mi dicevano di andare via e di lasciarli in pace.  Era come andare a sbattere contro un muro di gomma. Questo nel migliore dei casi; perché quando andava male mi insultavano chiamandomi puttana e insinuando che io fossi andata con tanti altri ragazzi e che la paternità del mio bambino fosse tutt'altro che certa.

Il mio patrigno, invece ... ah lui non ha perso tempo.
Mi ha obbligato a fare una scelta: abortire o andarmene di casa. Ha detto che un figlio illegittimo avrebbe nuociuto al buon nome della famiglia e che le puttane non erano bene accette in casa sua. Mia madre, come di solito, non ha ribattuto; è rimasta in silenzio al suo fianco.

Non me la sono sentita di abortire, non avrei mai potuto uccidere mio figlio.
Così me ne sono dovuta andare.

E ho avuto il mio bambino, da sola, con quel minimo di assistenza che una nullatenente come me può permettersi, soffrendo come una bestia e maledicendomi ad ogni contrazione per essermi messa in questa situazione di merda.
Poi finalmente l'ho stretto fra le mie braccia, era così perfetto. L'incarnazione stessa della perfezione!
Mi è sembrato di poterlo amare.
E' stato allora che ho deciso di chiamarlo Christian, affinché Nostro Signore da lassù vegliasse su di lui. E invece , proprio come Lui, è finito in croce.
E continua ad essere crocifisso ogni santo giorno.

Certe volte penso che, se solo avessi saputo dire di no , la mia vita e soprattutto quella di Christian sarebbero state diverse.
Dire no...si fa presto a parlare, soprattutto ora.
Ma, con un bambino piccolo e nessuno che me lo tenesse, facevo molta fatica a trovare un lavoro.
E, alla fine, prostituirmi è stata quasi un necessità, se volevo in qualche modo sbarcare il lunario.
Avevo pensato di farlo giusto per qualche mese, tanto per guadagnare qualche soldino e intanto cercarmi un lavoro "serio" e "dignitoso".
Ma, ahimè, una volta entrati in quale "giro" non è facile uscirne.

Ed entrare nel giro vuole anche dire dovere avere un protettore e finire, prima o poi, anche nel giro della droga.
Perché arriva un punto in cui non ce la fai più e annebbiarti il cervello ti sembra l'unica cosa da fare per potere andare avanti.

Ed eccomi qui ora, a ventun anni, senza un soldo in tasca, perché quello che guadagno se lo prende quel bastardo, quasi sempre fatta e con un bambino piccolo al quale non solo non sto offrendo niente, nemmeno il cibo e le cure necessarie, ma che non sono nemmeno in grado di proteggere dalle violenze di quello stronzo.

Lo picchia e lo maltratta quotidianamente, certe volte in modo molto duro, atroce. E io non riesco a fare niente sia perché sono troppo "fatta" per potere anche solo alzarmi o intervenire sia perché ho una paura fottuta di quello che potrebbe accadermi, se solo mi azzardassi a ribellarmi.
Già sperimento, e in misura abbondante, gli effetti della sua ferocia, della sua depravazione. Io pure vengo picchiata, stuprata, massacrata tutte le volte che il guadagno non è quello che lui si aspetta, tutte le volte che lui è ubriaco o arrabbiato o semplicemente in vena di sadismo.

Sono realmente disperata, sull'abisso della follia. Tutto quello che mi resta in questo inferno è Christian.
Mio figlio! Mi sto accorgendo che è troppo piccolo e magro per la sua età, non riesco a nutrirlo abbastanza.
Mi sto accorgendo che sta sviluppando una sorta di amore/odio nei miei confronti.

Certe volte non vuole neppure che lo tocchi, altre volte mi viene a cercare, mi abbraccia. Gli faccio pettinare i miei lunghi capelli castani, e mentre lo fa, affonda il visino fra le mie chiome e mi bacia sulla testa.
Io lo lascio fare ma non riesco a ricambiare il suo amore. Qualcosa nel mio cuore mi fa rimanere fredda e impassibile, come se si fosse rotto un ingranaggio e io avessi perso la capacità di amare.

Mi alzo dal pavimento, dove sono seduta, e mi avvicino a Christian, lui alza il viso a guardarmi.
Quel bastardo lo ha preso a pugni e a cinghiate; ha il viso e le braccia tumefatti e pieni di lividi, immagino che anche il resto del suo piccolo corpo sia in condizioni pietose. Ma sono i suoi occhi che mi colpiscono di più, è lo sguardo. Lo sguardo disperato, dolente, arrabbiato. Faccio per toccarlo, per abbracciarlo ma lui si ritrae e volge verso di me due occhi grigi come il cielo in burrasca e colmi di odio.

Mi allontano e restiamo così, due isole lontane divise da  un mare di dolore.

Ci sono giorni in cui desidero morire, forse se non ci fossi sarebbe meglio anche per mio figlio. Verrebbe affidato ai servizi sociali, forse gli troverebbero una famiglia, due bravi genitori disposti ad amarlo, accudirlo e dargli tutto quello che io non sono capace a dargli. Non soffrirebbe la fame, non sarebbe più malmenato e maltrattato.
Però, se non trovassero nessuno,  potrebbe finire sballottato qua e là da una casa-famiglia all'altra o finire in un orfanotrofio.
Peggio ancora, il bastardo potrebbe prenderselo lui, con una scusa o con l'altra, e venderlo. Sono a conoscenza delle cose terribili che vengono fatte ai bambini che vengono venduti a qualche pedofilo o ai trafficanti d'organi; solo il pensiero mi fa accapponare la pelle.
Devo tenere duro, non mollare, soprattutto per Christian.

Tenere duro, non mollare e, soprattutto, sperare in un futuro migliore.


Era un po' che volevo scrivere qualche cosa su Ella.
L'idea originariamente me l'aveva data un commento di Little Grey a uno dei miei capitoli di "Mia" (la mia raccolta di one-shot).
Ci ho pensato su ed ecco uscita questa storia.
Molto triste e dolorosa, le circostanze lo richiedevano.
Ho cercato di non andare troppo sul morboso, ma di spiegare quali possono essere i pensieri di un personaggio del genere.
Non l'ho disegnata come madre amorevole: se suo figlio la ricorda lontana e distante, un motivo ci sarà senz'altro stato.
Piuttosto Ella è un personaggio che, potenzialmente avrebbe potuto dare amore, ma il cui lato buono è stato irrimediabilmente distrutto dalla circostanze.
Spero che vi piaccia e che avrete un po' di pietà per questa donna così sfortunata.

Fatemi sapere
Love
Jessie.
  
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